Francesco Terreri
Lobbismo e neocorporativismo
Ascesa e declino del modello trentino di concertazione
degli interessi
Lobby and neocorporatism
The rise and fall of the Trentino model of concerted interests
Abstract In the 1990s and in the first decade of the 2000s, a model of concertation of interests with public direction was established in Trentino, with some features of the neo-corporate model of industrial relations established in European countries under social democratic leadership. The Trentino model, developed above all under the guidance of Lorenzo Dellai, has equipped itself with various system tools such as public companies and the ability to intervene especially in the real estate field. The concertation of interests helped push economic growth up to the 2008-2013 crisis. The recession, although faced with significant injections of public spending, eventually shattered the interest system. In 2018 the neo-protectionist wave arrived, where interest groups ask to be protected from the threats of globalization. In the meantime, Trentino has become much more internationalised, transforming the system of interests itself and posing new challenges to the provincial government.
1. Introduzione: il battesimo del modello
Alla fine degli anni ’80 l’Unione Commercio e Turismo, la Confcommercio trentina, promuove il progetto Magnete: un centro per i servizi innovativi, quelli che all’epoca cominciano ad essere definiti terziario avanzato, sull’area di 20 ettari a Trento nord dove avevano avuto sede le fabbriche Sloi, Carbochimica e Oet. Le fabbriche avevano lasciato un’eredità di pesante inquinamento del suolo e delle rogge. La Sloi produceva antidetonanti per la benzina, in particolare piombo tetraetile. Era stata chiusa nel luglio 1978 dall’ordinanza dell’allora sindaco di Trento Giorgio Tononi dopo un vasto incendio che aveva devastato la fabbrica e minacciato l’intera città con la nube nera delle sostanze inquinanti. La Carbochimica aveva prodotto catrame fino al 1977, poi aveva tentato di avviare altre produzioni ma nel 1984 aveva gettato la spugna. La Oet, Officine Elettrochimiche Trentine, detta La Ferriera, produceva semilavorati per le fonderie. Aveva chiuso nel 1990.
All’epoca in cui viene lanciato il progetto Magnete, non è ancora nota la dimensione dell’inquinamento in queste aree. Anzi, nel Piano regolatore generale di Trento la loro destinazione è pubblica e prevede una nuova struttura fieristica e la nuova sede dell’Atesina, la società di trasporto pubblico. L’Unione Commercio invece inizia un’azione di lobbying per arrivare ad una destinazione alternativa, il polo del terziario avanzato. L’Unione coinvolge nel progetto alcune tra le più importanti realtà imprenditoriali trentine, il gruppo Lunelli, Marangoni, il costruttore Ito Del Favero.
“Eravamo preoccupati per l’arrivo in città di una grossa catena commerciale tedesca” racconta l’allora direttore dell’Unione Commercio e Turismo Ivo Rossi (Morando 2012). “Si parlava di un’area di 200.000 metri quadri, vicina al centro, in linea d’aria a meno di un chilometro dal castello del Buonconsiglio, ben servita dalla viabilità”. La scelta di mettere in campo un’alleanza tra imprenditori e di avviare un gruppo di pressione sul governo provinciale dell’epoca nasce quindi per fermare lo sbarco a Trento di una catena commerciale tedesca, che aveva messo gli occhi proprio sulle aree ex Sloi, Carbochimica e Oet con l’intenzione di far nascere un ipermercato che, questo era il timore, avrebbe messo in ginocchio le attività commerciali cittadine, soprattutto quelle del centro storico.
Il progetto Magnete si blocca nel 1993, quando l’ex presidente della Provincia autonoma di Trento Mario Malossini, che aveva guidato la giunta provinciale dal 1989 al 1992 e l’anno prima si era dimesso a seguito di risultati elettorali sfavorevoli, è coinvolto in una vicenda giudiziaria legata proprio alla destinazione delle aree ex Sloi ed ex Carbochimica. La vicenda, più che per l’esito giudiziario, è interessante per gli intrecci che fa emergere tra una parte del mondo politico e la nascente alleanza degli interessi imprenditoriali in campo immobiliare (cfr. Sartori 1992). Alla fine Malossini non subirà condanne per fatti connessi con le aree di Trento nord. Ma l’impatto della vicenda giudiziaria è decisivo per lo stop al progetto Magnete, salvo per l’area ex Oet che viene sbloccata nel 1994.
