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Elisabeth Alber e Francesco Palermo*

Democrazia diretta e diritti delle minoranze: due concetti inconciliabili?

1. Introduzione

Il 25 ottobre 2009 si sono tenuti i primi referenda propositivi in Provincia di Bolzano. Si è trattato della prima esperienza di democrazia diretta in Alto Adige, non essendosi in passato mai tenuto alcun referendum a livello provinciale. L’esito delle consultazioni non è stato valido, non essendosi raggiunto in alcuno dei cinque quesiti sottoposti a votazione popolare il quorum del 40 per cento richiesto dalla legislazione provinciale vigente. Il quorum è stato mancato per poco (la partecipazione è stata tra il 37 per cento e il 38 per cento a seconda dei quesiti), e dall’analisi geografica del voto risulta con chiarezza che la partecipazione è stata particolarmente bassa tra la popolazione di lingua italiana. Semplificando un po’, può dirsi che è stata l’astensione della popolazione di lingua italiana a far fallire il referendum.

Un sistema istituzionale e politico disegnato per la tutela dei gruppi è incom­patibile con lo strumento referendario? Scopo di questo contributo è riflettere sui rapporti tra democrazia e garanzia dei gruppi minoritari1, due concetti, almeno prima facie, in contraddizione tra loro, in quanto, in ultima analisi, con la democrazia diretta vince la maggioranza, mentre la tutela delle minoranze è fatta di bilanciamenti e garanzie che superino la consistenza numerica. La ferita ancora aperta del referendum su Piazza Vittoria a Bolzano nel 2002 mostra come le decisioni a maggioranza in contesti etnicamente sensibili possano produrre decisioni imposte dalla maggioranza numerica contro la volontà delle minoranze. Tuttavia, come si vedrà, questa inconciliabilità non appare insanabile, ma può essere almeno in parte ricomposta a condizione di avere presente la potenziale configgente natura degli strumenti e le possibili contraddizioni che ne derivano, e di utilizzare gli strumenti giusti, con i dovuti accorgimenti tecnici. Partendo dalla recente esperienza dell’Alto Adige (cap. 2), si allargherà successivamente lo sguardo ad altri precedenti significativi ed emblematici dell’immanente tensione tra democrazia diretta e tutela dei gruppi minoritari (cap. 3), per poi “filtrare” gli strumenti e le tecniche che vengono in rilievo, e trarre alcune considerazioni di carattere generale (cap. 4). Se ne concluderà che la “variabile minoritaria” è un aspetto fondamentale della democrazia diretta in aree popolate da gruppi minoritari e ancor più in presenza di un sistema istituzionale che di tale presenza tenga conto: occorre pertanto tenerla in debita considerazione (e non cedere a tentazioni maggioritarie potenzialmente facilitate dalla democrazia diretta), anche e soprattutto attraverso il ricorso a contrappesi e guarentigie di natura tecnica.

2. Il referendum propositivo dell’ottobre 2009
nella Provincia autonoma di Bolzano

A seguito della riforma dello Statuto nel 20012, il nuovo articolo 47 c. 2 della Carta fondamentale dell’autonomia altoatesina ha esteso enormemente la portata degli strumenti di democrazia diretta, prevedendo che la legge provinciale, approvata a maggioranza qualificata (cd. “legge statutaria”), dovesse disciplinare, tra l’altro, “l’esercizio del diritto di iniziativa popolare delle leggi provinciali e del referendum provinciale abrogativo, propositivo e consultivo”. A seguito di questa fondamentale innovazione statutaria3, è stata approvata la legge provinciale 18 novembre 2005, n. 11 (Iniziativa popolare e referendum), che ha introdotto e regolamentato, tra l’altro, lo strumento del referendum propositivo a livello provinciale. Sul punto, la normativa provinciale prevede che un disegno di legge possa essere presentato al referendum se sostenuto da 13.000 firme di elettori della provincia e se ritenuto compatibile da un’apposita commissione tecnica4. Il quorum per la validità del referendum è fissato al 40 per cento.

Nel 2006 si sono costituiti tre comitati promotori per cinque diversi disegni di legge di iniziativa popolare. Lo svolgimento del referendum è stato posticipato per la fine della legislatura consiliare (2008), e ritardato all’autunno 2009. Tra le cinque iniziative legislative, due in particolare meritano attenzione in questo contesto, in quanto miranti a introdurre significative riforme alla legislazione provinciale vigente in materia di democrazia diretta.5 Attraverso la democrazia diretta verso la democrazia diretta: con iniziativa legislativa basata sull’attuale legge sulla democrazia diretta si mirava a modificare la stessa legge che consentiva l’iniziativa.

Le iniziative legislative in tema di democrazia diretta miravano a introdurre, quale secondo pilastro del sistema decisionale, la democrazia diretta, accanto a quella rappresentativa.6 Tuttavia, le proposte (in particolare quella più elaborata e tecnicamente sofisticata, quella dell’Iniziativa per più democrazia) non ponevano le medesime garanzie per la salvaguardia dei diritti dei gruppi linguistici in quanto tali, in specie quelli numericamente minoritari, che nel sistema dello statuto speciale sono numerosissime. In altre parole, mentre nel sistema rappresentativo esistono diversi “freni di emergenza” che i gruppi linguistici possono tirare per bloccare o ripensare una decisione che li danneggia7, questo non sarebbe possibile attraverso la democrazia diretta, almeno nella versione proposta dalle iniziative legislative popolari. Si sarebbe così potuta produrre la “maggioritarizzazione” delle decisioni, un sistema difficilmente compatibile con le garanzie previste dallo statuto.

Se da un lato nelle intenzioni dei proponenti c’era probabilmente tutto tranne il problema etnico, proprio un sistema come quello proposto non avrebbe garantito che le decisioni a maggioranza non potessero essere strumentalmente usate a svantaggio dei gruppi minoritari. Mancavano, insomma, garanzie giuridiche contro l’abuso in malafede della democrazia diretta. La proposta dell’Iniziativa per più democrazia escludeva dal referendum le “norme che vietano la discriminazione dei gruppi linguistici”, ma questa esenzione rischiava di divenire una clausola di stile: le norme che direttamente riguardano quest’ambito sono infatti pochissime, e prevalentemente disciplinate con norme di attuazione (comunque sottratte al referendum). La gran parte della disciplina in materia è il prodotto di disposizioni contenute in norme diverse, di difficile individuazione, e quasi tutte potrebbero avere in astratto ripercussioni sui “diritti dei gruppi linguistici”. Chi potrebbe impedire, ad esempio, che si portino in votazione tutte le delibere della Giunta di concessione di contributi ad associazioni riconducibili ai gruppi minoritari, italiano e ladino?

