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Pierluigi La Spada/Andrea Cagol

Le ragioni dell’accoglienza trentina1

The admission of refugees in Trentino

Abstract This report provides a review of the motivations for and the management of asylum seekers in the Autonomous Province of Trento. After referring to general data and the series of challenges Italy and European States are faced with, this report explains how different actors in the Province approach asylum seekers and negotiate organizational issues. In short, Trentino’s approach aims to involve as many actors and local entities as possible throughout the whole territory, in order to connect the necessities of asylum seekers to the possibilities that civil society can offer in assistance. At the provincial level, political and technical coordination tables meet regularly to support all involved actors and look for solutions on how to best coordinate the activities. The report also addresses salient issues in regard to extraordinary measures the Province has to take in light of the most recent and irregular flows of asylum seekers.

1. Linee guida di accoglienza a livello nazionale

La Giunta provinciale di Trento già nel 2003 con propria deliberazione approvava le “Linee guida per la predisposizione del protocollo di procedura di accoglienza dei richiedenti asilo”. Già all’epoca, per richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato risultava necessario presentare una domanda motivata con l’indicazione delle persecuzioni subite e delle possibili ritorsioni in caso di rientro nel proprio Paese e, nei limiti del possibile, documentata.

La domanda doveva essere presentata all’ufficio di Polizia di frontiera, al momento dell’arrivo al confine e, prima di ammettere lo straniero sul territorio italiano, la Polizia verificava che non sussistessero ostacoli all’ingresso. Se venivano riscontrati degli ostacoli, al richiedente veniva negato l’ingresso e le forze dell’ordine lo respingevano alla frontiera, tenuto conto che non era possibile respingerlo verso uno Stato dove la stessa persona rischiava di subire una persecuzione. Se, invece, non sussistevano motivi contrari all’ingresso, lo straniero veniva invitato ad eleggere domicilio nel territorio dello Stato italiano e a presentarsi presso la questura competente per territorio per l’avvio delle pratiche necessarie ad ottenere il riconoscimento. La domanda poteva essere presentata anche direttamente alla questura nel caso in cui lo straniero si trovasse già in Italia.

Allora come oggi il respingimento alla frontiera avveniva nei seguenti casi: se l’interessato era già stato riconosciuto come rifugiato in un altro Stato; se, dopo aver lasciato il proprio Paese e prima di entrare in Italia, aveva soggiornato in un Paese aderente alla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati; se aveva commesso crimini di guerra o contro l’umanità; se era stato condannato in Italia per uno dei delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza, o risultava pericoloso per la sicurezza dello Stato, o ancora apparteneva ad associazioni di tipo mafioso o dedite al traffico di stupefacenti o ad organizzazioni terroristiche.

Qualora non vi fossero cause ostative, la questura, redatto il formulario uniforme per la determinazione dello Stato competente per l’esame della domanda di asilo e il verbale delle dichiarazioni rese dall’interessato, rilasciava al richiedente, ritirandogli il passaporto, un permesso di soggiorno temporaneo che autorizzava lo straniero alla permanenza sul territorio nazionale per un mese, prorogabile fino a quando non veniva accertata la competenza dell’Italia all’esame della domanda di riconoscimento. Il verbale delle dichiarazioni rese dall’interessato e la domanda di riconoscimento venivano trasmesse alla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Il formulario uniforme veniva invece esaminato dall’Unità Dublino presso la Direzione Generale dei Servizi Civili del Ministero dell’Interno al fine di accertare quale era lo Stato dell’Unione Europea competente all’esame della domanda. Compiuto tale pre-esame, l’Unità Dublino chiedeva ad un altro Stato dell’Unione se sussisteva la competenza di quello Stato in base alle disposizioni della Convenzione di Dublino (presa in carico del richiedente asilo) oppure, se la competenza era dello Stato italiano, trasmetteva il formulario alla Commissione centrale per la decisione nel merito.

Accertata la responsabilità dello Stato italiano, al richiedente asilo veniva rilasciato un permesso di soggiorno provvisorio per richiesta di asilo (che non consentiva di lavorare), valido tre mesi e rinnovabile fino alla definizione del procedimento con la decisione della Commissione centrale.

