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Silvia Vogliotti

Politica della famiglia

1. La politica per la famiglia negli ultimi vent’anni in Europa e in Italia

1.1 La politica per la famiglia in Europa negli ultimi vent’anni

Quando si affronta il tema delle politiche per la famiglia in Europa si deve innanzitutto premettere che non esistono competenze comunitarie nell’ambito della politica familiare, anche se sulla carta il tema appare sicuramente attuale e molto scottante. Rispetto alle politiche familiari a ben guardare negli ultimi vent’anni l’Unione europea si è dotata di alcune strutture che si occupano di tematiche familiari, tra cui l’Osservatorio europeo delle politiche familiari nazionali, istituito nel 1989 con il compito di monitorare le tendenze e gli sviluppi delle politiche familiari negli stati membri e di produrre un rapporto annuale. Nell’agosto dello stesso anno la Commissione europea pubblicò un documento, dal titolo “Communication on family Policies” nel quale si sottolineò per la prima volta l’importanza della famiglia, individuando altresì cinque settori su cui l’Osservatorio europeo è chiamato a svolgere uno specifico monitoraggio:

1. l’inclusione e la considerazione della dimensione familiare nella creazione di appropriate politiche comunitarie;

2. la valutazione dell’impatto di altre politiche sulla famiglia;

3. la riconciliazione tra vita professionale, vita familiare e la condivisione delle responsabilità familiari;

4. l’adozione di misure per proteggere certe categorie di famiglie, soprattutto quelle mono-genitoriali e quelle numerose;

5. la protezione speciale verso le famiglie povere.

Nel 2004 però l’Europa rinunciò nel suo Trattato costituzionale a definire la famiglia come istituzione sociale fondamentale per la società europea e lasciò conseguentemente le politiche familiari ai singoli stati membri, evidenziando una gran difficoltà nel regolare la famiglia in senso universalistico. Se si torna indietro di vent’anni non risulta quindi per nulla semplice confrontare le differenti politiche familiari adottate nei paesi dell’Unione, data la loro complessità sia in termini di policy, ma soprattutto per quanto concerne prestazioni in denaro e servizi forniti (Leichsenring 2013, 359). L’Europa, quale entità politica e culturale, mostra da sempre notevoli difficoltà nel concepire la famiglia come una istituzione con precise funzioni sociali. L’Ue – come peraltro ogni singolo Stato membro – attua politiche che influiscono sulla vita familiare (pensiamo alle politiche del mercato del lavoro, della casa o dei servizi per la prima infanzia, tanto per citarne alcune), ma a livello formale ha rinunciato ad adottare politiche per la famiglia in quanto tale, trincerandosi dietro il fatto che la famiglia sia una questiona di scelta di vita privata e non riguarda la sfera pubblica. La famiglia in Europa non viene quindi considerata come soggetto-oggetto di interesse comune, anche se il panorama internazionale ed europeo è ricco di dichiarazioni ufficiali – da parte dei più svariati organismi pubblici – che attribuiscono alla famiglia un ruolo fondamentale nella società. A livello declaratorio l’Unione europea mostra un crescente interesse per la famiglia, ed al contempo, una sostanziale neutralità etica e politica, che spesso si concretizza per lo più in rapporti informativi sulle tendenze in atto (Donati 2012a, 6-9). Alle parole non sono quindi seguiti i fatti e le policies.

Riguardo alle policies possiamo senz’altro affermare che l’Europa non sembra aver incluso la famiglia nelle sue priorità, che poggiano essenzialmente su due diversi pilastri: da un lato, le forze del libero mercato e della concorrenza, e dall’altro l’uguaglianza di opportunità per i cittadini europei. La famiglia non viene menzionata come destinataria diretta di azioni economiche e sociali, così come avviene con riferimento esplicito ad esempio per le pari opportunità.

Le dichiarazioni d’intenti non sono invece mancate. Nell’ultimo decennio un nuovo slancio per le politiche della famiglia a livello di Unione europea lo ha giocato la comunicazione della Commissione europea intitolata “Promuovere la solidarietà fra le generazioni” (COM 2007 244 final), documento che ha esplicitamente indicato la necessità di promuovere politiche pubbliche di sostegno alla vita familiare e, in concreto, ha lanciato la piattaforma della “Alleanza europea per le famiglie”.2 Nello stesso anno anche il Consiglio d’Europa si è interessato alla tematica, sottolineando l’importanza delle politiche favorevoli alla famiglia (2007/C 163/01, Gazzetta ufficiale europea 17.07.2007). Il documento illustra come:

“Nella piena consapevolezza della diversità delle famiglie e delle politiche familiari nell’Unione europea, un migliore sostegno alla famiglia e il miglioramento del benessere dei bambini sono fondamentali per migliorare la qualità della vita e per lo sviluppo economico dell’Europa. Tali misure dovrebbero incoraggiare le pari opportunità per i bambini e i giovani di ogni estrazione sociale in termini di istruzione, formazione e accesso ad una vita lavorativa altamente produttiva e dovrebbero altresì permettere la conciliazione di lavoro, famiglia e vita privata per donne e uomini con responsabilità familiari, migliorando pertanto le possibilità delle imprese europee di trovare lavoratori qualificati” (2007/C 163/01, Gazzetta ufficiale europea 17.07.2007).

L’Alleanza europea per la famiglia, promossa dal Consiglio dell’Unione europea e dai rappresentanti dei governi degli stati membri intendeva offrire una piattaforma virtuale per gli stakeholder (policy maker, amministratori locali, studiosi, associazioni familiari, famiglie ed utenti interessati) attraverso uno spazio interattivo di partecipazione e di scambio di informazioni sui migliori servizi e sulle politiche europee dedicate alle famiglie. Più che di politiche europee sulla famiglia si è quindi trattato sostanzialmente di progettare e sviluppare alcuni organismi di supporto e di informazione in tema di famiglia, anche creando piattaforme virtuali.

