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Sara Parolari / Martina Trettel / Alice Valdesalici*

Innovazione istituzionale in Trentino

Soluzioni e prospettive

Institutional innovation in Trentino

Solutions and prospects

Abstract This paper analyses the reorganisation of the local administrative system in the Autonomous Province of Trento. In terms of population sizes, Trentino has a substantial number of small municipalities, 90 % of which have fewer than 5,000 inhabitants. The local political level needs to be reorganised for economic reasons as well. In times of pluralistic and complex societies, it often is difficult for municipalities to provide enough resources and instruments to effectively handle all issues raised by the citizens, the state, the European Union and various international actors. The legislative assembly of the Autonomous Province of Trento responded to that need by promoting ever more mergers of municipalities and by approving an institutional reform (Provincial Law no. 3/2006) that restructured the provincial administrative apparatus. A new layer known as the Community of the Valleys (Comunità di valle) was created as an intermediate level between the local and the provincial level. Moreover, this reform presents an opportunity to rethink decision-making processes and introduce instruments of deliberative and participatory democracy to complement the traditional decision-making processes of representative democracy.

1. Introduzione

In Trentino il numero di piccoli comuni è particolarmente elevato se considerato in rapporto alla popolazione residente: 210 comuni per un totale di 537 mila abitanti (dati 1° gennaio 2015).1 Se si pensa poi che il 90 per cento degli enti locali sono di piccole dimensioni (ovvero sotto i 5.000 abitanti) si spiega agilmente perché il legislatore provinciale abbia optato per una radicale riorganizzazione del sistema amministrativo locale. Ciò vale a fortiori se si considera che in una società complessa e pluriforme come quella odierna, il livello di governo più vicino al cittadino – il Comune – non sempre ha a disposizione le risorse e gli strumenti per affrontare in modo adeguato le istanze provenienti sia dal basso, ovvero dai cittadini, sia dall’alto, ovvero dallo Stato, dall’UE, e dai vari attori internazionali.

Alla necessità di riorganizzazione e rinnovamento della governance del territorio ha provato a dare una risposta concreta il legislatore della Provincia autonoma di Trento (PAT), da un lato, promuovendo un incremento delle fusioni comunali (par. 2) e, dall’altro, approvando una riforma istituzionale (l.p. 3/2006) che ha avuto come obiettivo primario quello di riorganizzare l’assetto dell’amministrazione pubblica provinciale e, tra il resto, ha previsto l’istituzione di un nuovo ente – le Comunità di Valle – il quale si colloca ad un livello intermedio tra Comuni e Provincia (par. 3). La riforma dell’architettura istituzionale provinciale ha inoltre rappresentato l’occasione per ripensare i processi decisionali ed introdurre nell’ordinamento locale meccanismi propri della democrazia deliberativa e partecipativa, innovando così le tradizionali strutture rappresentative (par. 4).

2. La via trentina alle fusioni di Comuni

La realtà italiana è caratterizzata sin dalle sue origini da una forte parcellizzazione a livello comunale. I dati dimostrano come il numero di comuni italiani sia andato nel tempo gradualmente aumentando: dai 7.810 del 1951 agli 8.092 del 2013.2 Di questi, i Comuni di piccole dimensioni (al di sotto dei 5.000 abitanti) costituiscono la parte preponderante (5.683) ovvero il 70,3 per cento, mentre i cosiddetti Comuni polvere, cioè realtà comunali con non più di 1.000 abitanti, coprono il 23,9 per cento (1.936) del totale (Vigato 2012, 1).