La Commissione centrale con sede a Roma esaminava nel merito tutte le domande di cui lo Stato italiano era responsabile ed invitava il richiedente asilo per una audizione (con spese di viaggio e di alloggio a carico dell’interessato), al fine di conoscere in maniera più approfondita i motivi della richiesta di riconoscimento. La decisione di accoglimento o di rigetto della domanda veniva adottata dalla Commissione con provvedimento motivato, notificato al richiedente tramite la questura del luogo in cui il richiedente aveva eletto domicilio. Se la Commissione centrale accoglieva la domanda di riconoscimento, trasmetteva alla Questura un certificato per il rilascio di un permesso di soggiorno per asilo valido due anni e uno speciale documento di viaggio valido per l’estero tranne che per il Paese di appartenenza.

Con il provvedimento di rigetto lo straniero veniva invitato a lasciare il territorio dello Stato entro 15 giorni dalla notifica da parte della questura; se non ottemperava al decreto veniva accompagnato alla frontiera. In caso di impossibilità del rinvio al Paese di origine, dove lo straniero poteva essere colpito da discriminazioni che mettevano in pericolo la sua vita o la sua libertà personale, la questura poteva su richiesta dell’interessato inviarlo in un Paese terzo. La Commissione centrale nel provvedimento di rigetto poteva anche fare una raccomandazione alla questura per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari o straordinari valido un anno rinnovabile (secondo i casi) che consentiva di studiare e lavorare: si riconosceva in tal modo che sarebbe comunque stato pericoloso il rientro nel Paese di origine. Il richiedente poteva comunque ottenere, se vi erano i presupposti, un permesso di soggiorno ad altro titolo (ad esempio, per ricongiungimento familiare, lavoro, attesa di emigrazione). Contro il provvedimento di rigetto era ammesso il ricorso al giudice ordinario (tribunale civile) entro 60 giorni dalla data di notifica.

Il rifugiato, riconosciuto tale, secondo quanto stabilito dalla Convenzione di Ginevra, godeva dello stesso trattamento accordato ai cittadini italiani in materia di libertà religiosa e istruzione religiosa, istruzione elementare, accesso ai tribunali e assistenza giuridica, protezione della proprietà industriale (marchi, invenzioni, ecc.), letteraria, artistica e scientifica, assistenza sanitaria ed economica, lavoro e assicurazioni sociali, fisco. Il rifugiato regolarmente residente godeva inoltre di un trattamento non meno favorevole di quello riservato agli stranieri regolarmente residenti in altre materie, quali: acquisto di beni mobili e immobili, lavoro autonomo, libere professioni, istruzione di grado diverso da quello elementare, libertà di circolazione. Il rifugiato godeva anche di un particolare trattamento in materia di servizio militare, ricongiungimento familiare e acquisto della cittadinanza italiana per naturalizzazione. Infatti, a differenza degli altri stranieri legalmente soggiornanti, ai quali si richiedono 10 anni di residenza regolare, i rifugiati, equiparati in ciò agli apolidi, potevano e possono presentare l’istanza per ottenere la cittadinanza italiana dopo soli 5 anni di residenza regolare nel territorio dello Stato. Il rifugiato beneficiava inoltre, in determinate circostanze, di contributi in denaro che venivano concessi nell’ambito del Programma di interventi di sostegno concordato annualmente dalla Direzione Generale dei Servizi Civili con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

Prima dell’accoglimento della domanda del richiedente asilo, il permesso di soggiorno temporaneo e il permesso di soggiorno provvisorio per richiesta di asilo, titoli di soggiorno che non consentivano di lavorare, davano diritto ai richiedenti asilo privi di mezzi di sussistenza o di ospitalità in Italia di ottenere l’assistenza economica degli enti locali e il contributo di prima assistenza a carico della Direzione Generale dei Servizi Civili. Il contributo di prima assistenza consisteva nella somma di euro 17,56 al giorno, per un periodo massimo di 45 giorni.

