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Maurizio Ferrandi

Signori si cambia!
Legittimi interrogativi su un anno di svolta.

Auf zu neuen Ufern!
Legitime Fragen zu einem Wendejahr

People, things are changing!
Legitimate questions about a year of change.

Abstract The political news coverage of 2018 in South Tyrol span, inevitably, between the alpha of the national elections on March 4th and the omega of the provincial election on October 21st. These two events have rewritten the relations between political parties and institutions. The most prominent development has been the electoral success of Matteo Salvini’s Northern League, which smites the old alliance between centre-left and the autonomists in Trentino, emerging as a party able to gather the votes of the Italian-speaking community in provincial elections. It is the first time in recent South Tyrolian history that an Italian right-wing party has presented itself as pro-autonomy. The result, considered almost unavoidable by some, is that the Northern League will become the partner of the SVP in the government, undermining the centre-left and in particular the Partito Democratico, which is now playing only a marginal role. The other big surprise is connected with the breakdown of the South Tyrolian separatist parties and the tumultuous claim of the new list with the leader Paul Köllensberger, a former member of the Five Star Movement. There are changes, though it remains to be seen what effects these changes produce.

Ad un secolo esatto da quel fatale 1918 che segna l’inizio della questione altoatesina, ci si può legittimamente interrogare sul senso politico, in Provincia di Bolzano, dell’anno che da poco è andato a chiudersi. Un interrogativo che può essere riassunto in una domanda abbastanza semplice: è stato sicuramente un anno di cambiamenti, ma è stato anche un anno di cambiamento?

L’ideale, per chi deve rispondere, sarebbe il potersi proiettare in un futuro abbastanza lontano ed osservare i giorni in cui viviamo in una prospettiva di lungo periodo per capire se e quanto i mutamenti del quadro politico altoatesino si tradurranno, nel tempo, in una vera svolta delle politiche complessive di governo dall’Alto Adige o se, alla fin fine, non siano stati altro che cambi della guardia all’entrata di un palazzo nel quale tutto ha continuato a funzionare, o a non funzionare, esattamente come prima.

Non avendo a disposizione una macchina del tempo, ci dobbiamo accontentare delle osservazioni che possiamo fare con la ristretta visuale di chi guarda le cose mentre esse accadono e cerca di scavare un minimo all’interno dalla cronaca corrente.

I cambiamenti, indubbiamente, ci sono stati e, in qualche caso, essi si sono presentati in modo a dir poco dirompente.

Prendiamo il caso della Lega di Matteo Salvini. Il successo elettorale alle politiche del 4 marzo, bissato alle provinciali di ottobre non è che il tassello di una crescita impetuosa che si registra ovunque a livello nazionale, ma che, in Provincia di Bolzano, ha, come spesso avviene, alcune caratteristiche del tutto particolari.

Vediamo quali.

Leghisti per caso

Il 4 marzo 2018 la Lega conquista in Alto Adige (dati riferiti alla Camera) qualcosa di più di 23.000 voti. Il 21 ottobre i consensi sono già diventati oltre 31.000. Se i sondaggi effettuati a livello nazionale non mentono, è possibile che questo consenso, nel momento in cui queste note vengono stese (dicembre 2018), sia ancora e fortemente in fase di crescita.

È un fenomeno politico che, come si diceva, trova riscontro su tutto il territorio nazionale a cominciare da quel Trentino nel quale la Lega ha sbaragliato il campo, imponendosi come vincitrice assoluta delle provinciali e mandando a casa, dopo un ventennio, l’asse di governo fra il centro-sinistra e gli autonomisti tirolesi. Solo che a Trento, sia pur con una storia fatta di momenti più o meno facili, la Lega è stata, quanto meno nell’ultimo decennio, l’unica forza di opposizione organizzata. In Alto Adige invece essa è rispuntata assolutamente dal nulla, dopo un periodo non breve di totale assenza dalla scena politica.

Non va mai dimenticato che, ancor prima delle elezioni provinciali del 2013, si conclude formalmente la militanza leghista della consigliera Elena Artioli, che forma un proprio raggruppamento politico. È a questo simbolo che i vertici milanesi del partito, con una decisione che ancor oggi, a distanza di molti anni, riesce incomprensibile, decidono di devolvere i loro voti, imitati, a pochi giorni dal voto, anche da Forza Italia (FI). Come facilmente prevedibile Artioli viene rieletta e, nel giro di qualche giorno, liquida ogni rapporto con chi l’ha sostenuta. Il risultato è che le due forze principali del centrodestra a livello nazionale risultano cancellate dalla faccia del Consiglio provinciale altoatesino per tutta la durata dell’ultima legislatura. È un’assenza totale dal centro del dibattito politico che si prolunga quanto meno fino alle elezioni comunali del 2015, che vedono la Lega assicurarsi il ruolo di principale forza dell’opposizione di centro destra a Bolzano ed entrare addirittura nella maggioranza comunale, con l’alleanza tra i partiti della destra italiana e la SVP, a Laives. Sono i segnali premonitori di quel che sta per avvenire sul ben più rilevante palcoscenico della politica provinciale e che si concretizza, proprio nell’ultimo scorcio del 2018, con la lunga trattativa che porta il partito di Matteo Salvini a sostituire il Partito Democratico (PD) come partner italiano della Südtiroler Volkspartei (SVP, Partito Popolare Sudtirolese) nella giunta provinciale altoatesina.

Il primo rilievo che viene in mente osservando questo panorama riguarda, ovviamente, il voto del gruppo italiano in Alto Adige.

Sono passati almeno quarant’anni da quando, con l’entrata in vigore delle norme più rilevanti del secondo Statuto di autonomia, i consensi elettorali degli italiani, in provincia di Bolzano, sono andati progressivamente a confluire verso quella destra antiautonomista che aveva fatto di una lotta senza quartiere contro tutti o quasi tutti gli istituti dell’autonomia provinciale la propria bandiera. Un voto che ha premiato per oltre un decennio il Movimento Sociale Italiano (MSI), che si è poi trasferito, senza nulla perdere in sostanza, sul simbolo di Alleanza Nazionale (AN). Assieme alle altre formazioni del centrodestra, i post-fascisti sono giunti, alle soglie del nuovo secolo, ad ottenere una messe di consensi largamente maggioritaria nel mondo italiano. È un voto che ha trovato la sua ragion d’essere, come detto, nella critica radicale ad alcuni istituti autonomistici come la proporzionale etnica, l’applicazione del bilinguismo, la ripartizione degli incarichi e dei posti di responsabilità su base etnica. Un racconto politico che si è alimentato del dibattito sul cosiddetto “disagio degli italiani”, al quale avrebbero dovuto metter riparo, secondo le promesse fatte e ripetute più volte, una robusta revisione dell’autonomia stessa e il varo del cosiddetto “pacchetto degli italiani” mirante a riequilibrare, secondo i proponenti, una situazione di grave inferiorità istituzionale.

In questo panorama politico la Lega, pur facendo parte, a Bolzano come a livello nazionale, del centrodestra a trazione berlusconiana, ha sempre mantenuto un atteggiamento più che distaccato. Il pedale premuto, negli anni dell’era Bossi, sui temi dell’autonomia o addirittura della secessione del Nord dal resto del paese, ha portato addirittura i leghisti a simpatizzare apertamente con le formazioni a loro volta secessioniste della destra estrema sudtirolese e a mantenere sempre e comunque dei rapporti più che cordiali anche con i vertici della SVP.

