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Gracy Pelacani

Accesso alla protezione internazionale e all’accoglienza nei territori dell’Euregio: il quadro giuridico

Un dialogo difficile ma necessario

Legal Access to International Protection and Reception Areas in the Euroregion: A Difficult but Necessary Dialogue

Abstract The article provides an outline for and analyses the most recent legal measures adopted by territories that are part of the EGTC (Euroregion Tyrol-South Tyrol-Trentino) and by the Euroregion itself. These measures deal with access to international protection and the reception of asylum-seekers.

Firstly, it points out some basic features of the context within which the norms adopted at the sub-national level have to be located: namely, international laws for protection and Euro­pean Union law – especially the Common European Asylum System – and the most recent ad hoc measures adopted to address the considerable increase of asylum-seekers in both Italy and Austria.

It then focuses on the normative framework for international protection of both countries, specifically the most recent amendments and national legislation reforms. The article premises that this analysis is necessary in order to understand how much autonomy EGTC territories have, what kind of measures they can adopt on the matter of international protection, and how broad the margin for appreciation and discretion is to adapt asylum seekers’ needs to the characteristics and the available resources of the sub-national levels involved in reception.

Finally, the article concentrates on initiatives of the EGTC in the fields of international protection, borders and immigration control. In order to safeguard EGTC common interests, a task force has been created to adopt common decisions and coordinate unilateral actions.

1. Introduzione

Interconnessione e dialogo necessario sono due tra le parole chiave che si pensa debbano guidare l’analisi del quadro giuridico in materia di accesso alla protezione internazionale (PI) e all’accoglienza nei territori dell’Euroregione Tirolo-Alto Adige-­Trentino. Questo studio prende avvio dalla situazione attuale – biennio 2015-2016 – e si propone di rendere conto delle più recenti modifiche normative e delle questioni tuttora aperte.

Il quadro che si intende tracciare si prefigge di delineare gli elementi comuni tra le normative vigenti nei diversi territori dell’Euroregione, per poi passare ad analizzare gli aspetti in cui ogni territorio ha differenziato la risposta agli arrivi di richiedenti PI e migranti in transito, a seconda delle caratteristiche e necessità specifiche di ognuno, e dei margini di discrezionalità concessi dalle rispettive normative nazionali. A chiusura, si considereranno i meccanismi e tentativi di coordinamento tra i territori dell’Euroregione per una condivisa gestione e un maggiore controllo del movimento di persone attraverso i propri confini.

Come si avrà modo di sottolineare, è in relazione all’ultimo aspetto che il Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT) ha rimarcato la necessità che i rispettivi governi nazionali concordino con i territori le misure di controllo delle frontiere, e che si predispongano meccanismi di collaborazione nella gestione dei flussi allo scopo di non pregiudicare, in primo luogo, la libera circolazione di persone e merci lungo l’asse del Brennero.1

2. Elementi di contesto

Al netto degli sforzi di convergenza e armonizzazione della normativa nell’ambito della PI, non è complesso comprendere che possano sorgere tensioni tra territori confinanti interessati dall’arrivo e dal transito di migranti e richiedenti PI. Il sistema europeo comune d’asilo (SECA) si poggia sulla finzione giuridica che presume vi siano identici livelli di tutela e accoglienza tra gli Stati membri, sulla base della (falsa) premessa che l’applicazione del medesimo quadro normativo conduca all’applicazione di uguali standard materiali. Si suppone, quindi, che sia irrilevante lo Stato in cui il richiedente farà domanda, perché riceverà in ogni Stato un identico trattamento. Come noto, le differenze di fatto tra i sistemi d’asilo nazionali sono una delle maggiori cause dei movimenti secondari da parte dei richiedenti PI. A loro volta, i movimenti secondari si ritengono essere una delle principali ragioni del – a dir poco – difettoso funzionamento del sistema stesso (Den Heijer/Rijpma/Spijkerboer 2016, 609-611). In particolare, durante le due fasi di sviluppo del SECA – conclusesi nel 2005 e nel 2013 rispettivamente – si è sottolineato che la previsione di ampie possibilità di deroga, eccezioni e clausole opzionali a favore delle normative nazionali concedeva eccessivi margini di discrezionalità agli Stati a detrimento della perseguita armonizzazione (Teitgen-Colly 2006, 1512-1513; Chetail 2016, 38).