Secondo il Dossier statistico della Caritas del 2001, i rifugiati nell’Unione Europea erano, all’inizio del 2001, 1,7 milioni distribuiti in modo non omogeneo tra i quindici Paesi appartenenti all’UE. Infatti, si passava da Paesi come la Svezia che ospitava circa 20 rifugiati ogni 1.000 residenti, a Paesi come Austria, Danimarca, Germania e Paesi Bassi dove si trovavano da 10 a 13 rifugiati per 1.000 abitanti, fino ai Paesi dell’Europa meridionale che avevano meno di 5 rifugiati ogni 1.000 resi­denti. In Italia i rifugiati erano circa 23.000, 1 ogni 2.500 abitanti, ovvero 0,4 ogni 1.000 abitanti. In termini assoluti il Paese dell’Unione Europea che ospitava più rifugiati era la Germania con 960.000 persone, seguita da Svezia (157.000), Regno Unito (150.000), Paesi Bassi (146.000) e Francia (129.000). Sempre secondo il citato rapporto statistico, nel decennio 1990/2000, soprattutto a causa dei conflitti nella regione balcanica, il numero delle domande di asilo presentate nei Paesi dell’Unione Europea, era passato dalle 226.000 del 1996 alle 408.000 del 2000, di cui 14.000 inoltrate in Italia. Delle 25.113 domande esaminate dalla Commissione centrale nel 2000, 1.649 erano positive, 23.351 sono risultate negative e 113 sospese. Dai dati forniti dal Commissariato del governo per la provincia di Trento le istanze per il riconoscimento di rifugiato depositate al 15 luglio 2002 presso la Questura di Trento risultavano essere 58, per le quali sono stati rilasciati 18 permessi di soggiorno ai sensi della “Convenzione di Dublino 15/10/1990” (di durata mensile) e 40 permessi di soggiorno per “richiesta asilo politico” (di durata trimestrale).

Secondo il Dossier “Nausicaa” del 2000 curato dal Consorzio Italiano di Solidarietà in partenariato con UNHCR e Fondazione Censis, le località di primo arrivo di richiedenti asilo e profughi in Italia erano sostanzialmente tre. Due via-mare: la costa del Salento in Puglia e la costa ionica calabrese. Una via-terra: il confine terrestre tra Friuli-Venezia Giulia e la Slovenia. Generalmente, una volta arrivate in Italia, si procedeva alla sistemazione delle persone in grandi strutture, dove veniva avviata la procedura di identificazione per il trasferimento in strutture più piccole. Una volta ottenuto il permesso di soggiorno, i richiedenti asilo lasciavano i centri di prima accoglienza per raggiungere familiari, conoscenti ed amici o per tentare di raggiungere altri Paesi europei. Tuttavia, fino a quando la pratica di riconoscimento non era definita, ogni tentativo di lasciare l’Italia era vano ai sensi della Convenzione di Dublino. In quel periodo, prima di conoscere l’esito della domanda il richiedente asilo doveva attendere, in media, dai nove mesi ad oltre un anno. Durante quest’arco di tempo, pur essendo in posizione regolare, il richiedente asilo, come più volte ricordato, non poteva svolgere alcuna attività lavorativa; essendo in stato di indigenza, non poteva che essere rimesso all’accoglienza e all’assistenza dell’eventuale intervento del settore pubblico e del privato sociale.

2. Accoglienza diversificata in Trentino

A causa della mancanza di un riferimento specifico per i richiedenti asilo, si era creata anche in Trentino una situazione di gestione dell’accoglienza diversificata e disomogenea. Infatti, secondo quanto previsto dal c.1 dell’art. 7 della L.P. 13/90, la citata legge “opera alle condizioni e nei limiti di cui agli articoli successivi nei confronti dei cittadini extracomunitari immigrati dimoranti nel Trentino”. Anche gli apolidi, i profughi ed i rifugiati ai sensi del c.2 del citato art. 7 potevano beneficiare degli interventi di cui alla L.P. 13/90, ove non usufruissero di più favorevoli o analoghi benefici in forza della normativa comunitaria, statale e provinciale, mentre secondo quanto disposto dall’art. 10 c.1 della stessa L.P. 13/90, potevano accedere ai benefici previsti dalla normativa provinciale in materia di edilizia abitativa gli immigrati extracomunitari, in costanza di lavoro, dipendente o autonomo, o iscritti nelle liste di collocamento, secondo le modalità stabilite con deliberazione della Giunta provinciale.

