Roberta Medda-Windischer
Autonomia, minoranze e migrazione
Dall’integrazione alla società integrata: un percorso ancora incompiuto
Autonomy, minorities and migration
From integration to integrated society: a path still unfinished
Abstract The aim of this chapter is to analyse the policies adopted in South Tyrol on international migration and integration processes. In this domain, a peculiar feature of South Tyrol has always been that, as in other areas, political, economic and institutional actors have always found themselves between two worlds – the South and the North, or, more specifically Italy and Austria – and being strongly influenced and, in some cases, even conditioned by them. The first part of the chapter provides a brief overview of the evolution of migration and the integration processes in the South Tyrolean context, coupled with an analysis of the factors that have influenced them. In the second part, the main measures and policies adopted in South Tyrol on migration and integration are analysed in order to assess their scope and effectiveness. The concluding section considers the possibility that South Tyrol is developing an approach on integration that combines the best policies adopted in Italy and Austria and that, at the same time, incorporates specific and innovative policies that better relate to the peculiarities and strengths of the territory.
1. Introduzione
Nelle realtà territoriali come l’Alto Adige, la Catalogna, i Paesi Baschi, il Québec, l’approccio verso la migrazione internazionale, cioè proveniente da paesi limitrofi e da altri continenti, s’intreccia a molteplici fattori che ne condizionano l’orientamento, e fra questi vi sono il fattore demografico, il contesto storico, la situazione dell’economia locale e del mercato del lavoro, i tratti linguistici, culturali e religiosi e la rilevanza che ad essi viene attribuita nella definizione delle identità individuali e collettive, i partiti politici locali e il sistema elettorale, ed infine, le competenze attribuite alle istituzioni locali sulla gestione dei flussi migratori internazionali e dei processi di inclusione (Hepburn 2011; Medda-Windischer/Carlà 2013; 2015; Medda-Windischer/Popelier 2016; Jeram/van der Zwet/Wisthaler 2015). Oltre a fattori prettamente locali, giocano un ruolo cruciale anche variabili nazionali ed internazionali, come ad esempio, le politiche migratorie adottate a livello nazionale ed europeo (Hepburn 2014; Zapata-Barrero 2009), e i rapporti che le comunità locali – storico-tradizionali e di recente insediamento – hanno fra loro e con lo stato centrale, rapporti che, a loro volta, impattano sulla percezione che queste comunità hanno di sé (Jeram 2013; Medda-Windischer 2010; Carlà 2015; Wisthaler 2016).
L’analisi delle variabili locali, nazionali ed internazionali ha portato molti analisti a ritenere che l’approccio che le comunità storico-tradizionali manifestano nei riguardi della migrazione internazionale più recente segue dinamiche analoghe a quelle che emergono quando si analizzano entità statali: come per gli stati, ci sono comunità locali che hanno un approccio aperto ed inclusivo, mentre altre manifestano un approccio più chiuso e meno accogliente, e questi approcci possono avvicendarsi nel tempo e persino coesistere, in modo anche del tutto incoerente, nel medesimo ambito territoriale (Kymlicka 2001, 293; Medda-Windischer/Kössler 2017). Come ogni altro raggruppamento sociale, anche le comunità storico-tradizionali non sono entità monolitiche, ma realtà specifiche che manifestano approcci e orientamenti diversi, inclusi quelli verso la migrazione internazionale, che mutano a livello territoriale e nel tempo seguendo dinamiche e contingenze locali, nazionali e internazionali.
In Alto Adige, né il primo, né il secondo statuto di autonomia si sono occupati in modo specifico della migrazione internazionale perché la principale preoccupazione di queste leggi era il rapporto fra i gruppi linguistici tedesco, italiano e ladino. Pertanto, il rischio della cosiddetta “ingegneria demografica”, cioè l’uso del fattore demografico per modificare gli assetti di potere e d’influenza, era rappresentato principalmente dalla mobilità interna, cioè dalla migrazione dal resto d’Italia. La migrazione internazionale ha effettivamente cominciato a manifestarsi in modo significativo nel territorio altoatesino solo a partire dagli anni ’90, con arrivi che di anno in anno sono aumentati progressivamente.
Tratto peculiare dell’Alto Adige nella gestione dei flussi migratori internazionali, delle sue dinamiche e delle politiche sull’integrazione è che, analogamente ad altri ambiti,1 le sue istituzioni, la politica, i corpi intermedi e la società civile, si sono sempre trovate a svolgere un ruolo di cerniera fra due mondi – il sud e il nord – e ad esserne fortemente influenzate e, in alcuni casi, anche condizionate.
