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Giorgio Mezzalira

Trent’anni sfumati

Frammentazione, debolezza e volatilità dei partiti italiani in Alto Adige/Südtirol dalla “seconda Repubblica” a oggi

Thirty Years dissolved

Fragmentation, Weakness, and Volatility of Italian Parties in South Tyrol from the “Second Republic” to Today

Abstract This article analyzes the changes in Italian political parties in South Tyrol since the years of the so-called “Second Republic.” Locally, as well as nationally, the political system has undergone a profound transformation with the crisis of ideologies and the decline of ­major popular parties (including the DC, PCI, PSI). Over the course of thirty years, there has been a progressive fragmentation of the political landscape with the emergence of multiple new lists and parties. Simultaneously, the boundaries between right, center, and left have ­become increasingly blurred, and political transformism has gained ground. There has been a widespread practice among candidates and elected officials of switching from one political allegiance to another.

Starting from the results of provincial elections and tracing the transformation of Italian ­political parties in South Tyrol, this contribution analyzes the changes that have occurred in this political arena and discusses the thesis of the progressive fragmentation of Italian parties.

1. Introduzione

Abbozzare un’analisi sulla trasformazione dei partiti italiani in Alto Adige/Südtirol a partire dalla cosiddetta “seconda Repubblica” significa gettare lo sguardo in un agone, quello della politica, che assomiglia a una pentola in continua ebollizione, la cui acqua progressivamente evapora. Così come evapora l’elettorato che quei partiti dovrebbe votarli. Meritano una parentesi di attenzione, a questo proposito, i dati sull’asten­sionismo che ci vengono dall’ultima tornata elettorale delle provinciali (2023). In un quadro di calo complessivo di affluenza alle urne (71,5 per cento rispetto al 73,9 per cento del 2018) si registra una particolare disaffezione al voto con perdite consistenti di strati di elettorato nei comuni e nei più grandi centri cittadini dove la componente italiana è maggiormente presente. Ne sono emblematico esempio Merano (– 4,4 per cento), Bolzano (– 5,6 per cento) e soprattutto Laives (– 10 per cento). Qui siamo quasi arrivati al minimo sindacale per l’elezione delle nostre rappresentanze politiche, considerato che poco più di un elettore su due si è recato a votare (cfr. Atz 2023).

Il deficit partecipativo è una dimensione delle democrazie occidentali e il costante aumento dell’astensione ne è sua massima espressione. Vince la dis/educazione civica a discapito dell’idea che il cittadino possa incidere e decidere con il proprio voto sulla cosa pubblica. Ha messo radici non facili da rimuovere la convinzione, diventata diffusa opinione comune in Italia, che tanto i politici pensano solo ai loro interessi, che la politica sia una “cosa sporca” e il voto non serva a nulla. In Sudtirolo si somma l’idea, fattasi largo nell’elettorato italiano, che tanto sul futuro del proprio gruppo linguistico decide il partito di maggioranza di lingua tedesca (Svp) e il voto sia pertanto ininfluente. Nelle ultime provinciali soltanto il 52 per cento degli altoatesini di lingua italiana ha partecipato al voto (56.500 voti validi), distribuendo le proprie preferenze non solo ai partiti “italiani” ma anche a formazioni interetniche (Verdi, Vita), Svp, Team K e lista Widmann (cfr. Atz 2023).

Ma torniamo all’oggetto del presente contributo e partiamo dal cercare di ricordare brevemente che cosa si intende per “seconda Repubblica”, visto che è passato circa un terzo di secolo e da lì dobbiamo iniziare anche per capire quali sono state ripercussioni in loco. Con questa locuzione, battezzata dai mass media, si è inteso indicare la trasformazione del sistema politico italiano causata da fattori esogeni ed endogeni. Il crollo del muro di Berlino (1989), la fine della guerra fredda ovvero la logica dei due blocchi (Usa-Urss) che divideva il mondo in sfere di influenza e ne reggeva le sorti, hanno avuto l’effetto di uno tsunami sulla tenuta del sistema politico nazionale, in particolare sulle sue maggiori forze politiche: Democrazia Cristiana (Dc) e Partito Comunista Italiano (Pci).

La caduta del comunismo sovietico si è immediatamente riverberata sulla tenuta di uno dei partiti comunisti più forti d’Europa e, a pochi giorni dal crollo del muro, il 12 novembre 1989 il segretario Achille Occhetto annunciò in una sezione della Bolognina, quartiere di Bologna, che il Pci avrebbe cambiato nome. Il termine ­“comunista” sarebbe stato cancellato dal simbolo e avrebbe preso vita un partito dal nome diverso: Partito Democratico della Sinistra. Sotto le macerie del muro finì ­anche la Democrazia Cristiana, che in Italia aveva rappresentato il blocco di potere anticomunista per eccellenza e per decenni aveva così plasmato la propria forza ­politica, garantendosi un ininterrotto presidio del governo del Paese. La fine della vecchia logica comunismo/anticomunismo sbloccò il sistema politico italiano e il “fattore K”, uscito di scena, non barricò più il blocco di potere democristiano.

La tangentopoli italiana, ovvero il sistema di clientelismo, corruzione e collusione tra politica e imprenditoria emerso attraverso le inchieste del pool di magistrati di “mani pulite” (Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo) dei primi anni ’90, fu il fattore endogeno che si venne a sommare alla crisi del sistema politico italiano. Essa portò a galla responsabilità e coinvolgimento di alcuni dei maggiori leader politici, che militavano non solo nelle file della Dc e del Partito socialista italiano (Psi) ma in molte altre formazioni politiche. Le elezioni del 1992 segnarono un calo della Dc, del Psi e del Pds (erede del disciolto Pci), mentre la Lega nord di Umberto Bossi e la Rete dell’ex-democristiano Leoluca Orlando si affer­marono come partiti in ascesa, il primo – dall’esplicito connotato territoriale – nel segno di una lotta aperta al “centralismo” contro “Roma ladrona”, il secondo con un richiamo alla necessità di un rinnovamento politico. Facce diverse della risposta politica alla crisi dei grandi partiti nazionali.