Tutto il sistema organizzato in Trentino per l’accoglienza a favore degli stranieri si basava sul presupposto che gli stessi fossero in possesso dei requisiti di cui al citato art. 10 c.1, escludendo di fatto dagli interventi di accoglienza stabile, ancorché temporanea, i richiedenti asilo in difficoltà o altre tipologie di soggetti in possesso di permessi di protezione sociale o umanitari. Peraltro, salvo interventi di carattere privato volontario, le risposte organizzate dal pubblico, attraverso il privato sociale, per l’alloggio e il vitto, erano quelle fornite in strutture che avevano la caratteristica della pronta accoglienza e quindi per poche settimane. Di conseguenza la risposta di questi centri non poteva che risultare inadeguata ai tempi lunghi di attesa cui erano sottoposti i richiedenti asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato, condizione che apriva loro l’accesso a tutt’altre risposte strutturate previste dai servizi pubblici. Peraltro, in alcuni casi si sono potuti attivare interventi di aiuto e sostegno previsti dalla L.P. 14/91 erogati dai servizi sociali territoriali anche per i richiedenti asilo però in possesso della residenza. La residenza non sempre veniva data, in quanto lo straniero doveva essere necessariamente in possesso di un permesso di soggiorno della validità superiore ai tre mesi; e, come si è potuto capire dalla procedura sopra descritta, i permessi temporanei per i richiedenti asilo in attesa di riconoscimento dello status di rifugiato variavano da un mese a tre mesi rinnovabili.

La legge n. 189/2002 che modificava la normativa in materia di immigrazione e asilo prevedeva, tra le altre cose, delle procedure semplificate e più rapide per il riconoscimento dello status di rifugiato. In primo luogo veniva rilasciato, su richiesta, un permesso di soggiorno temporaneo valido fino alla definizione della procedura di riconoscimento. Entro due giorni dal ricevimento dell’istanza, il questore provvedeva alla trasmissione della documentazione necessaria alla commissione territo­riale per il riconoscimento dello status di rifugiato – istituita presso le locali prefetture –, ufficio territoriale del governo che, entro quindici giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvedeva all’audizione del richiedente e adottava la decisione entro i successivi tre giorni. Le commissioni, nominate con decreto del Ministro dell’Interno, presiedute da un funzionario della carriera prefettizia e composte da un funzionario della Polizia di Stato, da un rappresentante dell’ente territoriale desi­gnato dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali e da un rappresentante dell’ACNUR, avevano le funzioni che espletava la commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Quest’ultima commissione, trasformata in commis­sione nazionale per il diritto di asilo, assumeva il compito di indirizzo e coordina­mento delle commissioni territoriali, di formazione e aggiornamento dei componenti delle medesime commissioni, di raccolta di dati statistici oltre che poteri decisionali in tema di revoche e cessazione degli status concessi.

Inoltre, la citata legge n. 189/2002 prevedeva che gli enti locali che prestassero servizi finalizzati all’accoglienza dei richiedenti asilo e alla tutela dei rifugiati e degli stranieri destinatari di altre forme di protezione umanitaria potevano accogliere nell’ambito dei servizi medesimi il richiedente asilo privo di mezzi di sussistenza ed ottenere dallo Stato il sostegno finanziario dei servizi di accoglienza in misura non superiore all’80 per cento del costo complessivo di ogni singola iniziativa territoriale, attraverso l’apposito Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.

In quello stesso periodo l’Unione Europea stava predisponendo una direttiva UE allo scopo di uniformare tra gli Stati membri una accoglienza minima anche materiale per i richiedenti asilo. Sulla base di queste prime indicazioni, la Giunta provinciale di Trento approvava delle linee guida con lo scopo di individuare le condizioni materiali d’accoglienza per garantire una qualità di vita adeguata per la salute ed il benessere dei richiedenti asilo e dei familiari al seguito e per proteggere i loro diritti fondamentali fino al riconoscimento dello status di rifugiato e comunque fino al momento della notifica dell’eventuale decisione negativa sul ricorso al non riconoscimento dello status di rifugiato. La Giunta provinciale stabiliva anche un limite numerico di persone da accogliere, che di norma non doveva essere superiore a 30 persone e comunque nel limite delle risorse messe a disposizione dalla Provincia.

3. Progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e ­rifugiati)

Tra gli anni 2006 e 2013, il progetto Sprar in Trentino consisteva nella gestione di 15 posti. Oggi i posti disponibili nel progetto sono 150 in vari appartamenti dislocati sul territorio provinciale.