Da un lato, infatti, l’Alto Adige si rapporta all’Italia che, in materia di politiche sull’integrazione, è sempre stata caratterizzata dalla pressoché mancanza di una forte e coerente ideologia a livello centrale, diversamente da altri stati europei, come ad esempio la Francia e le sue politiche sulla laicità e l’assimilazione, la Gran Bretagna con il comunitarismo e multiculturalismo, o la Germania con le sue politiche sui Gastarbeiter. A differenza di questi paesi, l’Italia si è sempre caratterizzata per il susseguirsi di un coacervo di leggi, circolari, ordinanze e regolamenti che hanno reso il sistema estremamente complesso e farraginoso, e a tratti persino contradditorio e incoerente, in particolare in relazione alle quote annuali per gli ingressi, la concessione e il rinnovo dei permessi di soggiorno, l’impiego degli sponsor. Un sistema, quello italiano, accompagnato da continue sanatorie che sono state, forse, l’unica costante dei diversi governi che si sono succeduti nel tempo, sia di destra sia di sinistra; sanatorie che, se da un lato hanno fornito all’esecutivo, al mondo dell’imprenditoria e alla società civile, delle soluzioni pragmatiche a tante situazioni di irregolarità, dall’altra hanno creato la percezione di un sistema di ingressi basato su un’imprescindibile fase iniziale di irregolarità che poi, col tempo, viene sistematicamente sanata.
Parallelamente, enti locali, soprattutto di comuni di piccole e medie dimensioni, imprenditori e sindacati, che negli ultimi tempi hanno visto nelle loro fila la presenza sempre più attiva degli stessi cittadini stranieri, hanno giocato un ruolo cruciale nel gestire e governare i processi di mobilità delle persone – lavoratori e non – con le loro famiglie e il loro carico di diversità, divenendo di fatto il vero motore di integrazione in Italia. E come vedremo nelle pagine seguenti, se di un modello italiano di integrazione si vuol parlare, possiamo far riferimento ad un modello “dal basso” e delle realtà territoriali di medie e piccole dimensioni che, grazie a politiche di integrazione mirate rispetto alle esigenze specifiche del territorio, sono in grado di sostenere con maggiore efficacia i processi di inclusione rispetto ai grandi agglomerati metropolitani con strutture amministrative complesse e farraginose, una vita frenetica e competitiva e in cui i rapporti sociali sono anonimi e le relazioni umane meno immediate (CNEL 2013a, 50; CNEL 2013b, 13-14; Caponio 2004).
Dal lato opposto del confine, in Austria – principale paese di riferimento per le politiche di integrazione in Alto Adige soprattutto in tempi più recenti – leggi e linee guida degli ultimi anni sono state fortemente ideologizzate sul filone, già presente in molti paesi del nord Europa, di un integrazione ai limiti dell’assimilazione, basate su valori considerati come categorie fisse ed immutabili e con evidenti fini utilitaristici di politica interna, volte più a rassicurare un elettorato preoccupato per i continui arrivi di migranti e profughi e la possibile erosione del welfare nazionale, che a costruire una società integrata e coesa (Permoser 2012; Bundesministerium für Europa, Integration und Äußeres 2016).
In questo scenario, l’Alto Adige, nel suo ruolo di “terra di mezzo” fra nord e sud d’Europa, si è sempre trovato a svolgere, come detto, un ruolo di cerniera fra le politiche e le pratiche sulla gestione dei flussi migratori e i processi di integrazione adottate dall’Italia e dall’Austria.
Obiettivo del presente capitolo è l’analisi delle politiche e delle misure adottate in Alto Adige in materia di immigrazione internazionale e dei processi di integrazione. Nella prima parte verrà tracciata una breve panoramica dell’evoluzione del fenomeno migratorio proveniente da paesi stranieri e dei processi d’inserimento nel contesto altoatesino e dei diversi fattori che li hanno condizionati, andando poi ad analizzare i principali indicatori di radicamento al territorio anche in modo comparato rispetto alla popolazione locale. Nella seconda parte verranno analizzate le principali misure e politiche che hanno contraddistinto l’Alto Adige in materia di flussi migratori internazionali allo scopo di valutare portata ed efficacia delle sue politiche sull’integrazione. Il capitolo si conclude con alcune considerazioni circa la possibilità che l’Alto Adige sviluppi una “terza via” in materia di inclusione che sia alternativa sia all’Italia sia all’Austria attraverso specifiche e innovative politiche che meglio si rapportano alle peculiarità e ai punti di forza del territorio.