Intanto nel marzo del 1994 un cantiere della Sip, poi Telecom, lavorando in via Maccani a Trento porta alla luce l’inquinamento delle rogge, che poi finiscono nel Lavisotto, e quindi delle aree ex Sloi e Carbochimica. Nonostante emerga la portata dell’inquinamento, nelle aree di Trento nord si succedono diversi proprietari e diverse ipotesi di realizzazioni immobiliari, dal progetto dell’architetto Marcello Armani alle cinque torri proposte dall’architetto Vittorio Gregotti. Prosegue la contrattazione con gli enti pubblici, che non manca di periodi di tensione, soprattutto sulla questione della bonifica. Nel 2001, infatti, le aree diventano sito di bonifica di interesse nazionale. Il costo del disinquinamento lievita: oggi si parla ufficiosamente di una cifra che supera i 200 milioni di euro. E la soluzione non arriva.
Nonostante il mancato raggiungimento dell’obiettivo e l’esito tuttora incerto della vicenda, il caso delle aree di Trento nord è il battesimo del modello trentino di organizzazione e concertazione degli interessi: l’alleanza tra soggetti locali contro l’arrivo di concorrenti da fuori e l’azione del gruppo di pressione per portare questi interessi all’attenzione della politica. Il gruppo politico Solidarietà, nato dall’esperienza di Democrazia Proletaria del Trentino, definisce questo modello “oligopolio collusivo” (Solidarietà 1991). Il termine fa riferimento all’analisi dei mercati e al caso in cui poche imprese si accordano tra loro, esplicitamente creando un cartello o implicitamente, per massimizzare i profitti (cfr. Stigler 1964; un primo riferimento in Smith 2013). Ma questo è solo un aspetto della questione. Il modello trentino di concertazione degli interessi è qualcosa di più di un accordo oligopolistico tra imprese. Ed è qualcosa che finisce per avere una lunga storia.
2. Il modello trentino di concertazione pubblica degli interessi privati
Con la crisi della Democrazia Cristiana (Dc) e la fine di quella che è stata chiamata la Prima Repubblica, i gruppi di pressione che cominciavano ad organizzarsi perdono anche in Trentino il punto di riferimento e il perno del sistema politico. Nel frattempo, però, il 15 giugno 1990 viene eletto sindaco di Trento Lorenzo Dellai. Già prima della fine della Dc, Dellai si muove verso nuove prospettive, avvertendo la crisi del partito (cfr. Dellai/Tessari 2008). Il 27 agosto 1990 più di cinquecento persone provenienti da ogni parte d’Italia si ritrovano all’hotel Trento per lanciare la Rete di Leoluca Orlando. Dellai è vicino a questa iniziativa, viene anche rimproverato da un esponente storico della Dc, Giorgio Postal, all’epoca commissario della Democrazia Cristiana di Palermo.
Nel 1993 il gruppo consiliare della Dc al Consiglio comunale di Trento si divide: dodici consiglieri su 20 costituiscono i Democratici Popolari. Nasce una nuova giunta comunale in cui entrano per la prima volta gli eredi del Pci, diventato Pds, guidati da Alberto Pacher, che sarà il successore di Dellai a sindaco di Trento nel 1998. Il 1998 è anche l’anno di nascita della Margherita. Il Trentino è l’unica regione in cui il partito più importante del centrosinistra è quello promosso dagli ex democristiani e non quello degli ex comunisti.
Ma Dellai mette in campo anche la sua versione dell’alleanza degli interessi privati trentini. Di fronte alla proposta dei privati per le aree ex Sloi e Carbochimica, sottolinea che “si tratta di un contributo e che la regia rimane unicamente del pubblico” (Malossini 2020). Nella versione di Dellai, l’alleanza dei trentini è una coalizione pubblico-privata in cui l’ente pubblico ha la regìa. Gli interessi hanno la loro soddisfazione ma in un quadro di concertazione.
Per certi aspetti, il modello trentino di regolazione pubblica degli interessi privati ha elementi simili al modello di neocorporativismo nelle relazioni industriali delineato da Ezio Tarantelli (1988): cooptazione di sindacati e imprenditori con un possibile scambio politico tra salario monetario e obiettivi di politica economica del governo, centralizzazione della contrattazione collettiva, regolazione del conflitto industriale. Il modello che Tarantelli vede operativo in molti Paesi europei a guida socialdemocratica negli anni ’70 e ’80 del Novecento è riferito alla concertazione tra governo, sindacati e imprenditori, mentre il modello trentino è in prima battuta una concertazione tra governo locale e gruppi di interesse e di pressione del mondo imprenditoriale, anche se non esclude, anzi richiede, la concertazione con i sindacati. Le similitudini sono riferite al fatto che vi è una cooptazione degli interessi sociali e un modello di scambio politico tra qualche grandezza economica, non necessariamente il salario, e gli obiettivi di politica economica del governo locale e che nel complesso vi è un tentativo di centralizzare la gestione dei conflitti inter-imprenditoriali e sociali.