Il progetto offre un’accoglienza integrata a richiedenti/titolari di protezione internazionale e umanitaria tramite la predisposizione di interventi materiali e di servizi individualizzati di tutela e accompagnamento alla (ri)conquista dell’autonomia individuale. L’accoglienza viene offerta in semi-autonomia in appartamenti condivisi dislocati sul territorio provinciale. Dal momento del loro ingresso in accoglienza, i beneficiari frequentano i corsi di italiano. Il progetto prevede anche l’attivazione di un servizio di mediazione linguistico-culturale. I richiedenti asilo ricevono un sussidio economico mensile (o in alcuni casi dei buoni spesa) per soddisfare le necessità quotidiane e dispongono di un abbonamento gratuito per i trasporti pubblici valido per tutto il territorio provinciale. Durante il progetto vengono strutturati inoltre dei percorsi individualizzati d’inserimento lavorativo, tramite attivazione di tirocini, di valutazione dei pre-requisiti lavorativi o di inserimento in ambiente di lavoro protetto, a seconda della situazione delle persone. Allo stesso tempo ai beneficiari viene garantito un servizio di sostegno psicologico, in particolare nella fase precedente all’audizione presso la Commissione che valuta la domanda di protezione internazionale.

L’equipe multidisciplinare del progetto lavora in sinergia per garantire un’effettiva presa in carico delle persone in accoglienza, con una particolare attenzione ai beneficiari portatori di specifiche esigenze o vulnerabilità. Le figure professionali coinvolte sono operatori di accoglienza che garantiscono la gestione delle dinamiche della convivenza, l’orientamento e l’accesso ai servizi del territorio, operatori per l’integrazione che strutturano percorsi individualizzati di inserimento socio-lavorativo e di sostegno alla ricerca di soluzioni abitative post-accoglienza, operatori legali per garantire l’orientamento e l’informazione legale, assistenti sociali che definiscono un progetto individualizzato di autonomia personale. L’equipe collabora attivamente con diversi attori locali che a vario titolo sono interlocutori dei percorsi di accoglienza e d’integrazione, cercando di favorire l’inserimento dei beneficiari nella società civile locale.

Nel 2016 sono state accolte 199 persone, di cui 34 donne e 165 uomini. La maggior parte di loro è arrivata in Italia senza famiglia al seguito. Risultano accolti nel progetto Sprar del Trentino 7 nuclei familiari, di cui due monoparentali. La maggior parte delle persone accolte ha meno di 30 anni, e l’età media si aggira sui 27 anni. Non sono però solo giovani ad arrivare; infatti, 14 persone hanno oltre 40 anni, mentre 15 sono minorenni che vivono in famiglia; di questi, 7 sono nati in Italia. Sono presenti 23 diverse nazionalità. Il principale Paese di provenienza si conferma essere il Pakistan, con 50 persone, nonostante oltre la metà degli accolti provenga dal continente africano (111). Seguono Nigeria (con 29 persone) e Mali (con 28 persone). Durante il 2016 le persone che hanno ottenuto una risposta alla propria domanda di protezione internazionale sono state 77: ad oltre la metà di queste è stata riconosciuta dallo Stato italiano una qualche forma di protezione.

4. L’esperienza emergenza umanitaria Nord Africa

A causa del conflitto nel territorio libico e dell’evoluzione degli assetti politico-sociali nei Paesi della fascia del Maghreb e in Egitto si è accentuato nei primi mesi del 2011 lo sbarco in Italia di persone richiedenti protezione internazionale. Per questo motivo, il 12 febbraio 2011 è stato dichiarato lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale. Tutte le Istituzioni della Repubblica si sono quindi impegnate ad affrontare l’emergenza umanitaria Nord Africa. Il Governo, le Regioni ed Enti locali hanno sottoscritto una intesa per far fronte a tale emergenza. Nella cabina di regia della Conferenza Unificata del 6 aprile 2011, il Governo, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali, preso atto che il Governo per affrontare l’emergenza umanitaria ha assunto la determinazione – sulla base anche del confronto con Regioni e Enti Locali – di avvalersi dell’articolo 20 del T.U. Immigrazione, hanno ribadito che tutte le Istituzioni della Repubblica responsabilmente si impegnano ad affrontare questa emergenza umanitaria con spirito di leale collaborazione e solidarietà.

