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Paolo Attanasio/Günther Pallaver

Integrarsi partecipando:
le Consulte stranieri di Bolzano e di Merano

1. Integrazione e partecipazione in una prospettiva europea

Da diversi anni il numero degli stranieri aumenta in quasi tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Nel 2009 i residenti stranieri che vivevano nei 27 Paesi membri erano 31,9 milioni, con un’incidenza di circa il 6,4 %. Di questi, circa 20 milioni sono cittadini non comunitari, mentre 11,9 milioni possiedono la cittadinanza di un altro Stato membro. La maggior parte dei cittadini stranieri (il 75 %) si trova in Germania, Spagna, Gran Bretagna, Francia e Italia, mentre l’incidenza maggiore la troviamo in Lussemburgo, con il 43,5 % di stranieri. Circa il 60 % dei cittadini dell’UE-27 (2009) ha un’età compresa tra i 20 e i 64 anni, mentre il 22 % circa ha meno di 19 anni, e il 17 % è ultrasessantacinquenne. Gli stranieri residenti nel­l’Unione sono invece mediamente più giovani. L’età media dei cittadini UE è di 40,6 anni, e varia tra i 33,9 dell’Irlanda e i 43,7 della Germania, mentre la media degli stranieri nell’Unione europea è di 34,3 (36,9 per i cittadini comunitari, e 33 per i non comunitari). Fra il 1995 e il 2004 l’aumento di cittadini stranieri nell’UE è stato del 22%, ed ha quindi avuto un effetto compensatorio sulla flessione demografica della popolazione dovuta al basso numero di nascite (Vasileva 2010).

Sulla base di questi dati e di queste previsioni per il futuro, appare evidente che gli Stati membri dell’Unione europea devano fare i conti con un aumento dell’immigrazione, e che la questione dell’immigrazione e dell’integrazione degli stranieri abbia assunto un ruolo di issue politico fondamentale.

Questa tematica ha anche assunto una nuova e maggiore importanza nel campo della cooperazione intraeuropea: sia il Trattato di Amsterdam (1997) che il programma quinquennale di azione (1999) contengono importanti misure dirette alla comunitarizzazione delle politiche migratorie e di asilo. Anche nel Trattato di Lisbona del 2008, al capitolo 2, art. 63, si parla espressamente di politiche comuni sia per il governo delle migrazioni che per l’integrazione dei migranti (Briasco/Capuano/Gianniti 2008).

La Commissione europea ha avuto fin dall’inizio un ruolo centrale in questa questione ed ha elaborato numerose proposte in merito (Angenendt 2008, 268). Nella sua Comunicazione su Immigrazione, Integrazione ed Occupazione (Commissione 2003) ha delineato un progetto di integrazione globale, e nel 2004 ha pubblicato la prima edizione del “Manuale sull’Integrazione per i responsabili delle politiche d’integrazione e gli operatori del settore” (Manuale 2004).

In quell’occasione il Consiglio Giustizia e Affari Interni ha approvato i cd. “Principi fondamentali comuni” per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi. Nel “programma dell’Aia” si stabilisce che le misure di integrazione a livello nazionale e a livello comunitario devono essere coordinate, e che è necessario creare un quadro di riferimento, basato su principi fondamentali comuni, come base di partenza per future iniziative comuni, caratterizzate da obiettivi e metodi di valutazione chiari.

Nel settembre 2005, poi, la Commissione ha riassunto i principali obiettivi comuni nella comunicazione “Un’agenda comune per l’integrazione. Quadro per l’integrazione dei cittadini di Stati terzi nell’Unione europea”, indicando il rispetto dei diritti fondamentali, i principi di non discriminazione e di pari opportunità come i maggiori fattori (e quindi le sfide più importanti) per l’integrazione (Commissione 2005).

Per quanto riguarda la lista delle misure da prendere (a proposito di lavoro, formazione, cultura, comunicazione, etc.) al punto nove si menziona la necessità di appoggiare il processo di integrazione dei migranti attraverso la loro partecipazione al processo democratico, soprattutto a livello locale (Commissione 2005).

Il documento intende in tal modo attirare l’attenzione sul fatto che la partecipazione alla vita democratica del paese di accoglienza migliora il livello di inclusione dei cittadini stranieri, come pure una rappresentanza bilanciata per genere e l’abbattimento degli ostacoli frapposti all’esercizio del diritto di voto (come ad esempio contributi finanziari o adempimenti amministrativi).

Il processo di integrazione attraverso la partecipazione dipende, come afferma chiaramente la Commissione nel suo documento, dal diritto di voto. Questo, a sua volta, dipende dalla cittadinanza, dato che nelle società etnico-pluralistiche europee, la cittadinanza resta una condizione imprescindibile per l’esercizio dei diritti politici, tra cui naturalmente il diritto di voto. A fronte del numero sempre crescente di persone escluse dal diritto di voto nei vari Stati membri, si può ben affermare che “un diritto di voto sottoposto alla sovranità nazionale, si trova ad avere un effetto marginalizzante ed escludente, invece di un effetto inclusivo nei confronti della società“ (Rosenberger/Seeber 2008, 40). Questo è il motivo per cui si fa ripetutamente riferimento alla necessità di passare, per il diritto di voto, dal criterio della cittadinanza a quello della residenza. I tentativi di ampliare il diritto di voto ai residenti (ricordiamo i casi di Amburgo, dello Schleswig-Holstein o di Vienna, come pure quelli di Genova, Torino e di altre città italiane) sono stati finora sempre respinti dalla giurisprudenza.

Ma in realtà, a livello europeo, il nodo fra cittadinanza e diritto di voto è stato sciolto da tempo: il Trattato di Maastricht (1992), infatti, introduce la cittadinanza dell’Unione, che spiana la strada al diritto di voto negli Stati membri. Oggi infatti i cittadini europei, a qualunque Stato membro essi appartengano, hanno diritto di voto (in ogni Stato membro) attivo e passivo sia per le elezioni comunali che per quelle del Parlamento europeo1.

Questo ampliamento del diritto di voto ha di fatto portato alla creazione di due distinti gruppi di non-cittadini: da una parte i cittadini dell’Unione europea (provvisti del diritto di voto) e dall’altra i cittadini degli Stati terzi, che ne sono privi. Si tratta naturalmente di una disciplina generale, che conosce differenze a livello di singolo Stato membro, ma in linea di principio questa nuova filosofia, di cui l’Unione europea si è fatta portatrice, ha prevalso.

Per quanto riguarda invece i cittadini di Paesi terzi, i singoli Stati membri applicano strategie diversificate. Diversi di questi Paesi si trovano, nella loro politica di integrazione, in contrasto con quanto Robert Dahl affermava già nel 1961, e cioè che le pari opportunità nella partecipazione e l’accesso alla sfera politica rappresentano un presupposto normativo che incontra il consenso dei cittadini (Dahl 1961).

Numerose indagini continuano a dimostrare che questa modalità di partecipazione ha effetti favorevoli sull’integrazione (Vermeulen 2006, 667-695). A questo proposito è possibile distinguere fra partecipazione diretta e indiretta. Quest’ultima si verifica essenzialmente attraverso strutture intermedie, cioè organizzazioni a cui le persone possono aderire indipendentemente dalla loro cittadinanza (come ad esempio le organizzazioni sindacali), oppure attraverso raggruppamenti organizzati essenzialmente su base “etnica” e che mantengono i contatti fra stranieri appartenenti a determinate comunità nazionali (Pilati 2010). La partecipazione diretta, invece, dipende dal possesso della cittadinanza e quindi del diritto di voto, ad essa collegato.

Una forma intermedia di partecipazione è rappresentata dalle Consulte degli stranieri: si tratta in sostanza di organizzazioni di rappresentanza “etnica” che, in mancanza del diritto di voto, vengono costituite attraverso un procedimento elettorale che coinvolge unicamente stranieri. Le Consulte vengono create soprattutto a livello comunale (anche se non mancano esempi a livello provinciale), allo scopo di fornire un canale di rappresentanza agli interessi degli stranieri residenti localmente, e assistono il Comune, con funzioni unicamente consultive, in tutte le questioni che riguardano gli stranieri. Oltre a ciò, le Consulte servono anche da foro di discussione per stimolare lo scambio di informazioni fra la cittadinanza straniera extra-UE e i rappresentanti politici locali, come pure i contatti con i residenti autoctoni. (Unterthurner 2009, 116). Tutto ciò dovrebbe servire ad ammorbidire il deficit democratico generato dalle politiche restrittive che diversi Stati perseguono in materia di cittadinanza.