In questo contesto si è recentemente registrata una, seppur lieve, inversione di tendenza grazie ad iniziative di fusione comunali che hanno interessato molte Regioni con l’effetto di una riduzione del numero complessivo dei Comuni presenti sul territorio nazionale che raggiungono oggi le 8.047 unità (dati ISTAT al 30 gennaio 2015).3 Si tratta di una tendenza che trova riscontro anche in Trentino dove i Comuni sono passati dai 223 del 2009 agli attuali 188, in esito ad una serie di processi di fusione portati a compimento con successo.4

È evidente che la presenza di un numero così elevato di Comuni e, in particolare, di Comuni di piccole dimensioni, pur legati a tradizioni storiche e territoriali importanti, pone seri problemi quanto alla garanzia di un’efficace gestione amministrativa. E proprio il riordino territoriale, unitamente al contenimento della spesa pubblica, costituiscono gli intenti perseguiti dal legislatore nazionale che a partire dagli anni ’90 ha puntato ora su diverse forme di associazionismo comunale, ora sulle fusioni tra Comuni. Il quadro legislativo che ne è scaturito, tuttavia, è tutt’altro che chiaro fondandosi su una stratificazione successiva di interventi normativi che lo rende alquanto farraginoso (Ricciardi 2015). In questo senso anche l’emanazione del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267 recante il Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, che ha subito plurime modifiche (tra cui quelle introdotte dalla l. 7 aprile 2014, n. 56, cosiddetta “Legge Delrio”), non ha contribuito a conferire alla materia contorni più chiaramente definiti.

A fronte di una cornice legislativa complessa, nel corso degli ultimi anni si è riscontrato da parte delle Regioni italiane un maggior attivismo, in particolare, nei confronti dell’istituto della fusione tra Comuni. Vale la pena ricordare che laddove la materia in oggetto è stata ricondotta nell’alveo della potestà legislativa residuale delle Regioni in forza degli articoli 117.4 e 133.2 della Costituzione, lo Stato è comunque intervenuto più volte di fatto riducendo il margine di manovra regionale in forza della potestà di coordinamento della finanza pubblica che ha acquisito lo status di vera e propria competenza trasversale in grado di esprimersi potenzialmente anche su norme di dettaglio (Bilancia 2012, 7).

Diversa la situazione delle Regioni a statuto speciale per le quali la materia ordinamento degli enti locali rientra a pieno titolo nella competenza legislativa esclusiva regionale. Ciò significa che le norme regionali sono vincolate unicamente al rispetto della Costituzione, dei principi dell’ordinamento giuridico, degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economiche sociali, mentre la legislazione nazionale è ad esse applicabile solo in quanto compatibile con le attribuzioni previste dagli statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione.5

Nonostante l’ampio margine di manovra loro riconosciuto, nella realtà e fatte alcune eccezioni, la legislazione delle autonomie speciali sul tema non si è particolarmente distinta rispetto alla normativa nazionale. Questo è vero anche se si considera il caso della Regione Trentino-Alto Adige e, più nello specifico, della Provincia autonoma di Trento.

Infatti, sulla base della competenza regionale esclusiva in materia sancita nello Statuto di Autonomia del 1972 all’articolo 4, punto 3), il Testo Unico delle leggi regionali sull’ordinamento dei Comuni della Regione autonoma Trentino-Alto Adige (d.p.reg. 1 febbraio 2005 n. 3/L – modificato dal d.p.reg. 3 aprile 2013 n. 25 e coordinato con le disposizioni introdotte dalla l.r. 2 maggio 2013 n. 3 e 9 dicembre 2014 n. 11)6 ha introdotto un modello di associazionismo che ricalca in larga misura quello nazionale.

Per quanto riguarda la fusione tra Comuni, il Testo Unico (artt. 41 e ss.) prevede che la fusione di due o più Comuni, di norma contigui, avvenga, ai sensi dell’art. 7 dello Statuto di Autonomia, con legge regionale istitutiva del nuovo Comune, sentite le popolazioni interessate. Tale legge regionale dispone che alle comunità di origine siano assicurate adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi, nonché l’erogazione di appositi contributi finanziari per l’attivazione e per la gestione del nuovo ente.