2. Dati e indicatori in materia d’integrazione in Alto Adige: tappe di un processo in continua trasformazione
Come detto in precedenza, la presenza di cittadini stranieri residenti in Alto Adige è iniziata a crescere in modo graduale all’inizio degli anni ’90, aumentando in maniera costante nel corso degli anni. La storia dell’immigrazione straniera in territorio altoatesino può essere suddivisa in quattro fasi. La prima fase, che va dagli inizi fino alla metà degli anni ’90, è stata caratterizzata da un limitato flusso migratorio proveniente soprattutto da Austria e Germania. Le trasformazioni geopolitiche che hanno fatto seguito alla caduta del muro di Berlino e alla guerra nella ex Jugoslavia hanno fortemente influenzato i flussi migratori diretti verso l’Alto Adige, dando inizio alla seconda fase del processo di immigrazione (1994-2006). La terza fase (2007-2014) è stata caratterizzata da un aumento significativo di arrivi dovuti principalmente all’adesione di nuovi stati membri nell’Unione europea e alle regole sulla libera circolazione. La quarta, e ultima, fase (dal 2015 ai giorni nostri), ha coinciso con l’aumento di profughi, richiedenti asilo e rifugiati provenienti per lo più da paesi dell’Africa centrale, Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia, Pakistan e Bangladesh (Provincia autonoma di Bolzano/Eurac Research 2018).2
Analogamente ad altre regioni del nord d’Italia con economie comparabili, la popolazione straniera in provincia di Bolzano è sempre stata superiore alla media nazionale, attestandosi, secondo i dati più recenti, al 9,5 per cento rispetto alla popolazione totale residente (equivalente a 50.792 persone), mentre la media nazionale, nello stesso periodo, era pari all’8,5 per cento (IDOS 2021, 375-377).
Fig. 1: Popolazione straniera residente in Provincia di Bolzano (2021)
Paese d’origine |
Valore assoluto |
% tot. cittadini stranieri |
Albania |
5,998 |
11,8 |
Germania |
4,457 |
8,8 |
Pakistan |
3,696 |
7,3 |
Marocco |
3,525 |
6,9 |
Romania |
3,443 |
6,8 |
Kosovo |
2,558 |
5,0 |
Slovacchia |
2,027 |
4,0 |
Nord Macedonia |
1,911 |
3,8 |
Ucraina |
1,812 |
3,6 |
Austria |
1,646 |
3,2 |
India |
1,402 |
2,8 |
Cina |
1,199 |
2,4 |
Altri Paesi |
17,118 |
33,7 |
Fonte: IDOS 2021, 379
In merito alla composizione delle nazionalità dei cittadini stranieri residenti (Fig. 1) le nazionalità albanesi e marocchine si situano, in Alto Adige così come nel resto d’Italia, tra le prime tre nazionalità non-UE, mentre la comunità rumena, diversamente dal resto d’Italia dove rappresenta di gran lunga e in modo costante la prima comunità, in Alto Adige non è invece fra le più numerose.3 Ulteriore specificità della provincia di Bolzano è data dal fatto che per affinità geografica, culturale e linguistica, la popolazione proveniente dalla Germania si attesta al secondo posto per numero di residenti, costituendo l’8,8 per cento della popolazione straniera (IDOS 2021, 379). Infine, per quanto riguarda la componente di genere, analogamente al resto d’Italia, anche in provincia di Bolzano, l’incidenza femminile è maggioritaria (52,4 per cento), sebbene ci siano significative differenze in base alle diverse provenienze (IDOS 2021, 375).
Il livello di radicamento della popolazione straniera al territorio di residenza può essere analizzato in base a diversi fattori, fra i quali, il numero di alunni stranieri che, in Alto Adige è pari al 12,3 per cento degli studenti iscritti nelle scuole altoatesine, di cui, più della metà (61 per cento), sono nati in Italia (IDOS 2021, 375-376, 487), nonché la quota di permessi di soggiorno di lungo periodo che, com’è noto, garantiscono un trattamento per molti aspetti equivalente a quello dei cittadini italiani, e che in Alto Adige è superiore al 50 per cento di tutti i titolari di un permesso di soggiorno (IDOS 2021, 375, 482). Ovviamente, questi dati devono essere analizzati alla luce delle condizioni economiche locali che in Alto Adige, nonostante la crisi economica dovuta all’emergenza Covid, si caratterizza per una spiccata dinamicità e, conseguentemente, una forte attrattività occupazionale.