È stata quindi istituita una “cabina di regia trentina” composta da due tavoli: uno istituzionale politico e uno tecnico operativo. Gli interventi che la Provincia autonoma di Trento ha posto in essere per l’accoglienza sono disciplinati dalla deliberazione della Giunta provinciale n. 2905 del 2003 recante “Approvazione del protocollo di procedura per l’accoglienza dei richiedenti asilo in provincia di Trento ai sensi della legge provinciale 2 maggio 1990, n. 13”, da ultimo modificata con deliberazione n. 1649 del 2007.

La “Cabina di regia trentina” era così articolata:

1) Tavolo di coordinamento istituzionale e politico presieduto dal Presidente della Provincia autonoma composto da:

il Commissario del governo per la Provincia di Trento,

il Presidente del Consiglio delle autonomie,

i Presidenti delle Comunità di valle,

i Sindaci dei Comuni di Trento e di Rovereto e gli assessori provinciali competenti in materia di immigrazione, politiche sociali e sanitarie e autonomie locali;

2) Tavolo di coordinamento tecnico presieduto dal dirigente generale il Dipartimento competente in materia di Protezione civile composto da:

tecnici degli assessorati provinciali competenti in materia di protezione civile, immigrazione, politiche sociali e sanitarie e autonomie locali;

tecnici del Commissariato del Governo per la provincia di Trento;

tecnici dei Comuni di Trento e di Rovereto, del Consiglio delle autonomie e delle Comunità di Valle.

A tale tavolo potevano essere convocati associazioni, enti e organizzazioni che svolgevano attività abituale in favore degli immigrati o soggetti in stato di bisogno nonché le associazioni di volontariato che, operanti nel campo della protezione civile, intendevano contribuire in iniziative per il superamento delle difficoltà che ostacolavano l’inserimento dei richiedenti asilo nella comunità trentina. La spesa necessaria per realizzare gli interventi e le azioni concordate è stata posta a carico di un fondo costituito presso il dipartimento nazionale di protezione civile attraverso apposita ordinanza di protezione civile.

5. Il progetto trentino di accoglienza straordinaria dei richiedenti protezione internazionale

La Provincia autonoma di Trento già dal 2014 ha stipulato un Protocollo d’intesa con il Commissariato del Governo per la Provincia di Trento per dare accoglienza straordinaria ai migranti soccorsi in mare o giunti autonomamente via terra ­privi di mezzi di sostentamento. Sulla base dei criteri approvati nella Conferenza unificata del 10 luglio 2014, la Provincia autonoma accoglie circa lo 0,89 per cento dei migranti che il Ministero dell’Interno ripartisce su tutto il territorio nazionale.

In Trentino, i migranti inviati dallo Stato vengono innanzitutto accolti a Trento nel centro di pronta accoglienza (hub di smistamento con 49 posti letto), per il tempo strettamente necessario ad effettuare l’eventuale identificazione e i controlli sanitari previsti dal protocollo di procedura del servizio sanitario provinciale e a presentare la domanda di protezione internazionale. Successivamente, i richiedenti asilo sono trasferiti nelle strutture di prima accoglienza previste sul territorio della Val d’Adige e della Vallagarina sulla base della disponibilità di posti liberi, tenendo conto del genere e della composizione dei nuclei familiari. Questi centri di accoglienza dispongono in totale di 538 posti letto. Compatibilmente con la disponibilità di alloggi, i richiedenti protezione internazionale accolti nei centri di prima accoglienza vengono poi trasferiti sul territorio provinciale: ad oggi sono 47 i territori comunali dove sono presenti i richiedenti.

È utile ricordare che il Protocollo d’intesa prevede che la Provincia autonoma – a fronte di un rimborso delle spese sostenute per un importo massimo di 30 euro (Iva esclusa) al giorno per ciascun beneficiario – garantisca sia la fornitura di beni e servizi per le attività di accoglienza, sia la fornitura di generi alimentari; lo fa attraverso le seguenti forme:

erogazione di buoni spesa nel caso di accoglienza in strutture che consentano l’autonoma confezione dei pasti per un importo mensile pari a 150,00 euro a beneficiario per l’acquisto di generi alimentari ed extra alimentari;

erogazione dei pasti laddove non sia possibile l’autonoma confezione dei pasti avendo cura che non siano in contrasto con i principi e le abitudini alimentari degli ospiti, in particolare rispettando tutti i vincoli costituiti da regole alimentari dettate dalle diverse scelte religiose;