La fusione può essere realizzata sia su richiesta di uno o più consigli comunali sia su iniziativa popolare, con domanda proposta da almeno il 20 per cento degli elettori iscritti alle liste elettorali dei Comuni interessati, secondo la procedura prevista dall’art. 46 bis del Testo Unico. L’iniziativa è in capo alla Giunta regionale nel caso di Comuni aventi popolazione inferiore ai 1.000 abitanti e mancanti dei mezzi sufficienti per provvedere alle funzioni loro assegnate.

La Giunta regionale ha comunque il compito di predisporre un programma, aggiornato su base quinquennale, di modifica delle circoscrizioni comunali e di fusione dei piccoli Comuni, sentite le giunte provinciali territorialmente competenti e previo assenso dei consigli dei Comuni interessati.

In ogni caso, in forza dell’art. 31 della norma di attuazione d.p.r. 1 febbraio 1973 n. 49, le popolazioni interessate dal processo di fusione vengono sentite tramite referendum, secondo norme stabilite con legge regionale,7 a cui possono partecipare tutti i cittadini iscritti nelle liste dei Comuni interessati e ivi residenti. Al fine della validità del referendum è necessaria la partecipazione al medesimo, in ciascun Comune interessato, di almeno il 40 per cento degli elettori8 e si intende abbia dato esito negativo quando nella votazione non sia stata raggiunta la percentuale di voti positivi di almeno il 50 per cento di quelli validamente espressi.

Nel caso in cui il referendum abbia esito positivo, la Giunta regionale trasmette al Consiglio regionale entro trenta giorni il relativo disegno di legge per l’istituzione del nuovo Comune. Va infine sottolineato che la Regione ha regolato tramite la l.r. 9 dicembre 2014 n. 11 la disciplina dei contributi alle unioni e fusioni di Comuni, di fatto sopprimendo gli incentivi economici a favore delle unioni e concentrandosi su quelli destinati ai processi di fusione.

A fronte di questo quadro normativo, negli ultimi anni in provincia di Trento si è fatto ricorso all’istituto della fusione con maggior frequenza rispetto al passato. A partire dal 1º gennaio 2015 sono stati istituiti i nuovi Comuni, scaturiti da fusione, di Predaia (aggregazione di Coredo, Smarano, Taio, Tres e Vervò), San Lorenzo Dorsino (aggregazione di Dorsino e San Lorenzo in Banale) e Valdaone (aggregazione di Bersone, Daone e Praso). Una serie di consultazioni referendarie si sono poi svolte il 14 dicembre 2014 e, più recentemente, il 7 giugno 2015. Le prime hanno portato all’istituzione, con effetto dal 1º gennaio 2016, dei nuovi Comuni di Pieve di Bono-Prezzo (aggregazione di Pieve di Bono e Prezzo) e di Dimaro Folgarida (aggregazione di Monclassico e Dimaro).9 Le seconde porteranno, sempre a decorrere dal 1º gennaio 2016, all’istituzione dei nuovi Comuni di Ville d’Anaunia (aggregazione di Nanno, Tassullo e Tuenno), Valle Laghi (aggregazione di Padergnone, Terlago e Vezzano), Tre Ville (Montagne, Preore e Ragoli), Sella Giudicarie (aggregazione di Bondo, Breguzzo, Lardaro e Roncone), Primiero San Martino di Castrozza (aggregazione di Fiera di Primiero, Siror, Tonadico e Transacqua), Porte di Rendena (aggregazione di Daré, Vigo Rendena e Villa Rendena), Madruzzo (aggregazione di Calavino e Lasino), Contà (aggregazione di Cunevo, Flavon e Terres), Cembra Lisignago (aggregazione di Cembra e Lisignago), Castel Ivano (aggregazione di Spera, Strigno e Villa Agnedo).10 Ciò significa che il numero complessivo di Comuni trentini si è ridotto ulteriormente per attestarsi sulle 188 unità, in attesa degli ulteriori processi di fusione che con ogni probabilità prenderanno il via in un futuro prossimo a venire.