1.2 La politica per la famiglia in Italia negli ultimi vent’anni

In Italia gli interventi normativi a favore della famiglia negli ultimi vent’anni sono stati incentrati sulle singole persone: la famiglia è stata, infatti, sempre concepita come una comunità di affetti e non come soggetto a sé stante, quindi pienamente legittimato a godere di diritti di cittadinanza, con una conseguente negazione del suo ruolo pubblico e sociale. Il legislatore italiano a partire dagli anni ’70 ha prodotto una serie di interventi comunque di grande valore a tutela di alcuni aspetti legati alla vita familiare: la legge 1204/71 sulla maternità, la legge 153/88 sull’assegno al nucleo familiare, la legge 125/91 sulle azioni positive per la realizzazione delle pari opportunità uomo-donna, la legge 285/97 per l’infanzia e l’adolescenza, nonché la legge quadro 8 novembre 2000, n. 328 “Per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Nel 2000 è stata la volta della legge 53/2000 concernente “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione, e per il coordinamento dei tempi delle città”, che ha previsto per la prima volta il diritto soggettivo del padre ad un congedo parentale, oltre ad una serie di misure per facilitare la conciliazione tra vita professionale e privata di uomini e donne. Numerose anche le misure contenute in alcuni provvedimenti specifici o nelle diverse leggi finanziarie degli ultimi quindici anni, finalizzate al sostegno della famiglia; si è trattato di interventi di sostegno del reddito, di natura fiscale, socio-assistenziale, nel campo della giustizia, della scuola e della formazione, che hanno però avuto sempre un carattere episodico ed una forte frammentazione, spesso legate a delle emergenze, con una mancanza assoluta di una strategia politica a medio-lungo termine che risulti sia complessiva che sistematica.

Dal punto di vista meramente amministrativo risulta sintomatico che dal 1994 in Italia non vi sia stato mai un ministro della Famiglia con portafoglio. Negli ultimi vent’anni in tredici diversi governi solamente tre esecutivi hanno avuto un ministro per la Famiglia ma senza portafoglio (governo Berlusconi 1 nel 1994-1995, governo Dini negli anni 1995-1996 e governo Prodi 2 nel 2006-2008).3 Nel 2007 il governo Prodi istituì un Ministero delle Politiche per la famiglia e inserì nella legge finanziaria 2007 alcuni interventi a sostegno delle famiglie anche in cogestione con altri dicasteri. L’anno seguente un decreto-legge (D.L. n. 85/2008) ha poi attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri le funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche a favore della famiglia, di interventi per il sostegno della maternità e della paternità, di conciliazione dei tempi di lavoro e dei tempi di cura, nonché delle funzioni di indirizzo e coordinamento concernenti l’Osservatorio nazionale sulla famiglia.

Nel 2009 è nato il Dipartimento per le politiche della famiglia della presidenza del Consiglio dei ministri, i cui compiti sono stati ulteriormente definiti nel 2011. Nell’intento del legislatore esso rappresenta una struttura di supporto per la promozione e il raccordo delle azioni di governo, volte ad assicurare l’attuazione delle politiche in favore della famiglia in ogni ambito e a garantire la tutela dei diritti della famiglia in tutte le sue componenti e le sue problematiche generazionali.4 Il Dipartimento ha l’incarico di occuparsi, con il supporto dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia ed attraverso la redazione del Piano nazionale per la famiglia, dell’elaborazione e del coordinamento delle politiche nazionali, regionali e locali per la famiglia e ne assicura il monitoraggio e la valutazione, nonché il finanziamento delle medesime politiche. Nel 2011 il Presidente del Consiglio Mario Monti affidò al ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione le deleghe sulle politiche giovanili, sulle politiche per la famiglia, sulle adozioni di minori italiani e stranieri, sull’Osservatorio nazionale sulla famiglia, sull’Osservatorio nazionale sull’infanzia e l’adolescenza, sul servizio civile e sull’Ufficio nazionale antidiscriminazione. Nel successivo governo Letta non era presente alcun Ministero della Famiglia, mentre nell’attuale governo Renzi è il Ministro del Lavoro ad avere la delega per la famiglia.

Passando dal piano prettamente politico-ministeriale al piano programmatico nel 2007 fu previsto un Piano nazionale di politiche familiari, di cui all’art. 1, comma 1251, della legge finanziaria 2007 (legge 296/2006), approvato per la prima volta ben cinque anni dopo, il 7 giugno 2012. Tale piano individuava tre aree di intervento urgente: le famiglie con minori, in particolare le famiglie numerose; le famiglie con disabili o anziani non autosufficienti; le famiglie con disagi conclamati sia nella coppia, sia nelle relazioni genitori-figli, e bisognose di sostegni urgenti. Le azioni previste, fra cui si ricordano la revisione dell’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente5), il potenziamento dei servizi per la prima infanzia, dei congedi e dei tempi di cura nonché interventi sulla disabilità e non autosufficienza, verranno adottate all’interno dei piani e programmi regionali e locali per la famiglia, secondo le risorse disponibili. Non furono finalizzati finanziamenti specifici alla realizzazione delle azioni previste. Nel 2006 fu istituito il fondo per le politiche per la famiglia, che può essere ricompreso a tutti gli effetti fra i fondi dedicati alle politiche sociali. Istituito ai sensi dell’art. 19, comma 1, del decreto legge 223/2006 presso la presidenza del Consiglio dei ministri, tale fondo è stato ridisciplinato dalla legge 296/2006 e dal punto di vista dei finanziamenti ha subito fasi alterne. Nel 2010, le risorse del fondo erano pari a circa 185 milioni di euro, ma dal 2011 il fondo ha subito un forte ridimensionamento. Per il 2011, la dotazione iniziale di 52,5 milioni di euro è stata ritoccata al ribasso in più occasioni, determinando una consistenza effettiva del fondo pari a circa 25 milioni di euro. Al contrario, nel 2012 l’importo del fondo, pari a circa 32 milioni di euro, è stato incrementato arrivando a toccare i 70 milioni di euro. Come rinvenibile nella legge di bilancio 2013 (legge 229/2012), le risorse allocate nel fondo per le politiche della famiglia per il 2013 hanno una dotazione pari a 21 milioni di euro, per il 2014 a 22,9 milioni di euro e per il 2015 a 22,6 milioni di euro.6 Gli ultimi paragrafi del Piano nazionale per la famiglia evidenziano che “l’attuale momento di crisi economica in cui versa il Paese non consente di rendere disponibili ingenti somme per realizzare adeguate politiche familiari”. Quindi alle declaratorie programmatiche sull’importanza della famiglia in Italia poi seguono pochi fatti, e ancor meno finanziamenti.