Con la riforma elettorale del 1993 (legge Mattarella) l’Italia passò da un sistema proporzionale a uno misto, maggioritario per il 75 per cento dei seggi e proporzionale per il restante 25 per cento, con una soglia di sbarramento al 4 per cento. Fu un tentativo di traghettare il Paese dalla prima alla seconda Repubblica e, di fronte ­anche alle preoccupazioni di un’opinione pubblica impressionata dalla vicenda di Tangentopoli, cogliere l’obiettivo di rendere più stabili i governi, promuovere la ­governabilità e l’efficacia legislativa. L’anno successivo fu quello della diaspora dei democristiani e dei socialisti. Dc e Psi si sciolsero, le loro correnti (progressiste, centriste e conservatrici), che ne avevano animato la dialettica interna e garantito una più larga rappresentanza, andarono a formare distinti raggruppamenti politici. Dallo scioglimento della Dc nacquero il Movimento dei Cristiano Sociali (centro-­sinistra), il Partito Popolare Italiano (centristi raccolti nell’omonimo partito fondato da Luigi Sturzo 75 anni prima), il Centro Cristiano Democratico (centro-destra), nel 1995 dal Ppi si staccarono i Cristiani Democratici Uniti (centro-destra). Dallo scioglimento dei socialisti sorsero i Socialisti Italiani (sinistra), il Partito Socialista ­Riformista (sinistra), la Federazione Laburista (liberal-socialista), Alleanza Democratica (centro-sinistra); esponenti del Psi confluirono anche in Forza Italia, il partito che Silvio Berlusconi aveva fondato nel 1994. Negli anni successivi, dentro a un sistema politico che avrebbe dovuto favorire la nascita del bipolarismo con l’alternanza di due coalizioni al governo del Paese (centro-destra, centro-sinistra), il processo di trasformazione dei partiti proseguì segnando una progressiva loro frammentazione e moltiplicazione.

In Alto Adige/Südtirol fu soprattutto il sistema dei partiti italiani a risentire degli effetti di questa grande trasformazione e nel 1993 anche la Dc locale dovette fare i conti con “tangentopoli”, quando il vice-presidente della Provincia Remo Ferretti (1936-2013), democristiano, indagato e poi arrestato, pose termine alla propria lunga carriera politica.

2. C’era una volta la Dc: la progressiva erosione del centro

La Dc altoatesina fino quasi alla fine agli anni ’80 dello scorso secolo era riuscita a cogliere l’obiettivo di fungere da rappresentanza politica del gruppo di lingua italiana. Non lo aveva raggiunto solo come forza di governo locale che, insieme alla Svp, aveva ininterrottamente retto le sorti della Provincia autonoma di Bolzano. Il consenso elettorale di cui godeva, la poneva al primo posto tra i partiti in Alto Adige (Pallaver 2007, 566-567, 588-589). Poi arrivarono gli anni della protesta italiana contro l’entrata in vigore di alcune norme del secondo Statuto di autonomia (bilinguismo e proporzionale) e fu soprattutto la destra, in particolare il Movimento Sociale Italiano (Msi), a capitalizzare politicamente il diffuso malcontento. Nelle elezioni provinciali del 20 novembre 1988, e per la prima volta dopo il 1948, la Dc non fu più il partito più votato dagli italiani dell’Alto Adige (9,07 per cento). Il primato lo aveva assunto il Movimento Sociale Italiano (10,29 per cento). Poi arrivarono “tangentopoli” e “mani pulite” e anche per la Dc locale, come si è detto, iniziò la diaspora. Alle elezioni provinciali del 1993 si presentarono la Democrazia Cristiana-­Partito Popolare per l’Alto Adige (4,43 per cento) e Unione di Centro per l’Alto Adige (1,74 per cento), quest’ultima lista raccoglieva in un’area di centro-destra ex democristiani e liberali. Ambedue riuscirono a eleggere i propri consiglieri: ­Michele Di Puppo e Luigi Cigolla per Dc-PpAA e Armando Magnabosco per UcAA. In seguito al decesso di Magnabosco, nel 1995 subentrò Franco Ianieri, il quale al termine del suo mandato confluì, senza poi essere eletto, nella lista Alleanza Nazionale – I ­Liberali, presente alle consultazioni provinciali del 1998.

Non è secondario considerare che, con le nuove formazioni politiche, nella galassia dei partiti italiani cominciarono ad apparire denominazioni dalla forte connotazione territoriale e programmatica. In quella tornata elettorale del 1993 non furono solo gli eredi della Dc a presentarsi come forze politiche “per l’Alto Adige”, anche la Lega Nord – partito per costituzione territoriale – si propose nella sua declinazione locale: Lega Nord Alto Adige – Südtirol. Detto che il crescente e rilevante peso della dimensione territoriale nella politica fu un processo più generale dovuto in buona parte dalla crisi delle grandi ideologie e dai tentativi di rispondere ai contraccolpi della globalizzazione (Pallaver 2013, 252-255), l’identificazione del territorio quale riferimento identitario cominciò a porre anche i partiti italiani dell’Alto Adige in sintonia con i partiti della minoranza di lingua tedesca, questi ultimi modellati sulle ragioni della politica per e sul territorio della Provincia. Non è possibile misurare quanto in questo processo di territorializzazione possa aver inciso la chiusura del Pacchetto, della controversia con Roma e l’apertura di un nuovo corso dell’autonomia che chiedeva alla politica locale di mostrarsi capace di gestirlo in loco. Dopo aver strappato l’autonomia a Roma si trattava di conquistarla in Alto Adige/Südtirol e ciò agì sicuramente da spinta per i partiti e la politica locali a dare maggiore centralità alla dimensione territoriale.