Il caso più tipico dell’epoca di Dellai sindaco di Trento riguarda un’altra area industriale dismessa: l’area ex Michelin. Nel 1997 chiude la Michelin di Trento, fabbrica del gruppo francese sorta con le prime produzioni nel 1926 e inaugurata nel 1934 (cfr. Tomasi 2013). Sui quasi dodici ettari dell’area, a Trento sud, si apre la partita immobiliare. Già da qualche anno il dibattito urbanistico e le previsioni del Piano regolatore generale di Trento avevano individuato in quell’area industriale, contigua al centro storico e prossima ad essere dismessa, l’opportunità per ricucire il rapporto della città con il suo fiume destinandola a grande parco urbano-fluviale, in cui posizionare poche strutture dedicate a università, cultura, ricreazione, ricerca (cfr. Paris 2016). La finanziaria pubblica Tecnofin si dice disposta ad acquistare l’area per acquisire i terreni al patrimonio pubblico. La proposta viene però smorzata dalla Giunta provinciale.
Il 31 luglio 1998 il Consiglio comunale di Trento approva, con 27 voti favorevoli, 2 contrari e 4 astenuti, l’ordine del giorno relativo all’area Michelin proposto dal sindaco Dellai (de Bertolini 2016, 21-22). Nell’ordine del giorno era scritto, tra l’altro, che “la spa Michelin italiana ha dichiarato la propria disponibilità ad un accordo con l’amministrazione comunale che permetta all’amministrazione stessa di svolgere un ruolo attivo nel processo di acquisizione immobiliare, privilegiando in particolare una concertazione fra istituzioni pubbliche ed istituti finanziari locali e/o nazionali con riferimento ai canoni del project financing, così come già prospettato nel ‘programma di sviluppo socioeconomico della città di Trento’”.
Tra i promotori dell’operazione pubblico-privata ci sono lo stesso Dellai insieme all’ex sindaco di Trento e presidente dell’Itas Edo Benedetti, al direttore della Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto Lucio Chiricozzi, a Marco Giovannini e Mauro Dorigoni. Benedetti “diede un contributo determinante” (Terreri 2012).
Il 23 luglio 1998, una settimana prima della seduta del Consiglio comunale, era stata costituita a Trento Iniziative Urbane, società a responsabilità limitata ad opera dei soci Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto Caritro, poi assorbita da Unicredit, Istituto Atesino di Sviluppo Isa, Società Industriale Trentina Sit, poi Trentino Servizi e Dolomiti Energia, Banca Popolare del Trentino, poi confluita in Banca Popolare e in Banco Bpm, tutti con eguale quota di 24 milioni di lire ciascuna pari al 25 per cento del capitale sociale totale di 96 milioni (de Bertolini 2016, 25-26). Poco dopo, a ottobre 1998, Iniziative Urbane viene trasformata in società per azioni: entrano banche come la Banca di Trento e Bolzano Btb, poi assorbita da Intesa Sanpaolo, Cassa Centrale delle Casse Rurali, Mediocredito Trentino Alto Adige, utility come Asm, l’Itas Service, le associazioni di categoria Albergatori, Artigiani, Industriali, Cooperazione, Unione Commercio. Il 28 ottobre 1998 con il contratto preliminare e il 28 dicembre 1999 con il rogito, Michelin Italiana vende a Iniziative Urbane il compendio al prezzo di 49 miliardi di lire, pari oggi a 25.306.000 euro.
Secondo Dellai, “il Comune ha ritenuto di non impegnarsi direttamente nell’operazione e ciò non tanto per l’ammontare del corrispettivo, prevedibilmente rilevante, ma per sperimentare una formula innovativa che consentisse il coinvolgimento del risparmio locale in un’ottica di partecipazione e quindi di controllo dei cittadini che si stima possa garantire un’efficienza operativa ben maggiore di quella del tradizionale dirigismo pubblico e un trasferimento diretto e non mediato dei benefici attesi, mantenendo comunque al Comune quella capacità d’indirizzo di cui si è detto sopra in quanto interprete degli interessi generali della popolazione” (de Bertolini 2016, 36-37).