Questi organismi consultivi sono presenti negli altri Stati membri dell’Unione europea già a partire dagli anni ’60 e ’70, a livello nazionale, regionale e soprattutto comunale (Martiniello 1999), come ad esempio in tutti i Länder della Germania, dove le Consulte sono in parte associate ad organizzazioni regionali, ma anche in Svezia, Danimarca, Paesi Bassi (dove gli stranieri residenti da un certo numero di anni, godono del diritto di voto già dall’inizio del XIX secolo), oltre che in Belgio, Francia, Irlanda, ed in alcuni cantoni svizzeri. La base giuridica di questi organismi la ritroviamo nella Convenzione del Consiglio d’Europa (del 1992, ma entrata in vigore nel 1997) sulla “partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale”, che impegna gli Stati firmatari ad incoraggiare ed agevolare la costituzione di determinati organi consultivi o l’attuazione di altre adeguate disposizioni a livello istituzionale al fine di una adeguata rappresentanza dei residenti stranieri nelle collettività locali che hanno nel proprio territorio un numero significativo di residenti stranieri (Consiglio d’Europa 1992, art. 5).

Nonostante questi sforzi, le Consulte restano in definitiva una soluzione transitoria, in attesa dell’ottenimento della cittadinanza. Anche questa, però, non è regolata dappertutto secondo gli stessi principi e gli stessi criteri. Se guardiamo infatti, al numero di anni di residenza necessari per ottenere la cittadinanza nei diversi Stati membri, notiamo differenze sostanziali. Attualmente il Belgio è il solo paese che “si accontenta” di tre anni (Königreich Belgien 2010) seguito dalla Francia (ed altri otto Stati membri) con cinque. In Germania sono necessari otto anni, mentre dieci sono richiesti da Austria, Spagna e Italia (European Union 2010).

Un dato significativo per le politiche di integrazione ci viene fornito anche dal numero delle naturalizzazioni negli Stati membri. A partire dal 2001, circa 5,5 milioni di persone (di cui il 90 % non comunitarie) hanno ottenuto la cittadinanza di uno Stato membro (Vasileva 2010). Le naturalizzazioni di cittadini stranieri in Italia sono state 40.084 nel 20092, contro le 129.255 del Regno Unito, le 137.320 della Francia, le 84.170 della Spagna e le 94.470 della Germania (Sartori 2010)3.

2. Le migrazioni in Italia e in Alto Adige

Nello studio delle migrazioni il primo elemento che salta all’occhio è che queste si verificano anche in paesi che nel passato erano classici territori di emigrazione, fra cui naturalmente troviamo l’Italia. Oggi questa tendenza appare rovesciata, e la stessa Italia è diventata punto di approdo di migranti stranieri, come dimostra il fatto che soltanto negli ultimi cinque anni il numero degli stranieri presenti è più che triplicato.

Nelle politiche di immigrazione l’Italia si caratterizza per un atteggiamento piuttosto restrittivo, come si può facilmente constatare nel caso dell’acquisto della cittadinanza. La prima legge in proposito risale al 1912, e si è dovuto attendere fino al 1992 per la prima riforma. L’elemento essenziale della riforma riguarda l’acquisto originario della cittadinanza: mentre il criterio dello ius sanguinis rimane dominante, l’elemento dello ius soli viene applicato soltanto in alcuni casi eccezionali. Accanto all’acquisto c.d. originario, l’ordinamento prevede anche quello derivativo, per il quale è necessaria una permanenza minima nel territorio dello stato, oltre all’assenza di determinate condanne (art. 6), un livello di reddito minimo e l’osservanza delle leggi in materia fiscale.

In assenza di una regolamentazione per il diritto di voto dei cittadini non comunitari, questi beneficiano dal 1986 dell’alternativa costituita dagli organi consultivi, i quali dovrebbero perseguire sia l’obiettivo della partecipazione che quello della rappresentanza politica dei cittadini stranieri, e fungere in sostanza da foro democratico fra i rappresentanti politici eletti e i residenti appartenenti a paesi terzi, cioè i cittadini non comunitari.

Il primo di tali organismi risale dunque al 1986, quando venne creata la Consulta per i problemi dei lavoratori dei paesi non comunitari e delle loro famiglie (legge 943/1986, art. 2, co. 1), cui nel 1998 fecero seguito due ulteriori organismi consultivi sul fenomeno migratorio4, con ramificazioni provinciali5. Questi organismi però, alla prova dei fatti non hanno dato buoni risultati (Attanasio 2005)

Di tutt’altro tipo sono invece le Consulte stranieri, per la cui creazione i Comuni italiani hanno avuto un ruolo pionieristico nel processo di inclusione degli stranieri. In tal modo, la dimensione comunale si è rivelata essere un attivo campo di sperimentazione, articolato sulla compresenza di interessi sociali e politici diversi (e non di rado contrastanti), che hanno così trovato uno spazio per il dialogo e il confronto fra le istituzioni e gli esclusi dal mondo della politica. Anche in questo caso la base giuridica è rappresentata dalla già citata Convenzione di Strasburgo del 1992, che ha ricevuto interpretazioni diverse da parte dei Comuni italiani. Nella prassi comunale, infatti, si sono cristallizzate due differenti forme di rappresen­tanza degli stranieri: da una parte i consiglieri aggiunti, e cioè uno o più cittadini stranieri che, appunto si “aggiungono” (con funzioni meramente consultive) al Consiglio comunale eletto, e dall’altra le Consulte, organismi consultivi collegiali composti di cittadini stranieri, nominati o eletti con modalità diverse da Comune a Comune.

Il primo Comune a darsi una Consulta stranieri nominata è stato Torino nel 1987, cui ha fatto seguito Nonantola, un piccolo centro di 14.000 abitanti in provincia di Modena, dove nel 1994 è stato eletto il primo consigliere aggiunto. Negli anni successivi diverse altre città italiane (Modena, Reggio Emilia, Ancona, Roma, etc.) si sono poi dotate dell’una struttura o dell’altra (Unterthurner 2009, 120-121). Anche le città di Bolzano e Merano sono presenti dal 2004 in questa lista.

La Provincia Autonoma di Bolzano è l’unica, fra le regioni e province autonome italiane, a non disporre ancora di una propria legge sull’integrazione, anche se essa è stata espressamente prevista dal legislatore nazionale ed altre regioni dispongono di una tale normativa da vent’anni. La questione della legge provinciale sull’integrazione degli stranieri è da tempo sul tavolo della Giunta, che nel mese di gennaio 2011 è riuscita ad approvare un apposito disegno di legge, attualmente in discussione nel Consiglio provinciale (febbraio 2011). D’altra parte, le situazioni migratorie dell’Italia e del Sudtirolo sono in una certa misura comparabili, dato che entrambi sono stati terre di emigrazione fino agli anni ’60, quando i sudtirolesi di madrelingua tedesca andavano a cercare lavoro in Germania, Svizzera ed Austria. Fu soltanto negli anni ’70, che, grazie in parte al Secondo Statuto di Autonomia, il budget e le competenze della Provincia Autonoma crebbero considerevolmente, provocando un’inversione di tendenza, e trasformando l’Alto Adige da terra di emigrazione in importatore di forza lavoro.

Il numero di cittadini stranieri che vivono e lavorano nella provincia è cresciuto costantemente negli ultimi anni. Mentre negli anni ’70 e ’80 le immigrazioni dall’estero e le emigrazioni all’estero erano più o meno equivalenti, nei decenni successivi si è assistito ad un progressivo aumento delle prime rispetto alle seconde.

Al 31.12.2009 la popolazione complessiva della provincia è di circa 503.000 persone, 39.156 delle quali stranieri residenti. Questa cifra rappresenta una crescita del 7,9 % rispetto al 2008, ed è composta da circa 12.500 cittadini di uno Stato membro dell’UE e circa 26.500 cittadini non comunitari. Oltre due terzi (il 67,1 %) è composto di europei, mentre i migranti di origine asiatica sono quasi 6.000 (15,2 %), e 5.000 gli africani (12,8 %).

Il numero di residenti stranieri è aumentato di quasi otto volte rispetto al 1990, quando i cittadini stranieri erano 5.000. Da circa due anni il numero assoluto delle nuove migrazioni è leggermente in calo (il 2007 ha fatto registrare il maggior numero di ingressi, circa 5.000) ma è ancora presto per parlare di un’inversione di tendenza.

Sempre nel 2009, i residenti stranieri rappresentavano il 7,8 % della popolazione della provincia, un valore leggermente maggiore della media nazionale, che si attesta sul 6,2 %, ma più bassa dei valori registrati in Austria e Germania, rispettivamente 10 % e 8,8 %. Per quanto riguarda la naturalizzazione, negli ultimi 10 anni 1.700 stranieri in Alto Adige hanno acquisito la cittadinanza italiana.