È con questo fardello ideologico, e con questa storia, che la Lega di Matteo Salvini riemerge dal nulla a Bolzano e nel resto della provincia, e conquista in pratica quasi tutti i voti che andavano un tempo alla destra antiautonomista, mantenendo tuttavia un atteggiamento di totale distanza da tutte le tematiche relative allo scontro etnico che pure, si pensi alla questione del doppio passaporto, occupano un ruolo non irrilevante nel dibattito politico nelle settimane che precedono le consultazioni provinciali dell’ ottobre scorso.

A questo punto si presenta il primo dei dilemmi cui abbiamo accennato in apertura di questa riflessione: si tratta di capire se e quanto i temi sui quali la Lega ha spinto per conquistare il voto, a Bolzano come altrove e cioè la sicurezza e la campagna anti-immigrazione, abbiano veramente sostituito nel comune sentire dell’elettorato italiano dell’Alto Adige quelle questioni etniche che avevano provocato, ­all’inizio degli anni ’80, la drastica e progressiva perdita di consenso verso la Democrazia Cristiana e i suoi alleati e le grandi vittorie della destra antiautonomista.

In buona sostanza ci si può legittimamente chiedere se gli italiani dell’Alto Adige abbiano definitivamente archiviato il problema etnico come questione rilevante per i loro interessi se, nel momento in cui uno dei tanti fattori di scontro dei quali le cronache politiche altoatesine di questi decenni sono più che ricche, tornerà a farsi sentire, cambieranno nuovamente il senso delle proprie priorità politiche.

Sino ad oggi, nella storia di questo lunghissimo secolo, chi ha creduto di poter archiviare la contesa etnica come elemento del tutto superato, è stato regolarmente e brutalmente smentito. Basterà ricordare l’illusione covata a lungo, negli anni ’70, negli ambienti della politica italiana, secondo i quali, una volta conquistata un’autonomia soddisfacente, la SVP avrebbe perso la coesione interna determinata dal fattore etnico e si sarebbe sbriciolata in una serie di partiti con caratteristiche ideologiche differenti, sulla cui rivalità gli italiani avrebbero potuto giocare le loro carte. Avvenne, come tutti sanno, esattamente il contrario. Ora l’inedita alleanza tra SVP e Lega sarà il banco di prova per capire se, questa volta invece, le affinità ideologico-politiche saranno in grado di far premio sulle antiche divisioni etniche.

Sull’altro piatto della bilancia, rispetto a quello che ospita il travolgente successo leghista, c’è ovviamente la sconfitta, politica prima ancora che elettorale, di quasi tutti gli altri partiti che pescano in varia misura il loro consenso dell’elettorato italiano. Il PD è andato completando, a Bolzano più che altrove, un processo di auto-annichilimento che lo ha portato a perdere progressivamente la gran parte del proprio elettorato e quasi tutte le posizioni di responsabilità istituzionale che ricopriva o che avevano ricoperto, prima della sua nascita, i rappresentanti delle forze politiche che, nel 2007, gli diedero vita. Nella legislatura provinciale che si apre, per la prima volta, l’unico rappresentante del PD rimasto in Consiglio dovrà misurarsi con un ruolo di opposizione che si presenta particolarmente difficile, dato che una parte rilevante del programma che la nuova giunta Lega-SVP porterà avanti sarà la naturale continuazione di quello che lo stesso PD ha condiviso degli anni passati. Rimandati al capitolo sul voto sudtirolese i cenni relativi ai Verdi, non resta che sottolineare come, perduta volontariamente ogni possibilità di collegarsi al fenomenale blitz del suo ex consigliere Paul Köllensperger, i 5Stelle si siano condannati, a Bolzano come del resto a Trento, ad occupare una posizione di assoluta marginalità politica, in evidente contrasto con i successi raccolti in altre parti d’Italia.

Il successo della Lega ha sostanzialmente messo alle corde anche le altre forze politiche del centrodestra italiano. L’unico erede autentico della politica portata avanti per decenni dal MSI e poi da AN, Alessandro Urzì di Fratelli d’Italia, è riuscito a riconquistare il seggio per un soffio, con l’ultimo dei resti elettorali disponibili. Fuori gioco invece la lista di FI che rischia ora di essere raggiunta e superata dai super estremisti di Casapound, capaci di raccogliere, con nuove parole d’ordine, l’eredità che fu di Unitalia.

La pelle di zigrino

Settant’anni or sono, nelle prime elezioni regionali, la SVP conquistò, in Alto Adige, quasi il 68 per cento dei consensi. A poco vorrebbe confrontare con quelli di oggi i voti ricevuti in assoluto. Gli elettori erano pochi e ai sudtirolesi mancavano tra l’altro anche quelli di molti optanti che ancora non avevano riacquistato i diritti civili. Nonostante questo si può dire che tutti o quasi tutti gli abitanti di lingua tedesca della provincia diedero il loro consenso al partito della Stella Alpina. Un record politico, imbattuto per molto tempo nell’Europa dove il voto poteva essere liberamente esercitato. Occorre quasi che il secolo finisca perché la SVP scenda definitivamente al di sotto della fatidica soglia del 60 per cento dei consensi totali. Negli ultimi anni la perdita di voti si fa sempre più rilevante. In dieci anni si passa dal 56,6 per cento (1998), al 48,1 per cento del 2008, ultima consultazione dell’era Durnwalder. La maggioranza assoluta in consiglio provinciale è ormai perduta e si continua a scendere. Dal 45,7 per cento del 2013 al 41,9 per cento delle provinciali dell’ottobre scorso.

In uno dei suoi romanzi più conosciuti Honoré de Balzac racconta la storia del giovane Raphael che, affida il soddisfacimento di tutti i suoi desideri ad un potente talismano, una ruvida pelle di Zigrino, da cui il titolo del libro, che ha trovato in un negozio di antiquario e che conserva gelosamente in uno scrigno. Ogni volta che apre il cofanetto per contemplarla la trova però irrimediabilmente ridotta. Verrebbe da credere che ci sia uno scrigno di tal fatta anche nel più riposto tra gli scaffali della sede su opere di via Brennero e che i vertici del partito debbano periodicamente contemplare, ambasciati, l’inesorabile contrazione di quel consenso elettorale plebiscitario di cui il partito godeva decenni or sono.

Se si applica la teoria del bicchiere mezzo pieno il risultato delle provinciali può esser visto, e in casa SVP lo si è fatto notare con insistenza, come tutt’altro che disprezzabile. Lo scrutinio del 21 ottobre ha cancellato, in effetti, l’incubo di un crollo ben maggiore che alcuni sondaggi avevano mandato a popolare i sonni agitati dei maggiorenti del partito. In fondo, come hanno ripetutamente fatto notare i due leader Kompatscher e Achammer, la SVP rimane di gran lunga il partito più votato in Alto Adige e può legittimamente sventolare ancora una volta la bandiera della maggioranza assoluta dei consensi nel mondo sudtirolese di lingua tedesca. L’esito delle elezioni, con la vittoria, come detto poc’anzi, di un partito della destra italiana non dichiaratamente anti autonomista permette infine alla SVP di colmare la distanza che la separa dalla maggioranza dei seggi in Consiglio Provinciale senza dover imbarcare sulla navicella della Giunta uno dei partiti che le contendono ormai apertamente la leadership dal mondo sudtirolese.