In misura minore, anche le altre proposte potevano potenzialmente incidere sull’equilibrio tra i gruppi linguistici statutariamente riconosciuti – ad esempio quella in materia di edilizia abitativa agevolata: la legge provinciale 17 dicembre 1998, n. 13 in tema di ordinamento dell’edilizia abitativa agevolata prescrive, infatti, un’articolazione per gruppi linguistici, seguendo una ripartizione proporzionale (art. 5 commi 1-5) che non si applica però per le abitazioni assegnate a famiglie rimaste senza tetto (art. 5, comma 3).8

La stessa legge attuale sulla democrazia diretta non prende in considerazione il potenziale impatto delle decisioni democratico - dirette sui rapporti tra gruppi linguistici. La legge del 2005 è, per così dire, etnicamente neutrale, quasi fosse destinata a produrre i propri effetti in un territorio alieno a queste problematiche. Particolarmente delicata risulta in tal senso la composizione della commissione tecnica per i procedimenti referendari di cui all’art. 8 della l.p. 11 / 2005: tale commissione è composta da tre magistrati9 della cui appartenenza linguistica nulla si dice. La legge lascia questo fondamentale aspetto alla decisione del momento, anche se non è difficile scorgere nell’omissione un riferimento implicito alla prassi della proporzionale, che di regola prevede due appartenenti al gruppo tedesco e uno al gruppo italiano (com’è stato in effetti per la commissione istituita per i referenda del 2009).10

In definitiva, più che dare risposte, la tornata referendaria dell’autunno 2009 in Provincia di Bolzano ha sollevato domande e dubbi relativamente al rapporto tra democrazia diretta e tutela delle minoranze. Un problema che si era peraltro drammaticamente posto nel 2002 in occasione del referendum comunale a Bolzano sulla denominazione di Piazza Vittoria – Piazza della Pace, quando su un tema di grande portata simbolica per i gruppi linguistici, il gruppo italiano, dominante a Bolzano, aveva votato in maggioranza per il ripristino del nome di Piazza Vittoria, utilizzando lo strumento referendario come occasione “di rivincita” contro il percepito dominio della componente tedesca, maggioritaria in Provincia ma minoritaria in città.

3. Alcuni altri casi emblematici

Simili problemi non sono affatto nuovi, e si sono presentati in diverse circostanze e con diverse sfaccettature in passato. Una breve ricognizione di alcuni tratti salienti relativi ad alcuni elementi essenziali del rapporto (dal voto dei gruppi minoritari ai quorum fino all’impostazione e alla funzione complessiva della democrazia diretta) può aiutare a meglio cogliere alcuni degli aspetti che una disciplina di questo rapporto dovrebbe tenere in conto.

3.1. Valle d’Aosta

Il primo esempio di rilievo che occorre considerare, perché istituzionalmente più vicino alla Provincia di Bolzano, riguarda il caso della Valle d’Aosta, dove si è tenuta nell’autunno del 2007 una consultazione analoga, con problemi analoghi e con risultati analoghi. Oltre all’Alto Adige, la Valle d’Aosta è infatti l’unica regione italiana il cui ordinamento giuridico conosce l’istituto del referendum propositivo. L’esperienza valdostana è stata dunque il primo caso di esercizio di questo strumento nel contesto italiano, cui è seguito il referendum in Alto Adige di cui si è detto. La legislazione in vigore in quella regione prevede un quorum del 45 per cento per il referendum propositivo, che è stato mancato di molto in Valle d’Aosta (la partecipazione è stata intorno al 27 per cento per tutti i quesiti). La differenza principale rispetto all’esperienza altoatesina riguardava la materia: mentre in Provincia di Bolzano i referenda propositivi riguardavano anche la stessa legge sulla democrazia diretta, in Valle d’Aosta i quesiti del 18 novembre 2007 avevano a oggetto altri temi, essenzialmente la legislazione elettorale regionale (quattro quesiti)11 e la costruzione di un nuovo centro ospedaliero unico (un quesito).

Come e ben più che in Alto Adige, buona parte delle forze politiche ha “boicottato” il referendum, invitando al non voto: in particolare, l’Union Valdôtaine, che da circa 30 anni amministra la regione, ha invitato espressamente all’astensione12, così come Forza Italia e altre liste autonomiste (Fédération Autonomiste e la Stella Alpina). A favore della partecipazione erano stati invece il Partito Democratico, altre forze di sinistra e alcune liste autonomiste “fuoriuscite” dall’Union, Vallé d’Aoste Vive e Renouveau Valdôtain (cfr. Louvin 2007). Anche per l’assenza di rilevazioni ufficiali della composizione etnico-linguistica della popolazione, non è possibile un’analisi in termini etnici del voto. I partiti autonomisti si sono schierati prevalentemente per l’astensione, anche se alcune liste autonomiste minori erano a favore. In questo modo, il fallimento del referendum è stato trasversale rispetto ai gruppi linguistici, e in genere la questione del rapporto tra i gruppi (peraltro complessivamente assai sfumata in Valle) non ha giocato alcun ruolo nel voto. Il problema, tuttavia, potrebbe sempre porsi.