Al di là dei dati di natura demografica, un dato interessante per comprendere le dinamiche dei processi di integrazione è quello relativo alla distribuzione sul territorio della popolazione straniera che, in provincia di Bolzano, è prevalentemente concentrata nelle aree urbane, soprattutto nel capoluogo, dove, com’è noto, è anche più alta la presenza della popolazione di lingua italiana (IDOS 2017, 365). E infatti non stupisce che in base agli studi più recenti si ritiene che la maggior parte dei cittadini stranieri che risiede nella provincia di Bolzano comunichi e comprenda piuttosto bene la lingua italiana, mentre si registrano percentuali molto più basse fra chi possiede una buona padronanza della lingua tedesca (Pokriefke 2017, 308; Medda-Windischer/Flarer/Girardi/Grandi 2011, 76-77). Infine, un’ultima notazione sull’appartenenza religiosa: in base alle stime più recenti, la popolazione straniera residente in provincia risulta professare, per il 46,6 per cento, la religione cristiana, e per il 40,4 per cento la religione islamica (IDOS 2016, 370).
Dati demografici e indicatori di radicamento al territorio costituiscono il quadro di riferimento di svariati studi in tema di integrazione dei cittadini e delle cittadine stranieri/e in Alto Adige.4 Fra questi, merita una menzione particolare il lavoro condotto a livello nazionale dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) sull’inserimento dei cittadini/e stranieri/e in diverse province italiane, inclusa la provincia autonoma di Bolzano (CNEL 2013a; CNEL 2013b).5
Sulla base di un complesso sistema di indicatori suddivisi in tre gruppi tematici – attrattività territoriale, inserimento sociale e occupazionale – che tengono conto di una molteplicità di fattori, fra i quali, la disponibilità di alloggi adeguati, l’occupazione, i ricongiungimenti familiari, la conoscenza linguistica,6 secondo gli ultimi rapporti del CNEL, la provincia di Bolzano è sempre risultata ai primi posti delle sue graduatorie, in particolare per quanto riguarda l’inserimento sociale, cioè il livello di accesso della popolazione straniera a beni e servizi di welfare e il grado di radicamento nel tessuto sociale (CNEL 2013a; Medda-Windischer 2017b).
Secondo gli analisti del CNEL, l’autonomia amministrativa e le ridotte dimensioni geo-demografiche favorirebbero l’inserimento sociale dei cittadini stranieri, anche grazie a politiche di integrazione che “potendo essere più mirate alle esigenze specifiche del territorio, sono in grado di sostenere con maggiore puntualità ed efficacia i processi di inserimento” (CNEL 2013b, 6).
Analizzando più in dettaglio i singoli indicatori relativi all’inserimento sociale, è interessante notare che l’Alto Adige ottiene punteggi molto alti rispetto alla media nazionale su due specifici indicatori, e cioè il tasso di soggiorno stabile misurato in base alla quota di cittadini non-UE che posseggono un titolo di soggiorno di durata illimitata e che, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, è un dato costante e ancora attuale, nonché la quota di alunni stranieri delle scuole superiori che scelgono un percorso di istruzione liceale piuttosto che istituti tecnici, artistici o professionali (CNEL 2013a, 51-53).
Negli studi del CNEL vengono assegnati all’Alto Adige anche dei punteggi piuttosto bassi per quanto riguarda, ad esempio, l’accessibilità al mercato immobiliare – misurato in base al costo di affitto medio annuo pro capite al metro quadro – e la competenza linguistica valutata in base alla percentuale dei test di lingua italiana superati sul totale di quelli eseguiti per il conseguimento del permesso di soggiorno per lungo-soggiornanti (CNEL 2013a, 51-53).7
Tuttavia, il dato più interessante che emerge dagli studi del CNEL non è tanto quello relativo all’integrazione sociale misurata in termini assoluti, cioè riferita esclusivamente alla popolazione straniera, che, come detto, nel caso dell’Alto Adige registra dati alquanto positivi, ma piuttosto quello che riguarda l’integrazione in termini relativi, cioè in rapporto alla cittadinanza locale (indicatori comparativi). In questo caso, l’integrazione viene misurata alla luce della differenza di condizioni esistenti fra cittadini stranieri e popolazione locale con cittadinanza italiana a prescindere dal gruppo linguistico di riferimento; in questo modo si è in grado di valutare in che misura la situazione della popolazione straniera si discosta dalle condizioni di vita medie della popolazione locale, cioè se le condizioni di inserimento nel tessuto sociale tra italiani, appartenenti ai tre gruppi linguistici, e stranieri sono più paritarie o più diseguali (CNEL 2013a, 2).
