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Irene Landini

Immigrazione e diversità culturale all’interno dei diversi sistemi scolastici in Alto Adige

Una prospettiva bottom-up*

Encountering migrant-driven diversity in South Tyrolean’ rigid system of linguistically divided schools

A bottom-up perspective.

Abstract This research contributes to the studies that investigate the relationships between old and new diversity within ‘divided societies’, and notably in South Tyrol and Bolzano. The chapter explores how teachers deal with migrant-driven cultural and linguistic diversity in primary and middle schools. It compares the challenges experienced and the strategies put in place by teachers belonging to the German-speaking group (in German schools) and the Italian-speaking one (in Italian schools). The analysis is especially interested in investigating how teachers belonging to the two different groups interpret and apply the recently developed educational paradigm of intercultural education, promoted by the Council of Europe (Council of Europe’s White Paper on Intercultural Dialogue, 2008). The analysis reveals that the implementation of the intercultural education paradigm to accommodate migrant-driven diversity takes far different shapes across the divided streams of schools. The main argument of the chapter is that these differences are linked to specific historical and identitarian factors that have already been found to shape the top-down policy approach to migration by South Tyrolean political elites (notably the ones representing the German group).

1. Introduzione

La diversità culturale e linguistica in ambito scolastico è aumentata in modo significativo, nel corso degli ultimi decenni, in quasi tutti i Paesi europei (seppur con ­differenze). Tale fenomeno è dovuto, in parte, all’aumento di studenti/studentesse con ‘background migratorio’ (Consiglio d’Europa 2008)1 all’interno delle scuole di diversi ordine e grado. In tale contesto, il Consiglio d’Europa (Consiglio d’Europa 2008) ha iniziato a promuovere un nuovo paradigma per la gestione della diversità culturale e linguistica in ambito scolastico, definito ‘educazione interculturale’. L’aumento di studenti/studentesse con background migratorio è diventato un tema particolarmente scottante anche in molti contesti sociali e territoriali definiti con il termine inglese di divided societies (Carlà 2018), ‘società internamente divise’, dove troviamo la coesistenza di gruppi autoctoni linguisticamente e/o culturalmente diversi fra loro e, spesso, la contrapposizione fra gruppi di minoranze nazionali e gruppi di maggioranza nazionale (esempi sono la regione del Québec in Canada, la Catalogna in Spagna, l’Alto Adige in Italia).

Contemporaneamente alla crescita del fenomeno migratorio in tali contesti, si è assistito anche a un aumento degli studi riguardanti le relazioni tra le minoranze nazionali (old diversity) e le nuove comunità di migranti (new diversity) (per es. Carlà 2014, 2018; Jeram et al. 2015; Franco-Guillén 2015; Hepburn 2011; Zapata-Barrero 2009). Alcuni di questi studi hanno esaminato tali dinamiche anche in Alto Adige. Come è noto, in Alto Adige riscontriamo la presenza di una consistente minoranza di lingua tedesca e una, meno consistente, di lingua ladina, che convivono con la popolazione di lingua italiana. I dati dell’ultimo censimento linguistico, effettuato nel 2011, ci dicono che gli appartenenti al gruppo linguistico tedesco sono 69,41 per cento della popolazione alto atesina totale, quelli del gruppo italiano il 26,06 per cento, mentre i restanti 4,53 per cento appartengono alla minoranza ladina (ASTAT 2011).

A livello politico, le relazioni fra i tre gruppi linguistici sono organizzate sulla base di meccanismi consociativi di condivisione del potere (Lijphart 1977), che richiedono la rappresentanza governativa di tutti e tre i gruppi linguistici (Carlà 2018; Pallaver 2008). Inoltre, lo Statuto di Autonomia ha istituito il bilinguismo2 in tutti gli uffici pubblici, comprese le istituzioni e strutture scolastiche (Wisthaler 2013). Il sistema educativo dell’Alto Adige, pur seguendo il sistema educativo nazionale ­italiano, si basa sul principio del separatismo linguistico, che prevede l’istruzione nella lingua madre dei bambini con l’insegnamento obbligatorio dell’altra lingua ­(articolo 19 dello Statuto). Sono stati, dunque, istituiti sistemi scolastici paralleli, in cui gli alunni della scuola materna, elementare, media e superiore possono usu­fruire di un insegnamento nella lingua madre (tedesco o italiano) da parte di insegnanti della stessa lingua. L’altra lingua (tedesco nel sistema italiano; italiano nel sistema tedesco) è insegnata come seconda lingua. Il sistema di scuole parallele, inoltre, fa riferimento a organi amministrativi e comitati di valutazione separati (Wisthaler 2013).

I principali studi focalizzati sull’interazione tra old e new diversity nel contesto alto atesino (così come molti altri studi che guardano ad altre società internamente divise), hanno privilegiato una prospettiva top-down. Essi hanno analizzato, quindi, le strategie partitiche e le politiche portate avanti dalle élites politiche che rappresentano i gruppi minoritari tedeschi e ladini (Carlà 2014; 2018; Pallaver 2008; ­Wisthaler 2015). Al contrario, gli studiosi hanno prestato una limitata attenzione alla dimensione bottom-up, cioè alle esperienze, difficoltà incontrate e strategie messe in atto dai pratictioners nell’ambito dell’integrazione delle minoranze migranti (Caponio/Donatiello 2017). All’interno dell’ambito dell’istruzione, tali pratictioners sono gli insegnanti scolastici: essi sono, infatti, fra i principali attori impegnati in prima persona, quotidianamente, nell’interazione con studenti con background migratorio e nella promozione di inclusione e dialogo reciproco (Consiglio d’Europa 2008; 2014). Un ulteriore limite della letteratura esistente è che il focus sull’interazione tra old e new diversity ha ostacolato l’analisi delle relazioni fra le nuove minoranze migranti e i gruppi di maggioranza nazionale, all’interno di società divise: nel caso alto atesino, le relazioni fra il gruppo linguistico italiano e i vari gruppi di migranti nel territorio.