3.2. Svizzera

Un secondo esempio dal quale trarre utili spunti di riflessione è il caso del recente voto in Svizzera sul divieto di costruire nuovi minareti. In generale, com’è noto, l’ordinamento svizzero, a livello federale, cantonale e municipale, è il punto di riferimento naturale per le esperienze di democrazia diretta. Data la sua eterogeneità linguistica e religiosa, si ritiene spesso (ma erroneamente) che la Svizzera rappresenti la dimostrazione di come non vi sia contraddizione tra diffusione della democrazia diretta e garanzia del pluralismo, e che anzi la solidità democratica di quell’ordinamento sia il migliore esempio di come le due cose possano e forse debbano andare di pari passo.13 La situazione, tuttavia, non è così semplice. L’ordinamento svizzero si basa infatti su una stretta applicazione del principio territoriale in materia linguistica14: in questo modo l’effetto della tutela dei gruppi a livello federale è dato, essenzialmente, dalla sommatoria di tanti sistemi puramente maggioritari quanti sono i cantoni.15 In altre parole, la garanzia del pluralismo e del rispetto delle posizioni minoritarie è il prodotto di tanti sistemi che non proteggono giuridicamente le minoranze (salvo, e solo in linea generale, i cantoni multilingue), combinato con una cultura politica consociativa che tende naturalmente ad associare le minoranze (politiche, linguistiche, religiose) nel processo decisionale, senza tuttavia che vi sia un obbligo in tal senso. In definitiva, a ben vedere, è la divisione territoriale del potere a garantire le “minoranze” in Svizzera, e ciò proprio in quanto le minoranze siano strutturalmente soccombenti a livello cantonale e comunale (salvo essere “recuperate” per via politica). Non esiste alcuna garanzia giuridica per la salvaguardia delle posizioni delle minoranze nell’esercizio della democrazia diretta. Anzi, esse sono potenzialmente (anche se non praticamente, a causa della cultura politica, come detto) esposte a rischi enormi per la mancanza di limiti materiali all’esercizio della democrazia diretta, che può riguardare essenzialmente ogni normativa, compresa la materia fiscale, quella penale, la concessione della cittadinanza, la ratifica di trattati internazionali, ecc..

Una dimostrazione di come in Svizzera, nell’esercizio della democrazia diretta, manchi qualsiasi garanzia per le minoranze che non siano politicamente ritenute strutturali al sistema, viene dal voto del 29 novembre 2009. In quell’occasione la maggioranza dei cittadini svizzeri (57 per cento) e dei Cantoni ha approvato l’iniziativa popolare “Contro l’edificazione di minareti”, introducendo così nella costituzione federale (art. 72) il divieto di costruire nuovi minareti. Il paradosso è dato dal fatto che, nonostante il Consiglio federale e il Parlamento avessero ritenuto che l’iniziativa violasse la libertà religiosa e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (oltre a non rappresentare uno strumento efficace nella lotta contro tendenze estremiste), l’ordinamento non consentiva alcun controllo giurisdizionale, né preventivo, né successivo (trattandosi di una revisione costituzionale).

In questo caso, in assenza di una garanzia politica della minoranza interessata (quella islamica, evidentemente non parte della struttura politica consociativa del sistema svizzero), il voto è stato una legittima (per quanto negli effetti brutale) espressione del potere maggioritario. Inoltre, l’analisi territoriale del voto indica anche come il sistema non garantisca giuridicamente neppure le minoranze “tradizionali”, essendo la componente tedesca maggioritaria sia a livello di popolazione, sia a livello di cantoni. E infatti, l’iniziativa ha ottenuto una larga maggioranza nella Svizzera tedesca, ma non in quella francese16 (tradizionalmente più laica)17. Il Cantone in cui maggiore è stato il consenso per la stessa (Appenzell-Innerrhoden, oltre il 70 per cento) è anche quello con la minore presenza percentuale di popolazione di religione musulmana.

In definitiva, il caso svizzero non solo è peculiare in sé e non esportabile in altri contesti, ma dimostra anche, e in modo particolarmente evidente, la forte presenza di una potenziale tensione permanente tra democrazia diretta e diritti delle minoranze, proprio perché non prevede alcun meccanismo giuridico di salvaguardia.18 Il fatto che esistano ampie garanzie politiche per le minoranze (almeno quelle tradizionali) non basta certo a compensare il rischio sempre presente che il potere maggioritario sia usato a detrimento delle minoranze.

3.3. Baviera

Un caso molto diverso e apparentemente non direttamente legato alla tutela di gruppi minoritari è quello che, nel 1998 ha portato all’abolizione in via referendaria del Senato bavarese. L’interesse ai fini di questo studio sta non tanto nel caso in sé, quanto nelle conseguenze di carattere sistemico che ne ha ricavato la Corte costituzionale bavarese, che presentano spunti assai importanti in termini di strumenti utilizzabili per bilanciare la decisione maggioritaria della democrazia diretta con la tutela di posizioni minoritarie.

Nel febbraio 1998, si votò in Baviera su una proposta di legge di iniziativa popolare per la revisione della costituzione del Land, mirante ad abolire il Senato bavarese.19 Una chiara maggioranza di votanti (69,2 per cento) si espresse a favore dell’abolizione della seconda camera del parlamento regionale. Data però la bassa partecipazione al voto (né la costituzione regionale né la legge elettorale prevedevano alcun quorum), in termini assoluti risultava che a favore dell’abolizione del Senato aveva votato solo il 27,3 per cento dei cittadini bavaresi aventi diritto. Contestando la scarsa democraticità di una revisione costituzionale approvata da meno di un terzo degli elettori, il Senato bavarese presentò ricorso alla Corte costituzionale regionale, chiedendo di dichiarare l’invalidità della revisione perché prodotta in violazione del principio democratico. La Corte bavarese20, pur rigettando il ricorso in quanto la revisione si era prodotta nel rispetto della costituzione che prevede la sua modificabilità anche in via referendaria21, ha invitato il legislatore costituzionale regionale a prevedere pro futuro un quorum orientativamente da fissarsi intorno al 25 per cento22 (cosa poi avvenuta), per garantire la rigidità della costituzione anche nel caso di revisioni approvate in via di iniziativa popolare (come del resto previsto in tutti i Länder che riconoscono questa possibilità).23

È interessante notare a questo proposito come per la Corte bavarese il requisito del quorum, sia pure minimo, mira a garantire una maggiore rigidità alla costituzione – creando una sorta di analogia con le revisioni costituzionali approvate in via parlamentare per le quali sono previste maggioranze qualificate – ma non già una maggiore democraticità (come peraltro sostenuto dalla difesa del Senato). L’impostazione aperta della costituzione bavarese nei confronti della democrazia diretta24 fa infatti ritenere che per il costituente qualunque decisione popolare sia di per sé legittima, dovendosi semmai prevedere in talune circostanze un onere della prova della legittimità in capo al legislatore elettivo (con l’introduzione di maggioranze qualificate), ma non già in capo al legislatore popolare. Parzialmente diverso è il discorso per quanto riguarda le firme necessarie per poter richiedere un referendum o per la presentazione di un’iniziativa popolare: in questi casi, per garantire la democraticità della proposta, è sempre previsto un numero minimo necessario. Con i paletti posti dalla Corte costituzionale, dunque, il primato della maggioranza dei votanti non viene messo in discussione, ma nel contempo si introducono garanzie per una rappresentatività minima data da un quorum “ragionevole”.25