E questi dati, per quanto riguarda l’Alto Adige, sono molto preoccupanti, in particolare, per quanto riguarda tre indicatori comparativi relativi all’occupazione,8 in cui l’Alto Adige si posiziona nettamente in fondo alle graduatorie insieme a province del sud d’Italia, come Reggio Calabria, Cosenza, Enna e Foggia nelle quali la situazione economica e occupazionale è decisamente più debole e problematica rispetto a quella dell’Alto Adige (CNEL 2013a, 118-130).
Questo è l’approccio che in altri scritti ho definito difensivo-NIMBY (Not In My Backyard, “non nel mio cortile”) in base al quale i lavoratori stranieri sono ritenuti necessari per sostenere l’economia, ma ai quali non vengono assicurate le medesime condizioni occupazionali della popolazione locale, nonostante le condizioni dell’economia e del benessere generale lo consentirebbero (Medda-Windischer 2011; 2015).
3. Analisi delle politiche altoatesine in materia di integrazione: evoluzione o involuzione?
Nonostante le molteplici e ampie competenze legislative di cui gode la Provincia di Bolzano in diversi settori che, direttamente o indirettamente, hanno un impatto sull’immigrazione e i processi di inclusione, per molto tempo non se ne è avvalsa, tanto che l’Alto Adige è stata fra le ultime province e regioni italiane a dotarsi di una legge organica in materia di integrazione dei cittadini/e stranieri/e,9 e di un quadro provinciale correlato, cioè un Patto per l’Integrazione, adottato solo nel 2016 (Servizio di coordinamento per l’integrazione 2016).
La riluttanza da parte della Giunta e del Consiglio provinciale ad approvare una legge organica in materia d’integrazione in Alto Adige sarebbe riconducibile non solo alla presenza nel Consiglio provinciale di partiti fortemente critici verso l’immigrazione, come i Freiheitlichen e la Lega (Carlà 2015; Alber/Wisthaler 2020), ma anche al timore di aprire il vaso di Pandora delle questioni irrisolte che sono ancora alla base del rapporto tra i principali gruppi linguistici di lingua tedesca e italiana (Medda-Windischer 2015, 105).
Nella legge provinciale sull’integrazione, adottata nel 2011, quest’ultima viene definita quale “processo di scambio e dialogo reciproco”, in linea con la legislazione nazionale ed europea (European Commission 2005),10 e, fra i suoi obiettivi, vengono menzionati il “reciproco riconoscimento e la valorizzazione delle identità culturali, religiose e linguistiche”, “la conoscenza reciproca tra le diverse culture e identità”, “la promozione della partecipazione alla vita sociale locale”, e “l’individuazione ed eliminazione delle disuguaglianze e delle discriminazioni”.11
Al di là delle finalità e degli obiettivi – più o meno ambiziosi – fra i grandi meriti della legge provinciale sull’integrazione vi è senz’altro quello di aver posto le basi giuridiche per l’istituzione di tre organi con compiti operativi e di coordinamento: il Servizio di coordinamento per l’integrazione, la Consulta provinciale per l’integrazione e il Centro di tutela contro le discriminazioni.12
Per quanto riguarda il Servizio di coordinamento per l’integrazione, quest’ultimo operava già prima dell’adozione della legge sull’integrazione, all’interno del sistema amministrativo altoatesino con una denominazione analoga – Ufficio Coordinamento Integrazione – e anche dopo l’adozione della legge che ne ha finalmente posto le basi giuridiche, ha cambiato diverse volte il proprio dipartimento di riferimento, passando nel corso degli anni dal dipartimento responsabile per la cultura in lingua italiana, a quello del lavoro, ed infine, all’attuale dipartimento sul diritto allo studio, cultura tedesca e, appunto, integrazione. In tutto ciò non ci sarebbe nulla da obiettare se non fosse che in questi continui spostamenti – un vero e proprio “nomadismo” istituzionale – si sono perse risorse, competenze e conoscenze che si sono dovute riacquisire volta per volta con conseguente rallentamento, se non addirittura perdita, di capacità strategica e d’impulso in una complessa e articolata materia come quella sull’integrazione. D’altra parte è anche vero che in questi passaggi sono state acquisite nuove idee, entusiasmo, e nuove prospettive. In generale, tuttavia, questo continuo “nomadismo istituzionale” ha sempre dato l’impressione che nella gestione di questa materia ci fosse poca linearità e coerenza e forse anche poco interesse a livello politico.
