Valentino Liberto
Il problema della rappresentanza e il Rosatellum: il caso del collegio di Bolzano
The problem of representation and the Rosatellum:
the case of the electoral district of Bolzano
Abstract The question of representation has been at the center of Italian political and juridical debates since the founding of the Republic. Article 67 of the Italian Constitution establishes the prohibition of an imperative mandate and conceives the members of Parliament as representatives of the Nation, namely of the “general good”. This provision was supposed to preserve the political body from the assault of different local, economic and political (that is, of political party interests.
The independent (i.e. not imperative) mandate is, on the other hand, a very fragile aspect of the Italian Constitution since it requires a great deal of effort on the part of the elected who have a “political responsibility” towards the citizenry. How should political responsibility be configured? In this sense, electoral laws are important in so far as they help shape the relationship between the electors and the elected. The connection between elected and territories, and the possibility to not re-elect former deputies are building blocks of the representation envisioned in our Constitution.
Over the last few decades, there have been successive electoral laws. In 1993, the single-member districts envisaged by the so-called Mattarellum facilitated the independence of the elected MPs from the political parties. With the following electoral laws, namely the Porcellum in 2005 and the Rosatellum in 2017, the law-makers failed in interpreting the idea of representation envisioned in the Constitution. Through blocked lists and the elimination of correspondence between elected and territories (with the introduction of the so-called “candidati paracadutati”), the constitutional provision has been distorted, if not transfigured. A prominent example occurred in South Tyrol, where the Tuscan former State Secretary Maria Elena Boschi was elected as deputy member in the electoral district of Bolzano, where she intervened in the delicate issue of representing a territory with linguistic minorities.
1. Introduzione
Cosa è la rappresentanza? Qual è il senso del rapporto tra eletti ed elettori, tra parlamentari e territorio? La difficoltà di dare una risposta normativa a tali domande accompagna il legislatore italiano sin dai lavori della Assemblea Costituente, quando furono fissati all’interno della Costituzione i principi della rappresentanza nella neonata Repubblica italiana. Come recita l’articolo 67 “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione e esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Si tratta di un principio, peraltro comune alla quasi totalità delle democrazie rappresentative,1 per cui il rappresentante non è un delegato del popolo, né tantomeno espressione di soli interessi particolari o locali secondo una concezione privatistica della rappresentanza, bensì un fiduciario che agisce per il bene generale, il cd. “general good” (Burke 1774). Si tratta della cosiddetta responsabilità politica degli eletti verso i propri elettori. Dal momento che tale rappresentanza non esiste senza elezioni (Sartori 2018), il divieto di mandato imperativo non elimina la possibilità per il corpo elettorale di sanzionare i propri rappresentanti. La rielezione o meno dei parlamentari per un secondo mandato è un aspetto centrale del rapporto elettori-eletti e la materia elettorale assume, in quest’ottica, una certa rilevanza. Quale sistema elettorale può esprimere al meglio il legame fiduciario tra elettori ed eletti?
Dopo il 19462 si è tornati a parlare della questione nel 1993, quando per la prima volta si mise mano alle leggi per l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, passando da un sistema elettorale proporzionale “classico” a uno misto proporzionale-maggioritario (cd. legge Mattarella, Mattarellum, L. n. 276 -
277/1993). Nell’ottica del legislatore, l’introduzione di collegi uninominali a turno unico – per tre quarti dei seggi del Senato e della Camera – avrebbe dovuto favorire l’instaurarsi di un rapporto più diretto tra rappresentante e rappresentati e consentire allo stesso tempo una maggiore indipendenza del parlamentare rispetto alle direttive della segreteria del partito di elezione (Mortati 1949). Un parlamentare eletto con un sistema proporzionale – soprattutto se con liste bloccate – dipende maggiormente dal partito per ottenere la ricandidatura e sperare in una rielezione. L’elezione con formula maggioritaria, in collegi uninominali, consente invece, il più delle volte, di coltivare il proprio bacino elettorale al di là delle linee impartite dal proprio gruppo parlamentare (Terreo 2018, 10). La vicinanza del candidato al proprio collegio ha inoltre il vantaggio di garantire una scelta più libera e consapevole degli elettori.