Non è un risultato da poco, ma il successo tattico che permette di prolungare di un altro quinquennio, salvo clamorose sorprese, la sopravvivenza di un modello di gestione pressoché assoluta del meccanismo autonomistico provinciale, non può arrivare a nascondere i problemi di fondo che attanagliano ormai la realtà stessa della SVP.

Quegli oltre 50.000 voti fuggiti altrove negli ultimi vent’anni si sono portati dietro, e sono in parecchi ormai a pensarlo, il senso stesso di quella “Sammelpartei”, di quel colosso politico fondato su un principio di coesione etnica al di sopra delle parti sociali, delle ideologie, dei diversi modi di sentire e di stare nella società, fondato nel 1945 e sopravvissuto, contro ogni previsione, per decenni.

Appare evidente come, pur conservando una ricca messe di voti, la SVP non possa più dire di rappresentare l’intero corpo della società sudtirolese.

Il problema è che ancora non si capisce bene quale parte rappresenti e quale altra da essa si sia ormai autoesclusa. Anche i risultati elettorali, gli ultimi e quelli precedenti, non aiutano più di tanto a rispondere a questa domanda cruciale.

Nel corso degli ultimi settant’anni la SVP si è trovata a dover fare i conti con diversi tipi di opposizione all’interno dell’elettorato di lingua tedesca. Dopo la nascita e la successiva scomparsa di diverse formazioni create da esuli più o meno illustri come Egmont Jenny o Hans Dietl, furono azzerati senza troppe difficoltà anche i tentativi dei partiti di sinistra italiani di giocare la cosiddetta carta della rappresentanza interetnica. La SVP, in realtà, ha dovuto misurarsi con opposizioni radicate e strutturate solamente nel momento in cui, si sono formate da un lato la sinistra alternativa e poi ecologista guidata da Alexander Langer e dall’altro le forze che hanno trovato una ragion d’essere fondamentale nel richiamo all’autodeterminazione e a una radicalizzazione del confronto etnico.

Cinque anni or sono, con le provinciali del 2013, era parso che quest’ultima ­galassia di partiti, trainata dal fortissimo successo dei Freiheitlichen, fosse sul punto di costituire un blocco che avrebbe condizionato in modo permanente lo sviluppo del quadro politico altoatesino. Un’ipotesi che è andata progressivamente rafforzandosi anche per effetto dell’andamento elettorale in Austria e in Baviera. Il successo del partito liberal-nazionale nelle politiche del 2017 a Vienna, con l’ingresso nella maggioranza di governo, assieme a una ÖVP a sua volta orientata verso una decisa svolta a destra, pareva preludere, secondo parecchi osservatori, a sviluppi analoghi anche al sud del Brennero. Un primo segnale in controtendenza è arrivato però nella primavera del 2018 dalle regionali nel Tirolo, con una ÖVP in grado di rafforzarsi addirittura al centro e di rendere vano il pur ragguardevole successo dei Freiheit­lichen, coinvolgendo in maggioranza un partito dei Verdi capace, qualche settimana più tardi, di conquistare a sorpresa addirittura la poltrona di sindaco del capoluogo tirolese.

In controtendenza, invece, l’andamento elettorale a Monaco e dintorni, con una CSU in caduta libera e assediata, nella sua storica roccaforte, dalla destra xenofoba da un lato e dall’opposizione ecologista dall’altro.

Tra questi due estremi si colloca la SVP del dopo elezioni in Alto Adige. Il carattere ormai definito è infatti quello di un partito moderato di centro destra. La scelta, compiuta a larghissima maggioranza, di andare a formare la nuova maggioranza provinciale con la Lega di Matteo Salvini, nasce come detto dalla volontà di restare come unico partito rappresentante di tedeschi e ladini in Giunta, ma affonda le proprie radici anche nella volontà di larghi e influenti settori del partito di non dover fare i conti con le scelte politiche che un’alleanza con gli ecologisti imporrebbe.

È su questo versante che vanno ad accumularsi tutti gli interrogativi sull’attuale quadro politico nel mondo sudtirolese. Se la SVP non ha vinto le ultime elezioni provinciali, altrettanto, se non di più, si può dire dei partiti della destra secessionista che parevano essere usciti come dominatori dalle provinciali del 2013. La contemporanea debacle dei Freiheitlichen e della Südtiroler Freiheit e la scomparsa della BürgerUnion di Andreas Pöder sembrano indicare chiaramente che l’elettorato non considera, almeno in questo momento, l’estrema contrapposizione etnica come un fattore decisivo per la propria scelta. È parsa scarsamente credibile anche la strategia di inseguimento delle posizioni leghiste sul tema dell’immigrazione e della sicurezza.

Sul versante opposto dello schieramento politico, il gioco del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto può essere facilmente praticato anche con i Verdi. Pur avendo manifestato in maniera molto chiara la duttilità necessaria per restare nella maggioranza nel Comune di Bolzano e addirittura di gestire con un proprio primo cittadino quello di Merano, non è stato sicuramente raggiunto, a livello provinciale, l’obiettivo di uscire dai recinti del fondamentalismo ecologista e di proporsi, come invece è avvenuto nel vicino Tirolo e in generale in tutta l’aria culturale di lingua tedesca, come un moderno partito di governo.

Per valutare in modo completo l’intera questione occorre però rifarsi, almeno brevemente, all’altro grande appuntamento politico dell’annata: quello costituito dalle elezioni del 4 marzo 2018.

Sulle politiche di primavera è necessario infatti aprire una parentesi, se non altro per dire che i risultati delle urne, in provincia di Bolzano, vanno valutati con molta attenzione, tenendo conto in massimo grado delle particolari condizioni con le quali le varie forze politiche sono venute presentandosi agli elettori. Il fatto che sostanzialmente ha occupato il centro del dibattito preelettorale è stato costituito dalla decisione della SVP di stringere un forte patto con il PD, al quale ha concesso di esprimere un proprio candidato per i collegi di Bolzano-Bassa Atesina sia per il ­Senato che per la Camera. Ad attizzare la polemica da parte delle altre forze politiche e a provocare non pochi malumori anche all’interno della stessa Stella Alpina, la successiva decisione del PD di collocare in questi due collegi, “blindati” proprio grazie all’appoggio SVP, l’ex Sottosegretario agli affari regionali Gianclaudio ­Bressa e l’ex ministra Maria Elena Boschi, mai occupatasi sino a quel momento di cose altoatesine e oggetto di furibonde polemiche dell’ultimo scorcio della legi­slatura. La decisione, subita più che accettata anche dal PD altoatesino, ha proba­bilmente aumentato la disaffezione al voto da parte di una fascia non irrilevante dell’elet­torato sudtirolese. È stato vanificato, in questo modo, il vantaggio che la SVP avrebbe potuto trarre dalla decisione, sicuramente sbagliata, dell’opposizione di destra sudtirolese di non partecipare nemmeno con una lista di bandiera alle politiche e dalla contemporanea flessione dei Verdi che non sono riusciti a ripetere l’exploit del 2013.