Alla luce di tale contesto, questa ricerca contribuisce e integra gli studi precedenti riguardanti le relazioni tra ‘nuove’ e ‘antiche’ forme di diversità culturale e linguistica in contesti di divided societies, e in particolar modo in Alto Adige. Il ­capitolo, infatti, esplora le esperienze degli insegnanti riguardanti le loro interazioni quotidiane con studenti con background migratorio. Due elementi sono di partico­lare interesse:

1. le principali sfide e gli aspetti problematici e critici che emergono dall’esperienza di interazione quotidiana degli insegnanti con studenti/studentesse di origine straniera;

2. le strategie (contenuti didattici specifici, eventi, attività di vario tipo) elaborate quotidianamente dagli/dalle insegnanti, per affrontare tali sfide. In particolare, l’analisi è interessata a mettere in luce fino a che punto, e con quali modalità, gli/le insegnanti interpretano e applicano il paradigma dell’educazione interculturale. Il focus è sulla città di Bolzano.

Specificatamente, il capitolo effettua una comparazione fra le sfide vissute e le strategie implementative del paradigma interculturale da parte di insegnanti appartenenti a gruppi linguistici diversi (italiani e tedeschi), all’interno delle rispettive scuole.

Questa ricerca adotta un approccio esplorativo. L’analisi non mira, dunque, a testare ipotesi di ricerca ben strutturate ma, invece, intende esplorare a fondo le esperienze e strategie degli/delle insegnanti, al fine di conseguire due obiettivi principali. In primo luogo, l’analisi intende espandere la nostra conoscenza riguardo alla presenza di eventuali differenze fra le scuole tedesche e quelle italiane, nel contesto di Bolzano. In particolare, si evidenzierà la presenza (eventuale) di differenze in termini di 1) concezione di cosa rappresenti una sfida, in un contesto di crescente immigrazione e diversità culturale e linguistica nelle scuole e 2) strategie elaborate dagli/dalle insegnanti e soprattutto interpretazione e applicazione delle normative sull’educazione interculturale, nei diversi tipi di scuole.

Inoltre, come secondo obiettivo, la ricerca vuole portare avanti (basandosi sui risultati dell’analisi empirica) una nuova ipotesi su potenziali fattori che possono contribuire a comprendere le caratteristiche di ogni scuola e, allo stesso tempo, i ­patterns di somiglianze e differenze fra scuole in lingua italiana e in lingua tedesca. A tale proposito, le ricerche precedenti ci forniscono alcuni spunti di riflessione, illustrati nelle prossime sezioni, che saranno tenuti in considerazione durante l’analisi.

2. L’educazione interculturale: punti principali

Secondo le Linee guida dell’Unesco del 2006 e il Libro Bianco del Consiglio ­d’Europa sul dialogo interculturale del 2008, l’educazione interculturale e, più in generale, l’‘interculturalismo’ consistono nell’‘esistenza e nell’equa interazione di culture diverse e nella possibilità di generare espressioni culturali condivise attraverso il dialogo e il rispetto reciproco’ (Unesco 2006, 14). L’educazione interculturale, quindi, ‘mira ad andare oltre la coesistenza passiva, per raggiungere un modo di ­vivere insieme in società multiculturali che si sviluppi e sia sostenibile attraverso la creazione di comprensione, rispetto e dialogo tra i diversi gruppi culturali’ (Libro bianco del Consiglio d’Europa 2008, 25).

In particolare, i contenuti dell’educazione interculturale sono di due tipi. Il primo consiste in contenuti didattici dedicati unicamente agli studenti con background migratorio, in particolare mediazione linguistica e culturale, corsi di lingua scolastici ed extra-scolastici, supporto allo svolgimento dei compiti scolastici in orario pomeridiano o altre iniziative simili. Il secondo tipo di contenuti didattici, invece, è rivolto a tutti gli studenti, sia italiani che di origine straniera. Viene data grande importanza a tutte le attività che, in modi diversi, possono favorire la conoscenza e il dialogo fra affiliazioni culturali e linguistiche differenti, come richiesto dal Consiglio d’Europa. Alcuni esempi sono: l’organizzazione di dialoghi in classe, soprattutto su temi controversi legati, per esempio, alle diverse religioni, al ruolo delle donne, ecc. (questo soprattutto in connessione con l’educazione civica); l’organizzazione di attività ludiche, come il teatro, i giochi di ruolo; la promozione del multilinguismo.

Per quanto riguarda le specifiche modalità attraverso cui veicolare l’educazione interculturale (cioè portare avanti le pratiche proposte e altri affini) e l’educazione alla cittadinanza, esse sono lasciate ai singoli Stati. In Italia, troviamo due principali riferimenti normativi. Il primo sono le linee guida pubblicate dal Ministero Italiano dell’Istruzione e del Merito nel 2007, denominate La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri. In tali linee guida, viene specificato che i contenuti dell’educazione interculturale, e in particolare le attività e i contenuti rivolti alla totalità degli studenti, devono avere una dimensione cross-curriculare (MIUR 2007). In tempi più recenti, l’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale3 ha pubblicato un report dal titolo Orientamenti interculturali: idee e proposte per l’integrazione di alunni e alunne provenienti da contesti migratori (marzo 2022). Tale report individua alcune figure specifiche atte a portare avanti i contenuti didattici dedicati a studenti con background migratorio (insegnamento e rafforzamento linguistico, mediazione linguistica e culturale). Nello specifico, vengono individuate tre figure: il facilitatore linguistico (per l’insegnamento linguistico), il referente interculturale e il mediatore culturale (per la mediazione linguistica e culturale). È inoltre ribadito il carattere cross-curriculare di tutti i contenuti e le attività di stampo interculturale, rivolti alla totalità degli studenti e il nesso tra educazione interculturale e educazione alla cittadinanza.