distribuzione di effetti letterecci adeguati al posto occupato, composti da materasso, cuscino, lenzuola, federe e coperte, periodicamente cambiati per l’invio al servizio di lavanderia, e quant’altro utile al comfort della persona;

distribuzione di prodotti per l’igiene personale e vestiario intendendo la fornitura del minimo necessario al momento dell’accoglienza presso la struttura e, all’occorrenza, il rinnovo dei beni da effettuare periodicamente al fine di garantire l’igiene e il decoro della persona. Il rinnovo di generi consumabili con l’uso (quali sapone, shampoo, dentifricio, carta igienica, ecc.) sono a carico del beneficiario quando sono erogati i buoni spesa;

erogazione del pocket money nella misura di euro 2,50 pro capite/pro die, fino ad un massimo di euro 7,50 per nucleo familiare;

erogazione di una tessera/ricarica telefonica di euro 15 all’arrivo in Trentino;

orientamento generale sulle regole comportamentali all’interno delle strutture, nonché sulla relativa organizzazione;

informazione e orientamento sul percorso di protezione internazionale in stretta collaborazione con la Questura di Trento e la competente Commissione che valuta le domande di protezione;

sostegno socio-psicologico nonché assistenza sanitaria da effettuare presso i presidi sanitari territoriali o medici di base;

orientamento al territorio e percorsi di facilitazione all’integrazione sociale e alla vita comunitaria;

servizio di assistenza linguistica e culturale nonché organizzazione di corsi di lingua e cultura italiana e di formazione all’inserimento lavorativo e al volontariato.

Per quanto riguarda i dati dell’accoglienza straordinaria in provincia di Trento, nel corso del 2016 sono stati accolti in Trentino 1.267 migranti e sono uscite 735 persone. Il mese con il maggior numero di arrivi è stato quello di luglio, con 256 soggetti; mentre il mese con le maggiori uscite è stato quello di ottobre, con 118 persone. Sul totale delle persone accolte nel corso del 2016, la maggioranza ha dichiarato di essere nigeriana (329), a seguire ivoriana (116) e maliana (105). Il 70,1 per cento delle persone arrivate in Trentino è di genere maschile, nonostante nel 2016 sia stata data disponibilità all’accoglienza di donne e di nuclei familiari.

Inoltre, i dati in nostro possesso, rivelano che nel corso del 2016 sono usciti dall’accoglienza 735 migranti, la maggioranza dei quali avevano dichiarato di essere nigeriani (151), eritrei (62) e ivoriani (60). Si è trattato di maschi nel 68,2 per cento dei casi. Nel caso della componente femminile, il gruppo nazionale che ha visto il maggior numero di uscite dal progetto è stato quello nigeriano (con oltre 100 donne uscite dall’accoglienza).

Al 31 dicembre 2016 i migranti presenti nell’accoglienza straordinaria erano 1.226 persone: 1.042 di genere maschile e 184 di genere femminile. Si conferma anche per questo anno di riferimento una presenza maggioritaria di nigeriani (327; 26,7 % del totale), seguiti da pakistani (176; 14,4 % del totale) e maliani (115; 9,4 %).

Per quanto attiene alla distribuzione territoriale delle 1.226 persone in accoglienza, i due terzi gravitano sui territori comunali di Trento e Rovereto (66,5 %), dove sono presenti i centri di prima accoglienza. Infatti, nei primi tre territori comunali interessati – Trento, Rovereto e Garniga – ci sono quattro centri di prima accoglienza che da soli possono ospitare 633 persone. Al 31 dicembre 2016 erano comunque 42 i territori interessati dall’accoglienza straordinaria, 18 dei quali con più di 10 persone accolte.

Note

1 Gli autori specificano che i dati citati in questo rapporto sono stati elaborati da Cinformi o sono reperibili presso Cinformi. Cinformi è il Centro informativo per l’immigrazione, un’unità operativa del Dipartimento Salute e Solidarietà Sociale della Provincia autonoma di Trento: www.cinformi.it/index.php/it/content/view/full/2 (07.03.2017). I riferimenti dei due dossier citati nel rapporto sono: Caritas 2001, XI Dossier Statistico Immigrazione 2001, Roma: Nuova Anterem; Ics/Acnur/Censis, Dossier Nausicaa 2002, Un primo quadro sulla tutela del diritto di asilo in Italia.