Se a Bolzano, comunque, il voto per il Parlamento non ha prodotto, alla fin fine, grandi sconquassi, lo stesso non si può dire per la vicina provincia di Trento dove, con la vittoria della Lega e il crollo del centro-sinistra e degli autonomisti, è risuonato l’annuncio, poi concretizzatosi con le provinciali di ottobre della fine di un ciclo politico che era iniziato a metà degli anni ’90 con la fine della Prima Repubblica e lo sfaldamento del vecchio sistema dei partiti basato sul predominio della Democrazia Cristiana. I fattori che hanno condotto a questo risultato sono ovviamente molti e ben diversi tra loro, ma uno su tutti spicca in modo particolare. Il voto ha sancito tra l’altro la definitiva uscita di scena dell’ultimo erede della tradizione del riformismo cattolico, Lorenzo Dellai. Il movimento politico da lui creato non è stato in grado di raccoglierne l’eredità politica. Ha finito così per sbriciolarsi quel pilone centrale che teneva unita la sinistra con gli autonomisti. Dopo la sconfitta secca delle politiche, i fattori di scontro tra i vari soggetti dell’alleanza di governo si sono rivelati troppo forti per essere superati.

Se, con il voto del marzo 2018, la politica trentina ha cambiato decisamente rotta, in Alto Adige è emerso, proprio per la situazione poc’anzi delineata, il fenomeno sinora sconosciuto dall’astensionismo, a dimostrazione che ormai vi è, in provincia, una parte non irrilevante dell’elettorato tedesco che non è più disponibile in alcun modo a votare la SVP.

Alle provinciali invece questo fenomeno ha trovato, in parte, uno sbocco imprevisto e di vaste proporzioni nel consenso piovuto addosso alla formazione messa assieme nel giro di qualche settimana dall’ex consigliere del Movimento 5 Stelle(M5S) Paul Köllensperger.

Questo è il secondo grande cambiamento, dopo quello relativo all’ingresso nell’area di governo provinciale della Lega, che il 2018 portato a sconvolgere il panorama politico altoatesino. Anche qui, come si diceva all’inizio, occorrerà ora capire se il cambiamento riuscirà a tradursi in una serie di duraturi mutamenti dei rapporti di forza e delle politiche provinciali sulle questioni più rilevanti con le quali dovranno misurarsi maggioranza e opposizioni.

Quello che Köllensperger, partendo in pratica dal nulla, ha portato ad essere il secondo partito della provincia resta ancora, proprio per il modo con cui è nato e si è affermato, un oggetto assolutamente misterioso. Nel suo quinquennio di militanza in Consiglio sotto la bandiera del M5S Paul Köllensperger ha dimostrato di saper svolgere un’opposizione basata sui fatti, priva di ideologismi astratti, orientata a chiedere un’amministrazione più efficiente e vicina anche e soprattutto alle esigenze del mondo produttivo.

Dal ruolo di battitore libero egli si trova ora catapultato all’improvviso in quello, assai diverso, di leader di una formazione composta da soggetti assai diversi tra loro, che non ha avuto certamente il tempo, nelle more di una frenetica campagna elettorale, di riflettere ed elaborare uno schema politico complessivo. L’interrogativo a questo punto riguarda la capacità di Köllensperger di fare della sua vittoriosa pattuglia una vera e propria formazione politica, capace di incalzare la SVP sul piano della politica provinciale ma anche di radicarsi fortemente sul territorio, di dimostrare, in ultima analisi, di poter durare anche al di là di un successo che qualcuno, nei palazzi del potere, si augura già sia effimero.

Dal canto suo la SVP deve fare i conti per la prima volta con un soggetto politico diverso da tutti quelli che, dal 1948 ad oggi, si sono alternati sui banchi dell’opposizione. Non è una formazione quella di Köllensperger che possa o voglia essere rinchiusa nei recinti delle opposizioni estreme. Qualcuno l’ha già definita “un’altra SVP” e basterebbe questo a far capire che la battaglia politica che si svilupperà nei prossimi mesi e nei prossimi anni sarà probabilmente diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta.

Un passaggio cruciale sarà indubbiamente costituito, nel 2020, dalle elezioni comunali. Qui si vedrà se e quanto lo straordinario successo ottenuto alle provinciali potrà essere trasferito da Köllensperger e dai suoi nelle realtà spesso più diverse e più complesse della periferia. Nei grandi comuni, Bolzano e Merano, sarebbe invece logico attendersi una riproposizione dello schema di alleanze varato in Provincia, con la Lega di Matteo Salvini, spinta dal favore degli elettori, a sostituire i partiti del centro-sinistra e Verdi come alleata della SVP. È però una previsione molto aleatoria che dovrà essere verificata sul campo. L’andamento elettorale degli ultimi decenni ha insegnato che non esistono più posizioni certe e garantite e che tutto può cambiare anche nel giro di qualche mese.

Lungo questo cammino, che prevede anche una tappa intermedia costituita dalle Europee della primavera 2019, si muove dunque il nuovo corso della politica provinciale altoatesina. Eredita da quelli che l’hanno preceduto una situazione complessivamente positiva sul piano economico e abbastanza tranquilla anche su quello sociale, ma anche problemi di grossa portata che restano irrisolti come quello della sanità, in perenne attesa di essere governata, dopo il fallimento dell’esperimento Thomas Schael, come quello del traffico merci lungo la A22, come quelli di una gestione più attenta del territorio, aggredito da un turismo in continua crescita.

È sulle questioni concrete come queste che si misureranno le nuove maggioranze e le vecchie e le nuove opposizioni, più che sugli artifizi diplomatici inerenti i rapporti con Roma, con una Trento a trazione leghista, con la Vienna del governo sovranista, con un Tirolo al quale si inneggia invocando l’Euregio, ma al quale si chiude la porta in faccia quando prova concretamente a limitare l’invasione dei TIR lungo l’asse autostradale del Brennero.

I cambiamenti ci sono, ma del cambiamento manca spesso ancora notizia.

Exakt ein Jahrhundert nach dem fatalen Jahr 1918, welches den Beginn der Südtirol-Frage kennzeichnet, kann man berechtigterweise den Sinn und die Zweckmäßigkeit des vorangegangenen politischen Jahres in der Provinz Bozen hinterfragen. Sicherlich, es handelte sich um ein Jahr der Änderungen, aber war es auch ein Jahr der Veränderung?

Um diese Frage unmittelbar beantworten zu können, müsste man sich – im Ideal­fall – weit genug in die Zukunft projizieren lassen können, um die Tage, in denen wir leben, aus der Langzeitperspektive beobachten zu können. Nur so könnte man zweierlei schaffen: Einerseits eruieren, ob die derzeitigen Änderungen im politischen System ein Wendepunkt in der Regierungspolitik Südtirols sind und wie dieser interpretiert werden könnte. Andererseits feststellen, inwiefern diese Änderungen zu guter Letzt nichts anderes sind als ein „Austausch der Torwächter des politischen Machtzentrums“, wobei jenes doch weiterhin so funktioniert oder eben nicht funktioniert wie es zuvor der Fall war; mit anderen Worten: inwiefern die Änderungen als rein symbolischer Wendepunkt eingestuft werden können, da faktisch alles so bleibt wie es war.