3. Il contesto migratorio e scolastico alto-atesino fra ricerca ­accademica e realtà migratoria territoriale

3.1 Il ruolo chiave del settore educativo in Alto Adige

Diversi studiosi hanno messo in luce come le politiche educative portate avanti, in particolare dagli esponenti del gruppo linguistico tedesco, in primis la Südtiroler Volkspartei (uno dei principali partiti politici alto atesini, SVP),4 rispecchiano ­ancora il peso dei recenti avvenimenti storici e, in particolare, la traumatizzazione che la popolazione tedesca ha vissuto durante la dominazione fascista dell’Alto Adige.

In seguito alla Prima guerra mondiale il Sudtirolo/Alto Adige di lingua tedesca, così come la vicina provincia di Trento, furono cedute dall’Austria al Regno d’Italia e annesse ufficialmente all’Italia nell’ottobre del 1920 (Steininger 2003; Rautz 1999). Il successivo governo fascista (1922-1943), cercò di ‘italianizzare’ ­(Lantschner 2008, 6) la minoranza linguistica tedesca, ‘assimilandola alla popolazione italiana’ ­(Lantschner 2008, 6). Tale scopo si concretizzò nella proibizione di parlare la lingua tedesca, la sostituzione dei nomi tedeschi con quelli italiani (sia i nomi propri, delle famiglie sudtirolesi, sia la toponomastica della regione) e la promozione dell’immigrazione di massa di italofoni nella provincia (ibid).

In seguito alla dominazione fascista, e come conseguenza di essa, si è svilup­pata, all’interno del gruppo ­tedesco, soprattutto, da come emerge dalle ricerche, fra i suoi esponenti politici, in primis la SVP (Baur/Medda-­Windischer 2008; Wisthaler 2013), quella definita dagli studiosi come ‘paura di perdita dell’identità’ o anche ‘paura di minorizzazione’, concetto definito per la prima volta in modo strutturato da Arel, nel 2001, come fear of minorization. Ciò consiste nel timore diffuso e ben radicato nella ‘memoria collettiva’ degli esponenti, soprattutto politici, del gruppo tedesco (Wisthaler, 2013) del pericolo di una (nuova) assimilazione all’interno del gruppo italiano maggioritario a livello nazionale e della conseguente ulteriore minorizzazione e progressiva scomparsa del gruppo linguistico tedesco (Baur/Medda-­Windischer 2008; Wisthaler 2013).

Per avere una comprensione più ampia di queste dinamiche, è importante ricordare che la fear of minorization caratterizza non solo il contesto politico alto atesino ma contraddistingue molti gruppi di minoranze nazionali (un altro buon esempio è la minoranza francofona in Québec). Arel utilizza questo concetto per far luce sulle dinamiche e le tensioni interne ai contesti di divided societies, che definisce come multinational democracies, sistemi politici e sociali composti da gruppi nazionali (maggioritari e minoritari) ben distinti sulla base di caratteristiche culturali, linguistiche ed esperienze storiche diverse. In tali contesti, la ‘paura della minorizzazione’ promuove una forma di nazionalismo, fra i gruppi minoritari e/o oggetto di politiche repressive, che ha lo scopo di difendere e garantire l’esistenza stessa del gruppo (inteso da Arel come nazione all’interno del più ampio sistema statale).

All’interno di molte multinational democracies e società internamente divise, fra cui l’Alto Adige, questo nazionalismo assume spesso una dimensione linguistica. Come si è visto, l’oppressione subita storicamente dal gruppo maggioritario (nel caso dell’Alto Adige, il gruppo linguistico italiano, ai tempi della dominazione fascista) si è concretizzata anche in politiche linguistiche restrittive. In seguito a tale oppressione, la lingua madre del gruppo minoritario/oppresso è diventata, spesso, un vero e proprio ‘simbolo’ identitario. Ciò implica, in Alto Adige, che la preservazione e difesa della lingua tedesca sono diventati fondamentali per la preservazione e ­difesa dell’esistenza stessa del gruppo-nazione di lingua tedesca (Carlà 2018; ­Wisthaler 2013, 2015). Alla luce di tali dinamiche identitarie, il settore educativo acquisisce un ruolo chiave, nel contesto alto atesino. Il sistema di scuole linguisticamente divise diventa, per le élites politiche tedesche, lo strumento chiave per proteggere la lingua e, quindi, l’identità della minoranza tedesca (ibid). Come emerge da questa panoramica della letteratura, i principali studi in materia hanno analizzato e adottato la prospettiva del gruppo (esponenti politici) che costituisce la minoranza a livello nazionale, cioè il gruppo linguistico tedesco. La ricerca incentrata sulla prospettiva del gruppo italiano, sia delle élites politiche che della popolazione, resta, invece, nel complesso limitata.

3.2 Immigrazione e educazione interculturale nel contesto di ­separatismo linguistico e scolastico dell’Alto Adige

A fine 2022, gli stranieri residenti in Alto Adige si attestano a 51.723 unità, con una crescita dello 0,3 % rispetto al 2021 (IDOS 2023). Si assiste anche ad un aumento degli studenti con background migratorio nelle scuole, sia quelle in lingua tedesca che italiana. Mentre le scuole italiane hanno iniziato ad accogliere studenti/studentesse con background migratorio5 alla fine degli anni Ottanta, l’immigrazione nelle scuole tedesche è aumentata solo a partire dagli anni 2000 (ASTAT 2022). Per quanto riguarda le scuole primarie, nell’anno scolastico 1996-97, gli studenti stranieri risultano essere lo 0,4 per cento del totale degli studenti/ delle studentesse all’interno delle scuole di lingua tedesca, per poi passare al 2,8 % nell’anno 2004-2005 e al 10,1 per cento nel 2019-2020 (ASTAT 2022). Nelle scuole italiane la crescita degli studenti/delle studentesse stranieri/e è importante ma meno significativa: 2,1 per cento nel 1996-97, 12 per cento nel 2004-2005 e 24,9 per cento nel 19-20 (ASTAT 2022).