Completano il quadro normativo una serie di misure adottate dalle istituzioni dell’UE dalla primavera del 2015, alcune delle quali sono particolarmente rilevanti per i territori dell’Euregio. Si tratta, soprattutto, delle iniziative intraprese nel ten­tativo di coordinare le reazioni unilaterali dei paesi che si trovano lungo la rotta dei Balcani occidentali dall’ottobre 2015 (Leader’s Meeting 2015), e al fine di gestire le conseguenze derivate dalla sua chiusura (Conference 2016). Azioni a cui va ad aggiungersi la temporanea reintroduzione dei controlli alle frontiere interne in alcune parti dell’area Schengen – tra cui i confini austriaci – che ne hanno compromesso il normale funzionamento. Nonostante l’obiettivo fosse riportare la situazione allo status quo ante a fine 2016, salvo circostanze eccezionali (Commissione 2016), proprio per il ricorrere di contingenze di tale natura – come le conseguenze di possibili movimenti secondari dei richiedenti PI presenti nei paesi parte della rotta dei Balcani occidentali – l’11 novembre 2016, il Consiglio dell’UE ha consentito allo Stato austriaco, tra altri, di prorogare fino a febbraio 2017 i controlli ai confini austro-ungherese e austro-sloveno (Consiglio dell’Unione Europea 2016).

3. La protezione internazionale nei territori dell’Euregio

Nei territori dell’Euregio si sovrappongono le normative e le problematiche descritte fino a questo momento. Trattasi di territori d’incontro tra le rotte del mediterraneo centrale, del mediterraneo orientale e la rotta dei Balcani occidentali, tramite le quali sono giunte nel territorio dell’UE attraversando il Mediterraneo 361.712 persone nel 2016 e 1.015.078 nel 2015 (UNHCR 2016). Territori di transito per molte di queste, e per altre di allocazione, i quali, ognuno con le sue specificità, accolgono sul proprio territorio i richiedenti PI.

Il coinvolgimento dei livelli sub-nazionali di governo caratterizza in modo importante entrambi i sistemi nazionali di accoglienza e, visto l’alto numero di persone ora presenti ed accolte, anche i più recenti sistemi di accoglienza “straordinari”. Infatti, al fine di non far gravare gli oneri dell’accoglienza sulle sole zone di primo arrivo, e di distribuire i richiedenti PI sul territorio nazionale in modo equilibrato, Austria e Italia hanno ulteriormente rafforzato i già operanti sistemi di dispersione. Inoltre, come enti erogatori delle prestazioni sociali fornite sul territorio, e che provvedono in concreto all’accoglienza materiale dei richiedenti PI, i livelli sub-nazionali di governo ricoprono un ruolo fondamentale nella gestione dell’accoglienza, e beneficiando di un margine di discrezionalità fondamentale per coniugarla con le caratteristiche e necessità del territorio.

3.1. Austria. Tirolo

Secondo i dati del Ministero dell’Interno austriaco, si sono registrate 88.340 domande di PI in Austria nel 2015 – Afghanistan, Siria e Iraq come primi tre paesi d’origine dei richiedenti – con un incremento di quattro volte rispetto al 2014, quando se ne registrarono 28.064 (BMI 2016). A novembre 2016, si contavano 39.618 domande in prima istanza – di cui 30.356 accettate – con una riduzione del 70 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015, e del 22 per cento rispetto ai precedenti tre mesi del 2016 (Eurostat 2016). Da ultimo, da settembre 2015 a giugno 2016, 803.600 stranieri sono entrati in territorio austriaco ma solo 56.600 vi hanno fatto domanda di PI (Benedek 2016, 950), rendendo così evidente il ruolo del paese anche come territorio di transito, almeno fino alla completa chiusura della rotta dei Balcani occidentali.

Secondo la Grundversorgungsvereinbarung firmata nel 2004, sulla base dell’art. 15A della costituzione austriaca, la responsabilità di provvedere all’assistenza sociale di base agli stranieri è condivisa tra il livello federale e quello regionale. Questo accordo stabilisce sia le condizioni d’accoglienza sia l’ammontare massimo delle prestazioni in denaro. Hanno diritto all’assistenza i non cittadini austriaci in situazioni di bisogno, ossia sprovvisti di mezzi propri per provvedere al personale sostentamento. Pertanto, allorché si trovino in questa situazione, ne beneficeranno anche i richiedenti e beneficiari di PI. Nello specifico, la legge del Tirolo in materia di assistenza stabilisce che qualora il richiedente riceva uno stipendio, sarà autorizzato a trattenere per sé una somma mensile massima di 240 euro, mentre l’eccedente dovrà essere versato come contributo all’assistenza di base.