Le liste presenti alle elezioni provinciali del 1998 mostrarono come la frammentazione della Dc non si fosse arrestata e si fosse aperta la corsa verso la ricon­quista del centro, nonostante la tendenza della politica nazionale verso un sistema bipolare. I consiglieri provinciali Cigolla e Di Puppo, uscenti dalla precedente legislatura quando erano stati eletti nello stesso partito (Dc-PpAA) si presentarono ­capolista, il primo ne’ Il Centro – Unione Democratica dell’Alto Adige (1,8 per ­cento), formazione di centro-destra che tra le sue fila aveva anche l’uscente consigliere leghista Umberto Montefiori, il secondo nei Popolari – Alto Adige Domani (2,7 per cento), formazione di centro fedele alla linea autonomista. Altri ex democristiani confluirono nella Lista Civica – Forza Italia – Centro Cristiano Democratico (3,7 per cento), un progetto politico di area centro-destra che portò in Consiglio provinciale un indipendente, l’avvocato Beniamino Migliucci. Cigolla e Di Puppo furono rieletti.

Nel 2003 la parola “centro” non faceva più la sua apparizione nella denomina­zione delle diverse liste dei partiti italiani per le provinciali. Era presente invece ­l’Unione Autonomista che raccoglieva di nuovo sotto un unico tetto tutti gli ex demo­cristiani, compresi quelli che si erano divisi tra destra, centro e sinistra, più qualche esponente di Italia dei Valori e altri piccoli gruppi (Pallaver 2013, 265). Fu una ­sorta di risurrezione (effimera) della Dc locale, in cui molti degli aderenti riponevano le proprie speranze di rilancio. L’esito elettorale fu al contrario molto al di sotto delle attese (3,7 per cento) e comportò l’elezione di un unico consigliere, ­Luigi Cigolla. Smobilitato il cantiere della ricostruzione del centro, anche in veste autonomista, le elezioni provinciali del 2008 segnarono: “la fine definitiva dei partiti eredi della Dc e quindi del centro italiano” (Pallaver 2013, 265). Cigolla, che si candidò con la lista Di Pietro Italia dei Valori, non venne eletto. Lo stesso successe alla lista ­Casini Unione di Centro, formazione che a livello nazionale si era appena smarcata dall’Alleanza con Berlusconi e ambiva all’equidistanza tra destra e sinistra. Sandro Repetto, allora capolista e più tardi candidato del Pd, non conquistò il ­seggio.

I voti del centro erano finiti in libertà, in parte assorbiti dal Partito Democratico, nato nel 2007 dalla fusione della Margherita e dei Democratici di Sinistra, in parte diretti alle formazioni politiche di centro-destra. Furono in seguito le liste civiche ad offrire spazio politico di proposta e di manovra alla diaspora dei cristiano-democratici, senza peraltro riuscire nell’intento di conquistare seggi in Consiglio provinciale. Successe così nel 2013 per Scelta Civica per l’Alto Adige e nel 2018 con Noi per l’Alto Adige – Für Südtirol, che si definiva una formazione di “centro che guarda a sinistra” (Franzosi 2018). Dato per disperso il centro, l’eredità politica della Dc e della sua diaspora ha fatto maturare sul campo esponenti politici che si sono nel frattempo conquistati la tribuna e, sebbene da banchi del Consiglio provinciale diversi, possono vantare uno stesso tratto di storia politica. Ci riferiamo a Sandro Repetto e Angelo Gennaccaro, che condividono un pezzo del loro passato politico nelle file della Dc che guardava a destra (Udc) e che nelle ultime provinciali (2023) sono ­stati eletti, il primo con il Pd e il secondo con La Civica, un partito quest’ultimo nato dall’unione di tre civiche locali: “Io sto con Bolzano” lista di Angelo Gennaccaro, la Civica per Merano e Alleanza per Merano, più esponenti di Italia Viva e Azione. Va aggiunto che Io sto con Bolzano, formazione vestita a immagine e somiglianza del suo leader Gennaccaro, si presenta come aggregazione post-ideologica e “neutrale” rispetto agli schieramenti di destra e sinistra. Per inciso, si tratta di un connotato proprio di molte liste civiche, che intendono marcare la propria differenza con i ­partiti nazionali e le storiche tradizioni politiche. Nel caso in questione, sfruttare il proprio peso politico a beneficio di uno o dell’altro schieramento, dichiarandosi per una “politica del fare”, ha permesso alla lista e al suo leader di entrare, in modo politicamente disinvolto, nell’amministrazione di centro-sinistra del capoluogo e nelle trattative per il governo della Provincia con i partiti della destra. È la rica­duta di una moderna concezione del centro, che vale come idea di posiziona­mento piuttosto che come dottrina. In breve, conta l’essere “centrali” per mostrarsi aperti ad alleanze politiche di destra o sinistra.

3. Il “polo escluso” al governo dell’Alto Adige

Con le ultime elezioni provinciali del 2023 è caduto di fatto a livello politico locale il “fattore F” ovvero la conventio ad excludendum nei confronti di quei partiti italiani che si sono ispirati e si ispirano al (neo/post)fascismo. Le ripercussioni politiche sono importanti e pertanto cominceremo da qui per ripercorrere, a ritroso, gli sviluppi della destra in Alto Adige fino agli anni ’90 dello scorso secolo. Non senza prima aver considerato come nell’ultimo decennio l’arena della destra politica abbia conquistato il proprio posto al sole, ovvero al governo della Provincia. Un lungo processo di evoluzione che da area di cultura di partiti anti-sistema è diventata bacino di formazioni semiautonomiste (Pallaver 2013, 259-263).