Come ha evidenziato Wisthaler (2013), quando le nuove minoranze migranti ­arrivano all’interno del sistema scolastico rigidamente diviso in Alto Adige e, più in generale, all’interno della società alto atesina, due alternative si delineano. Le nuove minoranze migranti possono ‘fungere da ponte tra i diversi gruppi, portando a una visione condivisa del territorio, contribuendo così anche a superare i vecchi cleavage’ (Wisthaler 2013, 360) o, piuttosto ‘diventare soggetti alle separazioni dei gruppi preesistenti’, contribuendo così a rafforzarle ulteriormente’ (Wisthaler 2013, 360). Guardando al caso alto atesino, possiamo riscontrare che la seconda via è quella maggiormente seguita dalle élites politiche (Wisthaler 2013, 360). L’ambito educativo non fa eccezione: una volta insediatasi nel territorio, le famiglie e gli studenti/le studentesse con background migratorio sono di fatto obbligati/e a scegliere un tipo di scuola e, con essa, il gruppo nel quale vogliono effettivamente integrarsi (Wisthaler 2013, 360).

È però interessante notare che l’ambito delle politiche educative rivolte specificatamente alla popolazione straniera presenta alcune peculiarità, se lo si confronta sia con altri ambiti di politiche migratorie, sia con altri casi di divided societies nel mondo, per esempio il Québec (Piccoli 2014). Infatti, se osserviamo le principali politiche migratorie portate avanti dalla SVP, capiamo che la radicata fear of ­minorization influenza anche il modo in cui le élites politiche guardano e gestiscono le ‘nuove’ migrazioni moderne (Carlà 2018). Come illustrato in precedenza, i tentativi di assimilazione del governo fascista videro l’unione di repressione della lingua tedesca e immigrazione di massa di italofoni in Alto Adige. Questo favorisce, oggi, una visione piuttosto negativa dei gruppi di minoranze migranti, concepiti come una potenziale minaccia alla preservazione della lingua e cultura del gruppo autoctono tedesco (seppure questa visione sia più o meno forte, a seconda del gruppo di migranti considerati, cfr. Wisthaler 2015). Di conseguenza, le principali proposte politiche e policies portate avanti in campo migratorio dalla SVP presentano una tendenza verso un modello di integrazione come assimilazione (Koppman et al. 2005). Si cerca, cioè, di ‘assimilare invece che essere a sua volta assimilati’ (Carlà 2018). Tali tentativi assimilatori consistono nella promozione del dovere della popolazione migrante di apprendere le culture e, soprattutto, le lingue locali, l’italiano e ancor più il tedesco (per una spiegazione più dettagliata ed esempi specifici si veda Piccoli 2014; Carlà 2018; Palaoro/Coletti 2013; Wisthaler 2015).

La peculiarità delle politiche in ambito educativo consiste nel fatto che, pur non mostrando una volontà di utilizzare le nuove migrazioni per superare gli antichi ­cleavage fra i gruppi autoctoni, non si riscontra nemmeno la stessa volontà di assimilazione, nei confronti dei migranti, riscontrata in altri ambiti. In particolare, non esiste in Alto Adige alcuna legge che affronta il tema dell’integrazione degli immigrati nella lingua minoritaria, per esempio obbligando i nuovi arrivati ad iscriversi alle scuole della lingua minoritaria, cioè il tedesco (come accade, invece con la Loi 101, in Québec, Piccoli 2014). Le famiglie sono invece lasciate ‘libere’ di scegliere il tipo di scuola a cui iscriversi. Poiché la maggior parte dei migranti ha tradizionalmente scelto le scuole di lingua italiana, le élites tedesche hanno deciso di disinteressarsi alla questione, vedendola principalmente come una questione delle scuole italiane (Wisthaler 2013; Piccoli 2014).

Guardando specificatamente alle politiche educative inerenti al paradigma interculturale, il piano normativo di riferimento è la Legge provinciale n. 121/2011, che disciplina la questione dell’integrazione scolastica degli alunni immigrati. Tale legge rimane piuttosto generica sul tema dell’educazione interculturale e affida il com­pito di fornire maggiori dettagli su questo argomento ai Centri Linguistici locali.6 I Centri in lingua tedesca e quelli in lingua italiana hanno elaborato una serie di ­linee guida ‘parallele’, per i due sistemi scolastici, facendo entrambi riferimento alle definizioni e alle strategie/attività e alle tre figure professionali proposte dal Consiglio d’Europa e dall’Osservatorio nazionale (Wisthaler 2013).

I risultati delle ricerche precedenti forniscono alcuni spunti che saranno tenuti in considerazione durante l’analisi, come un possibile framework interpretativo, per meglio comprendere le strategie degli attori ‘sul campo’, gli/le insegnanti. Nello ­specifico, alla luce del peculiare contesto sociale e educativo alto atesino, diventa particolarmente interessante analizzare fino a che punto, e con quali modalità, il peso dell’eredità storica, e qualche elemento riconducibile alla cosiddetta fear of ­minorization, così radicata nelle élites politiche di lingua tedesca, si ripercuotano anche sulle esperienze scolastiche bottom-up degli/delle insegnanti dello stesso gruppo linguistico, differenziandole da quelle dei/delle loro colleghi/e italiani/e all’interno delle scuole italiane. Inoltre, data la quantità di ricerca ancora limitata al riguardo dell’approccio del gruppo italiano in Alto Adige nei confronti delle nuove minoranze migranti (a livello di azione politica e policies), analizzare le sfide vissute e le strategie educative (in particolare, le modalità di implementazione del paradigma interculturale) degli/delle insegnanti italiani/e assume particolare impor­tanza. Tale analisi, infatti, offre l’opportunità di ampliare e rendere più completa la nostra conoscenza delle dinamiche, in Alto Adige, inerenti alla gestione del feno­meno migratorio, in particolare nel settore dell’istruzione.