3.4. Vorarlberg

In relazione alla portata della democrazia diretta e in particolare all’ambito materiale che essa può coprire – dunque la possibile estensione a materie di interesse diretto o indiretto di minoranze strutturali – una pronuncia fondamentale è venuta dalla Corte costituzionale austriaca, in riferimento a una iniziativa del Land Vorarlberg. Una modifica alla costituzione di quel Land ha fornito l’occasione per una fondamentale pronuncia della Corte costituzionale, che ha chiarito i confini entro i quali può esercitarsi la democrazia diretta nell’ordinamento austriaco (compresi i Länder). Nel 2000 il Parlamento del Vorarlberg aveva introdotto nella costituzione regionale la previsione secondo cui una legge di iniziativa popolare26 (per l’approvazione, l’abolizione o la modifica di una legge regionale), se confermata dalla maggioranza dei cittadini nel referendum, sarebbe entrata in vigore anche contro la volontà della maggioranza del Parlamento.27 Si trattava del primo caso di disciplina costituzionale esplicita dell’ipotesi di un conflitto tra volontà popolare espressa mediante referendum e volontà parlamentare, con la previsione della prevalenza della prima. Adita in via principale, la Corte costituzionale austriaca ha ritenuto che una simile disposizione, prevedendo un modello legislativo popolare diretto, violasse i principi costituzionali della libertà di mandato (art. 56 c. 1 B-VG) e della democrazia parlamentare28, che si impongono ai Länder in virtù dell’omogeneità federale dei principi organizzativi fondamentali.29 La pronuncia della Corte chiarisce dunque che il principio democratico deve intendersi come democrazia rappresentativa proprio in quanto questa garantisce una maggiore tutela contro gli abusi delle maggioranze occasionali, e che in caso di contrasto tra una deliberazione parlamentare e una scelta popolare in via referendaria deve strutturalmente prevalere la prima.

Al di là del caso specifico, ciò che rileva ai fini del presente contributo è l’affermazione della funzione subordinata della democrazia diretta rispetto a quella rappresentativa, proprio in quanto nei meccanismi rappresentativi sono possibili maggiori garanzie a tutela delle posizioni minoritarie (si pensi ad esempio al possibile ricorso costituzionale preventivo da parte di una minoranza parlamentare, previsto proprio dalla costituzione austriaca).

3.5. Cipro

Restando in Europa, ma allontanandosi dall’area alpina e dalle sue (presunte?) peculiarità30, vanno menzionate due esperienze opposte ma entrambe assai significative di impiego di democrazia diretta proprio nel tentativo di risolvere conflitti etnici, che mostrano l’estrema delicatezza del tema: il caso di Cipro e quello dell’Irlanda del Nord.

Cipro è l’esempio emblematico di come la sottovalutazione della necessità di prevedere garanzie giuridiche per le minoranze e l’acritica fiducia nel voto popolare come fonte di legittimazione di qualsiasi decisione possa portare a effetti disastrosi. Nel 2004, il cosiddetto Piano Annan elaborato dalle Nazioni Unite che prevedeva una soluzione alla separazione dell’isola e la ricostituzione di uno Stato (in qualche modo) unificato, fu sottoposta al voto popolare in entrambe le parti dell’isola, il sud a maggioranza greca e il nord turco. Il referendum si svolse alla fine di aprile, pochi giorni prima della prevista adesione di Cipro all’Unione europea (primo maggio 2004), con la nobile intenzione di sfruttare lo slancio dato dall’integrazione europea per risolvere uno dei più complessi conflitti etnici d’Europa (cfr. amplius Poggeschi 2004). Ciò che non si era valutato (o non si era voluto – o potuto – valutare)31 era la mancanza di incentivi per la “maggioranza” a essere generosa nei confronti della “minoranza”. Infatti, si stabilì che la Repubblica di Cipro (in pratica la sola parte sud – greca – dell’isola) sarebbe entrata nell’Unione Europea in ogni caso, indipendentemente dall’esito del referendum. Non sorprende che in questo caso la “maggioranza” (il gruppo più forte, al di là dei numeri, quindi i greci), non vedendo alcun vantaggio nel fare concessioni sia pur minime alla “minoranza” (il gruppo più debole in questo contesto, gli abitanti dall’entità non riconosciuta della repubblica turca di Cipro Nord), abbia respinto il Piano Annan. Il referendum infatti ha ottenuto una maggioranza di voti favorevoli nel nord, ma è stato respinto nel sud. È stato insomma chiaramente utilizzato dalla maggioranza (in questo caso non numerica, in quanto era richiesto il voto favorevole di entrambe le parti dell’isola, ma il gruppo che avrebbe comunque avuto più vantaggi o meno da guadagnare) come strumento per conculcare i diritti e le aspettative della minoranza.

3.6. Irlanda del Nord

Il caso dell’Irlanda del Nord mostra invece come la democrazia diretta possa essere anche strumento di conciliazione tra gruppi. Il cosiddetto “accordo del Venerdì santo” del 10 aprile 1998 rappresenta un importante compromesso politico per (cercare di) porre fine al conflitto interreligioso nell’Irlanda del Nord. Ciò che qui rileva sono le garanzie poste affinché la sua sottoposizione a voto popolare non divenisse l’occasione per la maggioranza numerica (gli unionisti protestanti) di schiacciare la minoranza (i nazionalisti cattolici). L’accordo che il referendum del maggio 1998 confermò (col voto favorevole del 71 per cento, quindi ampiamente trasversale alla composizione religiosa delle contee dell’Ulster) prevedeva proprio la creazione di un sistema di potere condiviso (power-sharing) per il governo delle ripristinate istituzioni devolute, e pertanto dava qualcosa a tutti, pur togliendo qualcosa alle posizioni unioniste più intransigenti, che erano contente del governo diretto fino ad allora esercitato da Londra. Positivo fu il ruolo giocato dalla Repubblica d’Irlanda, dove si votò lo stesso giorno per medesimo il referendum (supportato a schiacciante maggioranza) e per la modifica degli articoli “irredentisti” della costituzione (art. 2 e 3), che prevedevano un obbligo costituzionale alla riunificazione dell’isola (anche questo referendum fu approvato). Il sistema introdotto dall’accordo prevede in particolare che tutte le decisioni più importanti debbano essere prese col consenso di entrambi i gruppi (cfr. Alcock et al. 2003).