Possiamo quindi affermare che “l’Italia, contrariamente ad altri paesi europei, non ha sinora avuto un Piano nazionale di politiche familiari, inteso come un quadro organico e di medio termine di politiche specificatamente rivolte alla famiglia, cioè aventi la famiglia come destinatario e come soggetto degli interventi. Hanno largamente prevalso interventi frammentati e di breve periodo, di corto raggio, volti a risolvere alcuni specifici problemi delle famiglie senza una considerazione complessiva del ruolo che esse svolgono nella nostra società, oppure si sono avuti interventi che solo indirettamente e talvolta senza una piena consapevolezza hanno avuto (anche) la famiglia come destinatario.” (Malfer 2013, 85-103).

2. L’attuale quadro giuridico nazionale ed europeo

Se da un lato negli ultimi decenni l’Europa esplicita un interesse crescente per la famiglia (Donati 2012b, 172-173), dall’altro esprime attualmente una sostanziale neutralità etica7 e politica, nonché una grande difficoltà nel trovare un consenso sulla progettazione ed implementazione di politiche familiari a livello europeo. In Europa il principio di sussidiarietà viene quindi attualmente interpretato nell’affidare le politiche familiari al più basso livello territoriale possibile, ovvero con un “lasciar fare” che delinea un atteggiamento equivoco dell’Ue sulle tematiche familiari. In quasi tutti i paesi si stanno rilanciando o approntando politiche sociali a sostegno delle famiglie, ma ogni paese decide per conto proprio. In alcuni stati si stanno attuando piani specifici e diretti a sostegno delle famiglie, mentre in altri (come in Italia) le politiche dirette alle famiglie sono ancora generiche e indirette. La famiglia è considerata dall’Ue un tema molto “sensibile” e quindi altamente conflittuale,8 per cui la scelta è stata ed è quella di affrontare il tema in maniera obliqua e indiretta, preoccupandosi delle tematiche familiari da altre angolature. Le “angolature” con cui l’Ue tematizza le politiche per la famiglia sono attualmente il declino demografico,9 il ruolo della donna nel mondo del lavoro e la mancata inclusione sociale degli individui a causa di pesanti carichi familiari.

Negli ultimi anni in molti paesi europei l’approccio alle politiche familiari risulta puramente descrittivo, per cui si eseguono analisi con assunti largamente ideologici,10 che evidenziano sostanzialmente alcuni fenomeni e meno (o per niente) altri, e analisi statistiche che hanno sullo sfondo giudizi di valore – rispetto ad esempio alla definizione di famiglia – e conseguentemente giungono a valutazioni che restano volutamente implicite, per cui non vengono definiti in maniera esplicita gli obiettivi delle politiche.11 Ad oggi sono ben pochi i paesi europei con una esplicita politica per la famiglia “ovvero una serie di programmi di politica sociale, intenzionalmente destinati a raggiungere specifiche finalità riguardanti il benessere familiare” (Saraceno/Naldini 2013, 255). In molti paesi al contrario le misure per le famiglie sono l’esito di politiche che prendono solo implicitamente in considerazione il benessere familiare ed inoltre si caratterizzano per una marcata discontinuità storica delle misure e delle politiche intraprese. L’Italia ricade chiaramente in questo secondo gruppo di paesi.

L’urgenza di un Piano nazionale di politiche familiari è condivisa da chi sostiene che l’Italia si caratterizzi per alcuni profondi squilibri sociali e demografici che hanno il loro fulcro, come causa e come effetto al contempo, le difficoltà di costituire una famiglia e di avere figli delle nuove generazioni, la mancanza di equità fiscale, nonché la drammaticamente crescente fragilità delle reti familiari. Così come si registra unanime consenso sul fatto che tali squilibri richiedano di essere affrontati in maniera sistematica, con chiarezza di obiettivi, specifici criteri di azione, nonché risorse e strumenti adeguati. Da parte degli studiosi si sottolinea che occorre passare da politiche indirette e implicite a politiche dirette ed esplicite, per cui una nuova politica della famiglia dovrà dunque fondarsi su una vera sussidiarietà – riconoscendo il valore sociale dei ruoli familiari – nonché orientarsi verso il raggiungimento di un vero e proprio welfare familiare.