Le elezioni del 2018 furono caratterizzate dall’effetto Lega e dalla decisa con­ferma che il centro per i partiti italiani si era completamente dissolto; come osservò il politologo Pallaver commentandone i risultati, non esisteva più un partito cattolico, moderato, conservatore in grado di presidiare quell’area (Fattor 2018, 7). Grazie anche a una campagna elettorale ammiccante nei confronti del mondo sudtirolese, si ricordi l’omaggio di Salvini ai Kastelruther Spatzen e al grembiule blu indossato in alcune manifestazioni pubbliche, la Lega riuscì a raccogliere voti anche nell’elettorato di lingua tedesca delle valli. Divenne il partito italiano più votato (11,1 per cento), conquistò quattro seggi e fu chiamato a formare la nuova giunta insieme alla Svp, superando le resistenze interne al partito della stella alpina e le accuse del centro-sinistra rivolte, sempre alla Svp, di portare al governo della Provincia i sovranisti. Le ragioni di un simile successo per un partito che manifestamente aveva messo da parte il suo habitus autonomista per vestire i panni di un aggregato di destra (anche estrema) e xenofobo, erano in buona parte frutto della trans-etnica presa elettorale dei richiami di Salvini al pericolo dell’immigrazione. Il dato politico rilevante, colto da alcuni commentatori (Campostrini 2018, 12) fu la ricomparsa del blocco sociale della destra altoatesina che nel 1988 con il Msi aveva raggiunto quattro seggi in Consiglio provinciale (10,29 per cento), attestandosi alle spalle della Svp come primo partito degli italiani. Nel 2018 a prevalere non era più la protesta contro la proporzionale e la paura della sommersione del gruppo italiano, bensì la paura dell’invasione degli immigrati. La lega sotto le insegne di una nuova destra, meno tricolore ma con la stessa convinzione ideologica sulla centralità del Primato Nazionale, rappresentò quel blocco elettorale italiano che le divisioni nel centro-destra locale tra Alessandro Urzì (L’Alto Adige nel cuore – Fratelli d’Italia Uniti) e ­Michaela Biancofiore (Forza Italia) non riuscirono a compattare. La tornata elettorale del 2023 si è per così dire chiusa in continuità con l’affermazione delle destre al governo della Provincia. Al tonfo della Lega (3 per cento) ha fatto da contrappeso il successo di Fratelli d’Italia (6 per cento), partito chiamato a formare la nuova giunta con la Svp, insieme alla Lega, alla Civica e ai Freiheitlichen. Esulano da questa analisi le valutazioni politiche che possono aver indotto la Svp ad aprire la porta del governo della Provincia a un partito inserito nel solco storico del neofascismo, ciò che è possibile osservare è che l’elettorato italiano che vota la destra – ieri relegata all’opposizione – nell’ultima legislatura e in quella che si apre non vede più esclusi i propri rappresentanti dal governo provinciale.

Per quanto i risultati elettorali di Provincia e Comune non siano confrontabili, va comunque osservato che FdI a Bolzano in occasione delle amministrative del 2020 raggiunse il 7,7 per cento. I partiti di destra, inoltre, hanno raccolto nel 2023 il 50 per cento dei voti degli italiani, mentre l’altra metà è andata alle formazioni di centro-sinistra. Rispetto al 2018 si è trattato di un chiaro arretramento, visto che in quell’occasione l’area di centro destra si era conquistata la netta maggioranza del 57 per cento (cfr. Atz 2023).

Un altro elemento di analisi che va considerato e controbilancia l’impressione errata di una vittoria schiacciante di Fratelli d’Italia nelle ultime provinciali, è il ­restringimento del bacino elettorale della destra italiana. I partiti di questa arena ­politica nel loro insieme perdono infatti il 4,5 per cento di voti rispetto al 2018 e si attestano sulle stesse percentuali guadagnate dal solo Msi nel 1988 (vedi Tab. 1), con la differenza che oggi in assenza di un unico blocco elettorale che poteva contare almeno quattro seggi, i posti in Consiglio provinciale si sono dimezzati.

L’ex deputato di Alleanza Nazionale (An) Giorgio Holzmann commentando i magri risultati raggiunti, gli eccessivi personalismi in campo e la delusione di parte dell’elettorato italiano, ha affermato:

“La mia sensazione è che più che elaborare strategie elettorali i partiti, in particolare quelli del centro-destra, abbiano perseguito tattiche mirate a far emergere situazioni personali. […] Quando la Lega ha fatto il pieno, l’altra volta, Salvini era altissimo nei sondaggi. E i suoi ne hanno avuti quattro di consiglieri. Adesso che è la Meloni ad essere al 30 per cento, FdI ne ha fatti solo due. E sono contenti […] la destra ha promesso tanto e ha fatto poco. O ha fatto tutt’altro” (Campostrini 2023, 17).