4. Strategie metodologiche adottate

Ho scelto di focalizzare la ricerca su Bolzano, poiché in questa città si trova la maggior parte degli studenti/delle studentesse con background migratorio (IDOS 2023). Basandomi sulla strategia del campionamento teorico (Patton 1990), ho scelto di selezio­nare alcune scuole, sia di lingua italiana che tedesca, con un numero alto di studenti/studentesse non italiani/e -di madrelingua tedesca. L’analisi si è focalizzata esclusivamente su scuole primarie (elementari) e secondarie di primo grado (medie). In base a questi criteri, ho selezionato un totale di 5 scuole di lingua italiana e 3 di lingua tedesca:

Scuole in lingua italiana:

• scuola primaria ‘Don Bosco’;

• scuola primaria ‘A. Langer’;

• scuola secondaria di primo grado ‘Ada Negri’;

• scuola primaria ‘Alessandro Manzoni’;

• scuola secondaria di primo grado ‘Ugo Foscolo’.

Scuole in lingua tedesca:

• scuola primaria ‘A. Langer’ (alcune sezioni in lingua tedesca, all’interno dell’Istituto Comprensivo Bolzano II);

• scuola primaria ‘J. H. Pestalozzi’;

• scuola secondaria di primo grado Albert Schweitzer.

In ognuna di queste scuole, le principali provenienze degli studenti/delle studentesse con background migratorio sono il sud est asiatico (soprattutto Pakistan e India), Est Europa (in prevalenza Ucraina, Moldavia, Russia) e, in misura minore in tutte le scuole, l’America Latina (vari Paesi, con alcune differenze da scuola a scuola). All’interno di ogni scuola, ho effettuato interviste con:

2 insegnanti di Italiano e storia (tedesco al posto di italiano, nelle scuole tedesche);

1 di educazione fisica;

1 di religione;

1 di matematica;

2 facilitatori linguistici.

Le interviste hanno avuto luogo nel periodo fra novembre 2022 e giugno 2023. Ho cercato di selezionare un gruppo di intervistati eterogeno al suo interno, dal punto di vista dell’età anagrafica, delle esperienze personali con diversità linguistiche e culturali e della preparazione specifica sull’approccio educativo interculturale. Gli/le insegnanti più giovani e con una formazione più recente, hanno frequentato corsi ad hoc (all’interno del percorso universitario per diventare insegnanti e/o corsi di aggiornamento post-universitari relativi ai temi e all’approccio educativo inter­culturale) e molti di loro hanno frequentato in passato scuole elementari e medie con numeri elevati di studenti/studentesse non italiani/e. Gli insegnanti più anziani non hanno frequentato tali tipi di corsi (oppure in modo limitato), e la maggior parte di loro ha studiato all’interno di classi più omogenee dal punto di vista linguistico e culturale. In tal modo, è possibile esaminare l’esistenza di eventuali differenze e/o punti in comune fra essi, esaminando anche, quindi, se e come i diversi tipi di esperienze personali e di preparazione, e le diverse fasce di età, giocano qualche ruolo nella percezione delle sfide vissute in classe e delle conseguenti strategie ­adottate.

Ho basato l’analisi su interviste semi-strutturate (Kauffman 2007), organizzate attorno a due macro-temi:

1. Principali sfide incontrate dagli insegnanti nell’interazione quotidiana con studenti/studentesse con background migratorio

2. Strategie messe in atto per rispondere a tali sfide, con particolare attenzione alla conoscenza del paradigma interculturale e alla sua (eventuale) utilizzazione per l’elaborazione di tali sfide.

Ho poi analizzato i risultati tramite un’analisi qualitativa dei contenuti, i transcripts delle interviste (Kuckartz 2019).

5. Analisi e discussione dei principali risultati

5.1 Scuole tedesche: ‘fear of minorization’ e logica difensiva (e assimilatoria?)

Per la maggior parte degli/delle insegnanti tedeschi/e intervistati/e la più grande sfida legata alla presenza di studenti/studentesse con background migratorio consiste nel rischio che la lingua tedesca venga progressivamente ‘sostituita’ dalle lingue parlate dai migranti. Inoltre, un’ulteriore sfida, ai loro occhi, è un possibile rafforzamento del gruppo di lingua italiana, a svantaggio di quello tedesco, in particolare tramite la crescita di studenti/studentesse immigrati/e che parlano l’italiano, invece che il tedesco. È interessante notare che questi timori emergono, in maniera a volte più implicita, ma spesso in modo esplicito, in quasi tutti/e gli/le insegnanti intervistati/e, senza significative variazioni, nemmeno considerando le diverse età anagrafiche e diversi tipi di preparazione (si veda la Tabella 1 nell’Appendice). Interpretando questi risultati alla luce delle precedenti ricerche condotte in Alto Adige, e con riferimento anche alla più ampia letteratura che studia le divided societies, è possibile notare che tali pressioni e timori della minoranza tedesca corrispondono alle caratteristiche definite dagli/delle studiosi/e come fear of minorization, illustrate nella sezione precedente.