Per l’anno 2014 una misura immediata e diretta a favore della famiglia era quella contenuta nel fondo per i nuovi nati, previsto per tutto l’anno 2014, dalla legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147, articolo 1 comma 201). Nella legge di stabilità 2015 il governo ha previsto un trasferimento di 80 euro per i primi tre anni di vita dei bambini di famiglie residenti sul territorio nazionale – per ogni bambino nato o adottato dal primo gennaio 2015 al 31 dicembre 2017. Il reddito Isee della famiglia non deve essere superiore a 25.000 euro; se l’Isee è inferiore a 7.000 euro annui, l’ammontare del bonus bebè sarà di 160 euro mensili. Si tratta di un contributo pari quindi a 2.880 euro per ogni nuovo nato nei primi tre anni di vita.12 La versione finale della legge di stabilità ha ridimensionato in maniera significativa lo stanziamento rispetto a quanto dichiarato inizialmente in fase di stesura del provvedimento governativo: per il 2015 si tratterà di 202 milioni (mentre ulteriori 298 milioni di euro andranno ad un fondo ad hoc destinato sempre alle politiche familiari). Per il 2016 sono invece previsti 607 milioni, 1.012 per il 2017 e per il 2018, e ancora 607 per il 2019 e 202 per il 2020. La previsione è quindi a salire in maniera progressiva negli anni seguenti ma con uno stanziamento insufficiente comunque a coprire l’intera platea: solo quattro neonati su dieci avranno diritto al bonus per il 2015, diventeranno poi sei su dieci nel 2016 e quasi sette su dieci nel 2017.

Nonostante lo Stato italiano mostri scarso impegno nei confronti della famiglia dal 1989, molte regioni italiane si sono invece attivate, approvando leggi di promozione della famiglia (Donati 2012b, 185-186), cosicché le maggiori innovazioni in Italia sono partite dal livello locale e non da quello centrale, ma con evidenti problematiche rispetto alle risorse economiche che possono venir messe in campo. Tra le regioni (e province autonome) attive il Trentino, che già nel 2007 aveva approvato il Piano di intervento in materia di politiche familiari e nel 2009 si è dotata di un Libro bianco sulle politiche familiari e per la natalità,13 per poi continuare nel 2011 con l’approvazione di una legge per la famiglia e la solidarietà tra le generazioni (L.P. 1/2011). Obiettivo dichiarato è stato qualificare il Trentino come un territorio “amico della famiglia”, secondo un modello e una logica di distretto (Malfer 2013, 94-103; Arena 2013, 104-106). Intento primario è stato quindi quello di introdurre una cultura nuova all’interno dell’amministrazione, creando una nuova formula di management, declinata sulla famiglia: il new public family management (Malfer 2013, 92-94).

3. L’attuale governance delle politiche familiari in Alto Adige

Nella Relazione sociale 2013 la politica per la famiglia in Alto Adige viene così esplicitata nei suoi obiettivi:

“Una politica della famiglia efficace è possibile solo se essa viene intesa come un compito congiunto e trasversale. ‘Congiunto’ significa che non è solo la Provincia a poter e dover migliorare in termini sostenibili la situazione delle famiglie e dei minori, ma che devono parteciparvi anche i comuni, il mondo economico, le associazioni, le strutture educative e le istituzioni. ‘Trasversale’ significa invece che questo compito spetta a tutti i settori politici, dalla politica sanitaria e sociale a quella dell’istruzione, della cultura, della casa e del lavoro, come pure dell’urbanistica e della finanza. […] Una politica della famiglia sostenibile deve esplicarsi in un mix equilibrato di trasferimenti economici, servizi, infrastrutture e politica occupazionale. Per questo la politica altoatesina della famiglia non poggia soltanto sulle prestazioni finanziarie, seppur rilevanti in termini economici per numerose famiglie. Accanto al sostegno materiale alle famiglie con figli svolgono da sempre un ruolo importante in particolare il miglioramento dell’assistenza alla prima infanzia – ­anche e specialmente per migliorare la conciliabilità tra famiglia e lavoro – e gli interventi di consulenza, educazione e accompagnamento familiare” (Provincia autonoma di Bolzano 2013, 57-58).

La governance delle politiche familiari in Alto Adige si basa attualmente sulla nuova legge sulla famiglia. Nella primavera 2013 l’Alto Adige si è infatti dotato per la prima volta nella sua storia di una legge organica sulla famiglia: la legge provinciale n. 8 del 17 maggio 2013 dal titolo “Sviluppo e sostegno della famiglia in Alto Adige”. La normativa locale definisce per la prima volta obiettivi e pilastri della politica per la famiglia in Alto Adige, all’interno di un quadro giuridico che raccoglie in modo organico tutte le misure a favore di genitori e figli, prevedendo un’armonizzazione delle misure di promozione nei vari ambiti familiari – dalla scuola alla sanità, dai trasporti al lavoro – e nell’azione dei soggetti privati e pubblici. L’attuazione di queste direttive verrà coordinata e accompagnata da due nuovi organismi istituiti dalla legge stessa: la consulta e l’Agenzia della famiglia. Inoltre, la nuova legge regolamenta in maniera nuova tutta la tematica dell’assistenza alla prima infanzia, prevedendo sia un ampliamento ed un potenziamento dell’offerta e delle strutture, sia un’armonizzazione delle tariffe delle tre forme di assistenza attualmente presenti sul territorio altoatesino (microstrutture per l’infanzia, asili nido e Tagesmütter) con attribuzione ai comuni della pianificazione dell’offerta per l’assistenza all’infanzia.14

Già dal 2013 è stata inoltre introdotta la “Carta famiglia”, un nuovo servizio digitale attivato sulla Carta servizi che permetterà alle famiglie di beneficiare di sconti in molti esercizi commerciali e imprese di servizio. La legge prevede anche maggiori sostegni finanziari alle famiglie, con il raddoppio dal 1° gennaio 2014 dell’assegno provinciale al nucleo familiare (da 100 e 200 euro al mese) e con il miglioramento delle sicurezze previdenziali per i genitori con bambini piccoli. La procedura e gli specifici criteri per questi finanziamenti alle famiglie – viene esplicitamente affermato a livello politico dagli attuali amministratori pubblici – saranno discussi con un ampio coinvolgimento delle associazioni familiari e del privato sociale che si occupa del tema famiglia, coinvolgimento peraltro già sperimentato in sede di stesura del disegno di legge che ha portato all’approvazione della L.P. 8/2013.