La procedura per fare domanda di PI, così come regolata dalla legge federale sull’asilo, è composta da una prima fase di ammissibilità durante la quale è il livello federale a farsi carico dell’accoglienza. Quando però la domanda viene ammessa all’esame nel merito, l’onere passa in capo al livello regionale (Länderebene), e ogni Land disciplinerà l’assistenza, nel rispetto della normativa federale, con una propria regolamentazione. Perciò, vi sono importanti (e criticate) differenze tra un Land e l’altro in materia, nonostante l’accordo del 2004 si proponga (anche) di assicurare standard di accoglienza uniformi all’interno della federazione (Koppenberg 2014, 48-49). Quanto ai costi, se nella prima fase la federazione se ne fa carico, nella seconda fase questi vengono condivisi con i Länder in base a un rapporto di 60:40. Tuttavia, già al principio della fase di ammissibilità i Länder vengono coinvolti: registrata la domanda, l’ufficio federale per l’immigrazione e l’asilo (BFA/Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl) darà istruzioni all’ufficio di polizia dove la domanda è stata presentata al centro di prima accoglienza (Erstaufnahmestellen) o centro d’accoglienza federale (Verteilerquartiere) presso i quali il richiedente dovrà essere trasferito o si dovrà recare. A questo scopo si sono aperti sette nuovi centri, di modo che l’accoglienza sia data e il procedimento possa in ipotesi svolgersi nella medesima regione in cui la domanda è stata presentata (Koppenberg 2015, 19).

La distribuzione dei richiedenti PI nei Länder ai fini dell’accoglienza avviene, in accordo con il livello federale, secondo un sistema di dispersione che ambisce a una distribuzione equa su tutto il territorio, sulla base di quote annuali di assegnazione calcolate in proporzione alla popolazione di ogni Land. Nell’ottobre del 2015, viste le difficoltà incontrate nel reperire sufficienti alloggi a livello provinciale, il sistema è stato modificato per permettere alla federazione di allocare centri d’accoglienza anche in quelle municipalità che si erano negate a partecipare al sistema di dispersione, quando così fosse necessario e la quota annuale non fosse già stata esaurita.

Potrebbe, infine, avere importanti effetti sui territori di confine la criticata riforma della normativa nazionale in materia di PI approvata il 27 aprile 2016 (BGBl. I Nr. 24/2016). Tra altre misure che limitano in modo importante i diritti dei richiedenti e beneficiari di PI, sarà possibile applicare una nuova procedura accelerata nella fase di ammissibilità delle domande presentate alla frontiera: quando il governo federale ritenga che sono a rischio il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna, a fronte di un alto numero di domande di PI, potrà dichiarare lo stato di emergenza nazionale per un periodo di sei mesi, prorogabile. Vigente questo stato, una domanda potrà essere rigettata senza essere esaminata nel merito in applicazione del concetto di “paese terzo sicuro”, salvo il richiedente sia un soggetto vulnerabile o sussistano circostanze eccezionali.

La situazione in merito all’accoglienza dei richiedenti PI e migranti nel Land Tiro­lo, nel biennio 2015-2016, è stata molto fluida, essendo questo un territorio sia di accoglienza dei richiedenti che hanno presentato domanda di PI in Austria, sia di transito, e in cui sono confluite le persone giunte sul territorio dell’UE tramite la rotta del Mediterraneo centrale, passando per l’Italia, e coloro che hanno utilizzato la rotta dei Balcani occidentali nel tentativo di proseguire il loro viaggio verso la Germania e gli Stati scandinavi.

Secondo il sistema di dispersione nazionale, il Land Tirolo deve farsi carico dell’8,4 per cento dei richiedenti PI presenti a livello nazionale. A gennaio 2017 vi erano accolte 6.071 persone, con un notevole aumento rispetto al gennaio 2015 (1.750 richiedenti accolti), mentre a novembre 2016 erano 6.123, pari al 90 per cento circa della quota provinciale. Al fine di far fronte a questo rapido aumento, a partire dall’aprile 2015, i servizi di assistenza di base per i richiedenti PI (alloggio, vitto, assistenza sanitaria, formazione professionale e linguistica), prima in capo al dipartimento per il benessere sociale (Abteilung Soziales) del governo regionale, sono stati invece affidati alla Tiroler Soziale Dienste (GmbH), società controllata con sede nello stesso Land. Nel febbraio 2016, si segnalava che in Tirolo vi era un’attesa di circa sei mesi per l’avvio della procedura per la decisione sulla domanda di PI (FRA 2016a, 3).

Il reperimento di alloggi si è rivelato essere uno tra gli aspetti più problematici. L’alto numero di persone da accogliere ha reso complessa l’individuazione di strutture di piccole dimensioni, ed ha portato a privilegiare la costruzione di tre centri di grandi dimensioni (tali da ospitare circa 250 persone ciascuno), e l’avvio delle operazioni per il reperimento di circa 2.000 posti ulteriori. Tuttavia, le strutture già presenti evidenziavano un’alta dispersione nel territorio regionale, ma non un’equivalente equa distribuzione dei richiedenti: solo un terzo dei comuni (93 su 279) a fine 2015 era coinvolto nell’accoglienza (Schennach 2016, 283). Si riporta, già nell’ottobre 2014, il caso di una caserma militare non utilizzata adibita a centro di accoglienza, la quale veniva raggiunta solo due volte a settimana da un servizio di trasporto pubblico ed era priva di qualsiasi connessione telefonica o internet (Profil 2014).