Questo timore trova una spiegazione nel fatto che, secondo gli/le insegnanti, la maggior parte degli/delle alunni/e con background migratorio (con limitate eccezioni) incontrano difficoltà nel parlare e comprendere la lingua tedesca e, spesso, non sembrano nemmeno interessati e volenterosi di migliorare queste loro competenze linguistiche. Di conseguenza, molti di loro hanno ancora competenze molto scarse sia nell’ambito del tedesco orale che di quello scritto. Questa tendenza si riscontra non solo per coloro che sono arrivati da poco in Alto Adige o in altre zone d’Italia ma anche per molti/e studenti/studentesse che sono nati/e in Italia e hanno già frequentato diversi anni scuole di lingua tedesca. Al contrario, le loro competenze linguistiche in italiano tendono ad essere migliori. Ciò può essere dovuto al fatto che la maggior parte degli studenti/delle studentesse immigrati/e vive nelle aree meno sviluppate della città, popolate soprattutto da italofoni (Wisthaler 2013; Medda et al. 2011).

Data questa situazione, molti studenti/studentesse altoatesini/e di madrelingua tedesca tendono spesso a parlare in italiano, quando si rendono conto che l’italiano risulta più facile per i loro coetanei immigrati. Ciò fa sì che l’italiano stia diventando sempre più una sorta di lingua franca all’interno di tutte queste scuole. Si riporta di seguito un esempio, tratto dall’intervista con un’insegnante di tedesco e storia, per far capire il grado di problematicità legato alle scarse competenze linguistiche in tedesco e al timore della scomparsa della lingua tedesca (simili argomentazioni emergono dalle risposte di altri insegnanti).

“Siamo in una scuola tedesca e si sentono parlare sempre l’italiano, l’urdu o arabo. Mi chiedo quale sia il senso di avere una scuola tedesca, se la nostra lingua non viene coltivata. Noi siamo una minoranza a livello nazionale, ma se continua così rischiamo di diventare una minoranza anche nella nostra regione e addirittura nelle nostre scuole!”.

Oltre a queste sfide, menzionate più frequentemente dagli/dalle insegnanti, in alcuni casi emergono altri tipi di sfide, legate non alla questione linguistica ma alle diverse abitudini e usanze di carattere culturale religioso. Alcuni degli/delle intervistati/e mi riferiscono, in particolare, che alcuni studenti maschi di origine straniera (anche quelli nati e cresciuti in Italia), mostrano poco rispetto per la figura femminile, in particolare la figura dell’insegnante donna. Gli insegnanti di educazione fisica mi riferiscono che molte studentesse di origine straniera, e religione musulmana, non possono svolgere alcune attività di educazione fisica (soprattutto le attività in piscina). Tuttavia, queste sfide vengono menzionate molto meno e sembrano meno rilevanti agli occhi della maggioranza degli/delle insegnanti intervistati/e.

La maggior parte delle strategie consiste nell’organizzazione di ulteriori corsi di lingua (rispetto a quelli previsti e organizzati a inizio anno scolastico, sulla base della disponibilità dei facilitatori e i numeri degli studenti/delle studentesse non madrelingua, di origine straniera e neo-arrivati/e rivolti unilateralmente agli studenti/alle studentesse con background migratorio, sia di prima che seconda generazione (Tabella 2 nell’Appendice). Per l’organizzazione di tali corsi, gli/le insegnanti chiedono maggiore supporto ai facilitatori linguistici (chiedendo di spendere più ore di quelle previste con gli studenti/le studentesse stranieri/e), oppure organizzano essi stessi, in accordo con il/la dirigente, attività extra-scolastiche di supporto linguistico (soprattutto supporto allo svolgimento dei compiti scolastici e ulteriori ore di insegnamento linguistico). È interessante che anche due dei tre insegnanti di matematica intervistati si impegnano attivamente in questi corsi, pur non essendo questa la loro specializzazione didattica.

Dietro a questa enfasi sull’insegnamento linguistico, come soluzione alle sfide vissute, possiamo intravedere una logica quasi difensiva, che consiste nella volontà di difendere la lingua tedesca, e il gruppo linguistico tedesco, da un’eventuale ‘sosti­tu­zione’. Diciotto dei ventuno insegnanti intervistati/e in totale mi dice esplicita­mente che lo scopo di tali attività è quello di rafforzare le competenze linguistiche, nell’ottica di ‘impedire che il tedesco sparisca completamente’. Inoltre, dieci insegnanti, all’interno delle scuole, dichiarano esplicitamente che l’apprendimento della lingua tedesca dovrebbe essere considerato un requisito essenziale non solo per ­poter frequentare le scuole in lingua tedesca, ma anche per poter vivere a Bolzano, e più in generale in Alto Adige, e che è quasi ‘inaccettabile’ che alcuni /e studenti/studentesse non si impegnino in tal senso. Queste risposte sono interessanti perché lasciano trapelare una sorta di visione quasi assimilatoria7 del processo di inte­grazione dei/delle migranti in Alto Adige. Tale visione, come abbiamo visto, non è particolarmente marcata nell’ambito delle politiche educative ma emerge, invece, all’interno dell’approccio politico alto atesino nei confronti delle migrazioni, più in generale.

Nel complesso, il tipo di attività e strategie portate avanti corrisponde essenzialmente al primo tipo di contenuti e strategie indicate dal Consiglio d’Europa e dalle norme nazionali (si veda, a tale riguardo, la sezione dedicata). Al contrario, non viene lasciato spazio al secondo tipo di strategie indicate dal paradigma interculturale, cioè attività rivolte alla totalità degli studenti/delle studentesse, atte a promuovere la conoscenza reciproca.

5.2 Scuole italiane: differenze culturali, difficoltà materiali e supporto al paradigma interculturale

Gli/le insegnanti appartenenti al gruppo italiano, nelle scuole italiane, non mostrano di subire questo tipo di pressioni e timori. Pur sottolineando le difficoltà linguistiche di molti/e studenti/studentesse con background migratorio (inclusi/e gli/le studenti/studentesse nati/e in Alto Adige o Italia), tale fenomeno non viene vissuto e descritto come una potenziale minaccia alla sopravvivenza della lingua e cultura italiana a favore delle lingue delle minoranze migranti.