Per quanto riguarda la ripartizione territoriale interna alla provincia, oltre due terzi degli stranieri sono concentrati nei comprensori di Bolzano, Burgraviato e Oltradige-Bassa Atesina. Nel capoluogo, su circa 103.000 abitanti complessivi, al 31.12.2009 gli stranieri erano poco più di 12.500, di cui 2.350 comunitari e oltre 10.000 non comunitari, con un’incidenza del 12,1 %.

Per quanto riguarda i paesi di provenienza, a livello provinciale il primo posto spetta all’Albania, con oltre 5.000 presenze, seguita dalla Germania (circa 4.500) e dal Marocco (oltre 3.000). Le diverse nazionalità presenti in provincia di Bolzano nel 2009 sono 126. Quasi un terzo (32,0 %) vive a Bolzano, seguita da Merano con il 13,5 % e da Bressanone con il 4,9 %. L’incidenza, invece, è del 12,1 % a Bolzano e del 14,0 % a Merano. Nella maggior parte dei Comuni della provincia (94 su 116) l’incidenza è minore della media provinciale (7,8 %), e in 13 di essi si trova, con valori inferiori al 2 %, decisamente sotto la soglia della percezione. Le ragioni della rapida crescita naturale della popolazione di origine straniera risiedono essenzialmente nell’elevata natalità (17,6 %, contro il 9,9 % della popolazione autoctona) e nel tasso di mortalità contenuto (1,9 % rispetto all’8,0 %). Ovviamente, queste differenze si spiegano più con la diversa struttura dell’età della popolazione straniera che con una loro supposta maggiore propensione ad avere figli (Astat-Info 2010).

Nel corso del 2009, i lavoratori stranieri sono stati circa 28.000, 19.000 in più rispetto a dieci anni fa. Il 15 % dei lavoratori dipendenti in Sudtirolo è straniero, il che rende bene l’idea dell’importanza degli stranieri nell’economia e nella società. Quasi un quarto di questi, inoltre, risiede in provincia da oltre dieci anni. Nei periodi di picco, come ad esempio la raccolta delle mele del settembre 2009, i lavoratori stranieri regolarmente occupati erano circa 40.000. Nello stesso periodo i cittadini italiani iscritti nelle liste di disoccupazione erano meno di 6.000, il che di nuovo testimonia l’enorme importanza dei lavoratori migranti nella nostra provincia (Arbeitsmarkt/Mercato del lavoro 2010).

3. Le Consulte di Bolzano e Merano. Dagli inizi all’istituzionalizzazione

Bolzano è stata la prima città della provincia a dotarsi, nel 2004, di una Consulta stranieri6. Come si è visto, i primi esempi di rappresentanza politica degli stranieri nel resto d’Italia datano dalla seconda metà degli anni ’80. In realtà, il processo che ha portato alle elezioni del 23 maggio 2004 è iniziato diversi anni prima, quando un gruppo di consiglieri comunali ha lanciato l’idea di offrire, nell’ambito del quadro giuridico esistente, una forma di rappresentanza politica ufficiale ai residenti stranieri. Dopo una discussione fra le forze politiche durata diversi anni, nel maggio 2003 il Consiglio comunale ha adottato la delibera contenente statuto e regolamento elettorale della Consulta. La messa a punto di statuto e regolamento elettorale ha richiesto diversi mesi di lavoro di un’apposita commissione, istituita dal Comune e composta di rappresentanti delle associazioni a carattere nazionale e non solo che raggruppano gli stranieri a Bolzano, sindacati, associazioni del terzo settore, Caritas. Con questo approccio, il Comune si è intelligentemente guadagnato l’appoggio dei diretti interessati, che sin dall’inizio hanno sentito la Consulta come una cosa propria, e non un’iniziativa imposta dall’alto.

Lo Statuto approvato dal Consiglio comunale (come pure il regolamento elettorale, che esamineremo più avanti) è il risultato, oltre che del lavoro di ricerca e preparazione effettuato dal gruppo di lavoro, anche dell’inevitabile negoziato politico cui il testo è stato sottoposto. La Consulta viene definita come “organo consultivo del Consiglio comunale, della Giunta comunale e delle Commissioni consiliari”, a cui “può presentare pareri sulle proposte di deliberazione che incidono sulle condizioni degli stranieri a Bolzano e può fare proposte al Sindaco, agli Assessori alle Commissioni consiliari, sempre in merito agli ambiti relativi al mondo dell’immigrazione” (Statuto, art. 2). Nello specifico, la Consulta “promuove e favorisce iniziative e attività volte a favorire l’inserimento paritario degli immigrati […] nella comunità cittadina, ed a prevenire e rimuovere ogni forma di discriminazione” (Statuto, art. 2.2, lett. b). La Consulta ha inoltre una doppia funzione prettamente informativa: da una parte promuove infatti fra gli stranieri la conoscenza delle normative inerenti il soggiorno, l’accesso all’alloggio, al lavoro, alla scuola, etc. e dall’altra diffonde informazioni riguardanti il mondo dell’immigrazione presso l’opinione pubblica, in modo da favorire la conoscenza (e dunque l’accettazione consapevole) del fenomeno migratorio da parte della cittadinanza. Ciò avviene anche attraverso “iniziative volte al rispetto e alla valorizzazione dei caratteri culturali, linguistici e storici delle popolazioni immigrate”, favorendo nel contempo, da parte di queste ultime, “la conoscenza di quelli della popolazione locale” (Statuto, art. 2.2, lett. e).

Come si vede, lo Statuto tratteggia un organo in un certo senso “di raccordo” fra l’immigrazione straniera in città, le istituzioni cittadine e la popolazione autoctona, con il chiaro intento di favorirne l’integrazione reciproca attraverso la conoscenza, l’informazione e l’interazione. Ovviamente, date le note limitazioni imposte dall’ordinamento giuridico nazionale, può solamente trattarsi di un organo puramente consultivo, senza alcun potere decisionale. Va comunque detto che, pur all’interno della funzione consultiva, le prerogative della Consulta possono essere definite con una certa flessibilità, prevedendo accorgimenti di tipo istituzionale per ampliarne il raggio d’azione, pur senza travalicarne la natura.

A questo proposito appare opportuno soffermarsi brevemente su alcune limitazioni del raggio d’azione della Consulta, previste appunto dallo Statuto (come pure, in verità, dagli statuti di numerosi altri organi consultivi in Italia): un primo limite è quello delle “problematiche che rendono difficoltoso l’inserimento delle/degli immigrate/i e delle/degli apolidi nella comunità cittadina” (Statuto, art. 2.2, lett. a). L’azione della Consulta, come già accennato sopra, non deve oltrepassare il limite costituito dagli “ambiti relativi al mondo dell’immigrazione” (Statuto, art. 2.1). Si tratta di un limite piuttosto rilevante, in quanto sottintende che, fra tutti i settori che compongono la vita pubblica di una comunità, ve ne sarebbero alcuni che non riguardano i membri stranieri di quella comunità. Si tratta ad ogni modo di una limitazione facilmente superabile in via interpretativa: non si comprende infatti quali possano essere gli ambiti della vita pubblica di una comunità che non influenzano anche la vita di quanti (come gli stranieri) partecipano legittimamente e a pieno titolo alla vita di questa comunità. Il tentativo di circoscrivere la componente straniera di una collettività in una sorta di “mondo a parte” appare dunque destinato a cadere non appena venga sottoposto al vaglio della logica. Ciò nondimeno, traspare la resistenza ad includere ufficialmente i nuovi cittadini in tutti i settori della vita pubblica cittadina (dalle scuole, ai trasporti, all’edilizia abitativa, alla disciplina del commercio, alla salvaguardia dell’ambiente, etc.) che, ça va sans dire, ovviamente li riguardano, come riguardano tutti gli abitanti della città provvisti di passaporto italiano o europeo.