Da wir keine Zeitmaschine zur Verfügung haben, müssen wir uns zeitgleich sowohl mit der Beobachtung als auch mit der Analyse von Ereignissen auseinandersetzen. Diese Schwierigkeit vor Augen, ist unser Ziel, ein Minimum an Erkenntnis über und zum laufenden Zeitgeschehen zu gewinnen.

Änderungen hat es im vergangenen politischen Jahr zweifelsohne gegeben. In manchen Fällen sind diese sogar auf explosive Art und Weise aufgetreten.

Nehmen wir den Fall der Lega von Matteo Salvini: Der Wahlerfolg bei den Parlamentswahlen am 4. März 2018, der sich bei den Landtagswahlen am 21. Oktober 2018 wiederholt hat, ist als ein Teilstück des heftigen Zuspruchs zu deuten, den die Lega auf gesamtstaatlicher Ebene verzeichnet. In der Provinz Bozen ist dieser Erfolg – wie so oft für verschiedenste Anliegen in Südtirol – durch Besonderheiten gekennzeichnet.

Schauen wir uns diese an.

Leghisti durch Zufall

Am 4. März 2018 holte die Lega in Südtirol (die Daten beziehen sich auf das italienische Parlament) etwas mehr als 23.000 Wähler/-innenstimmen. Am 21. Oktober 2018 wurden daraus bereits über 31.000 Stimmen. Den derzeitigen Umfragen (Stand Februar 2018) auf nationaler Ebene Rechnung tragend, wird die Zustimmung zur Politik der Lega weiterhin ansteigen.

Es handelt sich um einen politischen Trend, der in Gesamtitalien vorherrscht. So hat die Lega auch im Trentino einen Durchbruch erzielt und sich als Gewinner der absoluten Mehrheit bei den Landtagswahlen durchgesetzt. Die Lega hat dabei nach zwanzig Jahren die Regierungskoalition zwischen Mitte-Links und den Trentiner Tiroler Autonomisten abgelöst. Im Gegensatz zu Südtirol war die Lega im Trentino im letzten Jahrzehnt zumindest eine Oppositionskraft. In Südtirol ist die Lega mit den Landtagswahlen 2018 aus dem Nichts in den Landtag eingezogen.

Es darf nicht vergessen werden, dass die Lega-Mitgliedschaft der Abgeordneten Elena Artioli noch vor den Landtagswahlen 2013 formal endete und diese eine eigene politische Gruppierung bildete. Damals entschieden die Mailänder Parteispitzen, die Stimmen auf Artioli zu leiten; eine Entscheidung, die auch nach vielen Jahren nur schwer nachvollziehbar ist. Dieselbe Entscheidung wurde wenige Tage vor der Wahl auch von Forza Italia (FI) getroffen. Wie vorherzusehen war, wurde Artioli 2013 wiedergewählt, löste aber im Laufe weniger Tage jedwedes Verhältnis mit ihren vormaligen Unterstützern auf. Daraus resultierte, dass die beiden zentralen politischen Kräfte aus dem nationalen Mitte-Rechts Lager für die Dauer der gesamten letzten Legislaturperiode aus dem politischen Blickfeld verschwanden. Diese völlige Abwesenheit von der politischen Debatte zog sich bis zu den Kommunalwahlen 2015 in Bozen hin, wo die Lega schlussendlich erfolgreich die Rolle der Mitte-Rechts Oppositionskraft in Bozen einnehmen konnte. Auch in Leifers gelang es dem Bündnis der italienischen Rechten zusammen mit der Südtiroler Volkspartei (SVP) die politische Mehrheit auf kommunaler Ebene zu erobern. Im Kern waren dies die Vorzeichen von dem, was sich auf der weit bedeutenderen Bühne der Landespolitik anbahnte und was mit Ende 2018 nach den langwierigen Regierungsverhandlungen, bei denen die Lega von Matteo Salvini den Partito Democratico (PD, Demokratische Partei) als italienischen Koalitionspartner der SVP in der Landesregierung ersetzte, eintraf.

Der erste Aspekt, der bei Betrachtung der derzeitigen politischen Verhältnisse ins Auge fällt, ist das Wahlverhalten der Italiener/-innen in Südtirol.

Seit Inkrafttreten der zentralen Normen zum Autonomiestatut hat sich die elektorale Zustimmung der Italienischsprachigen in der Provinz Bozen progressiv zu den rechten Anti-Autonomisten hin entwickelt. Diese hatten sich einen erbarmungslosen Kampf gegen nahezu alle Institutionen der Landesautonomie auf die Fahne geschrieben. Diese Ausrichtung begünstigte über zehn Jahre lang das Movimento Sociale Italiano (MSI), welches später – ohne an Zuspruch zu verlieren – in die Allean­za Nazionale (AN) aufging. Zusammen mit anderen Mitte-Rechts Forma­tionen haben die Post-Faschisten mittels breiter Zustimmung der Italiener/-innen die Schwelle des neuen Jahrtausends erreicht. Es handelt sich hierbei um einen elektoralen Trend, welcher seinen Ursprung in der radikalen Kritik an Autonomie­regelungen wie dem ethnischen Proporz, der Anwendung der Zweisprachigkeit als auch der Aufteilung von leitenden Funktionen in der öffentlichen Verwaltung nach Sprachgruppen hat. Es geht aber auch um das politische Narrativ des sogenannten „disagio degli italiani“ („Unbehagen der Italiener/-innen“). Dieses Unbehagen hätte durch eine Überarbeitung der Autonomie und durch ein sogenanntes „pacchetto ­degli italiani“ („Paket der Italiener/-innen“), das die sogenannte „institutionelle Unterlegenheit“ der Italienischsprachigen aufgehoben hätte, überwunden werden können.

Obwohl die Lega sowohl in Bozen als auch auf nationaler Ebene dem Mitte-Rechts Lager Berlusconis angehörte, hat die Lega in dieser politischen Landschaft stets eine distanzierte Haltung zu Themen der Autonomie eingenommen. Während der Bossi Ära hatten einige Lega Anhänger/-innen offen mit sezessionistischen Bewegungen der extremen Rechten in Südtirol sympathisiert und zeitgleich freundliche Beziehungen mit den Spitzen der SVP unterhalten.

Mit einer solchen ideologischen Gesinnung und parteipolitischen Vorgeschichte gelang der Lega von Matteo Salvini der Sprung in den Landtag. Sie eroberte die Stimmen, welche einst an die rechten Anti-Autonomisten gingen. Obwohl Themen, die die ethnische Auseinandersetzung bzw. sprachgruppenbezogene Brennpunkte betreffen (wie die Problematik des Doppelpasses), in den Wochen vor der Landtagswahl im Oktober 2018 eine nicht unwichtige Rolle in der politischen Debatte spielten, bewahrte die Lega hierzu eine Haltung der totalen Distanz.

An dieser Stelle möchte ich auf die erste Fragestellung eingehen, die ich zu Beginn dieses Kommentars schon vorweggenommen habe: Es gilt zu verstehen, ob und wie sehr die Themen, auf welche die Lega in Bozen wie auch sonst wo im Wahlkampf setzte – Sicherheit und Anti-Migration –, im gemeinsamen Befinden des italienischen Elektorats tatsächlich ethnische Anliegen ersetzt haben. Schließlich waren es diese Themen, die zu Beginn der 1980er-Jahre den progressiven elektoralen Misserfolg der Democrazia Cristiana (DC) und seiner Verbündeter sowie die damit einhergehenden Erfolge der rechten Antiautonomisten verursacht haben.