3.7. California

L’ultimo esempio di questa serie di casi tutti diversi tra loro ma tutti, per motivi diversi, importanti per il contributo parziale che offrono alla riflessione dei rapporti tra democrazia diretta e tutela delle minoranze è il caso di uno degli innumerevoli referenda votati in California che, com’è noto, è lo stato americano in cui più è diffusa la democrazia diretta, in tutte le materie, compreso il recall delle cariche elettive32, la materia fiscale e penale33, ecc. (cfr. diffusamente Williams 2009 e Donovan / Bowler 1998).

Per quanto qui interessa merita segnalare il caso di un contestato referendum svoltosi nel 1998 sulla legge che mirava a introdurre l’inglese come unica lingua di insegnamento nelle scuole dello Stato (cosiddetta proposition 227). Va ricordato che alla fine degli anni ’80 era scaduta la legge del 1970 che prevedeva la possibilità di istituire scuole bilingui (inglese e spagnolo) in California, e per alcuni anni le prassi sul punto variavano di molto a seconda dei distretti scolastici, ma in molti casi si creavano scuole esclusivamente in lingua spagnola frequentate soltanto da ispanici. L’idea alla base della proposition 227 era quella di passare a un sistema monolingue inglese di istruzione, ritenendosi che ciò avrebbe favorito maggiormente l’integrazione di alunni e studenti non di madrelingua inglese nella società e nel mondo del lavoro.34 Per contro, gli oppositori ritenevano che in questo modo si sarebbe privata la minoranza ispanica di un essenziale diritto quale l’istruzione in madrelingua. Con una certa sorpresa, nel referendum del 2 giugno 1998 il 61 per cento dei votanti confermò la legge, e la gran parte di essi erano ispanici, che hanno dunque optato per il sistema che offriva, ai loro occhi, le migliori opportunità ai propri figli. In un sistema di voto tendenzialmente colour-blind come quello californiano (e statunitense in genere), che non prevede regole speciali per le minoranze e si basa sul “puro” principio maggioritario, la mobilitazione di una minoranza ha consentito di utilizzare il sistema a proprio vantaggio.35

4. Questioni generali e vie d’uscita

L’osservazione di questi fenomeni mostra un quadro complesso, e in generale ovunque potenzialmente problematico del rapporto tra democrazia diretta e tutela dei gruppi minoritari. Tuttavia il solo fatto che si tratti di un rapporto problematico non significa che le due cose siano incompatibili.

Essi lo sono se lasciati a se stessi, se si consente alla democrazia diretta di operare come strumento maggioritario. Ma non lo sono se si assiste la celebrazione della democrazia diretta con garanzie giuridiche e politiche, che impediscano di utilizzare la democrazia diretta contro le minoranze. La democrazia diretta (e, sia pure in modo più sfumato, la democrazia in generale) è un gioco di maggioranze, ma il segreto sta nell’impedire, con strumenti giuridici e qualche volta meramente politici, che le minoranze che occasionalmente si formano in una votazione popolare su una proposizione specifica vadano a coincidere con le minoranze (etniche, linguistiche, religiose) che l’ordinamento tutela.

È evidente che il rischio che questa coincidenza tra minoranza politica nel voto popolare e gruppo minoritario giuridicamente riconosciuto è tanto maggiore, quanto maggiore è la tendenza a votare per linee etniche, linguistiche, religiose, ecc.. In tal senso, l’esperienza californiana mostra che tuttavia anche quando normalmente non si vota per linee etniche, è possibile che ciò accada in specifiche circostanze (tra l’altro per una maggioritarizzazione del gruppo minoritario, che con quel voto ha espresso il desiderio di essere parificato alla maggioranza); per contro, l’esempio nordirlandese mostra che è possibile anche il contrario.

Sotto il profilo giuridico le esperienze della Baviera e del Vorarlberg mostrano che possono prevedersi delle garanzie particolari, come i limiti materiali (esclusione di certe materie dalla sottoposizione a referendum), la prevalenza in caso di conflitto della democrazia rappresentativa che strutturalmente è più adatta alla previsione di strumenti di salvaguardia come i ricorsi di minoranza, la previsione di maggioranze plurime o differenziate, o la calibratura del quorum.36

In definitiva, occorre differenziare, circoscrivere e vigilare se si vuole evitare di perdere i benefici della democrazia diretta a vantaggio della tutela dei gruppi o, per contro, piegare la tutela dei gruppi a rudimentali logiche maggioritarie. O peggio ancora, usare lo strumento della democrazia diretta come vendetta o strumento repressivo nei confronti di gruppi minoritari. Nella crisi crescente della democrazia rappresentativa l’alternativa o almeno il contrappeso dato dalla democrazia diretta è un fattore essenziale e da un certo grado di democrazia dirette non si può prescindere. Ad essa tuttavia sono evidentemente associati dei rischi, sia generali (la storia prova che il popolo non è necessariamente più saggio dei governanti, anzi)37, sia particolari in contesti segnati dalla presenza di minoranze etnico-linguistiche (specie, come detto, se queste votano su base etnica).

Proprio in questo contesto, è fondamentale il contributo degli altri fattori di moderazione, compensazione e contrappeso rispetto al potere degli eletti: se la democrazia diretta è “lasciata sola a combattere” contro le distorsioni della democrazia rappresentativa, aumenta il rischio di derive plebiscitarie. Se invece funzionano altri controlli reciproci (in particolare il controllo giurisdizionale, ma anche il ruolo dei media e le regole giuridiche che disciplinano ad esempio gli obblighi istituzionali di informazione in materia referendaria, e in tutti questi ambiti l’esperienza svizzera ha molto da insegnare) allora la democrazia diretta funziona meglio. Insomma, non può essere un solo elemento a fare il sistema. Sia esso la tutela delle minoranze o la democrazia diretta.