Ma come si è formato in questa specifica occasione il processo decisionale che ha portato nel 2013 alla nuova legge sulla famiglia? Nei mesi precedenti l’approvazione della legge vi è stato un ampio dibattito sulla famiglia con interventi di associazioni, sindacati e partiti sulle varie tematiche previste nel disegno di legge; dibattiti e prese di posizione che hanno confermato come quello della famiglia sia un tema in cui dominano posizioni ideologiche. Sono state avanzate proposte e richieste da molti fronti, in parte anche in (forte) contraddizione tra loro. A livello politico si è quindi scelto un approccio pragmatico, nella considerazione che famiglia oggi significa diversità, dove il legislatore si è dato il compito di affrontare le questioni considerate concrete e vitali dalle famiglie.

Nel dicembre 2012 vi è stata un’audizione davanti alla IV commissione legislativa del Consiglio provinciale da parte di esperti locali e non solo, che hanno relazionato ed espresso la loro posizione sulle varie tematiche relative alle famiglie. Poco prima dell’approvazione della legge è stata inoltre indetta una conferenza della famiglia organizzata dalla Ripartizione provinciale famiglia e politiche sociali, dal Katholischer Familienverband Südtirol (KFS), dall’associazione Haus der Familie e dalla Camera di commercio, i cui destinatari erano collaboratori ed istituzioni operanti nel settore famiglia, rappresentanti politici ed amministrativi, dell’economia e del mondo del lavoro. La conferenza si è sviluppata prima intorno ad alcune relazioni di esperti e poi con alcuni tavoli di lavoro sulla formazione per famiglie e genitori, sulle politiche dei tempi per famiglie15 e sulla conciliazione famiglia e lavoro16.

La legge altoatesina sulla famiglia si propone quali obiettivi ad hoc di:

valorizzare la famiglia in quanto nucleo base della società;

tener conto nello sviluppo di interventi delle diverse forme e fasi della vita familiare;

migliorare a lungo termine le condizioni sociali, economiche e giuridiche delle famiglie e dei bambini per favorire una vita familiare piacevole;

fornire un sistema integrato di interventi a favore delle famiglie;

rafforzare la collaborazione ed il coordinamento nell’ambito del settore famiglia.

L’attuazione della legge sarà a tutti gli effetti un processo pluriennale, con tre obiettivi sovraordinati (tabella 1):

Tab. 1: I tre pilastri della politica altoatesina della famiglia (L.P. 8/2013)

Primo pilastro

Secondo pilastro

Terzo pilastro

Rafforzare precocemente la famiglia e le competenze genitoriali

Migliorare la conciliazione famiglia e lavoro

Sostenere maggiormente le famiglie sul piano finanziario e dei servizi

Il primo pilastro prevede il rafforzamento quanto più precoce possibile della famiglia nel suo insieme e quindi un miglioramento delle condizioni quadro necessarie per garantire un futuro all’istituto della famiglia. Gli interventi che vi ricadono sono: il rafforzamento delle competenze educative dei genitori e degli altri soggetti aventi titolo all’educazione, l’avvio di programmi di educazione dei genitori, la promozione dello scambio tra genitori (per esempio all’interno dei centri genitori-bambini) ma anche il supporto educativo e la consulenza tecnica alle famiglie in condizioni di disagio. La Provincia per questo obiettivo finanzia ormai da anni organizzazioni di pubblica utilità (pubbliche e private) operanti in Alto Adige a mezzo della concessione di contributi per lo svolgimento delle rispettive attività statutarie.

Il secondo pilastro punta ad una maggior conciliabilità tra lavoro e famiglia grazie al potenziamento, previsto dalla nuova legge, della relativa offerta infrastrutturale e di servizi, con particolare riguardo all’offerta di assistenza alla prima infanzia. La nuova legge prevede l’armonizzazione del finanziamento e delle tariffe delle diverse forme di assistenza alla prima infanzia (asili nido, microstrutture e servizio Tagesmütter).17 “Tenendo presente il carattere trasversale della politica della famiglia, l’approccio altoatesino al sostegno della famiglia interviene poi anche sull’ambiente lavorativo ed economico (promozione all’interno delle aziende di una politica del personale orientata alla famiglia e creazione di stimoli finanziari per le aziende; promozione della creazione di strutture aziendali di assistenza)” (Provincia autonoma di Bolzano 2013, 58).

Il terzo pilastro si basa sui trasferimenti economici a favore delle famiglie, tra cui vanno citati l’assegno familiare provinciale e quello regionale a cui si sommano svariati trasferimenti indiretti (finanziamento delle assistenze estive e pomeridiane e scuolabus in particolare per i piccoli comuni e frazioni sparsi sul territorio).

La Giunta provinciale ha quindi puntato con la nuova legge al sostegno precoce alla famiglia ampliando gli strumenti di intervento previsti: il potenziamento delle competenze genitoriali, le iniziative che sottolineano il ruolo attivo dei padri e la loro inclusione nel processo educativo, le attività formative per migliorare le competenze educative del genitore, l’attenzione alle famiglie multigenerazionali, alle forme per conciliare lavoro e famiglia, all’insostituibile presenza del volontariato. Tra i punti qualificanti figura anche il lavoro in rete tra Provincia, comprensori, comuni e altri enti nella gestione dei servizi, strutture che negli ultimi anni si sono ampliate e diversificate.