Im Wesentlichen muss man sich die Frage nach der endgültigen Archivierung der ethnischen Problematik von Seiten der Italiener/-innen in Südtirol stellen. Ist dem wirklich so oder rückt diese Problematik aufgrund immer wiederkehrender politischer Ereignisse erneut in den Wahrnehmungsradius der Italiener/-innen? Flammt sie auch im Politischen wieder auf?

Wer im vergangenen Jahrhundert geglaubt hat, dass ethnische Anliegen als überwundene Faktoren beiseitegelegt werden konnten, wurde in der Regel nicht nur damals, sondern auch bis in die heutige Zeit immer wieder eines Besseren belehrt. Man erinnere sich zum Beispiel an die Illusion der 1970er-Jahre, die in der italienischsprachigen Politik vorherrschte. Man ging davon aus, dass die SVP nach der erfolgreichen Umsetzung der Autonomie ihre interne Kohäsion verlieren und sich in eine Reihe von Parteien mit unterschiedlichen ideologischen Zügen aufspalten würde. Demzufolge hätten sich neue Handlungsspielraume für italienischsprachige Parteien ergeben, die von der Zersplitterung der SVP profitiert hätten. Wie allgemein bekannt ist, geschah das exakte Gegenteil. Die derzeitige Koalitionsregierung zwischen der Lega und der SVP wird jedoch noch zeigen müssen, inwiefern ihre ideologisch-politischen Positionen ein Mehrwert zur Überwindung der ethnischen Problematik sein können.

Parallel zur Analyse der Faktoren, die den überwältigenden Erfolg der Lega ermöglicht haben, muss man auch das Versagen von nahezu allen anderen Parteien, die zuvor in unterschiedlichen Ausmaß die Zustimmung des italienischsprachigen Elektorats erhielten, näher unter die Lupe nehmen. Stärker als anderorts vollzog der PD in Bozen einen Prozess der Selbstauslöschung, welcher letztlich dazu führte, dass ihm der größte Teil des eigenen Elektorats und nahezu alle institutionellen Positionen, die PD-Vertreter ab 2007 bekleideten, abhandenkamen. In dieser sich am Anfang befindenden Legislaturperiode wird sich der letzte verbliebene Vertreter des PD in der Rolle der Opposition messen müssen. Dies ist besonders schwierig, da ein zentraler Teil des Programmes der neuen Lega-SVP Regierung die natürliche Weiterführung von politischen Positionen ist, die der PD die letzten Jahre vertreten hat. Bezüglich der Grünen verweise ich auf die Wahlanalyse im Band. Für die Fünf-Sterne-Bewegung (M5S) möchte ich festhalten, dass sie die Chance eines Bündnisses mit dem Newcomer-Phänomen Paul Köllensperger nicht genutzt hat und dadurch in Bozen eine Position der absoluten politischen Marginalität einnimmt; ähnlich kann man für das Trentino argumentieren. Dies steht in klarem Kontrast zu den errungenen Erfolgen in anderen Teilen Italiens.

Der Erfolg der Lega hat auch die anderen politischen Kräfte des italienischsprachigen Mitte-Rechts Lagers in die Schranken gewiesen. Der einzige authentische Erbe der Politik, welcher über die Jahrzehnte hinweg zunächst vom MSI und später von der AN unterstützt wurde, ist Alessandro Urzì von Fratelli d’Italia. Er hat den Einzug in den Landtag dank der Reststimmen gerade noch geschafft. Mit den letzten Landtagswahlen aus dem politischen Rennen ausgeschieden ist hingegen die Liste von FI, welche der Gefahr ausgesetzt ist, von den Ultra Extremisten der CasaPound überholt zu werden; letztere haben mit neuen Schlagwörtern das politische Erbe der ehemaligen Partei Unitalia angetreten.

Das Chagrinleder

Bei den ersten Regionalwahlen vor 60 Jahren errang die SVP fast 68 Prozent der elektoralen Zustimmung. Einem Vergleich mit heutigen Wahlergebnissen hält dies nicht stand. Damals waren es wenige Wähler/-innen und unter den deutschsprachigen Südtirolern waren zahlreiche Optantinnen und Optanten, die ihre Zivilrechte noch nicht zurückerlangt hatten. Dennoch kann man festhalten, dass nahezu alle Deutschsprachigen ihre Stimme für das Edelweiß abgegeben hatten. Es handelte sich um einen politischen Wahlergebnisrekord, der in Europa lange Zeit ungeschlagen blieb. So muss man fast das Ende des 20. Jahrhunderts abwarten bis die elektorale Zustimmung für die SVP definitiv unter 60 Prozent sinkt. Der Verlust von Wähler/-innenstimmen hat sich in den letzten Jahren verstetigt: Innerhalb von zehn Jahren sank der Wahlerfolg der SVP von 56,6 Prozent (1998) auf 48,1 Prozent im Jahr 2008, der letzten Wahl der Ära Durnwalder. Die absolute Mehrheit im Landtag wurde inzwischen auch verloren und der Stimmenverlust bestätigt sich als Trend (von 45,7 Prozent im Jahr 2013 auf 41,9 Prozent bei den Landtagswahlen im vergangenen Oktober).

Im berühmten Roman La Peau de chagrin erzählt Honoré de Balzac die Geschichte des jungen Raphael, der die Erfüllung all seiner Wünsche einem mächtigen Talisman, dem Chagrinleder (ein Stück raue Eselshaut), anvertraut. Auf diese Eselshaut, die er in einer Schatulle aufbewahrt, ist der Junge bei einem Antiquitätenhändler gestoßen. Jedes Mal wenn er die Schatulle zum Betrachten der Eselshaut öffnet, wird diese kleiner. Man könnte glauben, dass sich eine derartige Schatulle auch zwischen den Regalen des Parteisitzes in der Brennerstraße befindet und dass die Parteispitzen dem regelmäßigen und unaufhaltsamen Schrumpfen der elektoralen Zustimmung in der Bevölkerung machtlos ausgesetzt sind.

Sofern man die Theorie des halbvollen Glases anwendet, kann das Resultat der Landtagswahlen aber auch als alles andere als schlecht gewertet werden (wie dies auch mit Nachdruck von der SVP angemerkt wurde). Schließlich trat der Alptraum eines noch stärkeren Einbruchs bei der Wahl vom 21. Oktober entgegen der Umfragen nicht ein. Es blieb bei einigen unruhigen und schlaflosen Nächten der SVP Parteispitze. Am Ende blieb die SVP, wie von Kompatscher und Achammer mehrmals angemerkt, die bei weitem am häufigsten gewählte Partei Südtirols und darf daher berechtigterweise noch einmal die Fahne der absoluten Mehrheit – in Bezug auf das deutschsprachige Wahlvolk – in der Südtiroler Parteienlandschaft schwenken. Durch den Ausgang der Landtagswahl, die auch den Triumph einer an und für sich pro-autonomistischen Partei aus dem rechten politischen Spektrum Italiens mit sich brachte, konnte die SVP die Mehrheit der Landtagssitze erreichen; die SVP musste nicht mit einer jener Parteien eine Regierungskoalition eingehen, die in letzter Zeit sehr offen um die Leadership in Südtirol kämpfen.