Il progetto viene curato dall’archistar Renzo Piano e dal suo studio. L’operazione ha tempi lunghi. Nel 2007 Iniziative Urbane conferisce il terreno al fondo immobiliare Clesio gestito da Castello società di gestione del risparmio (sgr). Il valore dell’area, prima ancora che venga posato il primo mattone, lievita a 110 milioni di euro (cfr. Terreri 2008a). Sia in Castello sgr che in Clesio ritroviamo in varie combinazioni i soci di Iniziative Urbane, con alcuni innesti rilevanti della finanza del Nord Est e nazionale, come la Compagnia Investimenti e Sviluppo di Verona, ora in liquidazione, con 150 soci imprenditori nordestini tra cui diversi trentini che promuove progetti analoghi in aree dismesse a Verona e a Brescia, e Mittel, la storica finanziaria della finanza cattolica, quotata in Borsa, ora divenuta holding di investimento in un gruppo di piccole e medie imprese.
Il progetto complessivo vale 450 milioni di euro. Le previsioni di budget del fondo immobiliare parlano di rendimenti al 7 o al 10 per cento (cfr. Terreri 2013). In pratica però le vendite si fermano a poco più della metà del totale e per una buona fetta hanno come acquirenti gli enti pubblici: il nuovo Museo della Scienza, il Muse, e la Biblioteca d’Ateneo, per un totale superiore ai 100 milioni di euro. E poi le nuove sedi dei soci, dall’Itas all’Isa, e altri investimenti dei quotisti di Clesio, come Dolomiti Energia. Non decollano invece le vendite residenziali, mentre quelle commerciali e turistiche, come l’hotel della catena Nh Hotels, sono spesso in affitto. Nel 2022 il valore netto del fondo Clesio, cioè la differenza tra il residuo valore degli immobili, 177 milioni di euro, e i debiti, 179 milioni di euro, è ormai sotto lo zero (Scenari Immobiliari 2022, 66-68).
3. Energia e A22: le galline dalle uova d’oro
A Trento, quindi, del partenariato pubblico-privato funziona soprattutto l’intervento pubblico. Dellai comunque porta la sua impostazione in Provincia quando ne diventa presidente, il 24 febbraio 1999, fino alle sue dimissioni il 29 dicembre 2012 per presentarsi alle elezioni politiche del 2013. In primo luogo l’amministrazione Dellai valorizza appieno ed estende le competenze dell’autonomia speciale, attrezzando l’ente pubblico con una serie di società definite strumenti di sistema. Per citare solo le principali: nel 2003 da Tecnofin nasce Agenzia per lo Sviluppo, che nel 2007 diventa Trentino Sviluppo e gestisce le aree e le partecipazioni industriali e turistiche dell’ente pubblico. Nel 2005 Tecnofin costituisce Cassa del Trentino, che raccoglie risorse sul mercato finanziario e gestisce le erogazioni ai comuni e agli enti locali. Lo stesso anno nasce Patrimonio del Trentino per la gestione del patrimonio immobiliare pubblico. Nel 2006 viene costituita Trentino Riscossioni per la gestione dei tributi locali.
Il successo maggiore è la quasi provincializzazione dell’energia idroelettrica che, insieme alla quasi pubblica Autostrada del Brennero dove Province, Regione e altri enti pubblici hanno l’84,7 per cento del capitale, diventa la gallina dalle uova d’oro per gli enti locali trentini. Nel 2001 dalla fusione di Sit e Asm, le storiche società dei servizi pubblici di Trento e Rovereto, nasce Trentino Servizi. Tra il 2005 e il 2008 le società energetiche trentine controllate da Provincia e comuni rilevano le attività di distribuzione elettrica dell’Enel e poi costituiscono joint venture con Enel e Edison per la gestione delle centrali idroelettriche. Intanto Dolomiti Energia, che raggruppa anche le attività di Trentino Servizi, diventa la multiutility provinciale dell’energia e delle reti.
Quasi provincializzazione perché in Dolomiti Energia la maggioranza è pubblica ma sono presenti da subito anche i privati, in particolare le società finanziarie Isa e La Finanziaria Trentina, la banca Mediocredito Trentino Alto Adige, controllata peraltro dalle due Province autonome e gestita dal credito cooperativo locale, la Fondazione Caritro, erede della banca ma senza più partecipazioni bancarie, la Cooperazione. D’altra parte la Provincia e le società pubbliche hanno quote di partecipazione nelle principali realtà finanziarie private locali, dall’Isa a Cassa Centrale Banca, all’epoca capofila delle Casse Rurali trentine, oggi capogruppo del gruppo bancario nazionale nato dopo la riforma 2016 del credito cooperativo.