Un’altra limitazione importante, nonché difficile da comprendere, riguarda le modalità di interazione fra la Consulta e il Consiglio comunale, suo organo di riferimento e, si potrebbe quasi dire, “omologo”. Come si è già notato nella parte generale, esistono fattispecie di “consultative bodies” (anche in Italia) in cui un rappresentante dell’organo (di norma, il Presidente) ha libero accesso alle sedute del Consiglio comunale, della cui convocazione viene regolarmente informato. Questo senza oltrepassare il limite delle funzioni puramente consultive dell’organo, il cui rappresentante partecipa alle sedute del Consiglio comunale con il solo diritto di parola, e non di voto. Il Presidente riveste dunque un ruolo di rilievo e, in sostanza, di portavoce delle posizioni espresse dalla Consulta, in quanto è l’unico soggetto abilitato, a determinate condizioni, a partecipare alle sedute del Consiglio comunale o delle Commissioni consiliari. Queste condizioni, come si è visto, differiscono da Consulta a Consulta. Nel caso di Bolzano il Presidente della Consulta, ricevuta comunicazione della convocazione di uno dei due organi, deve richiedere per iscritto l’autorizzazione a partecipare, e “in relazione ad uno o più punti posti all’ordine del giorno delle assemblee” (Statuto, art. 2.3). In altri termini, il Presidente non ha funzione attiva, ma solo reattiva, in quanto non può proporre autonomamente l’inserimento di un punto all’ordine del giorno, ma solo partecipare (beninteso, con il solo diritto di parola) all’assemblea in virtù di un punto già posto all’ordine del giorno. Lo Statuto prevede altresì l’autorizzazione esplicita alla partecipazione da parte del Presidente della Commissione consiliare o del Consiglio, escludendo implicitamente l’ipotesi del silenzio-assenso. È determinante, a questo punto, la buona volontà del Presidente del Consiglio comunale nel facilitare l’accesso del rappresentante della Consulta alle sedute, facendo ad esempio pervenire la convocazione dell’assemblea in tempo utile per permettere la discussione in merito nell’ambito della Consulta.

In definitiva, si potrebbe dire, prendendo a prestito le parole di Franchi Scarselli (riferite ad altre realtà nazionali), che “emerge un quadro operativo piuttosto debole per quanto riguarda i rapporti con gli organi di governo dell’ente, specialmente se si considerano i sofisticati sistemi elettorali deputati ad eleggerne i suoi membri (di cui infra); ma anche, più semplicemente, tenendo conto che questa amministrazione non era certo tenuta ad istituire la presente Consulta: lascia dunque perplessi osservare come a tale scelta si faccia poi seguire una regolazione che sembra curare piuttosto la preoccupazione di tenerla lontana dalla capacità di manifestare, nelle sedi adeguate, il proprio naturale ruolo di rappresentanza degli interessi di cui è portatrice” (Franchi Scarselli 2005, 45).

Come si accennava sopra, però, talvolta alla rigidità delle norme fa da contrappeso il buon senso di chi è chiamato ad applicarle. Nel caso della Consulta di Bolzano, ad esempio, la Presidenza del Consiglio comunale ha sempre dimostrato una certa apertura nei confronti delle esigenze di informazione e partecipazione della Consulta: “Il Presidente mi informa costantemente dell’ordine del giorno del Consiglio e mi consente di partecipare, insieme alla vice-presidente, ogniqualvolta lo riteniamo opportuno”7.

Molto simile è lo Statuto della Consulta di Merano8, approvato quasi in contemporanea a quello di Bolzano (anche se le prime elezioni si sono tenute alcuni mesi più tardi, alla fine del 2004). Diversamente da quest’ultima, nello Statuto della Consulta di Merano non vi è menzione della possibilità, per il Presidente, di partecipare alle sedute del Consiglio comunale, mentre invece è prevista la possibilità di partecipare (ovviamente senza diritto di voto) alle sedute delle Commissioni consiliari, e ciò senza necessità di un’apposita richiesta. Viene altresì specificato che le “deliberazioni della Consulta […] non sono vincolanti per il Consiglio comunale” (Statuto, art. 9).

Per quanto riguarda i mezzi di funzionamento a loro disposizione, entrambi gli Statuti prevedono la dotazione “di un’idonea segreteria amministrativa, in analogia a quanto previsto per le Commissioni consiliari” (Statuto di Bolzano, Statuto di Merano, art. 10). Lettera morta è invece rimasta finora la richiesta di un gettone di presenza a beneficio dei membri delle Consulte per le loro sedute. Anche qui si tratterebbe di stabilire un’analogia con il funzionamento del Consiglio comunale: il gettone di presenza costituirebbe un incentivo per stimolare la partecipazione attiva alle sedute, considerando che si tratta di tempo sottratto agli impegni lavorativi e familiari. Ad ogni modo, va notato che la questione del gettone di presenza ha sempre costituito una sorta di tabù per i consultative bodies italiani: soltanto la Consulta di Modena, dopo una battaglia durata anni, è riuscita nel 2003 (dopo ben sette anni dalla sua istituzione) a vedersi attribuire dal Consiglio comunale la corresponsione di un gettone di presenza in misura equivalente a quello dovuto ai propri membri.

Nel novembre del 2010, anche il Comune di Salorno, uno dei comuni dell’Alto Adige con la maggiore incidenza di cittadini stranieri in tutta la provincia, attualmente pari al 19,1 % (Astat 2010, 4), ha istituito una “Commissione per l’immigrazione e l’integrazione”: non si tratta di un organismo di rappresentanza degli stranieri, in quanto la presenza “straniera” è limitata ad una persona (su un totale di 12 membri, in gran parte consiglieri comunali), peraltro già provvista di cittadinanza italiana. La Commissione infatti, che viene definita “sostanzialmente un gruppo di lavoro” dalla stessa delibera istitutiva, riveste essenzialmente una funzione informativa e di analisi sulla situazione di Salorno, e l’individuazione di iniziative volte a promuovere l’integrazione” (Comune di Salorno 2010).

4. Sistema elettorale, gruppi politici, programmi, campagna elettorale

Il sistema elettorale è disciplinato in entrambi i casi (Bolzano e Merano) dal regolamento, approvato contestualmente allo Statuto. La Consulta di Bolzano, pensata per essere un organo snello, non può eccedere, secondo lo Statuto, i 20 membri (con un minimo di cinque). Sono previste cooptazioni da parte del Sindaco nel caso in cui uno dei generi o delle aree geografiche non siano sufficientemente rappresentati. Per quanto riguarda le elezioni, non sono previste liste, sia per evitare, per quanto possibile, il tipico raggruppamento su base nazionale, sia dato l’esiguo numero dei votanti. I candidati, quindi (minimo 24) si presentano a titolo personale. È interessante notare che il meccanismo elettorale, con la previsione di un seggio per ogni 300 residenti, impone alle comunità più piccole di creare delle alleanze attorno ad un candidato unitario, che quindi dovrà necessariamente cercare voti di non connazionali.

Questo dovrebbe impedire che i membri della Consulta si considerino rappresentanti unicamente del proprio gruppo nazionale. È comunque altamente probabile che le alleanze più immediate si formino tra appartenenti ad una stessa area geografico-culturale e/o religiosa (ad esempio slavi, o musulmani, o arabofoni), prima che tra gruppi provenienti da regioni e culture completamente diverse ed estranee le une alle altre. Senza quindi cadere nella trappola di considerare gli immigrati come un insieme omogeneo, proprio in quanto stranieri (e quindi in un certo senso contrapposti agli autoctoni), il meccanismo della Consulta di Bolzano cerca di incoraggiare il superamento dell’identità nazionale come unico collante fra gruppi di elettori e candidati, dando quindi spazio alle opzioni politiche e programmatiche degli uni e degli altri.

Gli sbarramenti per la validità delle elezioni sono stati volutamente lasciati relativamente bassi, facendo quindi tesoro delle esperienze spesso non incoraggianti delle altre città italiane, dove la partecipazione al voto non ha superato il 20 %: perché la Consulta sia validamente eletta, bastano infatti i voti del 15 % degli aventi diritto, ma è necessario che donne e uomini costituiscano rispettivamente almeno il 25 % dei membri; i membri della Consulta, inoltre, dovranno provenire da tutte le quattro aree (Africa, America, Asia ed Oceania, Europa) in cui il regolamento elettorale suddivide il mondo. È comunque evidente che una Consulta veramente rappresentativa, agli occhi dei propri elettori ma anche a quelli dei cittadini “autoctoni” e delle stessa amministrazione comunale, dovrebbe poter contare su di una base elettorale ben più ampia.

Diverso è invece il sistema elettorale in vigore per la Consulta di Merano, dove si è voluto riservare un seggio per ogni nazionalità che rappresenti almeno il 10 % degli aventi diritto al voto. Le nazionalità che non raggiungono tale soglia vengono invece raggruppate per aree geografiche, ciascuna delle quali ha anche diritto ad un seggio (Statuto Consulta di Merano, art. 12 e 13). Nella Consulta di Merano è dunque stato chiaro fin dall’inizio che, in base alla presenza straniera in città, l’Albania avrebbe ottenuto due seggi, la Serbia-Montenegro e il Marocco un seggio ciascuno, l’area geografica Europa (non-UE) due seggi, e i restanti tre seggi sarebbero stati assegnati rispettivamente a candidati provenienti da Asia, Africa e America, per un totale di nove membri.