3. La via trentina alla cooperazione inter-comunale: le Comunità di Valle

In Trentino si era già provato a dare una risposta concreta al problema della parcellizzazione territoriale attraverso l’introduzione dei comprensori (l.p. 2/1964), rive­latisi però uno strumento di governance territoriale poco efficace11 (Parolari/Val­desalici 2011, 428). Pertanto, con la legge 3/2006 si è prevista l’istituzione di un nuovo ente intermedio – la Comunità di Valle – tramite il quale esercitare obbligatoriamente parte delle competenze del livello comunale, al tempo stesso ridisciplinando il riparto complessivo della potestà amministrativa. A tal proposito la legge promuove un ampio decentramento delle funzioni, poiché dispone il trasferimento ai Comuni ovvero alle Comunità in caso di esercizio associato (obbligatorio o facoltativo) di tutte le funzioni amministrative che non richiedono l’esercizio unitario a livello provinciale e che sono compatibili con le dimensioni dei territori di riferimento, fatta eccezione di quelle espressamente riservate alla Provincia (art. 8, capo III, l.p. 3/2006). È il caso ad esempio dell’edilizia scolastica, dell’edilizia abitativa pubblica, della programmazione economica locale, nonché dei servizi pubblici di interesse locale, per le quali si prevede il trasferimento dal livello provinciale a quello comunale, imponendone contestualmente l’obbligo di esercizio in forma associata.

La Comunità di Valle è un ente pubblico locale a struttura associativa, costituito obbligatoriamente da tutti i Comuni per l’esercizio in forma associata delle competenze ad esso assegnate direttamente dalla Provincia, nonché per l’esercizio di funzioni, compiti, attività e servizi ad esso trasferiti dagli stessi Comuni (cfr. Cortese/Parolari 2006; Parolari/Valdesalici 2011).

La legge 3/2006 fissa le modalità per suddividere il territorio trentino in 16 territori: a 15 di questi corrisponde una Comunità di Valle12, mentre il sedicesimo – il “territorio della Val d’Adige” (Trento, Aldeno, Cimone e Garniga) – non costituisce una Comunità vera e propria, ma gestisce le funzioni in modo associato sulla base di un’apposita convenzione tra i quattro Comuni interessati.

Per quanto riguarda la forma di governo delle Comunità, la legge 3/2006, così come successivamente modificata dalle leggi provinciali 15/2009 e 26/2010, prevedeva che le Comunità fossero costituite da un’assemblea, da un presidente, da un organo esecutivo e dalla conferenza dei sindaci, quest’ultima introdotta ad hoc dalla legge 15/2009. In particolare, l’organo assembleare era composto dai sindaci dei Comuni facenti parte del territorio della Comunità, nonché da un ulteriore numero di componenti eletti da tutti i componenti dei consigli comunali e, ove fossero presenti, da tutti i componenti dei consigli circoscrizionali. La legge provinciale 15/2009 ha tuttavia modificato tale disposizione, prevedendo che i tre quinti dei membri fossero invece eletti a suffragio universale e diretto dalle popolazioni delle Comunità, contestualmente all’elezione del loro presidente.

Tale specifico aspetto ha sollevato non pochi dubbi di legittimità costituzionale, con riferimento alla competenza della Provincia di istituire enti di governo diversi e ulteriori rispetto a quelli previsti dalla Costituzione (art. 114.1). Su tale aspetto infatti il Consiglio di Stato, su ricorso del Comune di Vallarsa, ha sollevato questione di costituzionalità rispetto alla compatibilità di tale struttura di governo inter-comunale con il testo della nostra legge fondamentale.13

In passato, la giurisprudenza costituzionale era intervenuta su questo punto (sentt. n. 107/76 e n. 876/88) chiarendo che il carattere elettivo dei membri di un neo costituito organismo rappresenta l’elemento cardine per determinarne la natura di vero e proprio ente autonomo. In altre parole, nel caso in cui gli organi di un organismo siano eletti a suffragio universale – ossia attraverso la forma più squisitamente politica di esercizio di quella sovranità che l’art. 1 della Costituzione attribuisce al popolo si deve ritenere che lo stesso acquisisca ipso facto la natura di ente autonomo.