La concertazione degli interessi avviene dunque anche attraverso partecipazioni societarie incrociate. Ma poi si sviluppa attraverso alcuni strumenti di sostegno all’iniziativa privata considerati anch’essi strumenti di sistema: le leggi degli incentivi pubblici, a partire dalla legge 6 del 1999 sugli incentivi alle imprese, e gli interventi delle società pubbliche, soprattutto Trentino Sviluppo, sul patrimonio immobiliare privato. In questo campo lo strumento più originale e più discusso è il leaseback: l’acquisto pubblico del capannone industriale, che garantisce liquidità al privato, e il contemporaneo riaffitto in leasing che consente alla società industriale di proseguire le attività (cfr. Zomer 2015).
Un caso tipico che descrive il sistema trentino di concertazione degli interessi è la vicenda della Whirlpool di Spini di Gardolo, a Trento. Nel settembre del 2007 la multinazionale statunitense, erede della storica fabbrica Ignis, decide di vendere il terreno e i muri ad una società immobiliare trentina, con l’idea di proseguire la produzione in affitto (cfr. Conte 2007). I lavoratori e le lavoratrici e l’opinione pubblica in generale si allarmano perché vedono la mossa come il primo passo verso il disimpegno della multinazionale da Trento, disimpegno che poi ci sarà effettivamente nel 2014. La cordata che sta per acquistare l’immobile di Spini è sostenuta da Mediocredito Trentino Alto Adige, banca a controllo pubblico, e da alcune Casse Rurali. Gli immobiliaristi trentini hanno prevalso su un grosso fondo di investimento australiano e un’altra cordata trentina, quindi c’è già un’azione comune dei privati trentini per evitare che l’acquisto venga effettuato da soggetti esterni al territorio. A Dellai e alla Provincia però questo non basta. Prima c’è una strigliata a Mediocredito per non aver valutato a sufficienza l’interesse generale, che è quello di garantire la continuità industriale e occupazionale. Poi entra in campo Trentino Sviluppo, con l’appoggio finanziario di Cassa del Trentino, che acquista il compendio al posto degli immobiliaristi trentini e li compensa con un’altra area (cfr. Ghezzi 2007). In questo caso la concertazione degli interessi è stata fatta sul campo, a colpi di offerte e contro offerte attraverso gli strumenti di sistema.
D’altra parte nel 2008 il sistema di concertazione pubblico-privata degli interessi è stato anche al centro di una clamorosa indagine penale sugli appalti pubblici, in cui sono state coinvolte società a controllo pubblico e aziende private dell’edilizia, che ha fatto emergere come la promozione degli interessi trentini in alcuni casi fosse sfociata in operazioni illecite (cfr. Pedrini 2008).
4. Il mattone, settore di punta della crescita trentina
Non è un caso che molti degli strumenti e degli interventi della concertazione degli interessi alla trentina riguardino il settore immobiliare. A ben vedere, infatti, il complesso edilizia più immobiliare è stato il settore di punta dell’economia privata trentina, appena dietro al settore pubblico, e in qualche momento appaiato ad esso, fino alla crisi del 2008-2013.
Nel 1995, secondo i dati dell’Istituto provinciale di statistica (cfr. Ispat 2022), il settore con la maggior quota di valore aggiunto è l’industria in senso stretto, col 20,3 per cento del totale. Segue la pubblica amministrazione, comprese istruzione e sanità, col 16,7 per cento e l’edilizia-immobiliare col 16 per cento. Il commercio è al 12,6 per cento, il turismo all’8,7 per cento, i trasporti e logistica al 5,3 per cento. Cinque anni dopo, nel 2000, il settore pubblico è salito al 18,1 per cento, l’industria manifatturiera è scesa al 17,6 per cento, il comparto del mattone si attesta al 16,9 per cento. Nel 2005 l’industria è al 18 per cento, ma la pubblica amministrazione è arrivata al 19,6 per cento e l’edilizia-immobiliare al 18,9 per cento. Il punto di massima espansione del comparto immobiliare e edile è nel 2011, quando la crisi finanziaria scoppiata nel 2008 già morde: il settore è al 19,9 per cento del valore aggiunto totale prodotto in Trentino, secondo solo al settore pubblico che è al suo massimo storico del 21,6 per cento. La manifattura è scesa al 15,5 per cento del totale, ma l’anno dopo farà ancora peggio: il 14,5 per cento. Il commercio è al 9,6 per cento, il turismo al 6,2 per cento.