Stanno procedendo i lavori di attuazione delle nuova legge sulla famiglia: il 15 luglio 2013 la Giunta provinciale ha nominato gli undici componenti della consulta che ha il compito di accompagnare l’attuazione della nuova legge e nel dicembre dello stesso anno è stato approvato dalla Giunta provinciale il regolamento della Consulta.18 La Giunta provinciale – con deliberazione del 2 dicembre 2013, n. 1817 – ha fissato nuove tariffe minime e massime per l’assistenza di bambini da 0 a 3 anni negli asilo nido, nelle microstrutture e presso le assistenti domiciliari all’infanzia (Tagesmütter).19 Nell’accordo di coalizione per la Giunta provinciale 2013-2018 si sono inoltre raggruppate le competenze in materia creando nel gennaio 2014 il Dipartimento per la famiglia e l’Agenzia per la famiglia. Nel febbraio 2014 sono stati approvati dalla Giunta provinciale i nuovi criteri per i contributi alle famiglie (deliberazione del 18 febbraio 2014, n. 174 intitolata “Criteri per la concessione di contributi per lo sviluppo e il sostegno della famiglia in Alto Adige”).

Dopo l’entrata in vigore della legge quadro sulla promozione della famiglia si tratta ora di applicarla con contenuti specifici, e il metodo scelto è stato quello del dialogo. Nella primavera 2014 l’assessora provinciale competente per la famiglia ha lanciato l’iniziativa “Famiglia è dialogo”, con l’obiettivo di ascoltare i desideri, le richieste e le esigenze dei cittadini e degli stakeholders e favorire uno scambio di esperienze in merito ai bisogni reali, proprio per passare dal testo scritto alle misure concrete. Hanno preso parte a questi incontri rappresentanti di enti, organizzazioni, associazioni del settore, professionisti (consultori, Elki, scuole, asili, ecc.) ma anche sindaci e referenti comunali, genitori e futuri genitori, nonni. L’iniziativa è stata promossa in cinque serate su tutto il territorio provinciale ed i risultati di questi dialoghi sono stati presentati il 4 agosto 2014 a Bolzano. Sono emerse tematiche e richieste trasversali al mondo della famiglia raggruppate successivamente in dodici ambiti tematici con settantadue punti specifici. Il documento di lavoro scaturito da questi incontri sarà la base di lavoro della neoistituita Agenzia della famiglia, nata proprio per andare incontro alla richiesta di una piattaforma centrale rispetto alle politiche familiari.

La strategia adottata è quella della prevenzione, con l’obiettivo di sviluppare le competenze genitoriali, relazionali e personali di adulti/genitori e bambini/ragazzi, sviluppare offerte a bassa soglia sulla base delle risorse già esistenti, creando una vasta “rete strategica” interdipartimentale con censimento degli attori principali coinvolti a vario titolo nelle politiche per la famiglia.

A livello politico si punta attualmente su una più stretta e forte collaborazione fra gli enti locali, allo scopo di creare le migliori condizioni di base per un’assistenza all’infanzia che sia mirata, sostenibile e a misura di famiglia. Tutti i progetti attualmente in fase embrionale andranno svolti con il pieno coinvolgimento delle realtà territoriali e nell’agenda politica il rapporto tra Provincia e comuni rappresenta una parte imprescindibile, con l’obiettivo di costituire una rete di iniziative collegate e coordinate fra loro. Ovviamente la sfida per il futuro resta duplice, ovvero riuscire a garantire tariffe sostenibili pur rispettando standard di qualità richiesti dall’ente pubblico.

4. Conclusione: la famiglia è una questione sociale e un investimento nel futuro

Per i prossimi anni a livello nazionale ed altoatesino il nuovo dilemma dovrebbe suonare più o meno così: la famiglia è una questione privata o una questione sociale e pubblica? Ed inoltre: la famiglia va concepita solo come un vincolo ed un costo oppure anche come un valore sociale aggiunto, che va quindi riconosciuto e sostenuto? Rispetto alla seconda questione in Italia non si è ancora ben compreso che le “politiche familiari non sono politiche improduttive, ma investimenti sociali strategici che sostengono lo sviluppo del sistema economico locale” (Malfer 2013, 85), mentre si continua a parlare di famiglia soprattutto di fronte all’emergenza (Padoan 2011, 2) e le politiche familiari vengono ancora viste come una spesa, non come un investimento nel futuro del Paese. Rispetto alla prima questione, invece, bisogna ancora riconoscere appieno alla famiglia che essa rappresenta il “luogo sociale” primario (come peraltro già inserito nell’art. 29 della Costituzione), superando l’ottica che le politiche per la famiglia debbano risolvere i problemi, ma piuttosto cercare di rimettere in moto il “sistema famiglia”. La famiglia non va intesa quale destinatario passivo delle prestazioni, ma come un partner attivo in un percorso di aiuto in cui sia il portatore di bisogni (la famiglia con i suoi diversi componenti) che il prestatore di aiuto (servizi, enti locali, governo centrale, ecc.) progettino e realizzino insieme veri percorsi di emancipazione dalle condizioni di mancanza e di bisogno (Belletti 2013, 331). La famiglia va innovativamente concepita non come un soggetto delegato, ma come un soggetto autore e attore territoriale, uno stakeholder produttivo (Padoan 2011, 7). Il principio del family mainstreaming (Donati 2012a, 3-29) – richiamato nel Piano nazionale delle politiche familiari del 2012 – pone l’accento proprio sul fatto che la famiglia non sia una dimensione privata, ma una risorsa per l’intera collettività (Malfer 2013, 91).

Belletti propone l’intreccio tra sussidiarietà e solidarietà quale elemento essenziale per le future politiche per la famiglia (tabella 2), per cui elemento importante risulta non solo e non tanto chiedere maggiori risorse economiche per le famiglie (che pure sono assolutamente necessarie), quanto sviluppare una prospettiva non assistenziale ma promozionale, non passivizzante ma attiva nelle politiche familiari. I due orientamenti virtuosi che si devono incrociare devono allora essere da parte della famiglia un’inclinazione pro-sociale e da parte delle politiche un approccio promozionale in grado di favorire la “messa in movimento” della famiglia (Belletti 2013, 332).