La presenza di una complessità etnico-linguistico-religiosa è indubbiamente un fattore di “complicazione” (specie laddove il voto sia canalizzato in chiave etnica, come in Alto Adige e in molti altri contesti), ma di per sé non è ostativo all’introduzione di elementi democratico-diretti quali elementi moderatori del sistema. Lo è invece rispetto alla democrazia diretta come contrappeso tout court alla democrazia rappresentativa. Insomma, una conciliazione dei due elementi è possibile ed è anzi una sfida di grande interesse. Purché si abbia sempre a mente il problema, le sue possibili distorsioni e gli strumenti esistenti per limitarle.

Note

* Pur nella concezione e nella redazione comuni, i punti 3.1. e 3.2. sono da attribuire a Elisabeth Alber, gli altri a Francesco Palermo.

1 L’accezione del termine “minoranze” in questo contributo richiede di andare al di là della stretta definizione giuridica delle “minoranze nazionali” (nell’ordinamento italiano: minoranze linguistiche, art. 6 Cost. e l. 482 / 1999), altrimenti non potrebbe a stretto rigore parlarsi della popolazione di lingua italiana della provincia di Bolzano come minoranza. Tuttavia, il concetto deve comunque intendersi riferito a gruppi etno-nazionali, linguistici, culturali o religiosi più o meno strutturati e riconoscibili, non bastando il riferimento alle mere minoranze politiche, che inevitabilmente si creano in una votazione di tipo referendario.

2 L. cost. 2 / 2001 (art. 4).

3 Ritenuta da alcuni la maggiore innovazione introdotta, almeno per la Provincia di Bolzano, dalla riforma dello Statuto approvata nel 2001. In tal senso Lausch 2005, 181.

4 Composta da tre magistrati “locali”, su cui v. infra.

5 Le due iniziative in questione, complessivamente abbastanza simili anche se con significative differenze peraltro non rilevanti ai fini del presente articolo, sono state proposte rispettivamente dall’Union für Südtirol (“Proposta di legge provinciale: Il referendum propositivo, abrogativo, consultivo o confermativo, l’iniziativa popolare, referendum sulle grandi opere”) e dall’Iniziativa per più democrazia (“Disegno di legge provinciale sulla democrazia diretta – poteri di indirizzo, potere consultivo, poteri deliberativi”). Le altre iniziative legislative riguardavano rispettivamente l’edilizia agevolata (“Edilizia abitativa agevolata – Precedenza della popolazione locale. Reintroduzione dell’obbligo di residenza quinquennale per poter chiedere il sussidio casa dell’Istituto per l’edilizia sociale ed aumento della durata dell’obbligo di residenza per l’assegnazione di appartamenti d’affitto dell’Istituto per l’edilizia sociale”), la disciplina del tempo libero rispetto alla conservazione del territorio (“Fermiamo la svendita del nostro territorio – Modifica della legge urbanistica provinciale – Disciplina delle residenze di tempo libero”) e il finanziamento pubblico all’aeroporto di Bolzano (“Legge provinciale per la riduzione del traffico aereo”).

6 cfr. la relazione alla proposta di legge di iniziativa popolare sulla democrazia diretta presentata dall’Iniziativa per più democrazia, in cui si legge: “la democrazia diretta rappresenta il necessario completamento della democrazia indiretta, cioè rappresentativa. In mancanza di essa la cittadinanza si trova confinata nel problematico ruolo di mero spettatore della vita politica, se non addirittura sospinta verso l’apatia politica. Senza di essa il potere politico tende a divenire autoreferenziale e, separandosi dai vincoli posti all’atto della delega, tende a sviluppare delle forme autoritarie, legittimandole con la necessità di accrescere l’efficienza dell’azione di governo”.

7 Oltre alle garanzie istituzionali, date dalla composizione delle istituzioni rappresentative, si pensi in particolare ai meccanismi di veto sospensivo sulle leggi (art. 56 statuto) e al ricorso contro atti amministrativi ritenuti lesivi della parità tra i cittadini in quanto appartenenti a un gruppo linguistico (art. 92 statuto).

8 Oltre al problema della differenziazione tra cittadini nazionali e comunitari. Cfr. ex multis la sentenza della Corte di Giustizia (C-388 / 01 del 16 gennaio 2003) in cui si afferma che “risulta del pari dalla giurisprudenza della Corte (v., in particolare, sentenza 5 dicembre 1989, causa C-3 / 88, Commissione / Italia, Racc. pag. 4035, punto 8) che il principio di parità di trattamento, del quale l’art. 49 CE è specifica espressione, vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi, produca, in pratica, lo stesso risultato”.

9 Uno del Tribunale di Bolzano, uno della Sezione di controllo della Corte dei conti avente sede a Bolzano e un magistrato (rectius, consigliere) della Sezione autonoma per la provincia di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa.

10 L’indifferenza etnica della norma rischia di lasciare al mero equilibrio politico del momento la composizione della commissione. Per contro, se la legge prevedesse l’appartenenza necessaria dei componenti, escluderebbe ad esempio il gruppo ladino (non rappresentato in quanto tale negli organismi giudiziari).

11 Le proposte sottoposte a referendum in materia elettorale erano particolarmente significative: si proponeva: 1) la preferenza unica al posto delle preferenze multiple ora in vigore; 2) l’introduzione dell’elezione diretta della Giunta regionale (ad oggi la Valle d’Aosta è, con l’Alto Adige, l’unica regione italiana che preveda l’elezione consiliare del Presidente della Giunta e della stessa Giunta); 3) la previsione dell’obbligo, per le liste partecipanti alle elezioni, di dichiarare preventivamente le alleanze politiche per le quali si candidano, in modo da chiarire preventivamente agli elettori la proposta politica di ciascuna lista; 4) l’equilibrio della rappresentanza tra i generi nelle liste elettorali: su questo la regione era già stata pioniera dopo la riforma del titolo V della Costituzione, quando aveva introdotto l’obbligo per le liste di contenere candidati di entrambi i generi, obbligo che la Corte costituzionale ha ritenuto discendere direttamente dal riformato art. 117 c. 6 della costituzione nella relativa sentenza n. 49 / 2003 (cfr. da ultimo la conferma di questa interpretazione nella sent. 4 / 2010).