Dopo la crisi i trend cominciano a cambiare. L’industria torna a superare il 17 per cento del valore aggiunto totale nel 2016, per poi assestarsi sopra il 18 per cento e toccare nel 2021 il 19,7 per cento del totale. L’edilizia-immobiliare scende fino ad un minimo del 17,9 per cento nel 2018, ma poi si riprende e nel 2020 supera di nuovo il 19 per cento, spinta dai nuovi incentivi fiscali varati dal governo. Il settore pubblico resta in testa, anche se la sua quota scende fino al 19 per cento nel 2019 per poi tornare sopra il 20 per cento nel 2020.
Il mattone quindi è, per gran parte degli ultimi trent’anni, il settore di punta della crescita trentina, più dell’industria e del turismo, anche se considerassimo il comparto turistico in senso più vasto della sola ricettività, mettendo in conto il commercio al dettaglio, l’artigianato, i servizi delle zone turistiche. D’altra parte il colpo ricevuto dall’edilizia con la crisi 2008-2013 è stato pesante, con numerose aziende fallite o finite in concordato preventivo e una generale svalutazione dei cespiti immobiliari. Al tempo stesso il settore pubblico, che proprio con gli interventi anticrisi ha raggiunto la sua massima espansione, è poi declinato, sia pur lentamente, con la riduzione delle risorse pubbliche e la necessità di ricorrere maggiormente all’indebitamento. Questi sono i motivi principali per cui gli strumenti immobiliari di intervento della Provincia sono diventati meno efficaci negli ultimi anni, pur mantenendo un loro peso.
5. Il declino delle operazioni di sistema
I primi anni duemila sono stati nel complesso anni di crescita per il Trentino (cfr. Ispat 2022), anche se tassi di aumento del Prodotto interno lordo (Pil) significativi si raggiungono solo nel 2006 con il più 1,3 per cento e nel 2007 col più 2,2 per cento. Nel 2008 (meno 1,2 per cento) e nel 2009 (meno 2,7 per cento) c’è il primo contraccolpo della crisi. La manovra messa in campo dalla Provincia, che convoca banche, consorzi di garanzia fidi, associazioni imprenditoriali e sindacati per vararla (cfr. Terreri 2008b), si può considerare l’ultima applicazione su larga scala del modello di concertazione degli interessi e dà i suoi frutti: nel 2010 il Pil provinciale registra un più 2,5 per cento. Poi però arriva la stagnazione e la recessione e bisogna aspettare il 2016 per ritrovare una crescita del Pil superiore all’1 per cento.
Dopo il passaggio di Dellai dalla politica provinciale a quella nazionale, la giunta di centrosinistra autonomista guidata da Ugo Rossi, in carica dal 2013 al 2018, mantiene alcuni dei metodi della concertazione degli interessi, ma si trova di fronte ai contraccolpi della crisi. Le grandi operazioni di razionalizzazione dei comuni, con le gestioni associate, e della sanità, con il ridimensionamento degli ospedali di valle a favore di un sistema di base più diffuso e di un sistema specialistico più concentrato, mettono in moto reazioni critiche dai territori. La crisi dei migranti, al di là di numeri che in Trentino restano gestibili, mina il consenso verso l’amministrazione provinciale. Alcuni dei corpi intermedi che avevano sostenuto la concertazione, in primo luogo la Cooperazione, si ritrovano in crisi di leadership come conseguenza di vicende in campo immobiliare, in particolare la cooperativa Btd Servizi Primiero che va in crisi dopo operazioni azzardate (cfr. Terreri 2015), ma anche vitivinicolo, la cantina La Vis già commissariata nel 2010, e commerciale, i licenziamenti al consorzio Sait (cfr. Terreri 2016). Nel 2017 parte l’inchiesta sulla compagnia regionale di assicurazioni Itas, anch’essa una società di stampo mutualistico, dove, al di là delle vicende penali, emerge una grave mancanza di trasparenza (cfr. Pedrini 2017).
In queste condizioni, le operazioni di sistema stile Whirlpool sono poche. La più importante dell’era Rossi è, nel luglio-agosto 2017, il sostegno alla cordata trentina per evitare che Funivie Folgarida Marilleva, la maggiore società impiantistica del territorio, vada in mani extraregionali o straniere (cfr. Terreri 2017).