Tab. 1: Voti ai partiti della destra italiana alle elezioni provinciali in Alto Adige 1948 - 2023 (valori percentuali)

Provinciali

Totale
Destra ITA %

MSI

LN

AN

Unitalia

FI

PdL

FAA-LN-TA

AAC

La Destra Minniti

Casapound

Fratelli d’Italia

CentroDestra

1948

2.94

2.94

1952

4.78

4.78

1956

6.02

6.02

1960

7.09

7.09

1968

6.22

6.22

1973

4.02

4.02

1978

2,92

2,92

1983

5,88

5,88

1988

10.03

10.03

1993

14.6

11.64

2.96

1998

16.03

0,86

9.65

1,78

3,74

2003

13.8

0,5

8,4

1,5

3,4

2008

12.3

2,1

1,9

8,3

2013

6.9

1,7

2,5

2,1

0,6

0,86

2018

14.72

11,1

1

1,72

0,9

2023

10.2

3

0,6

6

0,6

Abbreviazioni: MSI: Movimento Sociale Italiano (dal 1972 Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale); LN: Lega Nord (nel 2018 Lega per Salvini premier; nel 2023 Lega Salvini Alto Adige Südtirol – Uniti per l’Alto Adige); AN: Alleanza Nazionale (dal 1994 succede al MSI-DN); FI: Forza Italia; PdL: Popolo della Libertà (alleanza tra FI e AN); AAC: Alto Adige nel Cuore (movimento territoriale di destra che fa capo al Consigliere provinciale Alessandro Urzì); FAA: Forza Alto Adige; TA: Team Autonomie

Fonte: Anpi/Antifaschistischer Verein Alto Adige – Südtirol 2018 (aggiornata al 2023)

La destra italiana in Alto Adige ha da sempre coltivato politicamente l’obiettivo di rappresentare una sorta di “partito di raccolta” della comunità di lingua italiana, considerata la “vera” minoranza etnica da tutelare, rispetto ad un’autonomia orientata a favorire le popolazioni tedesca e ladina. Negli anni ’80 dello scorso secolo, come abbiamo già osservato, il Msi raccolse elettoralmente il diffuso malcontento del gruppo di lingua italiana contro alcune delle norme di attuazione dell’autonomia. Tra il 1985 e il 1994 la crescita della destra fu costante ed erose consensi nell’elettorato popolare democristiano, comunista e socialista:

“Il Msi (poi Alleanza Nazionale) e la neonata Forza Italia berlusconiana arrivarono oltre il 14 per cento alle provinciali del 1993 e alle politiche del 1994 nel capoluogo Bolzano, dove il solo MSI arrivò al 30 per cento, la somma del voto di destra raggiunse quasi il 50 per cento dei consensi (in sostanza almeno i due terzi degli elettori di lingua italiana votarono a destra)” (Mezzalira 2019, 78).

Con la svolta di Fiuggi (1995), che portò Gianfranco Fini a raccogliere l’eredità del partito di Giorgio Almirante e trasformarlo, Alleanza Nazionale (An) continuò localmente a rappresentare il “disagio” degli italiani, ma in quello che prima era il blocco della destra missina cominciarono le prime divisioni

“tra coloro che volevano rimanere fedeli al tradizionale impianto nazio­nalista della destra italiana, spesso intrecciato con nostalgie fasciste, e coloro che si ponevano il problema di utilizzare il consenso ricevuto per governare l’autonomia insieme alla Svp. Tali divisioni erano anche ­espressione delle esigenze che caratterizzavano i diversi elettorati che guardavano a destra: il popolo dei quartieri italiani di Bolzano esprimeva richieste di tutela sociale, mentre i settori legati alle libere professioni, al funzionariato statale e all’economia volevano una rappresentanza politica e istituzionale capace di contare” (Mezzalira 2019, 78).

La matrice politica e la difesa dell’italianità in Alto Adige costituivano per la destra un comune terreno di riferimento e d’azione, ma non furono sufficienti a tramutarsi in sintesi politica e programmatica. Si aprì dapprima un contrasto interno, poi nel 1996 Donato Seppi (An) insieme a consiglieri comunali fondò il movimento territoriale Unitalia, che rivendicava

“l’eredità diretta delle storiche battaglie del Msi di Almirante e anche del fascismo. Unitalia divenne il punto di riferimento di tutta la galassia dei gruppi di estrema destra, anche quelli dichiaratamente neofascisti e neonazisti. A livello nazionale si alleò con i vari movimenti che rifiutarono la svolta di Fiuggi, ma mantenne una sua piena autonomia territoriale che le consentì di condizionare le scelte di An e Fi sulle questioni locali e, nelle elezioni amministrative, di conseguire consensi significativi con l’elezione di Seppi in Consiglio Provinciale (5,67 per cento nelle provinciali del 1998) e la conquista di diversi seggi nei consigli comunali, tra i quali spiccavano i due di Bolzano. Fu nei quartieri popolari di Bolzano, in particolare Don Bosco, che Unitalia fece presa superando per ben due volte, nelle provinciali del 2008 e in quelle del 2013, il 7 per cento” (Mezzalira 2019, 79).

La frammentazione della destra locale in partiti e liste ad personam non differì da quella degli altri schieramenti, a conferma di un trend che a partire dai primi anni ’90 dello scorso secolo era nazionale e locale. L’evoluzione del sistema politico verso la formazione di due grandi schieramenti, centro-destra e centro-sinistra, ­portò Alleanza Nazionale a stringere accordi con Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi. Il Popolo delle Libertà, nuovo soggetto politico nato da questi due partiti del centro destra (Fi e An), si presentò alle elezioni provinciali del 2008, raccogliendo un lusinghiero 8,3 per cento dei consensi e guadagnando tre seggi. Dei tre eletti, tolta Michaela Biancofiore di Forza Italia, due venivano da Alleanza Nazionale: Alessandro Urzì e Mauro Minniti.

Le elezioni provinciali del 2013, che segnarono la crisi più rilevante della destra locale nel suo complesso, riverberavano la profonda crisi del progetto politico nazionale che aveva dato vita al Popolo delle Libertà (PdL). In quell’anno Berlusconi annunciò la rinascita di Forza Italia. Nei tre anni precedenti erano avvenute all’interno del PdL scissioni importanti, dall’uscita di Gianfranco Fini (2010) alla nascita nel 2012 di Fratelli d’Italia, partito guidato da Giorgia Meloni. Il tonfo elettorale a livello provinciale, con un risultato complessivo del solo 6,9 per cento rispetto al 12,3 per cento del 2008, fu l’esito in parte di una crisi di credibilità dovuta ai conflitti per­sonali, a un’elevata astensione e alla frammentazione, con ben cinque liste a spartirsi l’elettorato italiano di centro-destra, quasi tutte a carattere territoriale: Unitalia Movimento per l’Alto Adige, Forza Alto Adige – Lega Nord – Team Autonomie, Alto Adige nel Cuore, La Destra Minniti,1 Casapound.