Entrambi gli Statuti introducono poi una riserva per genere: il 25 % per Bolzano, come accennato sopra, e il 30 % per Merano. L’unica differenza di un certo rilievo fra le due regolamentazioni riguarda la capacità elettorale: mentre nel caso di Bolzano è sufficiente essere residenti nel Comune (o anche solo nella provincia per l’elettorato passivo), il regolamento elettorale di Merano ha voluto costituire un corpo elettorale che avesse una maggiore stabilità, riservando il diritto di voto attivo e passivo a coloro che sono residenti da almeno un anno.

Dato il sistema di candidature personali cui si è accennato sopra, la campagna elettorale, pur estremamente limitata, ha assunto per forza di cose soprattutto un carattere di auto-presentazione personale dei candidati, avvenuta soprattutto attraverso i media locali e la realizzazione e diffusione di manifestini da distribuire e/o da affiggere nei luoghi di maggiore affluenza dei potenziali elettori (Pallaver/Attanasio 2004). Scorrendo le presentazioni dei candidati per la Consulta di Merano si nota l’intenzione di trasmettere un messaggio che sia rivolto alla popolazione straniera in generale, evitando accuratamente ogni rischio di cleavage di tipo etnico-nazionale. Casomai, da parte delle candidate, si trova piuttosto un messaggio esplicitamente rivolto all’elettorato femminile. Le parole d’ordine più frequenti sono infatti:

Integrazione sociale degli stranieri

Alloggi con affitti agevolati e garantiti

Conoscenza di diritti e doveri

Creazione di uguaglianza di opportunità nel lavoro

Creazione di un punto di accoglienza e di incontro per donne straniere9

La campagna elettorale di genere ha chiaramente dato i suoi frutti se “nelle elezioni di domenica scorsa (12.12.2004) della Consulta degli stranieri si è rischiato di dover cooptare un uomo nell’organismo”10. La prima Consulta stranieri a Merano è risultata infatti composta da tre uomini e sei donne.

La maggioranza dei candidati 2004 di Merano era composta da persone residenti in Italia e in provincia di Bolzano da diversi anni, spesso con una situazione lavorativa e familiare già consolidata, e con la ferma intenzione di radicarsi nella città. È dunque anche per questo motivo che diversi fra loro, forti di un progetto migratorio riuscito, sono apparsi animati dalla volontà di impegnarsi per rendere più agevole il cammino verso l’integrazione, da diversi punti di vista, dei nuovi arrivati. In un volantino, ad esempio, una candidata dichiarava: “Intendo dedicarmi con tutte le mie forze alla promozione dei diritti sociali dei miei amici stranieri” (Neue Südtiroler Tageszeitung 2004). E di un’altra candidata è stata ripresa la seguente frase: “Intendo impegnarmi per tutti gli stranieri, soprattutto perchè riescano a trovare casa più facilmente, che attualmente rappresenta uno dei maggiori problemi a livello locale” (Neue Südtiroler Tageszeitung 2004a).

Accanto a questi propositi, per così dire internazionalisti, c’è naturalmente anche chi intende in primo luogo impegnarsi per il benessere dei propri compatrioti nella città: “Mi stanno a cuore i miei connazionali”, ha dichiarato ad esempio il candidato Bhatti Nasir Mahmood (Neue Südtiroler Tageszeitung 2004b). Interessante anche notare che chi viene da un paese bi- o multiculturale (come in questo caso l’Ucraina) vuole contribuire allo sviluppo di una società pluriculturale: “Qui ci sono diverse culture che si mescolano fra loro, ed io vorrei fare da ponte fra di esse, e raccontare alla gente di qui un po’ della nostra mentalità” (Neue Südtiroler Tageszeitung 2004c).

Anche fra i candidati di Bolzano le posizioni e i programmi di lavoro sono differenziati; mentre alcuni appaiono soprattutto rivolti alla propria comunità nazionale (“La mia candidatura vuole essere un messaggio per tutta la comunità cinese che vive a Bolzano” oppure: “La comunità latinoamericana è in crescita. Sappiamo inserirci in più contesti lavorativi”) (Conti 2009), altri si rivolgono al tema dell’immigrazione con una prospettiva più ampia: “Vorrei parlare un poco meno di integrazione e un poco più di interazione: non dobbiamo sentirci una parte che va accettata, ma un soggetto attivo della comunità”, oppure: “Mi voglio impegnare per far convivere felicemente tutti i giovani, indipendentemente dalla provenienza etnica” (Conti 2009).

Le particolarità storico-culturali che caratterizzano la provincia di Bolzano rispetto al resto d’Italia non sfuggono agli stranieri residenti: “Per di più i nuovi stranieri sono andati ad inserirsi in un territorio che ha già i suoi problemi storici di integrazione fra ladini, tedeschi e italiani”, ha dichiarato al quotidiano “Alto Adige” un sindacalista bengalese, attivo nel sociale (Zappoli 2004).

La fase pre-elettorale è stata comunque molto partecipata in entrambe le città. Nonostante molti degli stranieri coinvolti avessero perfettamente chiaro che si trattava della creazione di un organo senza poteri effettivi, molti consideravano il fatto di essere per la prima volta chiamati alle urne come un’importante “palestra di allenamento” per il giorno in cui sarebbe arrivato il diritto di voto alle elezioni amministrative, che solo pochi mesi prima, nell’ottobre del 2003, era stato per la prima volta ufficialmente menzionato dall’allora vice-presidente del Consiglio Gianfranco Fini. Per i rappresentanti politici di Bolzano, che hanno voluto la Consulta, si trattava di avere finalmente un interlocutore unico e riconosciuto, per mettere fine all’eterna incertezza di dover trattare con una pluralità di sedicenti rappresentanti degli immigrati.

Ma forse la sfida maggiore era proprio quella di convincere il maggior numero possibile di elettori ed elettrici a partecipare al voto. Alle Giunte comunali di Bolzano e di Merano, che avevano promosso e appoggiato la creazione delle Consulte spesso in polemica con le opposizioni conservatrici, era infatti chiaro che solo una Consulta eletta da una consistente maggioranza di cittadini stranieri avrebbe avuto la necessaria credibilità e legittimazione politico-istituzionale di fronte al proprio elettorato, alle istituzioni comunali e, non da ultimo, nei confronti dell’opinione pubblica autoctona e dei media. È infatti chiaro che, a fronte di una base giuridica non particolarmente solida (soprattutto a livello nazionale), l’elemento della partecipazione assume un ruolo fondamentale nel garantire la futura operatività dell’organismo.

Le percentuali di partecipazione in altre città italiane ed europee non autorizzavano certo grandi entusiasmi, a riprova del fatto che è difficile motivare una parte di popolazione a partecipare in massa ad elezioni che sono di fatto un surrogato di quelle riservate ai cittadini. Per questo si può dire che forse la campagna elettorale più difficile, in cui si sono impegnate le amministrazioni comunali, è stata proprio quella rivolta a tutti gli elettori stranieri per convincerli a partecipare alle elezioni. Entrambi i Comuni si sono avvalsi di consulenze ad hoc per seguire tutte le fasi pre-elettorali insieme all’amministrazione, e soprattutto per organizzare le attività di sensibilizzazione al voto. Si è cercato di raggiungere i potenziali elettori soprattutto attraverso le associazioni di stranieri facenti capo alle differenti comunità nazionali presenti sul territorio comunale: soprattutto a Bolzano si sono organizzate diverse riunioni con le comunità straniere, attraverso la mediazione di un leader da esse riconosciuto, quasi sempre nei luoghi di riunione religiosa (chiese e moschee) per avere la certezza di raggiungere il maggior numero possibile di persone.

A Merano è stata convocata una riunione pubblica (aperta a tutta la cittadinanza, straniera e non) per spiegare le ragioni dell’iniziativa e stimolare un dibattito sul tema della rappresentanza politica e della Consulta. In entrambe le città sono stati invitati rappresentanti di una Consulta italiana (quella di Modena) che può vantare una tradizione fra le più solide a livello nazionale per quanto riguarda consultative bodies di cittadini stranieri, allo scopo di infondere fiducia (sia ai candidati che agli elettori) sul successo di una simile iniziativa anche in Alto Adige, pur senza naturalmente nascondere gli ostacoli insiti in una tale sfida.