Nonostante queste difficoltà, nel 2018 il Pil trentino cresce del 3,2 per cento, la percentuale più alta dal 2000. Ma non basta. Alle elezioni politiche di marzo vincono, come a livello nazionale, Movimento 5 Stelle e Lega, le forze politiche che esprimono la richiesta di protezione di gruppi sociali e interessi dalle minacce esterne (cfr. Terreri 2018a). Alle elezioni provinciali di ottobre il centrosinistra autonomista, che si presenta diviso, cede la maggioranza al centrodestra a trazione leghista che esprime la nuova spinta neo-protezionista.
6. Cambia la mappa dei gruppi di interesse
La nuova maggioranza provinciale si presenta come rappresentante degli interessi danneggiati dal governo precedente e dalle minacce della globalizzazione: le valli che si sentono defraudate di servizi pubblici, i produttori agricoli e i produttori locali in generale, gli albergatori, che esprimono il nuovo assessore al turismo, i ceti popolari che vedono i migranti come un pericolo. Anche nei corpi sociali intermedi emerge questa spinta. Di nuovo il caso tipico è la Cooperazione, per molti aspetti specchio della società trentina, dove viene eletta a sorpresa presidente Marina Mattarei, esponente critica verso la gestione precedente e più vicina alle posizioni neo-protezioniste e di difesa delle specificità e degli interessi territoriali (cfr. Terreri 2018b).
All’inizio della nuova legislatura la svolta rispetto alla fase precedente sembra drastica: fine della concertazione, risposta ai singoli interessi. Tuttavia l’impatto delle crisi globali, prima la crisi climatica con la tempesta Vaia, poi la crisi sanitaria ed economica con la pandemia di Covid-19, attenuano i caratteri della svolta e riportano in auge forme di concertazione sociale.
Le dinamiche dei gruppi di interesse e di pressione e le risposte più o meno neocorporative del governo provinciale devono però fare i conti con la trasformazione del Trentino dopo la crisi del 2008-2013. L’attenzione ai danneggiati dalla globalizzazione ha messo in ombra il processo di apertura e di internazionalizzazione avvenuto in questi anni, che ha cambiato anche la mappa dei gruppi di interesse.
Nel 1995 le esportazioni trentine erano pari al 14,9 per cento del Pil, le importazioni erano al 10,1 per cento (cfr. Istat 2022). Insieme l’interscambio con l’estero della provincia corrispondeva al 25 per cento del Pil, un quarto della ricchezza prodotta in un anno. Nei primi anni duemila la quota comincia ad alzarsi e nel 2007 si supera il 29 per cento tra export e import, ma subito dopo la crisi riporta indietro il valore dell’interscambio. A partire dal 2015 la quota ricomincia a salire e nel 2018 supera il 31 per cento, 18,7 per cento le esportazioni e 12,8 per cento le importazioni. Dopo la battuta d’arresto del Covid, nel 2021 la quota dell’export trentino sul Pil arriva al 20,9 per cento, mentre quella dell’import è al 13,5 per cento, per un totale del 34,4 per cento, più di un terzo della ricchezza prodotta in un anno.
Questo andamento è collegato alla ripresa di peso dell’industria manifatturiera, che oggi è spesso industria 4.0 cioè informatizzata e robotizzata. Nel 2021 il valore aggiunto dell’industria in senso stretto è arrivato al 19,7 per cento del totale. E nell’industria c’è anche un pezzo importante del valore aggiunto agro-alimentare, che non è rappresentato dal 4 per cento scarso del Pil che i dati attribuiscono all’agricoltura. Alcuni dei prodotti di punta dell’agro-alimentare vengono da veri e propri distretti industriali – che non significa monocoltura, come a volte si pensa, ma cultura industriale diffusa – in primo luogo quello del vino. Senza dimenticare che avere in Trentino turisti dall’estero equivale a tutti gli effetti a vendere servizi sui mercati esteri. E senza trascurare che una parte rilevante del lavoro della logistica e dei trasporti, comparto a sua volta passato in vent’anni dal 6 all’8 per cento del Pil, riguarda le relazioni con l’estero (cfr. Terreri 2023).