Tab. 2: Sussidiarietà e solidarietà: un modello interpretativo della relazione famiglia-­società

Sussidiarietà

Assenza

Presenza

Solidarietà

Assenza

A

La famiglia dipende da supporti esterni che però non sono di responsabilità della collettività (intervento assistenziale basato sulla beneficienza privata)

B

Responsabilizzazione delle famiglie, lasciate con scarsi supporti dalla società (auto-aiuto familista individualista)

Presenza

C

Forte intervento sociale su cittadini che ricevono passivamente i servizi (approccio assistenziale basato sull’intervento pubblico, con famiglie passive)

D

Famiglie attive di fronte ai propri bisogni, in un sistema in cui la società ha come obiettivo esplicito il sostegno ai propri membri deboli attraverso la promozione della cittadinanza attiva

Fonte: Belletti 2010, 67.

Le politiche pro-famiglia devono allora diventare politiche universalistiche e non assistenzialistiche, ovvero di lotta alla povertà e al disagio sociale (Malfer 2013, 86-87), tenendo sempre presente che rafforzare le politiche familiari significa aumentare il benessere sociale e rafforzare il tessuto sociale, ridurre la disaggregazione e prevenire situazioni di disagio (Malfer 2013, 85). Le nuove povertà familiari sono soprattutto povertà relazionali (Donati 2012a, 5) che si combattono attraverso la messa in campo di politiche in grado di rendere le famiglie attive di fronte ai propri bisogni, in un sistema in cui la società ha come obiettivo esplicito il sostegno ai propri membri deboli attraverso la promozione della cittadinanza attiva.

Dai vari studi emerge quindi l’esigenza di pensare ad una nuova tipologia di welfare familiare: Donati valuta come largamente deficitarie e fallimentari le attuali politiche per la famiglia in Europa ed in Italia, sottolineando l’esigenza di concepire un nuovo welfare “di tipo relazionale, sussidiario e societario” (Donati 2012a, 15-17), creando le condizioni affinché le famiglie possano generare i loro beni relazionali.

Tab. 3: Il nuovo welfare familiare di Donati

Relazionale

Rivolto alle relazioni familiari e non solo agli individui come tali.

Sussidiario

Che sostiene le domande di servizi da parte delle famiglie e le loro capacità di scelta nella nuova logica delle opportunità, non limitandosi a finanziare l’offerta pubblica di servizi.

Societario

Risorse ed opportunità non derivano solo dagli enti pubblici (Stato ed enti locali) ma anche dai vari soggetti della società civile (imprese, associazioni, organizzazioni di terzo settore, fondazioni, enti privati e di privato sociale) mediante interventi di rete basati sulle partnership fra tutti questi attori pubblici e privati.

Fonte: elaborazione Vogliotti, da Donati 2012a, 15-17.

Compito delle politiche familiari dovrebbe essere quello di creare un contesto sociale family friendly che sappia valorizzare l’essere e il fare famiglia, supportando le famiglie intese come soggetto sociale, integrando le politiche di promozione dell’occupazione femminile e delle pari opportunità con politiche a sostegno delle relazioni familiari, della reciprocità tra uomo-donna e tra le generazioni. È il senso delle “alleanze locali per la famiglia” che intendono coinvolgere attivamente tutti i servizi, le associazioni e il terzo settore della comunità locale. È proprio il livello locale il punto nevralgico da cui far (ri)partire nuove ed innovative politiche per la famiglia, che siano esplicite e vengano altresì pensate per il medio-lungo termine e non solo nell’emergenza. Obiettivo deve essere quello di attivare e sostenere le reti locali passando da una politica della spesa (politics of delivery) a una politica dell’impegno (politics of commitment), che veda una fattiva collaborazione di tutte le istituzioni e i soggetti coinvolti.

Note

1 Ogni eventuale commento rispetto alle politiche per la famiglia riflettono in pieno l’opinione dell’autrice e non rappresentano la posizione ufficiale dell’Ipl, Istituto promozione lavoratori di Bolzano, dove l’autrice lavora.

2 Nota del Consiglio della Ue del 23 maggio 2007.

3 www.governo.it/Governo/Governi/governi.html (14.02.2015).

4 In data 29 ottobre 2009 è stato emanato il decreto di modifica al Dpcm del 23 luglio 2002 recante: “Ordinamento delle strutture generali della presidenza del Consiglio di ministri e rideterminazione delle dotazioni organiche dirigenziali” che contestualmente all’istituzione del Dipartimento per le politiche della famiglia come struttura generale della presidenza del Consiglio ai sensi del suddetto Dpcm, definisce le competenze proprie della medesima. Attualmente il sito del Dipartimento risulta assai scarno e per nulla aggiornato, sintomatico della situazione delle politiche familiari in Italia. Vedasi www.politichefamiglia.it (14.02.2015).

5 L’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) è lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di chi richiede prestazioni sociali agevolate o l’accesso a condizioni agevolate ai servizi di pubblica utilità.

6 Vedasi http://leg16.camera.it/465?area=18&tema=168&Misure+a+sostegno+della+famiglia (14.02.2015).

7 Ovvero si tende ad una concezione di famiglia non segnata da ideologie, ovvero che non prediliga le molte e diverse “visioni” di famiglia.

8 L’Unione europea fatica a trovare un accordo né su che cosa debba intendersi per famiglia, né su quali politiche sociali debbano essere perseguite per sostenerla. Questo crea un profondo disaccordo e quindi aumenta la conflittualità.

9 L’Istituto di politica familiare (Ipf) nel 2007 presentò la “Relazione sull’Evoluzione della Famiglia in Europa 2007” in cui mise in guardia circa “l’inverno demografico” in cui si trova l’Europa.

10 Secondo Naldini e Sareceno il peso e il ruolo della Chiesa, cattolica o ortodossa, a seconda del paese di cui stiamo parlando (Saraceno/Naldini 2013, 256).