Dopo il Mattarellum, il legislatore italiano ha approvato altre due leggi elettorali: la legge Calderoli (ribattezzata Porcellum, L. n. 270/2005) e la legge Rosato (cd. Rosatellum bis, L. n. 165/2017), con cui si è andati al voto nel 2018. Con esse le segreterie nazionali delle forze politiche hanno assunto un controllo ancora maggiore nella composizione delle liste elettorali. Le pluricandidature e le candidature “paracadutate” (ovvero in collegi elettorali considerati “sicuri”, a prescindere dal territorio di appartenenza del candidato) hanno aggirato di fatto il principio del libero mandato, segnando un distacco tra eletti ed elettori. La rappresentanza politica, senza vincolo di mandato, è sempre più chiaramente una delle “promesse non mantenute” della democrazia che elencava Norberto Bobbio nel libro “Il futuro della democrazia”:
“Mai norma costituzionale è stata più violata del divieto di mandato imperativo. Mai principio è stato più disatteso di quello della rappresentanza politica. Ma in una società composta di gruppi relativamente autonomi che lottano per la loro supremazia, per far valere i propri interessi contro altri gruppi, una tale norma, un tale principio, potevano mai trovare attuazione?” (Bobbio 1984, 12).
La questione della rappresentanza è quindi una questione complessa, ancor più in quei territori dove sono presenti minoranze linguistiche, verso le quali la giurisprudenza italiana in materia elettorale ha un occhio di riguardo, nell’intento di garantire loro un’adeguata rappresentanza all’interno del Parlamento nazionale. Nel 2018, la candidatura alla Camera dei deputati di Maria Elena Boschi – importante esponente del Partito Democratico (PD) e della maggioranza parlamentare uscente – nel collegio uninominale di Bolzano anziché nel collegio corrispondente alla provincia di Arezzo, dove risiede, è stata accompagnata da numerose polemiche, non solo in Sudtirolo. La rielezione di Boschi “paracadutata” a Bolzano è stata garantita dall’appoggio della Südtiroler Volkspartei (SVP), il cui elettorato di lingua tedesca in Oltradige e Bassa Atesina è confluito sulla candidata; un fatto che apre degli interrogativi circa gli equilibri della rappresentanza in presenza di minoranze territoriali.
2. Rappresentanza e territorio
In Europa, il principio della rappresentanza nazionale e il divieto di mandato imperativo prevalgono il più delle volte sull’idea di una rappresentanza parlamentare su base territoriale.3 Difficilmente l’elettorato passivo viene condizionato a requisiti di nascita o di residenza dalla legislazione elettorale, salvo casi particolari: un criterio d’appartenenza territoriale più restrittivo è applicato ad esempio laddove sia presente una questione etnica (come in Bosnia-Erzegovina); la legge elettorale dei Paesi Bassi prevede l’obbligo di trasferire nel collegio la propria residenza, una volta eletti (Bin 2013). Prevale l’assunto per cui siano elettrici ed elettori i migliori “giudici” dell’appartenenza al territorio di un candidato, che non è tenuto a dimostrare le proprie origini secondo il criterio (discriminatorio) dello ius sanguinis. La condizione, però, è che la legislazione elettorale assicuri all’elettore l’effettiva possibilità di scelta.4 Come ricorda Sartori
“[…] un sistema rappresentativo non può esistere senza elezioni periodiche atte a rendere i governanti responsabili nei confronti dei governati. […] Un sistema politico si qualifica come un sistema rappresentativo qualora pratiche elettorali oneste assicurino un grado ragionevole di rispondenza dei governanti nei confronti dei governati.” (2018, 19)
La rappresentanza territoriale è più in grado di favorire tale rispondenza rispetto ad altri tipi di rappresentanza? Secondo Sartori, la rappresentanza territoriale ostacola la costituzione di una rappresentanza funzionale o tecnica, ovvero funzionale ai singoli interessi materiali:
“[…] La logica della rappresentanza territoriale è che l’uomo debba essere visto come cittadino, non come homo oeconomicus. […] Se veniamo fatti votare come singoli cittadini secondo un criterio di ripartizione territoriale, la ragione essenziale è che questo risulta il modo più sicuro di tutelare l’elettorato. Per quanto il ritaglio delle circoscrizioni geografiche si presti anch’esso a manipolazioni (il cosiddetto gerrymandering), questi abusi sono piccola cosa rispetto al potenziale di manipolazione consentito da una distribuzione dell’elettorato affidata a criteri professionali” (2018, 22).