Dieser taktische Erfolg garantiert das Überleben des SVP Führungsmodells für weitere fünf Jahre. Grundlegende Probleme, die die parteipolitische Realität der SVP inzwischen hat, können dadurch aber nicht verschleiert werden.

Mit dem Verlust von über 50.000 Stimmen, so die Einschätzung vieler, rückt die Sinnfrage einer „Sammelpartei“ in den Vordergrund. Das Fundament des politischen Kolosses, der 1945 auf der Grundlage der ethnischen Kohäsion gegründet wurde und der jegliche Differenzen sozialpartnerschaftlicher Natur sowie verschiedenste Ideologien, Wahrnehmungs- und Partizipationsmöglichkeiten jener ethnischen Kohäsion untergeordnet hat, bröckelt.

Trotz der gewonnenen Stimmen kann die SVP heute nicht mehr für sich beanspruchen, dass sie das gesamte Spektrum der Südtiroler Gesellschaft repräsentiert. Dies scheint offensichtlich zu sein.

Problematisch ist dabei, dass man nicht versteht, welche gesellschaftlichen Teile die Partei noch repräsentiert und welche nicht. Die letzten und vorletzten Wahlergebnisse geben hierzu keinen Aufschluss.

Im Laufe der letzten 70 Jahre sah sich die SVP mit unterschiedlichen Oppositionslagern innerhalb des deutschsprachigen Elektorates konfrontiert und hat diese erfolgreich in Schach gehalten: Nach der Entstehung und dem Verschwinden diverser Formationen (von mehr oder weniger namhaften Vertriebenen wie z.B. Egmont Jenny oder Hans Dietl), gelang es der SVP die Bestrebungen der italienischsprachigen Linken für eine interethnische Volksvertretung zu relativieren. Einerseits musste sich die SVP mit Oppositionskräften aus der alternativen und ökologischen Linken unter der Führung von Alexander Langer messen, andererseits stand sie politischen Bewegungen gegenüber, die ihren Daseinsgrund im erneuten Ruf nach Selbstbestimmung sowie in der Radikalisierung der ethnischen Auseinandersetzung fanden.

Vor fünf Jahren, bei den Landtagswahlen 2013, schien die Möglichkeit gegeben, dass letztgenannte Parteien – stark vom Erfolg der Freiheitlichen geprägt – zu einem parteipolitischen Block fusionieren könnten, welcher die Politik in Südtirol nachhaltig prägen hätte können. Dieser Hypothese wurde auch aufgrund der politischen Zugewinne ähnlicher Parteien in Österreich und Bayern vermehrt Glauben geschenkt. Der Wahlerfolg der Freiheitlichen Partei im Jahr 2017 in Wien und der Eintritt derselben in eine Regierungskoalition mit der ÖVP, die ihrerseits wiederum eine Wende nach rechts vollzog, schien für viele Beobachter Beweis dafür zu sein, dass auch südlich des Brenners in absehbarer Zeit eine parteipolitische Wende eingeläutet werden könnte. Die Regionalwahlen in Tirol im Frühling 2018 waren aber Inbegriff eines ersten gegenläufigen Signals. Die ÖVP konnte – unter Beteiligung der Grünen Partei – ihre Position in der politischen Mitte stärken und darüber hinaus eroberten die Grünen überraschenderweise wenige Wochen danach sogar den Sitz des Bürgermeisters der Tiroler Landeshauptstadt.

Im gegenteiligen Trend befindet sich hingegen die elektorale Entwicklung in München und Umgebung. Die CSU befindet sich in ihrer historischen Hochburg im freien Fall. Einerseits kämpft sie gegen die fremdenfeindliche Rechte, andererseits wird sie von der ökologischen Opposition belagert.

Nach den Wahlen in Südtirol positioniert sich die SVP in der Mitte der eben geschilderten parteipolitischen Verhältnisse. Ihr eingeschlagener Politikkurs ähnelt einer moderaten Mitte-Rechts Partei. Eine große Mehrheit der SVP stimmte für die Regierungskoalition SVP-Lega. Einerseits bleibt die SVP so die alleinige Partei, welche die deutsch- und ladinischsprachigen Sprachgruppen vertritt, andererseits muss sich die SVP durch die Regierungskoalition mit der Lega keinen politischen Konsequenzen stellen, die aus einer Koalition mit den Grünen hervorgegangen wären.

Dies wirft viele neue Fragen auf. Doch eines steht fest: Wenngleich die SVP bei den letzten Landtagswahlen große Verluste hinnehmen musste, so waren die Verluste, die die rechten sezessionistischen Parteien zu verzeichnen hatten, verhältnis­mäßig größer. Das jüngste Debakel der Freiheitlichen, der Süd-Tiroler Freiheit sowie das Verschwinden der Bürgerunion von Andreas Pöder scheinen klar aufzuzeigen, dass die Wähler/-innenschaft, zumindest derzeitig, die Argumente ethnisch-populistischer Brennpunkte nicht als einen entscheidenden Faktor für die eigene Stimmabgabe betrachtet. Denn die Strategie, die Positionen der Lega zum Thema der Migration und Sicherheit nachzuahmen, war nicht glaubwürdig.

Auf der gegenüberliegenden Seite des politischen Spektrums kann die Metapher des halbvollen oder halbleeren Glases auf die Grünen umgemünzt werden. Obwohl sie auf Gemeindeebene in Bozen unmissverständlich ihre Anpassungsfähigkeit ­bewiesen haben und in Meran sogar den Bürgermeister aus den eigenen Reihen stellen, verfehlten sie auf Landesebene ihr Ziel. Sie konnten sich in Südtirol nicht aus der Ecke des ökologischen Fundamentalismus befreien und als moderne Regierungspartei präsentieren. Im nahe gelegenen Tirol und im gesamten deutschsprachigen Kulturbereich ist dies jedoch der Fall.

Um die gesamte Problematik vollständig vor Augen zu haben, bedarf es eines erneuten Blickes auf das andere große politische Event des vorangegangenen Jahres: jenes der Wahlen vom 4. März 2018.

Eine Vorbemerkung: Man muss festhalten, dass die Wahlen vom 4. März 2018 mit Fokus auf die politische Selbstdarstellung der politischen Kräfte vor den Wählern und Wählerinnen in der Provinz Bozen mit großer Aufmerksamkeit verfolgt wurden. Im Zentrum der Debatten im Vorfeld der Parlamentswahlen stand von Seiten der SVP ein Pakt mit dem PD. Im Rahmen dieses politischen Paktes wurden dem PD eigene Kandidaten für die Wahlkreise Bozen – Südtiroler Unterland sowohl für den Senat als auch für die Abgeordnetenkammer zuerkannt. In den dank der Unterstützung der SVP „abgesichterten“ Wahlkreisen stellte der PD den Ex-Staatssekretär für regionale Angelegenheiten Gianclaudio Bressa und die Ex-Ministerin Maria Elena Boschi zur Wahl. Diese Entscheidung des PD sorgte für wütende Polemiken und gegen Ende der letzten Legislaturperiode auch für Unmut innerhalb der SVP. So hatte sich Maria Elena Boschi zuvor nie explizit mit Südtiroler Angelegenheiten beschäftigt. Diese Vorentscheidung, die vom Südtiroler PD mehr geduldet als akzeptiert wurde, hat aller Wahrscheinlichkeit nach wesentlich zur Irritation und Politikverdrossenheit des Südtiroler Wahlvolkes beigetragen. Auf diese Art und Weise löste sich der Vorteil, den die SVP aufgrund fehlender anderer Kandidatinnen und Kandidaten nutzen hätte können, in Luft auf. Zur Erinnerung: die rechte Südtiroler Opposition ist, wenngleich es sich im Nachhinein als Fehler herausstellte, nicht angetreten; die Grünen konnten ihren Erfolg vom Jahr 2013 nicht wiederholen und brachen ein.