11 Le indagini statistiche sulle strutture e i comportamenti familiari sostengono di prendere atto dei fenomeni empirici senza esprimere giudizi di valore, ma effettivamente le analisi statistiche hanno quasi sempre dietro di sé un giudizio di valore. I cambiamenti in atto non vanno valutati formulando dei giudizi moralistici, ma evidenziando dal punto di vista sociologico gli effetti sociali che tali cambiamenti familiari producono, ovvero se creano dei beni relazionali o dei mali relazionali.

12 Articolo 13 della legge di stabilità: “Al fine di incentivare la natalità e contribuire alle relative spese per il sostegno per ogni figlio nato o adottato a decorrere dal 1° gennaio 2015 fino al 31 dicembre 2017, è riconosciuto un assegno di importo annuo di 960 euro erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione”. Inoltre è previsto che l’assegno non concorra alla formazione del reddito complessivo sottoposto a tassazione Irpef e che venga corrisposto “fino al compimento del terzo anno d’età ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione”. Varrà per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro della Ue di cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno, residenti in Italia.

13 Il 10 luglio 2009 la Giunta provinciale, con deliberazione n. 1687, ha approvato il Libro bianco sulle politiche familiari e sulla natalità. Tale documento individua sessanta azioni nell’ambito di dieci ambiti di intervento, per dare risposte concrete alle famiglie affinché possano progettare con serenità la propria vita in una prospettiva di medio/lungo periodo. Il documento è scaricabile dal sito: www.officinafamiglia.it/media/7768/libro_bianco_sulle_politiche_familiari.pdf (14.02.2015). Il sito dell’Agenzia provinciale per la famiglia, la natalità e politiche giovanili: www.trentinofamiglia.it (14.02.2015).

14 Attualmente la Provincia finanzia i servizi alla famiglia (trasporto alunni, edilizia abitativa, assistenza scolastica) con 230 milioni di euro, calcolando anche le misure a sostegno della non autosufficienza e dell’invalidità si arriva a 550 milioni di euro.

15 Trattasi di iniziative atte a promuovere e coordinare meglio l’intera organizzazione temporale delle amministrazioni pubbliche, al fine di perpetrare un progetto diffuso di ricomposizione dei tempi della vita quotidiana. Sono politiche che riguardano ad esempio i tempi della scuola, le vacanze scolastiche, i tempi degli uffici pubblici ecc.

16 Altro attuale punto caratterizzante della politica della famiglia in Alto Adige è rappresentato dall’Audit famiglia e lavoro, attualmente incardinato presso la Camera di commercio: www.camcom.bz.it/it-IT/SVILUPPODIMPRESA/Conciliazione_lavoro_famiglia/audit_famiglia_e_lavoro.html (14.02.2015).

17 Rispetto ai servizi per la prima infanzia dal 1° gennaio 2014 sono state introdotte tariffe uniformi per le diverse tipologie ed è attualmente in corso l’elaborazione del sistema di finanziamento 2015 con il forte coinvolgimento dei comuni.

18 Delibera della Giunta provinciale del 9 dicembre 2013, n. 1871: Approvazione del regolamento della Consulta per la famiglia.

19 A partire dal 1° gennaio 2014 per il servizio di microstruttura ed il servizio di assistenza domiciliare all’infanzia la nuova tariffa minima è di 0,90 euro per ora e la tariffa massima 3,65 euro, con tariffe agevolate per un numero massimo di 160 ore mensili. Per il servizio di asilo nido invece la tariffa minima ammonta a 7 euro/giorno e la massima è di 17 euro/giorno per l’orario ordinario. Quanto paga la famiglia dipende concretamente – come finora – dalla valutazione della situazione economica calcolata in base ai criteri Durp (Dichiarazione unificata del reddito e del patrimonio).

Riferimenti bibliografici

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Abstracts

Familienpolitik

Die Europäische Union hat keine Zuständigkeiten im Bereich der Familienpolitik, weshalb die Familienpolitik den einzelnen Mitgliedstaaten überlassen ist. Die Maßnahmen Italiens zugunsten der Familien waren in den letzten zwanzig Jahren zumeist unsystematische und kurzsichtige Notfallmaßnahmen.

Im Sinne des Subsidiaritätsprinzips ist in Europa die Familienpolitik der niedrigsten möglichen territorialen Instanz anvertraut: In nahezu allen Staaten versucht man, die Familienpolitik zu fördern oder neu zu strukturieren; jeder Staat geht dabei seinen eigenen Weg.

In Italien haben viele Regionen Gesetze zur Förderung der Familien verabschiedet, allen voran die Region Trentino, die sich als besonders familienfreundlich hervortun möchte. In Südtirol basiert die Familienpolitik auf dem neuen und noch umzusetzenden Familiengesetz aus dem Jahr 2013, das die Stärkung der Fami­lie und eine bessere Vereinbarkeit von Beruf und Familie vorantreiben möchte und finanzielle Zuwendungen vorsieht.

In Italien hat man aber noch nicht gänzlich verstanden, dass Investitionen in die Familienpolitik von strategischer und sozialer Bedeutung sind und dass es unabdingbar ist, das familiäre und gesellschaftliche Wohlergehen der Staatsbürger zu gewährleisten.

Family policies

The European Union has not adopted family policies within community competences that are therefore arbitrarily set by the member States. Family favorable interventions in Italy have been limited to fragmented, short-range and emergency actions.

Family policies are granted subsidiarily to the lowest possible territorial level in Europe. Almost all the countries are launching or achieving family policies autonomously.

In Italy, many regions have approved laws to promote the family. Among the most active, the Trentino province wants to qualify its territory as family-friendly. In South Tyrol, family policies are based on a new family law from 2013, still being implemented, founded on the strengthening of the family at an early stage, on the importance of reconciling work and family, and on economic transfers.

What Italy has not yet understood is that family policies are strategic social investments, and that a family welfare of a relational, subsidiary, and societal kind constitutes the foundation for stability.