3. Le riforme alla legge elettorale nel 2017
3.1 L’emendamento al disegno di legge Fianum
Guardando al Trentino-Sudtirolo, è interessante notare come le reiterate modifiche alla legislazione elettorale abbiano interessato la geografia della rappresentanza territoriale. Nel luglio 2017, una prima proposta di riforma della legge elettorale denominata Fianum5 – sostenuta dal governo Renzi con l’inedito appoggio del Movimento 5 Stelle (M5S) – era naufragata nel corso del vaglio parlamentare, a causa dell’approvazione alla Camera di un emendamento di Michaela Biancofiore (Forza Italia, FI). Il sistema elettorale proporzionale6 ammetteva una sola eccezione: il Trentino-Alto Adige avrebbe mantenuto il sistema dei collegi uninominali del Mattarellum. L’emendamento di Biancofiore, già presentato e poi ritirato da Riccardo Fraccaro (M5S), chiedeva invece che la regione autonoma fosse inclusa nel riparto proporzionale dei seggi. Il voto del M5S e di alcuni “franchi tiratori” della maggioranza portò all’affossamento dell’intero provvedimento. In quell’occasione, il presidente del Consiglio Matteo Renzi dichiarò che
“[…] sul Trentino-Alto Adige non faremo mai una legge contro la SVP o contro gli amici autonomisti, perché ci sono decenni di regole internazionali e nazionali che difendono l’autonomia di quel territorio e che nessuno può mettere in discussione semplicemente per un’esigenza personale dell’onorevole Biancofiore o dell’onorevole Fraccaro. La SVP è un punto di riferimento di un pezzo cruciale del nostro territorio e noi non andremo mai contro quella realtà” (Salto.bz 2017).
Con la legge Rosatellum bis, i collegi uninominali previsti per il solo Trentino Alto Adige dal Fianum furono estesi al resto d’Italia.
3.2 La legge elettorale Rosatellum
Nell’autunno del 2017, il Parlamento italiano approvò la nuova legge elettorale, uniformando per la prima volta nella storia della Repubblica la legislazione in materia per le due Camere. Il cd. Rosatellum bis – dal nome dall’ideatore Ettore Rosato, capogruppo del PD alla Camera – è frutto dell’avvicendarsi di emendamenti alle leggi precedenti: il Porcellum per il Senato – già corretto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014 che diede vita alla legge elettorale proporzionale definita Consultellum – nonché la legge maggioritaria Italicum per la Camera, modificata dalla sentenza n. 35/2017 della Consulta.7 L’Italicum fu promosso da Matteo Renzi, Presidente del Consiglio e segretario del PD, nell’ambito di una contemporanea riforma della Costituzione.
La riforma della Carta avrebbe portato al superamento del bicameralismo perfetto, con la trasformazione del Senato in una “camera delle autonomie”, attraverso un’elezione di secondo livello – sulla falsa riga del Bundesrat tedesco. In questo senso, la revisione costituzionale toccava pure l’articolo 67 della Costituzione: “I membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato” (Camera dei Deputati 2016). Il progetto di riforma stabiliva infatti all’articolo 55 che solo i membri della Camera dei deputati (eletti direttamente dal popolo) “rappresentano la Nazione”, mentre i senatori rappresentavano le “istituzioni territoriali”. I senatori avrebbero cessato così di condividere con i deputati la rappresentanza della Nazione.
L’esito del referendum costituzionale del quarto dicembre 2016 vide la bocciatura del progetto di riforma costituzionale, cui seguirono le dimissioni di Matteo Renzi da Palazzo Chigi.8 Nel gennaio 2017, la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’Italicum nella parte in cui prevedeva il doppio turno di ballottaggio e con l’avvicinarsi delle elezioni per il rinnovo del Parlamento italiano, alla scadenza naturale della legislatura nel 2018, la maggioranza parlamentare guidata dal PD decise di riscrivere le regole del gioco in materia elettorale.
Il cd. Rosatellum venne approvato con la legge n. 165 del terzo novembre 2017 (“Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali”). Con esso si tornava a un sistema elettorale misto maggioritario-proporzionale, già utilizzato tra il 1993 e il 2005 con la legge Matterellum. Per quanto riguarda la Camera dei deputati, 232 seggi (37 per cento) sono assegnati con un sistema maggioritario a turno unico in altrettanti collegi uninominali, di cui sei in Trentino-Alto Adige: risulta eletto il candidato più votato (uninominale secco). 386 seggi (61 per cento) sono ripartiti con metodo proporzionale tra le liste e le coalizioni che superano le soglie di sbarramento – tre per cento dei voti ottenuti a livello nazionale per le liste che non si presentano in coalizione, dieci per cento per le coalizioni– distribuiti attraverso l’istituzione di collegi plurinominali nelle quali si presentano liste bloccate; dodici sono i seggi della circoscrizione estero. Al Senato vige il medesimo meccanismo: i collegi uninominali sono 116, quelli plurinominali 193, sei riservati agli italiani residenti all’estero.