Ciò con la conseguenza che una legge provinciale istitutiva di tale tipologia di enti, da considerarsi enti autonomi, sia da ritenersi costituzionalmente illegittima in quanto contrastante con le previsioni costituzionali e, in particolare, sia con l’art. 5 secondo cui è la legislazione statale a dover determinare i principi ed i metodi dell’autonomia e del decentramento, che con l’art. 114 in cui si prevede che la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città Metropolitane e dalle Regioni, enti autonomi disciplinati da statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. In definitiva, se le autonomie locali sono costituzionalmente garantite dalla Repubblica, i vincoli derivanti dalla Costituzione impediscono di concepire nuovi livelli di governo locale intermedi tra Provincia e Comuni, a meno che il loro assetto non si identifichi nel modulo associativo e consortile dei Comuni. Diversamente, la costituzione di enti i cui organi di governo sono eletti a suffragio universale diretto, può determinare situazioni di conflittualità, con pregiudizio dell’esercizio delle funzioni proprie degli enti territoriali che costituiscono la Repubblica.

La concreta minaccia di una pronuncia di incompatibilità con la Costituzione dell’ente Comunità di Valle, ha spinto il legislatore provinciale ad intraprendere un’ulteriore opera riformatrice rispetto all’architettura istituzionale originaria. Nel novembre 2014 è stata infatti adottata la l.p. 12/2014, di riforma della precedente l.p. 3/2006, la quale è andata ad incidere in modo particolare su due aspetti: da un lato, ha introdotto nuove disposizioni per l’esercizio in forma associata di funzioni, compiti ed attività degli enti locali (art. 9 bis) e, dall’altro, ha rivisto la forma di governo delle Comunità di Valle.

Per quanto riguarda il primo elemento, si prescrive che per assicurare il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche attraverso il contenimento delle spese degli enti territoriali, i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti esercitino in forma obbligatoriamente associata (mediante convenzione) i compiti e le attività specificate dalla legge, tra cui urbanistica e gestione del territorio, anagrafe, stato civile, elettorale, leva, servizio statistico, e servizi relativi al commercio. In questo senso, la legge di riforma aggiunge un ulteriore livello di complessità alla struttura di governo provinciale. Infatti accanto ai Comuni, alle Comunità ed alla Provincia si collocano nuove aree di gestione amministrativa (cosiddetti ATO – Ambiti Territoriali Ottimali), che si dovranno necessariamente costituire ove gli enti locali contino meno di 5.000 abitanti, ovvero nella maggior parte dei casi come già evidenziato sopra. D’altronde, l’obiettivo perseguito con questo meccanismo sembra aver legittimato tale soluzione, poiché in questo modo il legislatore mira ad incoraggiare i processi di fusione attraverso un sostanziale esautoramento del ruolo dell’ente comunale.

Quanto al secondo aspetto, la riforma è intervenuta sulla forma di governo delle Comunità, rimuovendo l’aspetto costituzionalmente dubbio dell’elezione diretta dei membri del consiglio e prevedendo che i consiglieri delle Comunità siano espressione esclusiva dei Comuni (consiglieri comunali e sindaco), in quanto selezionati attraverso un’elezione di secondo grado. Detto altrimenti, l’elettorato attivo è costituito esclusivamente dai consiglieri e dai sindaci dei comuni facenti parte della Comunità di riferimento. Anche la struttura esecutiva delle Comunità viene modificata prevedendo, accanto alla figura del presidente, un comitato esecutivo la cui composizione numerica è variabile in base al numero di componenti del consiglio (art. 17 bis). Si stabilisce inoltre che nelle Comunità più piccole, il cui consiglio è composto da soli dieci membri14, le funzioni esecutive vengano svolte dal solo presidente.