A gennaio 2017, 5.124 persone erano accolte in 224 centri di accoglienza gestiti dal Tiroler Soziale Dienste. La maggior parte di queste sono Selbstversorgerheime, ossia strutture nelle quali viene dato alloggio, ma il richiedente è autonomo per quanto riguarda le proprie spese personali e il vitto. Le strutture in cui si provvede al vitto e all’alloggio – Vollversorgerheime – sono riservate all’accoglienza delle categorie vulnerabili. Infine, i 1.000 richiedenti rimanenti sono accolti in strutture private.

Nel settembre 2015 il governo regionale ha tracciato le linee della propria politica di accoglienza, mettendo l’accento sulla necessità di evitare i movimenti secondari, di privilegiare le politiche condivise a livello sovranazionale, e di agire in concerto con le comunità locali senza, ove possibile, obbligarle all’accoglienza. A questo fine, si è creato un gruppo di lavoro in materia di PI che funge da comitato consultivo su questo tema, formato da rappresentanti del governo regionale, dei comuni tirolesi, della città di Innsbruck e della Caritas (Schennach 2016, 281). Inoltre, si è posto l’accento sull’importanza dell’accesso al mercato di lavoro e sulla possibilità di svolgere attività a servizio della comunità. Nello specifico, lo svolgimento di un’attività di lavoro dipendente è possibile solo nel campo agricolo o della ristorazione, e previo rilascio di un permesso di lavoro da parte del servizio provinciale per il mercato del lavoro, mentre è possibile intraprendere un apprendistato, ma solo fino all’età di 25 anni. Si è poi avviata un’indagine delle competenze delle persone accolte, cui ha fatto seguito l’avvio di corsi di formazione.

Nel novembre 2015, è seguita l’adozione di un pacchetto di misure per l’integrazione dei richiedenti – per una somma di circa 1,3 milioni di euro in aggiunta ai finanziamenti nazionali e dell’UE – allo scopo di aumentare la disponibilità di alloggi, attuare nelle scuole misure di integrazione dirette ai minori, con particolare attenzione per i minori non accompagnati, ed incrementare i servizi di sostegno psicologico e di interpretariato. Tuttavia, diversamente da quanto stabilito a livello federale, la legge regionale del Tirolo sull’assistenza di base non include i beneficiari di PI tra coloro che hanno diritto alla stessa (Koppenberg 2014, 22).

Come si anticipava, il Tirolo è stato anche territorio di transito, registrandosi il passaggio di circa 28.500 persone a fine novembre 2015, con punte fino a 1.700 persone al giorno. In particolare, lungo la tratta Brennero–Innsbruck–Rosenheim–Monaco di Baviera si sono registrati fino a 600 passaggi giornalieri nei mesi estivi del 2015. Al fine di coordinare le azioni dei soggetti coinvolti nell’assistenza delle persone in transito, si è creata un’unità di crisi permanente presso la polizia di Stato del Tirolo a cui hanno preso parte rappresentanti della polizia nazionale, del Land Tirolo, della Croce Rossa, delle forze armate austriache, della città di Innsbruck, del Landesfeuerwehrverband Tirol e delle ferrovie federali.

Le zone maggiormente interessate dal transito di persone sono state la località di Kufstein, sul confine austro-tedesco, e l’hub di Innsbruck. Presso la prima si è stabilito un centro di accoglienza per migranti in transito (Transitquartiere) con la capacità d’ospitare circa 1.000 persone, cui si è poi aggiunta una ulteriore struttura nella località di Erl. Alla stazione di Innsbruck è stata predisposta una struttura ricettiva di 300 posti, e ulteriori 145 erano a disposizione presso la stazione di polizia. In questi centri si sono fatti carico dell’accoglienza la Croce Rossa, i samaritani del Tirolo e diverse ONG.

A questo proposito, si è calcolato che la spesa mensile per l’assistenza ai migranti in transito ammontava a circa 1,7-2 milioni di euro. Si è poi accertato che i costi di accoglienza e trasporto delle persone in transito sono da attribuirsi interamente al governo federale, il quale ha elaborato delle linee guida per disciplinare in modo uniforme i servizi di alloggio, vitto e assistenza medica nei centri di transito. Tuttavia, a febbraio 2016, si segnalava come il centro di Kufstein fosse vuoto e la situazione in merito al transito attraverso l’Austria calma (FRA 2016a, 17). Infatti, non vi sono attualmente centri dedicati all’accoglienza dei richiedenti in transito in Tirolo o centri di prima accoglienza (Erstaufnahmestellen).