L’effetto Lega nel 2018, di cui si è detto, non funzionò da traino per le altre formazioni politiche di centro-destra, Forza Italia si dovette accontentare dell’1 per cento, Casapound dello 0,9 per cento e L’Alto Adige nel Cuore – Fratelli d’Italia dell’1,72 per cento, che comunque riuscì a eleggere il proprio candidato di punta: Alessandro Urzì.

Da questo breve excursus sull’evoluzione della destra politica in provincia risulta come essa abbia mancato il raggiungimento del proprio obiettivo strategico ovvero la formazione del partito di raccolta degli italiani. Personalismi, giochi di piccolo cabotaggio politico, volontà egemoniche non solo hanno prodotto una notevole frammentazione politica, hanno anche affossato qualsiasi tentativo di formare un fronte che riunisse le diverse anime della destra, capace di pescare a piene mani nel bacino del voto italiano a partire dai maggiori centri cittadini della provincia.

Tab. 2: Confronto dei risultati elettorali delle elezioni provinciali del 1993 e del 2023 in base alla dimensione ideologica dei partiti italiani in consiglio provinciale (dati percentuali)

sinistra

centro sinistra

centro

centro destra

destra

1993

Rc

Pds

Psi

Dc-PpAA

UcAA

Ln

Msi-Dn

percentuale

seggi

0,7

4,1

1

6,1

3

2,9

1

11,6

4

2023

Pd

La Civica

Ls

FdI

percentuale

seggi

3,5

1

2,6

1

3,0

1

6,0

2

differenza 1993-2023

–0,7

–0,6

0

–3,5

–2

+0,1

0

5,6

–2

Abbreviazioni: Pds: Partito democratico della sinistra; Dc-PpAA: Democrazia Cristiana-Partito Popolare per l’Alto Adige; UcAA: Unione di Centro per l’Alto Adige; Lega Nord Alto Adige-Südtirol; Msi: Movimento sociale italiano-Destra nazionale; Pd: Partito Democratico, Ls: Lega Salvini Adige-Südtirol – Uniti per l’Alto Adige; FdI: Fratelli d’Italia; Rc: Rifondazione comunista

Fonte: Elaborazione propria sulla base dei risultati ufficiali delle elezioni provinciali del 1993 e del 2023

4. Il dissolvimento della sinistra

Anche per i partiti della sinistra l’avvento della seconda Repubblica è stato un periodo segnato da una vera e propria mutazione di pelle. Spento sotto le macerie del muro di Berlino il bel “sol dell’avvenir”, è iniziato per essi un lungo e faticoso processo di ridefinizione della propria identità e dei propri orizzonti politici. L’approdo socialdemocratico si è mostrato come la nuova (ultima?) spiaggia da raggiungere.

Rimanendo in tema di frammentazione dei partiti, possiamo affermare che nessun fronte politico come la sinistra ne ha sofferto nel corso del tempo, oseremmo dire fin dalle sue origini. Fratture, scissioni, distinzioni, moltiplicazione di gruppi e gruppuscoli nei cosiddetti “anni caldi” fanno parte della sua storia. E lo stesso processo di sfilacciamento di quest’area politica, che si è messo in moto negli anni ’90 dello scorso secolo, lo si potrebbe collocare a buon diritto nella continuità, se non fosse per la profonda cesura di cui è figlio: il crollo dell’ideologia comunista.

Nell’evoluzione politica della sinistra italiana in Alto Adige va segnalato l’impegno profuso, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ’70, per trasformarsi da rappresentanza nazionale a rappresentanza locale e profilarsi come movimento interetnico (Pallaver 2007, 576-77). Nell’attuale Partito democratico altoatesino, prodotto di filiazione nazionale e ultimo rappresentante locale del centro-sinistra italiano, è riconoscibile una costante tensione a realizzare una forte adesione al territorio:

“Questo riguarda la composizione di liste di candidati di tutti i gruppi linguistici, l’utilizzo di una seppur rudimentale comunicazione bilingue e soprattutto la difesa dell’autonomia contro (anche proprie) ostilità ­provenienti da Roma” (Pallaver 2013, 255).

Tab. 3: Voti ai partiti della sinistra italiana alle elezioni provinciali in Alto Adige 1948 - 2023* (valori percentuali)

provinciali

TOT SIN %

PSI

PCI

PSLI

PSDI

PSIUP

PSI-PSDI

PSIUP-PCI

DP/AD

PDS

PRC

LA RETE

CS/MLP

PD-IS/FG-GL

AR/AE

CI

PD

SAA/LS

VL/SU

NAA

1948

12,03

4,99

3,96

3,08

1952

12,28

5,75

3,07

3,46

1956

11,83

5,62

2,18

4,03

1960

12,68

5,90

3,14

3,64

1964

13,77

5,38

3,68

3,82

0,89

1968

13,15

7,18

5,97

1973

14,77

5,64

5,69

3,44

1978

13,12

3,35

7,04

2,29

0,44

1983

11,25

3,91

5,61

1,27

0,46

1988

7,04

4,03

3,01

1993

5,85

1,25

2,94

0,75

0,91

1998

4,90

1,4

3,5

2003

5,70

3,8

1,0

0,9

2008

7,10

0,4

6,0

0,7

2013

7,40

0,4

0,3

6,7

2018

5,6

3,8

0,6

1,2

2023

3,5

3,5

*Nella tabella non sono state inserite le liste interetniche che si collocano nell’area della sinistra: Neue Linke-Nuova Sinistra, Alternative Liste fürs andere Südtirol/Lista alternativa per l’altro Sudtirolo; Grün-Alternative Liste/Lista verde alternativa; Verdi Grüne Vèrc; Grüne Südtirols/Verdi del Sudtirolo; Verdi Grüne Vèrc Bürger Liste Civiche; Verdi Grüne Vèrc – Sinistra Ecologia e Libertà