In merito alla Consulta provinciale per l’integrazione, istituita ex novo con la legge provinciale sull’integrazione, nonché le varie consulte comunali create in alcune città altoatesine (Bolzano e Merano), questi sono organi con meri poteri consultivi che, secondo molti analisti e attivisti, sono entità di modesta rilevanza ed efficacia ma che, nondimeno, svolgono l’utile funzione di essere luoghi di incontro fra autorità pubbliche, rappresentanti delle comunità immigrate, associazioni del terzo settore e organizzazioni sindacali (Kössler 2017; Kössler/Wisthaler 2020, 84-93). Fra le consulte, quella provinciale è forse la più efficace per via della maggiore rilevanza generalmente attribuita in Alto Adige al livello provinciale rispetto a quello comunale nella gestione della cosa pubblica.
Il terzo organo previsto dalla legge provinciale sull’integrazione, cioè il Centro di tutela contro le discriminazioni finalizzato alla prevenzione, monitoraggio e assistenza in caso di atti discriminatori a sfondo razzista, omobistransfobico, per motivi legati all’appartenenza religiosa, disabilità, orientamento sessuale, età, e status sociale avvenuti nella provincia di Bolzano, esso ha avviato le sue attività dopo ben dieci anni dall’adozione della legge che l’aveva espressamente previsto: la responsabile del centro, Priska Garbin, affiancata da una consulta di rappresentanti di associazioni e organizzazioni locali, è stata finalmente nominata agli inizi del 2022.13
Altra tappa fondamentale nell’evoluzione delle politiche altoatesine in materia d’integrazione è stata la creazione, dietro forte impulso dell’allora direttore dell’Ufficio Coordinamento Integrazione (ora, Servizio di coordinamento per l’integrazione), Salvatore Saltarelli, della figura professionale del/della mediatore/trice interculturale con l’istituzione di elenchi e la definizione degli standard di riconoscimento delle competenze professionali richieste, e la successiva diffusione di cooperative e associazioni sorte a livello locale per fornire servizi di intermediazione linguistica e culturale alla pubblica amministrazione, in particolare scuole, ospedali e servizi sociali.14 Il ruolo dei/delle mediatori/trici interculturali, volto a facilitare l’accesso ai servizi da parte dei/delle cittadini/e stranieri/e, non è stato forse ancora sufficientemente valorizzato, ma è certo che attraverso il lavoro quotidiano incentrato sui singoli casi, sono stati fra i principali artefici dell’evolversi in senso positivo del rapporto fra cittadini/e stranieri/e e istituzioni pubbliche locali.
L’evoluzione delle politiche altoatesine sull’integrazione ha subito diverse battute d’arresto ad opera di corti nazionali ed europee che hanno posto dei limiti all’approccio difensivo-NIMBY, menzionato precedentemente, che le autorità altoatesine hanno adottato nei riguardi dei/delle cittadini/e stranieri/e. In particolare, l’approccio difensivo-NIMBY è stato censurato dalla Corte costituzionale e dalla Corte di giustizia europea in alcuni casi relativi alle condizioni e requisiti necessari per ottenere determinate prestazioni sociali di natura economica, come nel caso del cosiddetto “sussidio casa”.15
In particolare, la Corte costituzionale ha esposto con grande chiarezza le motivazioni alla base dell’illegittimità costituzionale di queste misure considerate arbitrarie e contrarie ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza.16 In un passaggio, la Corte precisa che:
“mentre la residenza […] costituisce, rispetto ad una provvidenza regionale […] un criterio non irragionevole per l’attribuzione del beneficio […], non altrettanto può dirsi quanto alla residenza […] protratta per un predeterminato e significativo periodo minimo di tempo (nella specie, quinquennale). La previsione di un simile requisito, infatti, non risulta rispettosa dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto introduce nel tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari, non essendovi alcuna ragionevole correlazione tra la durata della residenza e le situazioni di bisogno o di disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto di fruibilità delle provvidenze in questione”.17
Analogamente, la Corte di giustizia europea, nell’ormai noto caso Kamberaj, ha sancito che non si possono introdurre criteri eccessivamente restrittivi, come lunghi periodi di residenza, unicamente nei riguardi di cittadini stranieri non-UE per accedere a prestazioni considerate essenziali in materia di assistenza e protezione sociale poiché ciò si pone in contrasto con il principio di equità.18
Conseguentemente, e giungiamo così all’ulteriore tassello delle politiche altoatesine in materia d’integrazione, quando la giunta provinciale ha deciso, nel 2019, di introdurre per i cittadini non-UE dei nuovi requisiti per ottenere alcuni contributi di sostegno alla famiglia, come la frequenza a corsi sulla società e cultura altoatesina, ha dovuto limitare tali requisiti alle sole prestazioni non essenziali che però in Alto Adige, a differenza di quelle essenziali, sono accessibili ai cittadini non-UE solo dopo cinque anni di residenza.19 L’esito, quantomeno discutibile, di questa decisione è che, dal 2023 – anno in cui entrerà in vigore la nuova normativa – cittadini/e stranieri/e residenti in Alto Adige da più di cinque anni si troveranno a dover frequentare dei corsi di base sulla società e cultura locale che sarebbero forse utili nei primi anni di residenza in Alto Adige, ma che lo sono molto meno dopo ben cinque anni di residenza ininterrotta.