12 A differenza, come visto, della SVP, in cui l’astensione è stato l’atteggiamento prevalente ma non è stato esplicitato in modo altrettanto netto, anche per riflettere alcune posizioni differenziate all’interno del partito.

13 cfr. Tiefenbach 2005, che, riconoscendo i rischi, si limita a indicare una società civile matura come forma di prevenzione.

14 cfr. art. 70 c. 2 cost. federale. V. anche l’interpretazione in tal senso del Tribunale federale (Schweizerisches Bundesgericht, BGE 106 Ia 299 – specie 302 e 305).

15 Con la parziale eccezione dei tre cantoni bilingui Vallese, Berna e Friburgo e del cantone trilingue dei Grigioni, dove la garanzia delle “minoranze” cantonali vale sì per le lingue (il regime linguistico non può essere cambiato a maggioranza) ma non per tutti gli altri temi.

16 Gli unici quattro cantoni (su 26) ad aver votato contro l’iniziativa sono stati Ginevra, Neuchâtel e Vaud (francofoni) e Basilea città (germanofono).

17 I Cantoni di Ginevra e Neuchâtel sono influenzati dal laicismo francese e dalla Leitkultur francese della convivenza “blanc-black-beur”. Inoltre, sono gli unici Cantoni in cui è principio costituzionale una esplicita separazione tra stato e chiesa (art. 164 cost. Ginevra; art. 97 c. 2 Neuchâtel).

18 Nonostante i tentativi in corso di sfidare la decisione in aule di Tribunale. La sorte del progettato minareto per la moschea di Langenthal rimane tutta da determinare. La comunità islamica ivi residente ha annunciato l’intenzione di portare il caso di fronte alla Corte Suprema Federale e, se necessario, di ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

19 Ai sensi degli artt. 34 e 35 della costituzione bavarese, il Senato (era) un organo “rappresentativo delle istituzioni economiche, culturali e comunali del Land”. Si componeva di 60 membri, rappresentanti dell’agricoltura (11), dell’industria e del commercio (5), dell’artigianato (5), dei sindacati (11), delle libere professioni (4), delle cooperative (5), delle comunità religiose (5), delle organizzazioni sociali (5), delle università (5), dei comuni e delle loro associazioni (6). Diffusamente sul tema Schmitt-Glaeser 1996, 43 ss. La proposta di revisione di iniziativa popolare, ammessa dalla costituzione bavarese, era stata presentata in quanto il Senato era ritenuto inutile, anacronistico e costoso.

20 BayVerfGH, sent. 17 settembre 1999, Vf. 12-VIII-98 et al., in Bayerische Verfassungsblätter 1999, 719 – 724 e in Juristische Schulung 2000, 705 – 708, con nota di M. Sachs.

21 Ciò è previsto dall’art. 74 della costituzione, a sua volta fondato sul principio fondamentale dell’art. 5 cost. bavarese, che prevede l’equiparazione della legislazione parlamentare e di quella popolare. Tuttavia, per le revisioni costituzionali per via parlamentare è richiesta l’approvazione a maggioranza dei due terzi.

22 Così espressamente distanziandosi dal proprio precedente del 1949 (BayVerfGHE 2, 181), in cui aveva affermato che in base al principio maggioritario della costituzione non deve ritenersi necessario alcun quorum per le revisioni costituzionali introdotte in via di legislazione popolare.

23 Il problema si ripropose a breve distanza di tempo. Una proposta di legge di iniziativa popolare di riforma dell’art. 74 della costituzione prevedeva nuovamente la possibilità di revisioni costituzionali in via plebiscitaria senza necessità di alcun quorum, non tenendo quindi in conto il “suggerimento” di cui alla prima pronuncia della Corte. La proposta prevedeva inoltre la possibilità di richiedere referendum e presentare proposte di legge di iniziativa popolare anche in materia di bilancio, e tendeva nel suo complesso a ridurre i limiti posti all’utilizzo degli strumenti di democrazia diretta. Poiché il Ministero dell’Interno bavarese aveva ritenuto che la proposta non rispettasse i requisiti prescritti dalla legge per poter essere sottoposta al voto popolare, i presentatori si rivolsero alla Corte costituzionale. Sviluppando quanto affermato nella prima decisione, la Corte (BayVerfGH, sent. 31 marzo 2000, Vf. 2-IX-00, in BayVBl. 2000, 397 e in JuS 2000, 1116, con nota di M. Sachs) poteva così affermare che il principio democratico significa in primo luogo che la costituzione bavarese vuole garantire una democrazia funzionante e pertanto non sono ammesse revisioni costituzionali che ledano (o anche solo possano rischiare di ledere) l’efficienza e la funzionalità di organi democraticamente legittimati, preordinati alla realizzazione del sistema liberal-democratico voluto dalla costituzione, tra cui in particolare il diritto del Parlamento di approvare il bilancio. Inoltre, il principio “supercostituzionale” democratico richiede che anche la legislazione popolare abbia “legittimazione e dignità”, ottenibile solo con una partecipazione numericamente qualificata al voto e con un sufficiente numero di firme raccolte per la presentazione dell’iniziativa: requisiti non soddisfatti nel caso di specie, in cui la proposta di legge di iniziativa popolare aveva raccolto soltanto 25.000 firme.

24 Oltre ai referenda e all’iniziativa legislativa popolare, anche per la revisione della costituzione regionale, la Baviera conosce anche altri istituti di democrazia diretta, tra cui l’assemblea popolare a livello comunale e l’azione popolare per l’accesso alla Corte costituzionale.

25 Un prossimo banco di prova potrebbe essere l’iniziativa popolare presentata in Baviera in relazione alla legge regionale sul fumo: nel dicembre 2009 quasi 1,3 milioni di cittadini bavaresi (il 13,9 per cento del totale) hanno approvato un’iniziativa legislativa popolare volta a modificare la legge sul fumo nei locali pubblici. L’attuale legge regionale, modificata in tal senso nell’agosto del 2009, prevede ora deroghe al divieto di fumo per i piccoli locali (anche in base a quanto stabilito dal Tribunale costituzionale federale) e la possibilità di mantenere sale per fumatori: l’iniziativa prevede un generalizzato divieto di fumare in tutti i locali pubblici e un ritorno alla versione originale della legge. Se il parlamento bavarese non deciderà di modificare la legge nel senso richiesto dall’iniziativa, nel 2010 si andrà al referendum (senza quorum).