4. La via trentina alla democrazia partecipativa

La legge di riforma adottata nel 2014 (l.p. 12/2014) ha previsto un ulteriore aspetto di innovazione. Rispetto alla l.p. 3/2006 è stato infatti introdotto ex novo il capo V-ter, contenente una serie di norme atte a favorire la partecipazione dei cittadini nei processi decisionali delle Comunità di Valle. Con riferimento all’approvazione dei cosiddetti piani di sviluppo (atti di natura amministrativa generale), la legge prevede infatti che le Comunità di Valle siano chiamate ad attivare processi di democrazia partecipativa (Bifulco 2009) con il supporto dell’istituenda Autorità per la Partecipazione Locale.

Analizzando le disposizioni legislative in questione, emerge come la Provincia abbia attentamente valutato le altre esperienze regionali italiane,15 per introdurre specifici elementi di democrazia partecipativa all’interno della struttura democratica delle Comunità di Valle, con l’intento di conciliare forme di democrazia rappresentativa (indiretta) con strumenti di democrazia partecipativa attraverso metodi deliberativi più o meno tipizzati.

Ai fini della legge per democrazia partecipativa si intende quella struttura di governo all’interno della quale le decisioni (o alcune di queste) vengono adottate attraverso un processo decisionale integrato da una fase – quasi sempre di natura consultiva e deliberativa – che coinvolge direttamente i cittadini. Come previsto dall’art. 17 decies co. 1, infatti, il processo partecipativo è “un percorso di discussione organizzata avviato con riferimento all’adozione di un atto di natura amministrativa e all’assunzione di decisioni pubbliche di competenza delle comunità, in cui si mettono in comunicazione i soggetti e le istituzioni del territorio”.

Le disposizioni successive (artt. 17 duodecies e 17 terdecies) prevedono poi l’istituzione dell’Autorità per la Partecipazione Locale che sarà composta da un funzionario provinciale e da due soggetti selezionati dalla Provincia in base a meriti ed esperienza professionale in materia di processi decisionali pubblici. L’Autorità rimarrà in carica cinque anni e avrà il compito di vagliare ed, eventualmente, ammettere le proposte di processi partecipativi, nonché di attivarli, anche d’ufficio. La legge prevede, infatti, che i cittadini dovranno essere obbligatoriamente coinvolti, attraverso l’attivazione di pratiche partecipative “innovative”, nella definizione di alcuni specifici atti amministrativi di competenza delle Comunità di Valle (ex art. 17 quaterdecies: la proposta di piano sociale, il documento preliminare all’accordo-quadro di programma, il programma degli investimenti territoriali previsto dall’articolo 24 bis, comma 1, la proposta di programma di sviluppo economico). Tuttavia, l’Autorità potrà attivare ulteriori processi di partecipazione con riferimento ad atti o decisioni che rientrano nelle competenze della Comunità di riferimento, laddove venga presentata una richiesta in tal senso da parte dei soggetti a ciò legittimati, ovvero i comuni, la Comunità, le associazioni di categoria maggiormente rappresentative o almeno il 5 per cento dei residenti della Comunità che abbiano più di sedici anni.

La legge stabilisce, tra il resto, che il processo partecipativo si concluda entro tre mesi dal suo avvio, o nel diverso termine previsto dal regolamento di esecuzione, e prevede che l’Autorità approvi un documento in cui è descritto il processo svolto e i suoi esiti. Il documento in questione non costituisce tuttavia un vincolo giuridico per la Comunità interessata, la quale può decidere anche in modo non conforme. (art. 17 quindecies). Ciononostante, i risultati dei processi dovranno essere presi in considerazione dai soggetti legittimati alla decisione finale, essendo questi tenuti a motivare l’eventuale scostamento rispetto all’esito del processo. In questo modo i processi partecipativi saranno considerati dalla popolazione come luoghi di effettiva integrazione del dibattito e della decisione pubblica.