Invece, vengono citate con più frequenza (rispetto a quanto riscontrato nelle scuole tedesche) difficoltà legate a diverse abitudini e usanze di carattere culturale e religioso. Ventinove dei trentacinque intervistati mi riferisce che alcuni studenti maschi di origine straniera (anche quelli nati e cresciuti in Italia), mostrano poco rispetto per la figura femminile, in particolare la figura dell’insegnante donna. Inoltre, 32 intervistati mi raccontano che alcune studentesse, soprattutto di religione musulmana, si sentono ‘diverse’ ed escluse perché non possono svolgere alcune attività motorie (soprattutto quelle in piscina) o partecipare alle gite scolastiche, o a causa di commenti dei compagni italiani riguardo al loro abbigliamento (il velo, in particolare). Questo senso di esclusione e inadeguatezza porta molte di loro a auto-isolarsi o a non essere motivate a partecipare alle lezioni e venire a scuola (si veda la Tabella 3).

Infine, vi sono alcune sfide legate a carenze di carattere pratico-materiale. La principale sfida per tutti i facilitatori linguistici intervistati consiste nel fatto che i numeri di studenti/studentesse con background migratorio sono molto più ampi ­rispetto a quelli dei facilitatori presenti. Ciò porta alla situazione in cui tutti i facilitatori coinvolti sono sottoposti a un sovraccarico di lavoro e non riescono a dedicare il tempo adeguato ad ogni studente/studentessa straniero/a che lo necessiterebbe. Inoltre, molti/e insegnanti (trenta sui trentacinque intervistati/e) lamentano il fatto che i facilitatori possono occuparsi, secondo la normativa nazionale e provinciale, unicamente dei neoarrivati, mentre occorrerebbe poter aiutare anche molti/e stu­denti/studentesse con background migratorio che, seppur nati e cresciuti in Italia, ancora presentano difficoltà con l’‘Italiano lingua studio’, cioè la comprensione del linguaggio più formale e complesso dei libri didattici. Queste difficoltà variano a seconda dei vari gruppi di migranti a cui si fa riferimento. Fatte salve alcune eccezioni, esse tendono a essere riscontrate più frequentemente con studenti/studentesse provenienti da Paesi del sud est asiatico (Pakistan e India).

Per quanto riguarda le strategie adottate (Tabella 4), un dato interessante emerge. Per fronteggiare le difficoltà legate a differenze culturali e religiose (si veda sopra), gli/le insegnanti tendono a seguire due vie. La prima consiste in interventi ad hoc nei singoli casi problematici, soprattutto la ricerca del dialogo aperto e cooperazione, sia con le studentesse stesse, che le loro famiglie, e la richiesta di intervento dai/dalle mediatori/meditrici culturali. Oltre a ciò, quasi tutti/e gli/le insegnanti intervistati/e portano anche avanti attività più ampie, rivolte alla totalità degli studenti/delle studentesse (stranieri/e e non). Tali attività cercano di promuovere il dialogo e lo scambio fra studenti/studentesse con affiliazioni ligustiche e culturali molto diverse fra loro, per far riflettere tutti gli/le studenti/studentesse sull’importanza del dialogo e rispetto reciproco e, nel lungo periodo, fronteggiare l’insorgere di problematiche di carattere culturale e/o religioso come quelle illustrate sopra. Gli/le insegnanti più giovani affermano esplicitamente di cercare (quando portano avanti queste attività) di ispirarsi al paradigma interculturale e di riprodurre alcuni degli esempi di attività interculturali delineati a livello formale. Tali elementi sono stati, solitamente, appresi in specifici corsi all’università o tramite corsi di aggiornamento. Gli/le insegnanti meno giovani (circa dai 45 anni in su) non parlano esplicitamente di intercultura e non sembrano avere una preparazione teorica specifica (almeno, da quanto emerge dalle interviste); tuttavia, dalle loro risposte emerge che alcuni di loro portano avanti attività che finiscono per essere simili a quelle messe in atto dai/dalle loro colleghi/e più giovani.

Otto delle dieci insegnanti di italiano intervistate, mi riferiscono di organizzare momenti specificatamente dedicati alla conoscenza delle varietà linguistiche e/o culturali all’interno delle classi, all’interno delle lezioni di ‘educazione alla cittadinanza’ che sono spesso loro delegate. In particolare, mi raccontano che organizzano, di tanto in tanto, veri e propri dibattiti su argomenti controversi, come il ruolo delle donne nella società e le diverse usanze culturali e religiose. Lo stesso tipo di attività è portato avanti da tre delle cinque insegnanti di religione, in modalità diverse a seconda delle classi. Si riporta, come esempio, questo estratto:

“Qualche settimana fa, per esempio, una ragazzina pakistana è arrivata a scuola con il velo e vestita in abiti tradizionali. Non era mai successo ­prima, di solito veniva in jeans. Alcuni compagni, maschi, hanno cominciato a prenderla in giro; allora ho deciso di sospendere la lezione provare ad aprire una discussione, o comunque una riflessione condivisa, sulle diverse usanze religiose e sull’importanza di capirle, invece che partire in quarta a demolirle […]. Non so se è servito, ma credo di sì, la ragazzina ha spiegato che nessuno l’aveva obbligata, era stata una sua scelta e ci ha spiegato il perché, è stato interessante. Mi sembra che anche i suoi ­compagni ci abbiano riflettuto sopra […]”.

Inoltre, una modalità ricorrente utilizzata da tutti gli/le insegnanti all’interno delle cinque scuole italiane è la tendenza a organizzare lavori di gruppo (che coinvolgono studenti /studentesse con provenienze e lingue anche molto diverse fra loro), atti a favorire un approccio positivo e costruttivo nei confronti delle diversità sia linguistiche che culturali, presenti nelle classi. Nelle ore di educazione fisica, queste strategie sono veicolate attraverso attività sportive in cui gli/le insegnanti decidono appositamente di creare piccole squadre, o coppie, composte interamente da studenti/studentesse con provenienza e lingue diverse.