Abbreviazioni: PSI: Partito Socialista Italiano; PCI: Partito Comunista Italiano; PSLI: Partito Socialista dei Lavoratori Italiani; PSDI: Partito Socialdemocratico Italiano; PSIUP: Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria; DP/AD: Democrazia Proletaria/Arbeiterdemokratie; PDS: Partito Democratico della Sinistra; PRC: Partito della Rifondazione Comunista; CS/MLP: Centro Sinistra/Mitte-Links Projekt; PD-IS/FG-
GL: Pace e Diritti-Insieme a Sinistra/Frieden und Gerechtigkeit – Gemeinsam links; AR/AE: Alternativa Rosa/Alternative Enrosadira; CI: Partito dei Comunisti Italiani; PD: Partito Democratico; SAA/LS: Sinistra dell’Alto Adige/Linke für Südtirol; VL/SU: Vereinte Linke/Sinistra Unita; NAA: Noi per l’Alto Adige

Fonte: Elaborazione propria sulla base dei risultati ufficiali delle elezioni provinciali

A livello locale il 1993, annus horribilis per la politica nazionale, segnò non solo il battesimo elettorale del Partito democratico della sinistra, nato dalle ceneri del Pci, ma per la prima volta la sua partecipazione in giunta in una coalizione tripartito (Svp, Ppi, Pds) di centro-sinistra. Con una lunga esperienza alle spalle di fruttuosa collaborazione al governo della provincia tra Svp e centro-sinistra italiano, che aveva visto la luce nel 1964, e con i socialisti caduti in disgrazia a causa di “mani pulite”, la stella alpina aprì le porte a un partito post-comunista e di rinnovata fede auto­nomista. Per quasi trent’anni, ovvero fino alle provinciali del 2018, questa formula politica ha retto anche grazie ad alleanze elettorali locali di centro-sinistra: Progetto Centrosinistra/Mitte Links Projekt, 1998 (3,5 per cento); Pace e Diritti/Frieden und Gerechtigkeit, 2003 (3,8 per cento) (Pallaver 2007, 590-591). Poi, dal 2008, il Par­tito Democratico ha governato da solo con la Svp, diventando di fatto l’unico rappresentante del centro-sinistra italiano.

Premesso che l’area del centro-sinistra altoatesino è molto più larga dei partiti italiani che la rappresentano, potendo contare su formazioni interetniche (Verdi) che intercettano quote non ininfluenti di voto del gruppo italiano (Pallaver 2013, 258), va osservato come complessivamente la sinistra italiana locale nel corso di trent’anni abbia perso consistenti fette di elettorato, senza contare i quarant’anni precedenti (Tab. 3). Una diminuzione che corrisponde all’aumento parallelo in Alto Adige dei consensi ai partiti di destra e che ha fatto segnare il suo minimo storico (3,5 per cento) proprio nell’ultima consultazione elettorale (2023), dove risalta la presenza di un solo partito, il Pd, a presidiare l’intera area del centro-sinistra italiano con un unico eletto: Sandro Repetto. Un esito assai magro per le aspettative del partito che puntava su due seggi e per le necessità di complessivo rilancio del campo progressista.

Ha contribuito in parte a questo indebolimento il fenomeno già citato della nascita dei partiti territoriali locali, operanti dapprima a livello dei centri cittadini (Pallaver 2013, 254). Tra le esperienze più significative degli ultimi dieci anni vanno segnalate a questo proposito La Civica per Merano (centro-sinistra), Alleanza per Merano (centro-destra) e Io sto con Bolzano (centro). Gli importanti risultati ottenuti dalle due civiche meranesi alle elezioni amministrative nel 2020 (cfr. Mezzalira 2021) e da Io sto con Bolzano, diventata forza di giunta nel capoluogo, hanno spinto i rispettivi leader (Andrea Casolari, Nerio Zaccaria, Angelo Gennaccaro) a dar vita a un progetto elettorale su scala provinciale, mirato al capoluogo nonché ai centri urbani del fondovalle e presentato quale antidoto al “fallimento dei partiti nazionali” in tema di risposte concrete ai bisogni del ceto medio e dei giovani: caro vita, casa, sanità, scuola bilingue (cfr. RaiNews 2023). Le tre civiche, più Italia Viva e Azione, riunite in un’unica lista (La Civica) per le ultime provinciali, hanno conquistato un seggio (2,6 per cento). Va ricordato che in occasione delle provinciali del 2018 nelle liste del Pd erano presenti esponenti di punta della Civica per Merano (Andrea ­Casolari e Beatrice Calligione), espressione del tentativo da parte del partito democratico di unire le forze e aprire un dialogo con le civiche. Un progetto che non ha avuto respiro e ha portato in seguito la Civica per Merano a sposare l’unione con Alleanza per Merano in occasione delle comunali per Merano del 2020, quando le due liste sono riuscite a eleggere al secondo turno il proprio candidato sindaco: ­Dario Dal Medico.

Nel campo progressista non sembrano trovare spazio, anche per questione di ­numeri, presa elettorale e peso politico, le liste che espressamente si richiamano alla “sinistra”. I loro rappresentanti appaiono più frequentemente come “candidati bandiera” in altre formazioni politiche del centro-sinistra.