Per quanto riguarda il confine italo-austriaco, si stima che nel 2014 siano stati trattenuti al confine da parte della polizia italiana circa 5.000 persone, la maggior parte di nazionalità siriana ed eritrea (Knapp 2015, 19). Dal maggio 2016, si sono avviati controlli congiunti da parte della polizia italiana ed austriaca lungo l’asse del Brennero, estesi fino alla città di Verona. Come noto, nell’aprile 2016 si è dato avvio alla costruzione di infrastrutture alla frontiera italo-austriaca – valico del Brennero – in vista della predisposizione di maggiori controlli frontalieri. Inoltre, per quanto a livello nazionale si osservi un costante calo di richiedenti PI che fanno ingresso in Austria a seguito della chiusura della rotta dei Balcani occidentali, ad agosto 2016 si segnalava che i maggiori ingressi provengono dall’Italia (FRA 2016b).

3.2. Italia. Le province autonome di Trento e di Bolzano

Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nel 2016 sono giunte sul territorio italiano 181.436 persone, con un incremento del 18 per cento rispetto al 2015 (153.842 arrivi) e del 6,6 per cento rispetto al 2014 (170.100 arrivi). Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d’Avorio e Gambia sono le prime cinque nazionalità dichiarate da coloro che sbarcano sul territorio italiano (Ministero dell’Interno 2016a). L’Italia è, pertanto, lo Stato dell’UE di prima destinazione in cui si è registrato il più alto numero di arrivi via mare nel corso del 2016, per coloro che utilizzano la rotta del Mediterraneo centrale per giungere sul territorio dell’UE (Frontex 2016, 20). Rotta in cui si registra il numero maggiore di decessi: 4.403 su un totale di 4.901 decessi nel 2016, e 2.869 su 3.777 nel 2015 (IOM 2016).

Vi è un’importante differenza, tuttavia, tra il numero di persone giunte sul territorio via mare e il numero di domande di PI registrate: 63.456 domande a fronte di 170.100 arrivi nel 2014, 83.970 domande su 181.436 arrivi nel 2015 e, ad ottobre 2016, 98.000 domande circa presentate con un andamento crescente dall’inizio dell’anno (Ministero dell’Interno 2016c, 37-39). L’Italia è, quindi, territorio di transito, perlopiù per le persone di nazionalità siriana, somale ed eritrea: tra le prime nazionalità ad essere giunte via mare nel 2014 e nel 2015, non risultano tra quelle che più hanno fatto domanda di PI nello stesso biennio (Anci et al. 2015, 75). Dall’altro, è anche evidente come una parte delle persone così giunte rimanga sul territorio ma non acceda al sistema di accoglienza.

Le più recenti riforme normative hanno soprattutto inciso sulla conformazione del sistema di accoglienza italiano. Fondata sulla leale collaborazione tra i livelli di governo, l’accoglienza dei richiedenti PI si articola in fasi. Una fase preliminare che si svolge nei centri di primo soccorso e assistenza (CPSA) istituiti nei luoghi maggiormente interessati dagli sbarchi. Una fase di prima accoglienza presso i centri governativi di prima accoglienza (CPA o hub regionali), distribuiti nelle regioni, dove le persone permangono, in teoria, unicamente per il tempo necessario alla definizione del loro status giuridico. La seconda e ultima fase è predisposta solo a beneficio di coloro che non hanno mezzi sufficienti di sostentamento e ne fanno richiesta, e si svolge, in principio, presso un progetto parte del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Questo è costituito dalla rete di progetti territoriali di accoglienza gestiti dagli enti locali, in collaborazione con soggetti del terzo settore, a beneficio di richiedenti (fino alla decisione sulla domanda) e titolari di PI o del permesso umanitario, e dei minori non accompagnati. I progetti vengono finanziati al 95 per cento dal Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell’asilo, e al 5 per cento dall’ente locale che se ne fa titolare.

Accanto a questo sistema d’accoglienza ordinario, si è creato un sistema d’accoglienza straordinario per far fronte al costante numero di arrivi via mare di richiedenti PI. Infatti, quando è temporaneamente esaurita la disponibilità di posti all’interno dei CPA o nei progetti SPRAR, l’accoglienza può essere disposta dal Prefetto in strutture temporanee appositamente allestite (centri di accoglienza straordinaria, CAS), e solo per il tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente nelle strutture di prima o seconda accoglienza. Al fine di giungere a un’equa presa in carico e dispersione, si sono stabilite quote di ripartizione regionale in contingenti da 10.000 unità, in base alla popolazione regionale, al prodotto interno lordo regionale e al numero di richiedenti già accolti dalle singole regioni o province autonome.