Non mancano gli aspetti critici. Nonostante la commistione tra candidato uninominale e lista plurinominale, non è possibile esprimere un voto disgiunto: c’è un’unica scheda per ogni camera. Se l’elettore barra il nome del candidato uninominale, il suo voto viene trasferito automaticamente anche al partito collegato – o, nel caso sia appoggiato da una coalizione, attribuito “pro quota” alle liste alleate. Se si barra la lista plurinominale – “bloccata”, cioè senza possibilità di esprimere preferenze – il voto va al contempo al candidato uninominale. Per quanto riguarda le pluricandidature, il candidato può presentarsi in un solo collegio uninominale, ma può beneficiare di un “paracadute” presentandosi in non più di cinque listini plurinominali. Il Trentino-Alto Adige rappresenta nel suo insieme un’unica circoscrizione plurinominale.
4. La candidatura e l’elezione di Boschi a Bolzano
Come si è detto, con la promulgazione del Rosatellum i maggiori partiti presero il controllo nella formazione delle liste per le elezioni politiche del quarto marzo 2018. In particolare, il centrosinistra, in crisi di consensi, era attraversato dalle lotte interne tra quei parlamentari preoccupati per la propria rielezione. Nel caso del PD, il segretario Matteo Renzi indirizzò le scelte del partito in favore degli esponenti a lui più vicini, ciò che i giornalisti hanno rinominato “il giglio magico”, dallo stemma di Firenze, città di cui Renzi era stato sindaco e dalla cui area provenivano buona parte di tali esponenti. Tra loro, Maria Elena Boschi – Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel governo Gentiloni e già ministra alle riforme costituzionali nel governo Renzi – si trovava in una posizione di maggiore difficoltà. Il decreto cd. “salva banche”, emanato dal governo Renzi nel novembre 2015, mise in liquidazione Banca Etruria, di cui il padre di Boschi era vicepresidente al momento del commissariamento e di cui il fratello era stato responsabile del cost management. Le critiche dell’opposizione misero in discussione una ricandidatura di Boschi in Toscana, dove la deputata risiede ed era stata eletta nel 2013.
Nella roulette dei collegi uninominali “blindati”, fece la sua comparsa il collegio uninominale Bolzano-Bassa Atesina, ripristinato alla Camera con gli stessi confini del collegio senatoriale corrispondente.9 L’alleanza elettorale tra il PD e la SVP, che nel 2013 portò all’elezione come indipendente del senatore Francesco Palermo, rendeva il collegio bolzanino potenzialmente “sicuro” per i democratici. La rinuncia di Palermo a una ricandidatura – questa volta alla Camera – mise in difficoltà i democratici nella scelta di un candidato locale. Al Senato il PD puntò sul sottosegretario agli affari regionali e deputato uscente Gianclaudio Bressa, originario di Belluno ma eletto più volte nella circoscrizione Trentino-Alto Adige; alla Camera, invece, la scelta ricadde su un candidato nazionale. Unica condizione dell’appoggio della SVP è che “si scelga una persona dalla forte credibilità autonomista” (Ansa, 2018). Dopo le voci su una candidatura dell’ex-ministro Graziano Delrio (Salto.bz 2018), la direzione nazionale del PD scelse Maria Elena Boschi, definita “un’amica dell’Autonomia” (Alto Adige 2018) per il suo impegno come ministra e sottosegretaria.
Oltre alla candidatura in Sudtirolo, Boschi guidava il listino bloccato proporzionale in altri cinque collegi plurinominali, il massimo consentito dalla legge: uno in Lombardia (Cremona-Mantova), uno in Lazio (Guidonia-Velletri) e tre in Sicilia (Marsala-Bagheria, Messina-Enna e Ragusa-Siracusa). Nel corso della campagna elettorale farà visita in Alto Adige in poche occasioni, tra cui la presentazione della candidatura a Bolzano e l’incontro con amministratori e funzionari SVP alla cantina di Termeno, per sciogliere i dubbi della base. Boschi dichiarò di voler “imparare il tedesco” e in un’intervista pronunciò alcune parole in tedesco (Stol.it 2018); si impegnò infine per la candidatura del carnevale di Termeno (l’Egetmann) a patrimonio culturale dell’UNESCO.