Infine, per affrontare le difficoltà linguistiche di molti/e studenti/studentesse migranti, non mancano, in parallelo alle strategie illustrate in precedenza, attività extra-­scolastiche di supporto linguistico rivolte unicamente agli/alle studenti/studentesse con background migratorio.

6. Conclusioni

Questo capitolo contribuisce alla letteratura esistente riguardante le relazioni tra ‘nuove’ e ‘antiche’ forme di diversità culturale e linguistica, in particolar modo in Alto Adige, spostando il focus dell’analisi dal piano top-down a quello bottom-up, cioè le esperienze degli/delle insegnanti con gli/le studenti/studentesse stranieri/e. Inoltre, la ricerca cerca di superare il limite intrinseco a tale letteratura, cioè il focus quasi esclusivo sulle azioni del gruppo minoritario tedesco, comparando, invece, le esperienze di insegnanti appartenenti a entrambi i gruppi linguistici. L’analisi ci rivela ampie differenze fra insegnanti italiani/e e tedeschi/e. In base all’analisi svolta, è possibile avanzare l’ipotesi che tali differenze siano legate, almeno in buona parte, agli stessi fattori che condizionano l’approccio politico alto atesino (soprattutto del gruppo di lingua tedesca) nei confronti delle migrazioni, a più ampio raggio.

In particolare, emerge che la cosiddetta fear of minorization sembra essere una caratteristica più ampia che contraddistingue il gruppo linguistico tedesco sudtirolese. Tali timori, infatti, sono radicati non solo a livello top-down delle élite politiche appartenenti al gruppo di minoranza nazionale, ma anche nelle pratiche bottom-­up della maggior parte degli/delle insegnanti appartenenti alla minoranza tedesca intervistati. Gli/le insegnanti (indipendentemente dalle loro differenze) tendono a riflettere questi timori e ansie nelle loro relazioni con studenti/studentesse con background migratorio. Ciò avviene sia nella concezione delle sfide e nelle strategie messe in atto per rispondere a esse. Abbiamo visto, infatti, come l’interpretazione e applicazione del paradigma interculturale risulti essere solo parziale, cioè meramente incentrata sull’aspetto linguistico, in una chiave di difesa della lingua tedesca. Nel caso di alcuni/e insegnanti, inoltre, la tendenza difensiva è esplicitamente legata una visione quasi assimilatoria del processo di integrazione dei/delle migranti. Tale visione, come abbiamo visto, non è particolarmente marcata nell’ambito specifico delle politiche educative ma emerge, invece, all’interno dell’approccio politico alto atesino nei confronti delle migrazioni, più in generale. Questi elementi caratterizzano specificatamente gli/le insegnanti nelle scuole tedesche sotto osservazione, differenziandoli dai/dalle loro colleghi/e italiani/e nelle scuole italiane. In assenza di timori identitari simili, gli/le insegnanti italiani/e lamentano principalmente sfide di carattere pratico-materiale e tendono a supportare e mettere in pratica il paradigma interculturale.

Alla luce di ciò, è lasciato alle ricerche future il compito di capire se e come ­l’ipotesi sviluppata in questo capitolo possa illustrare le dinamiche anche all’interno di altre scuole e contesti di divided societies che presentano analogie ma anche differenze importanti rispetto al caso alto atesino e bolzanino. Infine, sarà interessante ampliare tale tipo di analisi anche al di fuori del contesto urbano di Bolzano, esaminando, per esempio, se e come simili dinamiche si riscontrano anche in contesti meno urbani in Alto Adige, in particolare le valli, dove il numero di residenti stranieri, e di studenti/studentesse con background migratorio, è inferiore rispetto alla città e dove il gruppo linguistico tedesco, e le scuole tedesche, tendono a prevalere numericamente su quelle italiane.

Note

* Questa ricerca è stata portata avanti all’interno del framework del progetto PRIN ‘DAL PLURALISMO GIURIDICO ALLO STATO INTERCULTURALE – Statuti personali, deroghe al diritto comune e limiti inderogabili nello spazio giuridico europeo’, coordinato dalla Professoressa Cinzia Piciocchi (Università di Trento).

Si desidera ringraziare le studentesse del corso in ‘Global Cultures and Socities’ (AA 2022.2023), ­Rachele Melorio, Teresa Manzocchi e Sofia Perrotti, per il loro lavoro di trascrizione delle interviste da me effettuate.

1 Questo termine è utilizzato nel capitolo come indicato nel White Paper del 2008 del Consiglio ­d’Europa, ossia per riferirsi agli studenti con cittadinanza non italiana, nati all’estero o in Italia da genitori senza cittadinanza e iscritti al sistema educativo nazionale. Per semplificare, il capitolo ­utilizzerà i termini ‘studenti con background migratorio’, ‘studenti stranieri’ e ‘immigrati’, come sinonimi (nonostante essi non siano sempre perfettamente sovrapponibili).

2 … e, nelle valli popolate in maggioranza da popolazione ladina, trilinguismo.

3 Istituito nel 2014.

4 È un partito politico nato nel 1945, che, per statuto, afferma di rappresentare gli interessi dei gruppi linguistici tedesco e ladino dell’Alto Adige.

5 I dati guardano agli/alle studenti/studentesse senza cittadinanza italiana, sia nati in Italia che all’estero.

6 Si tratta di istituzioni che forniscono supporto alle scuole e agli/alle insegnanti nel processo di inse­rimento degli alunni/delle alunne stranieri nelle scuole locali. In linea col contesto alto atesino, troviamo Centri separati per i due gruppi linguistici e le rispettive scuole.

7 … adottando la tipologizzazione di Koopmans.

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