Delle 176.554 persone in questo momento accolte però, solo 39.336 trovano accoglienza in una struttura del sistema ordinario, mentre l’80 per cento circa (137.218) sono accolte in un CAS. Il sistema straordinario pertanto è, di fatto, il principale sistema di accoglienza. Tale disequilibrio rende evidente l’incapacità del sistema ordinario di adattarsi al fabbisogno imposto dagli arrivi in costante aumento. Situazione in parte prevedibile se si pensa che, ancorché il sistema SPRAR sia definito dalla normativa come il sistema unico di accoglienza, si basa sulla volontaria adesione da parte degli enti locali. Proprio per far fronte a questa distorsione, si svolge ora una valutazione annuale del fabbisogno del sistema nazionale d’accoglienza (Ministero dell’Interno 2016b), e si sono riviste le modalità con cui gli enti locali possono aderire allo SPRAR. Si persegue così il progressivo assorbimento del sistema straordinario in quello ordinario, una più ampia partecipazione degli enti locali, e una conseguente maggiore e reale distribuzione dei richiedenti sul territorio nazionale.

Le Province autonome di Trento e Bolzano sono entrambe chiamate ad accogliere sul loro territorio lo 0,9 per cento dei richiedenti a livello nazionale – che equivale a circa 1.456 persone accolte nella Provincia autonoma di Trento (al 5.1.2016) ed a 1.080 persone nella Provincia autonoma di Bolzano (ad ottobre 2016) – secondo le quote di ripartizione regionale, così come determinate a seguito dell’accordo raggiunto in sede di conferenza unificata il 10 luglio 2014. Tuttavia, diversamente dalle altre regioni italiane nelle quali è il prefetto ad individuare i luoghi in cui collocare le strutture di accoglienza straordinaria ed i soggetti che se ne fanno carico, nelle due province autonome – a seguito della sottoscrizione di un protocollo di intesa in materia di accoglienza con il Commissariato del Governo – queste decisioni vengono prese dagli organi di governo provinciale.

Incide poi sulla conformazione dei rispettivi sistemi di accoglienza provinciale l’adesione allo SPRAR, dal 2006, della sola Provincia autonoma di Trento. Ne consegue che nella stessa una parte dei richiedenti è accolta in progetti parte della rete SPRAR e la restante nei CAS (148 e 1.261 persone rispettivamente al 16.12.2016). Attualmente vi sono 45 comuni trentini che ospitano sul proprio territorio richiedenti o beneficiari di PI. Circa il 67 per cento dei richiedenti o beneficiari di PI sono nei comuni di Trento e Rovereto, con una sostanziale equa distribuzione tra accoglienza in strutture di prima accoglienza (53 %) e in appartamenti da 4 persone (47 %) (Cinformi 2017). È rilevante osservare che il 57 per cento delle persone accolte nel 2015 sul territorio provinciale ha deciso di proseguire il proprio viaggio verso altri Stati, uscendo così dal percorso di accoglienza (Ambrosini et al., 2015, 183).

Dal febbraio 2016, le persone giunte in provincia di Trento permangono presso un hub di smistamento solo per il tempo necessario alla loro identificazione e allo svolgimento dei controlli sanitari. In seguito, vengono trasferite in quattro strutture di prima accoglienza, divisi per genere, condizione familiare ed età. Infine, secondo i posti disponibili nelle strutture di seconda accoglienza, si procede alla loro distribuzione sul territorio provinciale. L’accoglienza avviene in conformità con le “Linee guida per la predisposizione del protocollo di procedura di accoglienza dei richiedenti asilo ai sensi della L.P. 13/90”, approvate con delibera della Giunta provinciale n. 2890 del 29.11.2002. Queste individuano le condizioni materiali di accoglienza e stabiliscono le prestazioni in capo ai soggetti terzi che se ne fanno carico. Più in ­generale, andrà fatto riferimento alla legge provinciale n. 2 maggio 1990, n. 13 – Interventi nel settore dell’immigrazione straniera extracomunitaria – la quale include nel suo ambito di applicazione personale profughi e rifugiati, salvo regimi di maggior favore.

In provincia di Bolzano, l’accoglienza e l’integrazione degli stranieri è disciplinata dalla legge provinciale 28 ottobre 2011, n. 12, che comprende nel suo ambito di applicazione personale rifugiati, richiedenti asilo, beneficiari di protezione sussidiaria e titolari di protezione umanitaria. Più nello specifico, per quanto riguarda l’accoglienza dei richiedenti PI, questa avviene tramite il solo sistema di accoglienza straordinario, non avendo la provincia aderito alla rete SPRAR. Sono, dunque, presenti solo CAS nel numero di 17 a giugno 2016 gestiti dalla Caritas e dalle Onlus Volontarius/River Equipe (Provincia autonoma di Bolzano 2016a).

Questa diversa strutturazione del sistema si riflette in una più ampia dispersione e distribuzione sul territorio delle strutture di accoglienza in provincia di Trento (Ambrosini et al., 2015, 185) e nella maggiore presenza di strutture di medie dimensioni (le quali ospitano tra 25 e 60 persone) in provincia di Bolzano.