È importante sottolineare che questo approccio era stato già anticipato da alcune linee guida adottate nel 2016 dalle autorità altoatesine con il Patto per l’integrazione basato sul principio “richiedere e promuovere” (“Fordern und Fördern”) che comporta che i cittadini/e stranieri/e, anche se pagano le tasse, rispettano la legge e contribuiscono all’economia altoatesina e al sistema pensionistico, devono comunque compiere degli ulteriori atti d’impegno concreto per poter accedere a prestazioni necessarie al processo di integrazione (Servizio di coordinamento per l’integrazione 2016).20 Questo approccio potrebbe, tuttavia, avere un effetto controproducente nei processi di integrazione poiché rischia di creare una cesura rispetto agli altri cittadini, non solo con cittadinanza italiana o europea, ma anche altri cittadini non-UE, come gli svizzeri o i norvegesi che sono espressamente esclusi ad es. dalla delibera sulle prestazioni non essenziali discusse precedentemente (Provincia autonoma di Bolzano 2022). In questo ambito sarebbero invece auspicabili attività e strategie messe in campo attraverso le molteplici associazioni presenti sul territorio oppure attraverso le scuole, che siano più persuasive ed evitino qualsiasi condizionamento o coercizione che potrebbero minare la coesione sociale e il senso di appartenenza al territorio e alla società altoatesina (Medda-Windischer/Carlà 2021).
Infine, nell’analisi dei passaggi più significativi dell’evoluzione delle politiche altoatesine in materia di integrazione non possiamo non soffermarci sulla cosiddetta “crisi dei rifugiati” (2015-2019) che ha interessato gran parte del continente europeo, e che ha fatto registrare anche in Alto Adige un aumento significativo di arrivi di profughi e richiedenti asilo, molti dei quali in transito verso il nord d’Europa. Oltre alla grande mobilitazione degli enti locali che hanno ospitato i centri di accoglienza e predisposto assistenza di vario genere, il fatto forse più significativo di questo periodo è stata la risposta di grande solidarietà espressa dalla società civile, associazionismo e volontariato, fra i quali Binario 1 e Bozen Accoglie, e che ha mostrato il volto più umano e solidale della popolazione locale. Come per i/le mediatori/trici interculturali, anche il ruolo della società civile, associazionismo e volontariato locale andrebbe maggiormente valorizzato quali indiscutibili protagonisti dei processi di integrazione dei “piccoli passi” e “dal basso” che, nel loro insieme, sono stati in grado di imprimere importanti cambiamenti nei singoli individui e nella società nel suo complesso (Provincia autonoma di Bolzano/Eurac Research 2018; Medda-Windischer/Membretti 2020).
4. Considerazioni conclusive: verso una società integrata?
Dall’adozione del secondo statuto di autonomia, seguito negli anni ’90 dall’arrivo dei primi significativi flussi migratori internazionali, fino ai giorni nostri, le politiche altoatesine in materia di integrazione sono state spesso altalenanti, oscillando dal sostegno alle molteplici iniziative in materia di inclusione ad una certa riluttanza a considerare la popolazione straniera come parte integrante della società altoatesina.