E veniamo ai risultati, esemplificati dalla seguente tabella comparativa sulle elezioni del 2004 e del 2009:

Tabella 1: Partecipazione al voto e risultati elettorali 2004 e 200911

Bolzano

Merano

Data

23.05.04

08.11.09

12.12.04

19.04.09

Residenti stranieri

5.660*

11.429**

2.493*

4.962**

Aventi diritto al voto

3.972

7.389

1.269

2.277

Votanti

1.739

1.906

350

510

Affluenza

43,8 %

25,8 %

27,6 %

22 %

Candidati

44

27

18

17

Di cui donne

16

9

7

4

Eletti

16

17

9

8

Di cui donne

6

5

6

2

Fonte: * ASTAT-Info (2004), Ausländer in Südtirol – Gli stranieri in provincia di Bolzano 2003, n. 20, Juli/Luglio 2004; ** ASTAT-Info (2009), Ausländer in Südtirol-Gli stranieri in provincia di Bolzano 2008, n. 35, Juni/Giugno 2009

Come si nota dalla tabella, nelle elezioni del 2004 l’affluenza è stata molto alta nel Comune di Bolzano (una percentuale mai raggiunta in nessun’altra elezione di Consulta immigrati in Italia) ma anche a Merano è stata ragguardevole. La sensibile differenza fra le due è forse da ricercarsi nella diversa consistenza e nel diverso radicamento del fenomeno associativo nelle due città, che, come si è detto, è stato l’elemento principale sul quale si è cercato di far leva per assicurarsi una forte partecipazione da parte del corpo elettorale. Un altro dato che balza all’occhio è la forte differenza nelle percentuali di affluenza fra il 2004 e il 2009. Come si spiega questo forte calo di interesse? “In parte è da attribuirsi alla crisi, al fatto che tanti immigrati, pur essendo ancora registrati a Bolzano, di fatto non erano più sul territorio. Poi, gli immigrati avevano dalla Consulta ben altre aspettative, che non si sono realizzate”, dice il Presidente della Consulta di Bolzano12.

La tendenza al calo nella partecipazione si è avuta anche in molte altre Consulte italiane, compresa quella di Modena (dove la partecipazione è scesa dal 23 % al 15,5 % fra il 1999 e il 2004), il che sta ad indicare una problematica generale, che richiede una riflessione di più ampia portata sull’effettivo ruolo che le Consulte hanno svolto, al di là delle aspettative create nella cittadinanza straniera. In buona sostanza (ma questo lo vedremo meglio nel paragrafo dedicato alle attività) le Consulte, nate su iniziativa degli enti locali per sopperire in qualche modo a quel deficit di democrazia inflitto al Paese dal legislatore nazionale, dovevano idealmente costituire il centro di un sistema di relazioni “a stella” con almeno quattro soggetti della vita pubblica: il Comune, che le ha istituite, la popolazione straniera, che le ha elette, l’opinione pubblica autoctona e, infine, il sistema dei media locali. Da parte dell’ente pubblico è spesso stato commesso l’errore di considerare l’istituzione della Consulta un punto di arrivo, e non di partenza. Ciò in parte è comprensibile, in quanto l’istituzione delle Consulte ha comportato un forte impegno non soltanto istituzionale ed organizzativo da parte della macchina amministrativa comunale, ma anche di natura politica, in quanto ha dovuto scontrarsi con forze politiche assolutamente contrarie (sia a livello locale che nazionale) ad una seppur minima apertura nei confronti dei nuovi cittadini e delle loro esigenze. Oltre a ciò, sia a Bolzano che, soprattutto a Merano, è stato difficile ottenere per la Consulta anche un semplice spazio di lavoro. Ancora a Merano, per diverso tempo non è stato chiaro chi, all’interno della Giunta comunale, fosse responsabile dei rapporti con la Consulta. Anche la negazione del gettone di presenza (cui si è accennato sopra), nonostante le ripetute richieste, non ha certo facilitato i rapporti fra Consulta e Comune. Dalla tabella si nota infatti una consistente diminuzione non soltanto dei votanti, ma anche dei candidati, fra il 2004 e il 2009, a riprova del calo di fiducia dello strumento “Consulta” da parte della popolazione straniera residente nelle due città. Naturalmente le difficoltà non sono mancate neppure da parte dei rappresentanti eletti, provenienti da contesti linguistico-culturali (e di esperienza politica) estremamente differenti; ciò naturalmente ha reso difficoltosa la fase di partenza, costellata com’è di elementi di potenziale conflitto, quali l’elezione del Presidente e l’approvazione del regolamento interno. Da parte dell’elettorato (e quindi della popolazione straniera) si è verificato sicuramente un processo di sopravvalutazione delle potenzialità della Consulta, soprattutto per quanto riguarda la soluzione ai principali problemi pratici (casa e lavoro) che accompagnano costantemente la vita degli stranieri. Anche qui si tratta di un atteggiamento in gran parte comprensibile e forse anche inevitabile, in quanto si trattava della prima occasione in cui agli stranieri veniva chiesto di esprimere la propria opinione su qualcosa che avesse a che fare con l’organizzazione della loro vita e sul loro posto nella società di inserimento. Quello che forse non si è capito, è che la Consulta andava considerata come un semplice forum (pur istituzionalizzato) di discussione, e non come il “parlamentino” degli stranieri. Ma le Consulte, e questo non va dimenticato, non sono delle monadi che operano per proprio conto sul livello locale, ma sono inserite in un sistema nazionale che, come vedremo più avanti, resta altamente limitativo dei diritti dei migranti, e non può quindi non ripercuotersi anche al micro-livello in cui operano i consultative bodies.

5. Il lavoro delle Consulte: processi, politiche, risultati del primo ­periodo di legislatura 2004-2009

Come si è accennato sopra, il compito principale delle Consulte è senz’altro quello di aprire un canale di confronto e negoziato permanente con le istituzioni del territorio che le esprime e con l’opinione pubblica autoctona, oltre che naturalmente di fornire una base di rappresentanza al proprio elettorato straniero. La prima incombenza cui entrambe le Consulte (di Bolzano e Merano) si sono trovate di fronte è stata quella di approvare un regolamento interno per il proprio funzionamento. Al di là delle minuziose regole procedurali necessarie per garantire il corretto funzionamento delle Consulte, entrambi i regolamenti istituiscono apposite commissioni di lavoro tematiche, corrispondenti al programma di lavoro approvato (rapporti con la Questura, per quanto riguarda Merano alloggio, lavoro e formazione professionale, scuola e cultura, comunicazione e cultura, e per quanto riguarda Bolzano immagine, tempo libero e comunicazione, casa/lavori pubblici, commercio, formazione/educazione). Per quanto riguarda nello specifico la Consulta di Merano, l’avviamento delle sue attività è stato seguito per i primi sei mesi da un consulente appositamente incaricato dalla municipalità. Dopo alcuni incontri istituzionali e a carattere informativo, la Consulta di Merano ha avviato una serie di attività a carattere progettuale sul territorio, fra le quali ricordiamo:

Gemellaggio contro il razzismo. La scuola alberghiera “Savoy” di Merano si è rivolta alla Consulta sollecitandone l’appoggio in un gemellaggio con due istituti di Austria e Germania finalizzato a combattere le manifestazioni di discriminazione e razzismo nei confronti degli stranieri. L’apporto della Consulta ha permesso la realizzazione di un certo numero di sagome in legno, realizzate da un artista meranese, raffiguranti i membri della Consulta stessa, che sono state presentate, insieme ad alcuni lavori eseguiti dagli studenti, nel corso di un incontro con il Sindaco presso il municipio.

Progetto doposcuola Sinigo. La Consulta è stata contattata dal Direttore di una scuola media di Merano, a proposito di un progetto di doposcuola interculturale da realizzarsi a Sinigo. Nel corso di alcuni incontri con il personale della scuola si è pervenuti ad un consenso sull’importanza dell’iniziativa, la cui domanda di finanziamento è stata quindi ufficialmente appoggiata dalla Consulta.

Serata informativa per famiglie straniere. La scuola media “Luigi Negrelli” ha chiesto alla Consulta di partecipare ad una serata informativa, da tenersi orientativamente alla metà di maggio, con le famiglie degli alunni stranieri, divise per gruppi linguistici, per affrontare e risolvere problemi di comunicazione creatisi con i genitori degli alunni immigrati.

Progetto affido familiare. La Comunità comprensoriale Burgraviato ha preso contatto con la Consulta con la richiesta di coadiuvare il servizio sociale nel suo progetto di ampliamento del servizio di affido familiare temporaneo a famiglie straniere. La Comunità comprensoriale, di fronte alla necessità di offrire il servizio di affidamento temporaneo anche a minori stranieri, ha deciso di rivolgersi a famiglie straniere residenti a Merano per includerle nel proprio programma e, dopo alcuni incontri formativi, inserirle a pieno titolo nel novero delle famiglie potenzialmente affidatarie. La Consulta assumerà i seguenti compiti:

elaborazione (insieme con i servizi sociali) e traduzione in diverse lingue del volantino/lettera di invito alle famiglie straniere potenzialmente affidatarie; La Consulta assumerà i seguenti compiti:

partecipazione ad un incontro informativo con le famiglie, per l’illustrazione del progetto;

segnalazione ai servizi sociali, di famiglie inadatte a ricoprire il ruolo di famiglia affidataria;

presentazione pubblica comune del progetto.