In quest’ultima hanno, quindi, diritto all’accoglienza – dei cui costi è lo Stato a farsi carico – solo i richiedenti PI inviati tramite il sistema di quote e non coloro che, già presenti sul territorio, spontaneamente si presentano presso la questura per fare domanda di PI. Nel corso del 2016, perciò, si è giunti ad avere fino a 450 persone, definite come “fuori quota”, escluse dall’accoglienza (Provincia autonoma di Bolzano 2016b). Al fine di porre rimedio a questa situazione, sulla base di un accordo raggiunto nell’ottobre 2016 tra il Ministero dell’Interno e il Presidente della provincia Arno Kompatscher, si è stabilito che queste persone verranno progressivamente inserite all’interno della quota assegnata alla Provincia, riducendo quindi in modo proporzionale l’invio di coloro che giungono via mare. L’accordo ha portato al celere reperimento di tre immobili a Bolzano in cui sono state accolte circa 200 persone, e si è avviata la ricerca di diversi immobili negli altri comuni della Provincia – Bressanone, San Candido, Laives, Lana, Val Isarco – per 350 posti ulteriori (Regioni.it 2016). Iniziative che rientrano all’interno dello sforzo generale di delocalizzazione dei richiedenti PI dalla città di Bolzano verso i comuni minori, come rimarcato dal Tavolo di coordinamento per i flussi migratori non programmati presieduto dal Prefetto, e che vede la partecipazione di rappresentanti della provincia e del comune di Bolzano.

In aggiunta a queste strutture, predisposte per coloro che fanno domanda di PI in Italia, si sono istituiti centri di assistenza per le persone in transito verso l’Austria e la Germania, a dicembre 2014 al valico del Brennero e, dall’aprile 2015, grazie a un coordinamento tra molteplici attori del terzo settore e privati cittadini, presso la stazione ferroviaria di Bolzano.

4. I territori dell’Euregio e la protezione internazionale

I territori dell’Euregio coinvolti in questo tentativo di coordinamento presentano elementi comuni e condividono simili difficoltà. In primo luogo, compartono la duplice natura dell’essere territori di transito e luoghi di destinazione, quindi di accoglienza, di richiedenti PI. Nella quasi totalità dei casi, per la loro collocazione geografica, questo avviene a seguito della vigenza in entrambi gli Stati di meccanismi di dispersione. Tuttavia, le diverse nazionalità di coloro che fanno maggiormente domanda di PI nei due Stati – Afghanistan, Siria e Iraq per l’Austria; Nigeria, Pakistan e Gambia per l’Italia – rivela che nei territori dell’Euregio si incrociano i flussi che giungono sul territorio dell’UE, da un lato, tramite la rotta centrale del Mediterraneo, dall’altro attraverso la rotta dei Balcani occidentali. Diversità che si riflette soprattutto sulle percentuali di riconoscimento della protezione: solo un 30 per cento mediamente di esiti positivi nel caso italiano per le prime cinque nazionalità che vi fanno domanda (Anci et al. 2016, 104-105); nel caso austriaco, a novembre 2016, il riconoscimento di una qualche forma di protezione ed i dinieghi si equivalevano, con però importanti distinguo tra nazionalità: 90 per cento domande con esito positivo per i siriani, e solo il 24 per cento e il 29 per cento per afgani ed iracheni rispettivamente (BMI 2016).

Da quanto fino ad ora messo in rilievo, risulta evidente come molteplici aspetti della gestione dell’accoglienza dei richiedenti PI, soprattutto quando in transito attraverso i confini nazionali di Italia ed Austria, tocchino ambiti della cooperazione transfrontaliera tra i territori del GECT “Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino”. Pur non rientrando strettamente né la materia dell’accoglienza né quella dell’immigrazione tra gli ambiti più specifici di cooperazione, al fine di assicurare il buon funzionamento del GECT, la Giunta può adottare ogni atto necessario. Allo scopo, quindi, di tutelare gli interessi dei territori in quella che è stata definita come la “crisi europea dei profughi” (sic!), si è costituita l’Euregio Task Force: un gruppo di lavoro composto da rappresentanti dei dipartimenti che nei tre territori si occupano della gestione e dell’accoglienza dei richiedenti PI. L’obiettivo primo è quello di adottare misure comuni e strategie concordate tra gli organi di governo dei territori coinvolti (delibera GECT n. 12 del 18.11.2015), e di farsi soggetto interlocutore e rappresentante degli interessi congiunti delle tre province di fronte ai rispettivi governi nazionali e alle istituzioni europee.