Nonostante le aperture previste nella legge provinciale per l’integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri del 2011, l’approccio prevalente delle autorità provinciali rispetto ad una popolazione sempre più diversificata si è spesso caratterizzato per un profilo, definito in queste pagine, difensivo-NIMBY (Not In My Back Yard, “non nel mio cortile”), soprattutto nei casi in cui l’affermazione del principio di uguaglianza fra la popolazione locale con cittadinanza italiana e cittadini stranieri si è rivelata particolarmente gravosa dal punto di vista economico o elettorale. Esempi in tal senso sono emersi in modo evidente nel caso dei limiti posti ai cittadini stranieri – che, val la pena rammentare, rappresentano una necessità per l’economia locale – nell’accesso a determinate prestazioni economiche, limiti che, come abbiamo visto, in diversi casi sono stati censurati e dichiarati incostituzionali e contrari alla normativa europea.
L’approccio difensivo-NIMBY verso la popolazione straniera traspare anche dal fatto che nel sistema istituzionale altoatesino, come ad esempio nel sistema che regola la dichiarazione di appartenenza o aggregazione ad un gruppo linguistico riconosciuto, le identità multiple o composite sono riconosciute con una certa riluttanza,21 e tale approccio emerge anche dalle iniziative volte a coinvolgere i cittadini stranieri nei processi decisionali, come nel caso delle consulte in materia di integrazione a livello provinciale e comunale. Inoltre, questo approccio è presente anche negli indicatori CNEL sull’occupazione in Alto Adige che comparano le condizioni occupazionali dei cittadini stranieri con quelle della popolazione locale con cittadinanza italiana.
Come detto, queste valutazioni critiche non devono, tuttavia, farci sottovalutare le molteplici iniziative realizzate dalle istituzioni provinciali e locali, in prima persona o indirettamente tramite finanziamenti, in particolare sulla mediazione interculturale e l’apprendimento delle lingue.22 Iniziative e progetti che insieme alle iniziative realizzate dalla società civile, dall’associazionismo e dal volontariato, hanno concorso, e concorrono, a creare condizioni favorevoli per l’avvio e lo svolgimento di processi di integrazione all’interno del contesto locale, come dimostrano ampiamente, gli stessi indicatori CNEL sull’inserimento sociale.
Come abbiamo menzionato all’inizio di questo capitolo, l’Alto Adige possiede risorse, capacità, ma soprattutto esperienze e conoscenze acquisite nel tempo nella sua funzione di ponte fra i due versanti delle Alpi – Mediterraneo e Mitteleuropa – e ciò le consentirebbe di sviluppare un proprio specifico modello di inclusione che sia in grado di coniugare il modello italiano della dimensione locale e dei “piccoli passi” con quello più ideologico, basato sui valori europei dell’Austria, ma senza quelle costrizioni e condizionamenti attualmente previsti dalla normativa altoatesina.23 A questo modello, l’Alto Adige potrebbe poi aggiungere un importante fattore che contraddistingue il sistema di convivenza fra i gruppi linguistici presenti storicamente sul territorio altoatesino e che è alla base del suo benessere, e cioè la conciliazione e gli accomodamenti, le cosiddette azioni concertate, che coinvolgono le istituzioni e i corpi intermedi – sindacati, associazioni di categoria, imprenditori, mondo del volontariato – nonché la società nel suo complesso.24
In conclusione, l’analisi delle politiche altoatesine in materia di inclusione della popolazione straniera rimanda un’immagine di luci e ombre che risulta essere ambivalente per motivi principalmente riconducibili ad una certa riluttanza da parte delle istituzioni altoatesine a considerare i cittadini stranieri come parte integrante della società altoatesina. Ma per raggiungere e consolidare la coesione sociale e il benessere collettivo in una società sempre più diversificata, e quindi creare le basi per una società integrata nella quale tutti sono chiamati a contribuire, ma, a cui, allo stesso tempo, viene anche data l’opportunità di contribuire e di godere in modo equo dei suoi benefici, è necessario che la società altoatesina possa contare sul contributo di tutte le componenti della società, valorizzandone talenti e abilità e facendole sentire parte di un destino comune. Questo è uno degli obiettivi che la politica e la società altoatesina nel suo complesso dovrebbe porre in cima all’agenda politica e del dibattito pubblico per poter affrontare con successo le sfide locali e globali di natura sociale ed economica che ci attendono negli anni a venire.
Note
13 Art. 5, l. prov. Provincia autonoma di Bolzano 12/2011; Alto Adige 2022.
14 Art. 9, l. prov. Provincia autonoma di Bolzano 12/2011.
16 Art. 3 Costituzione italiana.
17 Corte Costituzionale, sentenza n. 2, 14 gennaio 2013, para.3.2.
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