Ad oggi non è possibile effettuare valutazioni di merito con riferimento alla resa istituzionale di tali innovazioni legislative, poiché si è ancora in attesa dell’adozione del regolamento di attuazione della legge, nonché dell‘istituzione dell’Autorità per la Partecipazione Locale (cfr. Trettel 2015).

Note

* Per quanto il presente contributo sia frutto di riflessioni congiunte delle autrici, si deve ritenere che il paragrafo 2 sia stato redatto da Sara Parolari, il paragrafo 3 da Alice Valdesalici, mentre i paragrafi 1 e 4 da Martina Trettel.

1 Come si vedrà al paragrafo 2 i comuni sono scesi a 188 a partire dal 1° gennaio 2016.

2 Fonte Istat, cfr. in particolare www.istat.it/archivio/6789.

3 Dati reperibili al sito www.istat.it/it/archivio/6789.

4 A far data dal 1° gennaio 2016.

5 Si ricorda che tale competenza legislativa è stata riconosciuta a tutte le Regioni a statuto speciale dalla legge costituzionale n. 2 del 23 settembre 1993.

6 Il Testo Unico è reperibile all’indirizzo: www.regione.taa.it/EntiLocali/normativa.aspx.

7 Si tratta del testo coordinato delle leggi regionali 7 novembre 1950 n. 16, 17 febbraio 1966 n. 6, 18 febbraio 1978 n. 5 e 9 dicembre 2014 n. 11, per l’esercizio del referendum per la costituzione di nuovi Comuni e per i mutamenti delle circoscrizioni comunali, della denominazione o del capoluogo dei Comuni.

8 Non computando tra questi i cittadini iscritti all’anagrafe degli italiani residenti all’estero, che hanno comunque diritto di partecipare alla votazione per referendum (ex art. 5, l.r. 7 novembre 1950 n. 16 modificato dall’art. 2 della l.r. 17 febbraio 1966 n. 6 e dall’art. 26 della l.r. 9 dicembre 2014 n. 11).

9 Leggi regionali nn. 1 e 2 del 16 febbraio 2015.

10 Leggi regionali nn. 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20 del 24 luglio 2015.

11 I comprensori erano undici ovvero: C1 (Val di Fiemme), C2 (Primiero), C3 (Bassa Valsugana e Tesino), C4 (Alta Valsugana), C5 (Valle dell’Adige), C6 (Val di Non), C7 (Val di Sole), C8 (Valli Giudicare), C9 (Alto Garda e Ledro), C10 (Vallagarina), C11 (Ladino di Fassa).

12 Le 15 Comunità di Valle sono: Comunità Territoriale della Val di Fiemme, Comunità di Primiero, Comunità Valsugana e Tesino, Comunità Alta Valsugana e Bersntol, Comunità della Valle di Cembra, Comunità della Val di Non, Comunità della Valle di Sole, Comunità delle Giudicarie, Comunità Alto Garda e Ledro, Comunità della Vallagarina, Comun General de Fascia, Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri, Comunità Rotaliana-Königsberg, Comunità della Paganella, Comunità della Valle dei Laghi.

13 Consiglio di Stato, Ordinanza N. 236 (Atto di promovimento) 28 luglio 2014; tale ricorso è ancora pendente davanti alla Corte Costituzionale.

14 Il numero dei membri del consiglio di Comunità è variabile in modo proporzionale alla popolazione della Comunità medesima (art. 16, l.p. 3/2006).

15 In particolare le esperienze toscana (l.r. 46/2013) ed emiliano-romagnola (l.r. 3/2010). Su questo si vedano Nicolini 2013, Ciancaglini 2011.

Riferimenti bibliografici

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