Va sottolineato che al momento della sua costituzione vi era un duplice ordine di questioni rilevanti. Da un lato, il possibile spostamento dei flussi migratori verso il confine italo-austriaco a seguito delle progressive chiusure dei confini da parte degli Stati che si trovano lungo la rotta dei Balcani occidentali, a partire dalla chiusura del confine ungherese nel settembre 2015. Dall’altro, le annunciate misure di implementazione di controlli e possibile chiusure del valico del Brennero da parte dell’Austria. Come noto, nella primavera del 2016, pur avendo avviato i lavori per la costruzione di infrastrutture tali da permettere maggiori controlli, non si è giunti a replicare quanto si è invece fatto al valico di frontiera austro-sloveno di Spielfeld nell’ottobre 2015. Si è evitata una tale reiterazione anche a seguito dell’incontro tra i ministri dell’Interno italiano e austriaco a maggio 2016, a seguito del quale i controlli lungo l’asse del Brennero da parte della polizia italiana sono stati rafforzati.

L’aspetto in cui si temevano maggiori ripercussioni, ove si fossero implementate ingenti misure di controllo al valico del Brennero, era quello del trasporto merci e passeggeri. Settori che subirebbero un importante aumento dei costi ove i controlli comportassero ritardi anche minimi nella circolazione dei mezzi (Confcommercio-­Isfort 2016). Rileva poi che i territori che più in questo biennio si sono fatti carico dell’accoglienza di richiedenti PI in transito verso altri paesi – la provincia di Bolzano e il Land Tirolo – abbiano entrambi istituito comitati consultivi o tavoli di coordinamento al fine di adottare misure concordate con tutti gli attori istituzionali e non coinvolti nella gestione dell’accoglienza.

La risposta dei territori dell’Euregio, al netto dei tentativi di coordinamento, risente e reagisce alle politiche intraprese a livello nazionale. L’Italia, da un lato, sconta l’incapacità data dal non aver saputo costruire in questi anni un sistema di accoglienza ordinario in linea con le necessità di accoglienza del paese. La situazione attuale, dunque, porta i territori a farsi carico dei richiedenti PI per la maggior parte tramite strutture di accoglienza straordinaria, un sistema che per dimensioni – 3.090 centri a ottobre 2015 in cui erano ospitati il 72 per cento dei richiedenti (Ministero dell’Interno 2015, 29) – ed eterogeneità non ne permette un adeguato controllo, e porta all’esistenza di standard e modalità di accoglienza disomogenei (Cittadinanzattiva et al. 2016, 7). Se da un lato non può che riconoscersi l’impegno profuso per far fronte alle necessità dell’accoglienza con, per esempio, il costante ampliamento della rete SPRAR – passata dai 12.577 posti di inizio 2015 ai 27.089 del primo semestre 2016 – dall’altro, occorre trovare rimedio alle violazioni prodottesi a seguito dei molteplici ostacoli posti all’accesso alla PI, come da ultimo posto in luce dalla condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Khlaifia e altri contro Italia (Grande camera, domanda n. 16483/12, sentenza 15.12.2016). L’Austria, dall’altro, alla luce delle più recenti riforme legislative e delle nuove misure di controllo alle frontiere, adottate nonostante le numerose critiche e il costante decrescere delle domande di PI, ha fortemente ridotto l’accesso alla stessa mettendo in dubbio il rispetto della Convenzione di Ginevra e dei diritti sanciti dalla stessa Costituzione austriaca (Benedek 2016, 957-958).

I territori dell’Euregio, dunque, saranno in futuro chiamati a mediare tra le imprescindibili necessità di coordinamento nell’adozione di misure a forte impatto sui territori e le decisioni prese nei rispettivi livelli nazionali. Il Tirolo, infatti, potrebbe vedersi direttamente coinvolto nell’attuazione della nuova normativa austriaca che disciplina l’esame delle domande presentate alla frontiera ove le circostanze per la sua attuazione dovessero darsi. Dall’altro, le Province autonome di Trento e Bolzano dovranno proseguire nello sforzo di portare a regime i propri sistemi di accoglienza, in attesa di comprendere in che modo verranno coinvolti i territori nel nuovo piano per la gestione dell’immigrazione irregolare annunciato a fine 2016. Si dovrà capire, infatti, quali saranno le misure adottate al fine di attuare il piano nazionale, ed i rispettivi piani provinciali, per rintracciare e poi rimpatriare i migranti non regolarmente presenti, e per il quale si prevede la costruzione di ulteriori centri di identificazione ed espulsione, seppure regolati diversamente dagli attuali, e nuovi accordi bilaterali con i paesi d’origine dei flussi.

In questo contesto, quindi, si comprende quanto il dialogo tra i soggetti che nei territori Euregio si occupano a diverso titolo dei richiedenti PI, sebbene difficile, sia assolutamente necessario.

Note

1 Cfr. delibera congiunta da parte dei presidenti Arno Kompatscher, Ugo Rossi e Günther Platter nella seduta del GECT Euregio celebratasi in data 15 febbraio 2016 avente il seguente oggetto: “Crisi dei profughi: iniziative che salvaguardano gli sviluppi europei nel territorio dell’Euregio Tirolo-Alto Adige-­Trentino”, www.provincia.bz.it/news/it/news.asp?art=Press533859 (1.12.2016).

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