Tale presenza saltuaria basterà a garantire a Boschi l’elezione nel collegio di Bolzano. Con quasi 38.000 voti pari al 41,2 per cento, di cui 22.000 portati in dote dalla SVP10 e 11.000 dal PD, la sottosegretaria sconfisse la candidata della coalizione di centrodestra (Lega, FI, Fratelli d’Italia, Udc) Michaela Biancofiore,11 ferma al 25 per cento, e Filomena Nuzzo (M5S) al 20 per cento. A livello nazionale, le elezioni videro la vittoria del M5S – con oltre il 30 per cento – e della coalizione di centrodestra con la Lega al 17 per cento. Il PD crollò al 18 per cento. Nella mappa delle sfide uninominali, la coalizione di centrosinistra risultava vincitrice solamente nei collegi dei centri di Roma, Milano e Torino, in alcuni collegi della Toscana e dell’Emilia (Firenze, Siena, Bologna, Reggio Emilia, Modena etc.) e a Bolzano, un punto “rosso” nel Nord-Est.12
5. Conclusioni
La controversa candidatura “paracadutata” di Maria Elena Boschi nel collegio di Bolzano-Bassa Atesina è emblematica soprattutto per tre ragioni. In primo luogo, dimostra come una legge elettorale che non impedisce bensì alimenta le (pluri)candidature “paracadutate” possa distorcere il senso della rappresentanza territoriale, in nome dello strapotere delle segreterie di partito. Rotto il legame virtuoso tra rappresentati e rappresentante, viene meno la responsabilità politica degli eletti verso gli elettori, che sono a loro volta privati dell’unica funzione di controllo sugli eletti propria di una democrazia rappresentativa: il voto libero e democratico. Inoltre, come abbiamo visto, pratiche elettorali oneste – tra cui una ripartizione territoriale equilibrata – costituirebbero un’utile premessa al rispetto del divieto di mandato imperativo sancito dalla Costituzione, limitando il potere “centralista” dei partiti nella composizione delle liste. Un potere che il mancato ricorso allo strumento delle primarie per i parlamentari – utilizzato in una prima fase dal PD – ha accentuato ulteriormente.
In secondo luogo, oltre alla responsabilità politica verso gli elettori in quanto tali, sui parlamentari eletti in Sudtirolo ricade anche la responsabilità di rappresentare e gestire la complessità di un territorio con più gruppi linguistici – sebbene non si possa parlare di un vincolo di mandato in assenza di quel “Senato delle autonomie” che, se la riforma costituzionale Renzi-Boschi fosse divenuta legge, avrebbe dovuto rappresentare le articolazioni territoriali dello Stato e non “la Nazione”. L’elezione di Boschi, frutto del sistema elettorale Rosatellum, ha perciò una duplice ambiguità. Da un lato, per l’impossibilità del voto disgiunto, ha sottratto libertà di scelta agli elettori di lingua tedesca, “costretti” nel momento in cui hanno barrato il simbolo della SVP ad attribuire automaticamente il proprio voto a un’esponente nazionale del PD. Dall’altro, essendo venuta a mancare una candidatura espressione del territorio13, ha tolto al collegio di Bolzano la propria funzione di garanzia per il gruppo linguistico italiano. Una funzione che in passato portò a istituire il collegio Bolzano-Laives per facilitare l’elezione di un sudtirolese di lingua italiana.
Infine, l’assenza di mandato imperativo nel nostro ordinamento non deve significare assenza di responsabilità verso gli elettori. Nonostante Maria Elena Boschi abbia cercato di mostrarsi sensibile al territorio sudtirolese, per accattivarsi il consenso degli elettori più scettici, l’opportunità di una rielezione agevole in Parlamento sembrerebbe l’obiettivo primario della sua controversa candidatura in Alto Adige. Fermo restando che la deputata del PD “rappresenta la Nazione” e il gruppo parlamentare al quale è iscritta non è quello “per le Autonomie”, dagli atti della sua attività parlamentare (OpenParlamento 2019) non emerge alcun occhio di riguardo verso il proprio collegio di elezione. Non si tratta di attribuire “patenti di appartenenza” ai parlamentari, così come d’altronde impedito dalla legislazione, ma di svolgere il mandato coscienti del proprio ruolo di rappresentanti.
In conclusione, la vicenda della candidatura di Boschi per il secondo mandato da parlamentare è un caso esemplare di tradimento della rappresentanza consentito dalla legge elettorale “Rosato”. Presentarsi contemporaneamente in sei collegi (cinque plurinominali e quello uninominale di Bolzano) ha consentito a Boschi di non sottoporsi direttamente al giudizio degli elettori, in particolare quelli della Toscana dove la deputata è stata eletta nella legislatura precedente. L’auspicio è che il legislatore italiano intervenga in futuro per togliere il “paracadute” dalla dotazione dei partiti, restituendo dignità alla rappresentanza all’interno del nostro ordinamento.
Note
5 Dal nome del relatore Emanuele Fiano, deputato del PD.
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