Obwohl in Bozen die Parlamentswahl insgesamt keine großen Turbulenzen mit sich brachte, kann man dasselbe nicht für die Nachbarprovinz Trient behaupten. Dort ist mit dem Sieg der Lega und des Zusammenbruchs des Mitte-Links Lagers und der Autonomisten das Ende der politischen Ära eingeläutet worden, welche Mitte der 1990er-Jahre mit dem Ende der Ersten Republik, dem Zusammenbruch des alten Parteiensystems und des damit einhergehenden Ende der Vorherrschaft der DC begonnen hatte. Das Ende dieser Ära kam mit den Landtagswahlen im Oktober 2018 deutlich zum Vorschein. So haben die Wahlen zum Beispiel den endgültigen Abgang von Lorenzo Dellai, den letzten Erben des riformismo cattolico, bestärkt. Die von ihm geschaffene politische Bewegung konnte ihr politisches Werk nicht weiter führen. Am Ende brach der Konnex, welcher die Linke mit den Autonomisten vereinte, zusammen. Nach der herben Niederlage bei den Parlamentswahlen erwiesen sich die Konfliktfaktoren zwischen den verschiedenen Akteuren der Regierungskoalition als zu stark und konnten nicht mehr überwunden werden.

Während die Politik des Trentino mit der Wahl im März definitiv ihren Kurs geändert hat, ist in Südtirol aufgrund der zuvor beschriebenen Situation die Wahlbeteiligung auf ein historisches Tief gesunken. Dies ist Beweis dafür, dass inzwischen ein wesentlicher Teil des deutschsprachigen Elektorats nicht mehr die SVP wählt.

Bei den Landtagswahlen hat der Vertrauensverlust in traditionelle Parteien zu einem teils unerwartet großen Zugewinn an Wählern und Wählerinnen für das Team Köllensperger (TK) geführt. Jenes wurde innerhalb weniger Wochen von Paul Köllensperger, Ex-Abgeordneter des M5S, gebildet.

Dies ist die zweite große Veränderung im Politikjahr 2018 und sorgte neben der Neuheit der SVP-Lega Koalitionsregierung für einen Umbruch in der politischen Landschaft Südtirols. Wie bereits zu Beginn erwähnt, kann man jedoch nicht automatisch davon ausgehen, dass diese Veränderungen dauerhafte Folgen für die politischen Machtverhältnisse und die Politikgestaltung des Landes haben werden.

Die Gründe des Erfolgs des Teams Köllensperger bleiben ein absolutes Rätsel. TK schaffte es aus dem Nichts zur zweitstärksten Partei in Südtirol. Zum Erfolg beigetragen hat sicherlich der Arbeitsstil von Paul Köllensperger. Er hat in seiner fünfjährigen Mitgliedschaft im Landtag unter der Flagge des M5S eine auf Fakten basierte Opposition ohne Rückgriff auf abstrakte Ideologien betrieben. Sein Politikstil zielte immer darauf ab, eine effiziente und am Bedarf gemessene bürgernahe Verwaltung einzufordern.

Vom unabhängigen politischen Kämpfer ist er nun plötzlich in die Rolle des Anführers einer Gruppierung geschlüpft, die er im Rahmen einer hektischen Wahlkampagne ohne großes politisches Gesamtkonzept zusammengestellt hat. Das TK weist eine hohe Heterogenität auf und nun stellt sich die Frage, inwiefern Paul Köllensperger sein Team vom Wahlsieg zu einer echten politischen Gruppierung formen kann, die auf Landesebene einerseits Druck auf die SVP ausüben und sich andererseits durch eigene Themen im politischen Alltag behaupten kann.

Die SVP hingegen muss sich zum ersten Mal mit einer noch nie dagewesenen politischen Opposition auseinandersetzen. TK wird sich nicht als eine reine Widerstandsopposition in ein politisches extremes Eck treiben lassen. Jemand hat das TK bereits als „eine andere SVP“ definiert; dies verdeutlicht, dass sich der politische Machtkampf der kommenden Monate und Jahre voraussichtlich sehr von allen vorausgegangenen unterscheiden wird.

Ein entscheidender Wendepunkt könnten zweifelsohne die 2020 stattfindenden Gemeindewahlen sein. Dort wird sich zeigen, ob und inwieweit sich der außerordentliche Erfolg des Teams Köllensperger und seiner Anhänger bei den Landtagswahlen auch in der häufig vielseitigeren und komplexeren Realität der Peripherie bestätigen wird. In den großen Gemeinden Bozen und Meran ist es hingegen naheliegend, dass sich ähnliche Bündnisse wie auf Landesebene ergeben werden. Die Lega von Matteo Salvini könnte, vom Wähler/-innenwillen angetrieben, den Platz der Mitte-Links Parteien und der Grünen einnehmen und mit der SVP zusammenarbeiten. Es handelt sich hierbei um eine sehr aleatorische Vorhersage, die empirisch verifiziert werden muss. Der Wahltrend der letzten Jahrzehnte hat gezeigt, dass nunmehr Wahlausgänge schwer vorhersehbar sind und es keine klaren Positionen mehr gibt.

Entlang dieses Weges, auf dem auch die Europaparlamentswahlen im Frühling 2019 anzufinden sind, bewegt sich der neue Kurs der Südtiroler Landespolitik. Derzeitige Politikkräfte haben ein an und für sich wirtschaftlich und sozial gut dastehendes Land geerbt, welches aber trotz der positiven Diagnose mit ungelösten Problemen zu hadern hat. Als solche können die Herausforderungen im Sanitätsbereich nach dem Scheitern des „Experiments“ mit Thomas Schael, aber auch jene im Güterverkehr entlang der A22 sowie jene im Bereich des Landschaftsschutzes und der Raumordnung (bedroht durch einen stetig ansteigenden Tourismus) genannt werden.

An solchen konkreten Themen werden sowohl die neuen und alten Mehrheiten als auch die neuen und alten Oppositionen gemessen werden, und nicht so sehr an den diplomatischen Beziehungen zu Rom, zum von der Lega regierten Trentino, zur nationalistischen Regierung in Wien, zum Land Tirol (welches man unter Berufung auf die Euregio hochleben lässt, aber welchem man hinsichtlich der Maßnahmen im Bereich der Eindämmung des LKW Verkehrs entlang der Achse der Brennerautobahn die Türe vor der Nase verschließt).

Die Änderungen sind da, aber von der Veränderung fehlt häufig noch jede Spur.