Successivamente, la Consulta di Merano ha però conosciuto una lunga fase di crisi e di sostanziale stallo, culminata nell’impossibilità di tenere le elezioni, previste per la fine del 2008, per mancanza del numero minimo di candidati stabilito dallo Statuto. Le elezioni sono state dunque posticipate al 2009.

Per quanto riguarda invece la Consulta di Bolzano, il documento programmatico del primo presidente eletto era suddiviso nei seguenti punti:

Immagine degli immigrati, cultura, il cui obiettivo era quello di “organizzare attività culturali, sportive, giornate di ogni paese, feste nazionali e religiose che valorizzino la nostra cultura agli occhi delle comunità locali e contemporaneamente gratifichino la nostra gente”;

Rinnovo dei permessi di soggiorno, ritenuto “un campo in cui impegnandosi è possibile fare qualcosa”;

Casa, per “cercare di fare ciò che è possibile per alleggerire quanto meno il peso di questo problema sulla nostra comunità”;

Lavoro, con l’obiettivo di agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;

Formazione, per creare “un gruppo di lavoro che […] rilevi i loro bisogni in questo campo” (per poi proporre e guidare l’azione formativa in funzione di questi bisogni);

Tempo libero, per “impedire ai vari fenomeni di devianza di annidarsi nella nostra realtà”;

Comunicazione, per “creare una rete d’informazione tramite SMS con tutti gli immigrati della città, per annunciare scadenze, incontri, iniziative, feste, corsi”;

Azioni contro il razzismo, perché “comunicati stampa, denunce e interventi negli organi di stampa scritta ed elettronica non devono essere risparmiati quando si tratta di combattere questi ripugnanti comportamenti”.

Purtroppo una serie di contrasti interni e l’avvicendamento di quattro diversi Presidenti (con orientamenti in parte divergenti) nel corso della legislatura, nonché l’annoso problema dell’assiduità nella partecipazione alle sedute e ai lavori non hanno dato alla Consulta di Bolzano la necessaria continuità per realizzare le attività che si era in principio proposta. Il fatto che dal 2008 sia in carica un nuovo Presidente (riconfermato alle recenti elezioni del 2009 con una larghissima maggioranza di voti) ha permesso di riavviare l’attività della Consulta, partendo da una serie di incontri pubblici di quartiere con tutti gli immigrati residenti nella città, per sondarne le esigenze e portarne la voce nelle istituzioni comunali, dando finalmente attuazione a quel ruolo di tramite per il quale la Consulta è stata voluta e istituita dalla municipalità.

6. La rappresentanza degli stranieri a livello provinciale

Come si è visto dai paragrafi precedenti, le uniche forme di rappresentanza politica finora previste per i cittadini stranieri in provincia di Bolzano sono a livello comunale, e soltanto nelle due maggiori città, mentre manca qualsiasi rappresentanza a livello provinciale. A questo dovrebbe ovviare la nuova legge provinciale sull’integrazione degli stranieri, attualmente in fase di discussione in Consiglio provinciale (febbraio 2011). L’art. 6 del ddl prefigura la creazione di una “Consulta provinciale per l’immigrazione” (Landeseinwanderungsbeirat) che, nell’intento del legislatore provinciale, dovrebbe costituire uno strumento di integrazione e di partecipazione per gli stranieri residenti. In realtà, il ddl approvato dalla Giunta nel mese di gennaio 2011 prevede un organismo di 18 persone (incluso l’Assessore competente, che lo presiede) dotato, al proprio interno, di una forte rappresentanza istituzionale (rappresentanti della Provincia, dei Comuni, della Questura). I membri “italiani” inoltre, sembrano godere di una maggioranza precostituita nei confronti degli otto rappresentanti dei cittadini stranieri, al di là della circostanza che alcuni rappresentanti istituzionali – come i sindacati e il terzo settore – potrebbero essere essi stessi stranieri. Inoltre, dato che per ottenere la convocazione dell’organo è necessaria almeno la metà dei membri, ne consegue che i rappresentanti degli stranieri non possono farlo autonomamente, ma hanno bisogno di stringere di volta in volta alleanze con altri membri dell’organismo.

Al di là dell’assetto organizzativo, anche i poteri della futura Consulta appaiono piuttosto limitati e formulati in maniera vaga: di propria iniziativa la Consulta può presentare proposte sul programma pluriennale (obbligatorio, ma non vincolante, come si deduce dall’art. 4) e sull’adeguamento della normativa provinciale. La Consulta può invece esprimere pareri “su ogni altro argomento inerente l’immigrazione” solo su richiesta della Giunta. In tutti questi casi, i pareri non sono né obbligatori, né vincolanti.

7. Considerazioni conclusive

L’esperienza delle Consulte e, più in generale, degli organismi consultivi degli stranieri, non va considerata come un fatto isolato e a sé stante nel panorama della rappresentanza politica in un determinato Paese, quanto piuttosto come tassello di un mosaico che pavimenta la strada verso la cittadinanza. Gli altri elementi di quella che può essere vista come una progressione sono infatti il diritto di voto e l’acquisto della cittadinanza formale. Ora, in diversi paesi europei (ad esempio la Francia) la negazione del diritto di voto agli stranieri extra-UE è in certo qual modo compensata da un accesso alla cittadinanza relativamente rapido ed agevole. In altri Stati, in cui la naturalizzazione non è altrettanto semplice, vige però il diritto di voto attivo e passivo dopo un certo numero di anni di residenza (solitamente cinque). Esistono poi Stati membri dell’Unione più aperti all’inclusione degli stranieri – almeno dal punto di vista puramente istituzionale, come ad esempio il Belgio – dove sia la naturalizzazione che il diritto di voto amministrativo seguono percorsi abbreviati, rispettivamente di 3 e 5 anni. L’Italia, invece, appartiene purtroppo a quell’altro gruppo di Stati che non solo non concedono facilmente la naturalizzazione (che necessita di una residenza ininterrotta di dieci anni) ma che neppure concedono il diritto di voto a qualsivoglia livello. Gli organismi di rappresentanza politica, lo abbiamo visto, se presi isolatamente non hanno, né potrebbero avere, un forte rilievo nell’assicurare ai cittadini stranieri extra-UE quella voce in capitolo cui hanno diritto nell’ambito del proprio processo di integrazione nella società. Essi acquisiscono la loro importanza come parte di un sistema che porta il cittadino straniero progressivamente dall’iniziale estraneità al sistema cui si avvicina, alla totale e piena inclusione. In altre parole, sarebbe troppo facile – e forse ingiusto – chiedere agli organismi consultivi quel grado di partecipazione che essi, per la propria natura, non sono in grado di dare.

Le Consulte, nel caso italiano, si inseriscono quindi in un sistema di fatto bloccato, in cui al cittadino non comunitario viene negata la possibilità di una progressione verso la partecipazione piena alla vita pubblica del Paese. Se anche il cittadino appena arrivato può partecipare alla Consulta del proprio Comune (ammesso che questo la preveda) dopo tre o cinque anni di residenza non acquisisce alcun diritto di voto (neppure a livello circoscrizionale) e può sperare nella naturalizzazione soltanto dopo un periodo che spesso si allunga fino a 13 o 14 anni di residenza. Anche qui l’analisi deve però essere differenziata, in quanto da parte delle autonomie locali (Comuni, Province, e, in alcuni casi, anche Regioni) vi è stato un esteso movimento, e forti pressioni nei confronti del governo centrale, verso un riconoscimento del diritto di voto amministrativo, che inserisse il processo di integrazione del cittadino straniero in una prospettiva dinamica. Purtroppo, il dibattito a livello nazionale appare, nell’attuale fase politica, congelato, soprattutto per quanto riguarda il tema della cittadinanza e, in misura minore, del diritto di voto per gli stranieri extra-UE. Indicativo di questo disinteresse nei confronti degli organismi di rappresentanza politica degli stranieri il “Manuale d’uso per l’Integrazione”, recentemente pubblicato dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali (Ministero del Lavoro 2009). La corposa pubblicazione, infatti, accanto a temi di sicura rilevanza per gli stranieri, come il lavoro, la casa, il sistema previdenziale ed assicurativo, nonché l’associazionismo, non contiene il minimo accenno a tutta la problematica relativa a Consulte e Consiglieri aggiunti, che pure fanno ormai saldamente parte del panorama istituzionale italiano. In conclusione, possiamo ritenere che gli organismi di consultazione politica degli stranieri in Italia hanno contribuito, nel corso degli anni ’90, a creare un dibattito, fino ad allora inesistente, sui diritti dei migranti, ma anche un importante forum di discussione e, se vogliamo, di democrazia diretta. Si tratterebbe adesso di andare avanti, inserendoli in un sistema organico di diritti che incentivi il cittadino straniero ad assumersi un sempre maggiore grado di responsabilità (attraverso la partecipazione) nella società di inserimento, garantendo nel contempo a quest’ultima un grado di coesione cui difficilmente potrebbe aspirare se continuasse a lasciare diversi milioni di persone prive dei più elementari diritti di rappresentanza.