26 Richiesta da almeno il 20 per cento degli elettori o da almeno 10 comuni del Land.

27 Art. 33 c. 6 cost. Vorarlberg.

28 Principio ricavato dalla Corte dall’art. 95 c. 1 B-VG.

29 VfSlg 16.241 / 2001, su cui v. in chiave critica il commento (alla precedente ordinanza) di Pernthaler 2000 e diffusamente Gamper 2003.

30 Sulla vicenda se la democrazia diretta faccia parte o meno delle “tradizioni costituzionali comuni” dell’arco alpino (si ricordi ad es. che in Tirolo oltre al referendum facoltativo, si prevede anche il referendum abrogativo di leggi regionali su iniziativa popolare o comunale, art. 39 Landesverfassung), si veda Pernthaler et al. (Hg.), Pernthaler 2007, e Bußjäger / Woelk (Hg.) (2009).

31 Questo anche a causa del fatto che la Grecia aveva minacciato di porre il veto sull’intero processo di allargamento a dieci nuovi Paesi (tra cu Cipro) se l’adesione cipriota fosse stata condizionata all’esito favorevole dei negoziati.

32 Il caso più noto è l’elezione nel 2003 del governatore Schwarzenegger, a seguito di destituzione con voto popolare / recall) del precedente governatore Gray Davis.

33 Per dati precisi (aggiornati al 2002) v. lo studio prodotto dal governo californiano nel 2002, The California Initiative: www.sos.ca.gov / elections / init_history.pdf

34 La legge prevedeva inoltre l’offerta di classi speciali per l’apprendimento rapido e in full immersion dell’inglese per coloro che non lo conoscessero a sufficienza, con l’obiettivo di reinserire gli alunni nelle classi normali dopo non più di un anno.

35 Va ricordato che la disciplina degli istituti di democrazia diretta in California non contempla alcun quorum. Nel caso di specie, meno di 6 milioni di californiani si sono recati a votare, ossia meno del 20 per cento degli aventi diritto.

36 In generale, la presenza di quorum si pone in contraddizione con la ratio del referendum. Vero che l’assenza di quorum può tradursi nell’imposizione di una decisione presa da una minoranza anche esigua, ma è anche vero che nulla impedisce alla “maggioranza silenziosa” di andare a votare. Inoltre, nella prassi l’effetto che la presenza di quorum produce è quello di una minoranza che, sfruttando la fisiologica astensione, riesce a bloccare i referenda contro la volontà della maggioranza (cfr. per l’esperienza italiana Barbera / Morrone, 2003). In presenza di minoranze da tutelare anche contro il potenziale uso anti-minoritario della democrazia diretta può essere utile prevedere un quorum, proprio per consentire a una minoranza di bloccarlo. La determinazione del quorum necessario andrà evidentemente calibrata caso per caso in base agli interessi minoritari che si intendono tutelare – per cui nel caso concreto della Provincia di Bolzano un quorum del 70 per cento garantirebbe il gruppo linguistico italiano, ma non è evidentemente pensabile un quorum del 95 per cento per garantire aritmeticamente il gruppo ladino.

37 cfr. Biaggini 2008, che ricorda come in Svizzera; “il governo è meno conservatore del parlamento, che a sua volta lo è meno del popolo”.

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Williams, Robert (2009). The Law of American State Constitutions, Oxford University Press

Abstracts

Direkte Demokratie und Minderheitenrechte:
zwei Konzepte im Widerspruch?

Die erste Südtiroler Volksabstimmung im Herbst 2009 ist am mangelnden Quorum gescheitert. Vor allem die italienischsprachige Bevölkerung ist nicht zu den Urnen gegangen. Sechs Jahre nach dem Referendum zum Siegesplatz wirft dies wiederum die Frage auf, in welchem Verhältnis direkte Demokratie und Minderheitenschutz stehen. Dieser Aufsatz zeigt, dass das eine das andere nicht von vornherein ausschließt. Aufgrund von verschiedenen Beispielen aus anderen Regionen des Alpenraumes (Aostatal, Schweiz, Bayern, Vorarlberg), Europas (Nordirland, Zypern) und der Vereinigten Staaten (Kalifornien) wird auf verschiedene Instrumente eingegangen, die mögliche Lösungen zu dem immanenten Widerspruch zwischen Volksrechten und Minderheitenrechten erlauben.

Democrazia direta y dërc´ dles mendranzes:

dui conzec´ en contradiziun?

Le pröm referendum de Südtirol tignì da d’altonn dl 2009 é jü a sbüja ajache al n’é nia gnü arjunt le quorum. Dantadöt la popolaziun taliana n’é nia jüda a lité. Sis agn do le referendum por la Plaza dla Vitoria vëgnel indô sciuré sö la domanda, te ći relaziun che la democrazia direta é respet ala sconanza dles mendranzes. Chësc articul mostra che öna na cossa ne stlüj nia fora l’atra damperfora. Sön la basa de de plü ejëmpli de d’atres regiuns dl raiun alpin (Val d’Aosta, Svizera, Bayern, Vorarlberg), dl’Europa (Irlanda dl Nord, Zypern) y di Stać Unis (California) vëgnel presentè de plü stromënć che dëida portè adöm i dërć dl popul cun chi dles mendranzes.

Direct Democracy and Minority Rights:

Two Contradicting Concepts?

Against the background of the failed referendums carried out in the fall of 2009 in South Tyrol, this paper focuses on the delicate relationship between direct democracies and protection of minority groups. To what extent are these two instruments incompatible? The study analyzes some precedents of differing natures, all of which present some hints that help highlight this difficult relationship, ranging from the Alpine area (Aosta Valley, Switzerland, Bavaria and Vorarlberg) to other parts of Europe, including Northern Ireland and Cyprus, to California. The study argues that direct democracy and safeguards for minority groups are not necessarily incompatible, provided that some technical precautions are put into place.