5. Conclusione

Dieci anni fa proprio su questa rivista il politologo Günther Pallaver parlava di frammentazione e debolezza dei partiti italiani in Alto Adige (cfr. Pallaver 2013), diagnosi che oggi può essere non solo confermata ma anche portata a spiegare la loro volatilità. Un partito debole si rafforza con fusioni o alleanze, oppure si trasforma in un nuovo soggetto, sperando in un rilancio. Il fenomeno in verità è anche figlio di dinamiche nazionali, se consideriamo pur con una semplice ricognizione a volo d’uccello, che a partire dalla prima metà degli anni ’90 l’offerta politica nazionale si è moltiplicata con mille sigle nuove – a dispetto del bipolarismo – una volta che le grandi case comuni democristiana, socialista e comunista si sono svuotate. Venute a mancare le matrici ideologiche che ne ispiravano gli orizzonti politici e ­l’identità, è come se i partiti avessero perso la funzione di rappresentanza e guida della società, nel senso di saperne intercettare bisogni e interpretarne le aspirazioni ideali. L’arena politica negli ultimi trent’anni si è popolata di soggetti che, più che svolgere una simile funzione, sono apparsi in costante rincorsa e ritardo, privi di ricette credibili per affrontare il mondo nuovo e le sue sfide (globalizzazione, crisi economiche e ambientali, smantellamento del welfare, ecc.) e capaci al massimo di fare da cassa da risonanza alla pancia degli italiani. E chi suona più forte il tamburo alla fine viene premiato, come dimostra la presa del populismo a tutte le latitudini del nostro Paese.

Un altro effetto di questa mutazione avvenuta è la porosità dei partiti e delle ­arene politiche, che si è fatta largo anche in loco, dove si contano non pochi casi di candidati ed eletti che passano da un partito all’altro nella stessa arena e/o in arena diversa. Il trasformismo in politica non è certo una novità, ma la sua presenza su larga scala è una new entry del periodo della seconda Repubblica dove il confine tra destra, centro e sinistra è talmente sfumato da diventare nebuloso e alla mercé dei traghettatori di turno. In questo universo della politica prosperano i tolemaici, coloro i quali giustificano la propria sostituzione di casacca affermando che è la politica a orbitare, mentre loro sono fermi sui saldi valori di sempre. E vista da questa prospettiva qualsiasi opzione politica risulta coerente.

C’è poi il dato incontestabile dell’ultimo magro esito elettorale del 22 ottobre 2023 in termini di consiglieri eletti sul versante italiano. Complessivamente gli elettori italiani rappresentano il 20 per centro dei voti validi, ciò significa che potrebbero far sedere sui banchi del Consiglio provinciale sette componenti su 35. Il fatto che ne siano stati eletti solo cinque è anche frutto della forte frammentazione dei partiti (cfr. Atz 2023).

Note

1 Mauro Minniti, dopo una lunga militanza nella destra missina, nel 1995 aderisce alla svolta di Fiuggi. Consigliere provinciale e regionale per An dal 1994, nel 2011 ricopre la carica di Presidente del Consiglio provinciale. Nel 2013 si presenta con una propria lista e un programma che si richiama alla destra sociale, ma non viene rieletto.

Riferimenti bibliografici

Atz, Hermann (2023), Nur die Hälfte wählt rechts, in: Südtiroler Wirtschaftszeitung, 15.12.2023, 7

Campostrini, Paolo (2018), “Con la Lega torna il blocco che votava Msi”, in: Alto Adige, 29.10.2018, 12

Campostrini, Paolo (2023), “I personalismi hanno azzoppato italiani e destra”, in: Alto Adige, 29.10.2023, 17

Fattor, Mauro (2018), “Per la prima volta voti tedeschi alla destra italiana”, in: Alto Adige, 23.10.2018, 7

Franzosi, Sarah (2018), “Siamo il centro che guarda a sinistra”, in: SALTO, 10.04.2018, https://salto.bz/en/article/09042018/siamo-il-centro-che-guarda-sinistra (12.01.2024)

Mezzalira, Giorgio (2019), A passo di tartaruga. La nuova estrema destra italiana in Alto Adige, in: ­Pallaver, Günther/Mezzalira, Giorgio (a cura di), Der identitäre Rausch. Rechtsextremismus in Südtirol/Ubriacatura identitaria. L’estrema destra in Alto Adige, Bolzano: Edition Raetia, 71-86

Mezzalira, Giorgio (2021), La ricerca di nuovi equilibri. Bolzano e Merano due banchi di prova elettorali, in: Alber, Elisabeth/Engl, Alice/Pallaver, Günther (a cura di), Politika 2021. Südtiroler Jahrbuch für Politik/Annuario di politica dell’Alto Adige/Anuar de politica dl Südtirol, Bolzano: Edition Raetia, 237-254

Pallaver, Günther (2007), I partiti politici in Alto Adige dal 1945 al 2005, in: Ferrandi, Giuseppe/Pallaver Günther (a cura di), La regione Trentino-Alto Adige/Südtirol nel XX secolo. 1. Politica e istituzioni, Trento: Museo storico in Trento, 559-598

Pallaver, Günther (2013), I partiti italiani in Alto Adige. Frammentati e deboli in cerca di una nuova identità, in: Pallaver, Günther (a cura di), Politika 13. Jahrbuch für Politik/Annuario di politica/Anuar de politica, Bolzano: Edition Raetia, 247-282

RaiNews (2023), La Civica, al centro del programma i problemi del ceto medio e i centri urbani, in: RaiNews, 04.10.2023, www.rainews.it/tgr/bolzano/articoli/2023/10/la-civica-al-centro-del-programma-i-problemi-del-ceto-medio-e-i-centri-urbani-05705971-f551-4e92-8290-a5a406f9a492.html (12.01.2024)