Note

1 Esistono naturalmente numerose specificità a carattere nazionale, ad esempio per quanto riguarda l’elezione del Sindaco

2 Di cui 17.122 per matrimonio e 22.962 per residenza. Cfr. Ministero dell’Interno (2009).

3 Per la Germania, cfr. anche: 8. Bericht der Beauftragten der Bundesregierung für Migration, Flüchtlinge und Integration über die Lage der Ausländerinnen und Ausländer in Deutschland, Juni 2010, 443. I dati di Regno Unito, Francia, Spagna e Germania si riferiscono al 2008.

4 Si tratta della Consulta per lavoratori immigrati e le loro famiglie e dell’Organismo Nazionale di Coordinamento per le Politiche di Integrazione, entrambe istituite con il decreto legislativo 286/1998, all’art. 42, co. 3 e 4

5 I Consigli Territoriali per l’Immigrazione, istituiti con decreto legislativo n. 286/1998, art. 3, co. 6.

6 La denominazione ufficiale è: Consulta comunale delle cittadine e dei cittadini extracomunitari ed apolidi residenti a Bolzano- Gemeindebeirat der in Bozen ansässigen Nicht-EU-Bürger/-innen und staatenlosen Bürger/-innen, http://www.gemeinde.bozen.it/context.jsp?area=19&ID_LINK=777&page
=2 (16.08.2010).

7 Intervista al Presidente della Consulta di Bolzano, Artan Mullaymeri, 30 giugno 2010.

8 La denominazione ufficiale è: Consulta comunale elettiva per i/le cittadini/e stranieri/e extra UE ed apolidi residenti a Merano-Beirat der in Meran ansässigen Nicht-EU-Bürger/-innen und staatenlosen Bürger/-innen, „ „www.google.it/“ l“hl=it&&sa=X&ei=u0uWTNKEK8yUswaq2PFj&ved=0CBQQBSgA&q=Beirat+der+in+Meran+ans %C3 %A4ssigen+Nicht-EU-B %C3 %BCrgerInnen+und+Staaten
lose+B %C3 %BCrger“ (19.09.2010).

9 Dal volantino elettorale della candidata Aita Samba.

10 In: Dolomiten, 14.12.2004, “Ausländerbeirat – Frauen stechen fast die Männer aus – Der neunköpfige Beirat setzt sich aus sechs Frauen und drei Männern zusammen.”

11 Si noterà una differenza fra il numero di eletti (e dunque di seggi assegnati) da una tornata elettorale all’altra. Nel caso di Merano, ciò è dovuto al fatto che i residenti di cittadinanza marocchina sono scesi al di sotto del 10 % del totale, e quindi non hanno più diritto al seggio previsto dall’art. 12 del Regolamento della Consulta. Per quanto riguarda invece il caso di Bolzano, il nuovo art. 13 del Regolamento ha raddoppiato (da 300 a 600) il numero di cittadini stranieri residenti necessario per ogni seggio. Le modifiche al regolamento elettorale si sono rivelate necessarie per evitare che la nuova Consulta, a causa dell’aumento dei residenti stranieri, avesse un numero troppo alto di membri.

(Cfr. Deliberazione del Consiglio comunale n. 40 del 16.06.2009, prot. 51448)

12 Intervista al Presidente della Consulta di Bolzano, Artan Mullaymeri, 30 giugno 2010.

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Neue Südtiroler Tageszeitung (2004a). “Wohnungsprobleme müssen gelöst werden”. Intervista alla candidata Branka Majkic in: Neue Südtiroler Tageszeitung, 23.11.2004 (“Ich möchte mich für alle Ausländer einsetzen und speziell dafür, dass sie leichter eine Wohnung finden, denn dies ist zur Zeit das größte Problem hier”).

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Neue Südtiroler Tageszeitung (2004c). “Gemeinschaft macht stark.” Intervista alla candidata Oksana Ocheret in: Neue Südtiroler Tageszeitung, 13/14.11.2004 (“Es gibt hier viele Kulturen, die sich vermischen, ich möchte Mittlerin dieser Kulturen sein und den Menschen hier etwas von unserer Mentalität erzählen”).

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Abstracts

Integration und Partizipation:
Die Ausländerbeiräte in Bozen und Meran

Der Beitrag beschäftigt sich mit Fragen der Partizipation als einer der einschneidendsten Maßnahmen für eine schrittweise Integration von AusländerInnen, wie dies zahlreiche Dokumente der Europäischen Kommission immer wieder betonen. Nach einem Überblick über das Ausländer-Wahlrecht auf europäischer Ebene und in Italien wird auf die konkreten Erfahrungen der beiden Südtiroler Städte Bozen und Meran eingegangen. Beide Städte haben im Jahre 2004 nach einer längeren Vorlaufzeit einen Beirat für AusländerInnen eingerichtet. Eine erste Bilanz ist eher ernüchternd. Beim ersten Wahlgang war die Wahlbeteiligung äußerst hoch, genauso wie es die Erwartungen in die Beiräte waren. Eine gewisse Ernüchterung über die begrenzten Aktionsmöglichkeiten der Beiräte hat das Interesse und die Wahlbeteiligung beim zweiten Wahlgang 2009 stark zurückgehen lassen. Der im Jänner 2011 von der Südtiroler Landesregierung eingebrachte Gesetzesentwurf zur Einwanderung sieht einen Landeseinwanderungsbeirat vor, in dem sich die AusländerInnen allerdings in der Minderheit befinden. Insgesamt können Beiräte lediglich Übergangslösungen für eine definitive Einbürgerung sein.

Integraziun y partezipaziun: les consultes di imigrà
a Balsan y Maran

L’articul se dà jö cun la chestiun dla partezipaziun, un di vari plü importanć por l’integraziun dles porsones imigrades da d’atri stać, sciöch’al vëgn tres indô sotligné te tröć documënć dla Comisciun Europeica. Do na panoramica sön i dërć da lité che les porsones imigrades à ti stać europeics vëgnel tut en conscidraziun les esperiënzes fates de chësc vers a Maran y a Balsan. Te trames les citês él gnü metü sö tl 2004, do n tëmp valgamia lunch de preparaziun, na consulta por les porsones imigrades da d’atri stać. N pröm bilanz ti lascia pücia lerch ales ilujiuns. Pro la pröma litaziun di comitês é la partezipaziun ales lîtes stada scialdi alta, sciöche inće les aspetatives da pert dles consultes. Le confrunt cun la realté che impormët püces poscibilitês d’aziun, à fat perde dassënn l’interès por la secunda litaziun tl 2009, olache la partezipaziun é stada scialdi bassa. La proposta de lege sön l’imigraziun che é gnüda portada dant de jenà dl 2011 dal govern provinzial vëiga danfora l’istituziun de na consulta provinziala por l’imigraziun, olache la rapresentanza dles porsones imigrades da d’atri stać foss indere te na posiziun de mendranza. Les consultes po eventualmënter ester soluziuns, mo dessigü ma provisores, sön le tru devers de na „naturalisaziun“ definitiva.

Integration and Participation: local ­consultative bodies in Bozen and Meran

This article throws light on the issue of participation as one of the most important measures towards a smooth integration of migrants, as underlined time and again by many official documents of the European Commission. After an overview of the voting rights for foreigners at the European level, the article brings the concrete example of two local consultative bodies, which were established in 2004 in the South-Tyrolean cities of Bozen and Meran after lengthy preparatory works. A first-hand evaluation of their performance appears rather deceiving: though turnout at the first election (2004) was as high as expected, participation was much lower five years later, probably due to the limited powers of the consultative bodies. A new integration bill presented by the local government in January 2011 foresees a non-elective consultative body for foreign citizens, which is nominated by the government itself, and where migrants’ representatives are in a minority position. All in all, it can be said that, within the present legislative setup, local consultative bodies can only represent a provisional solution on the way towards naturalization.