Alcune delle grandi aziende industriali si quotano in Borsa, dopo anni in cui il Trentino non era più rappresentato a Piazza Affari: aziende come Aquafil, nylon e, sempre più, nylon verde, e Gpi, informatica e tecnologie per la sanità, quindi sulla frontiera negli anni della pandemia. Aziende che hanno espresso i più recenti presidenti di Confindustria Trento. Inoltre, mentre da tempo multinazionali come la Whirlpool hanno lasciato il territorio, importanti imprese industriali, dalla Zobele alla Texbond, passano sotto il controllo di fondi di investimento internazionali. Investitori internazionali sono diventati partner di Dolomiti Energia nella gestione dell’oro bianco idroelettrico: parliamo del fondo australiano Macquarie, che proprio in questo periodo ha annunciato la sua uscita, dopo otto anni, dalla joint venture con la multiutility trentina (cfr. Terreri 2022). E nel buon vecchio comparto edilizio-immobiliare, in ripresa grazie ai bonus fiscali, arrivano nuovi attori sudtirolesi, alleati di trentini (cfr. Terreri 2021).
In questo contesto parlare di gruppi di interesse e di pressione locali è riduttivo. Il governo provinciale guidato da Maurizio Fugatti, che entro il 2023 arriverà al giudizio degli elettori, è di fronte ad una sfida molto più grande, per la quale non basta l’armamentario del neo-protezionismo che finisce per proteggere solo alcuni gruppi specifici. Battaglie come quelle per Mediocredito banca trentina fatta però insieme a partner veneti, per i negozi di paese, per il ritorno degli ospedali di valle dove però manca personale perché medici e infermieri non vogliono andarci, diventano risposte precarie e insufficienti ad una sfida che richiede una politica di più ampio respiro. Il modello neocorporativo di concertazione degli interessi dell’era Dellai ha fatto il suo tempo. Ma la semplice rincorsa degli interessi frammentati non è una soluzione.
7. Conclusione: la parabola della concertazione e la frammentazione degli interessi
Negli ultimi trent’anni l’azione di lobby degli interessi organizzati ha attraversato in Trentino fasi diverse legate alle trasformazioni politiche, sociali ed economiche della provincia. Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, il Trentino riprende la crescita economica e urbana che era stata frenata dalla crisi della prima industrializzazione. Al tempo stesso, quelli sono gli anni della crisi della tradizionale mediazione politica degli interessi e del partito che la rappresentava, la Democrazia Cristiana. In questo quadro nasce la spinta all’alleanza tra interessi imprenditoriali diversi, dal commercio al turismo ad alcuni settori industriali, che trova la convergenza nel campo immobiliare, dove i valori di terreni e immobili cominciavano la loro lunga corsa che avrebbe portato Trento e le zone turistiche della provincia a diventare tra le più care d’Italia. La convergenza degli interessi nasce dal timore dell’arrivo di gruppi e catene extra-provinciali e punta a massimizzare i profitti grazie ad un contesto di collusione oligopolistica locale. Sul versante politico, però, i tradizionali interlocutori scompaiono con la crisi della Prima Repubblica e la vicenda di Tangentopoli.
È a quel punto che l’organizzazione degli interessi e delle lobby prende una strada in buona parte inedita. Il gruppo politico che diventa perno del nuovo assetto politico è, al contrario di tante altre zone d’Italia, il gruppo degli ex democristiani guidati da Lorenzo Dellai. Che hanno un’idea originale: non semplicemente assecondare gli interessi né contrastarli, ma concertare con loro un sistema di scambi politico-economici che garantiscano vantaggi ai privati ma sostengano la crescita di tutta l’economia trentina, una sorta di modello neo-corporativo. Per far questo, si valorizzano appieno e si estendono le competenze della Provincia autonoma, che espande il suo intervento nell’economia fino a provincializzare, oltre l’Autostrada del Brennero da sempre sotto controllo pubblico, la rilevante produzione idroelettrica trentina. Si coinvolgono anche le banche, dove un’ampia fetta è in capo al credito cooperativo, chiamate a sostenere la crescita locale. D’altra parte, albergatori e artigiani, industriali e commercianti, contadini e trasportatori ricevono consistenti contributi per gli investimenti e i principali soggetti finanziari partecipano alle grandi operazioni, come quella sull’energia, ottenendo consistenti dividendi negli anni. Di nuovo, però, il campo tipico in cui avviene la regìa pubblica degli interessi privati è l’edilizia-immobiliare, che tra la seconda metà degli anni ’90 e il primo decennio del Duemila diventa, insieme al settore pubblico, il comparto di punta della crescita del Trentino.
Non tutto va liscio, il sistema presenta delle falle: i contributi pubblici, i lease back, le agevolazioni allo sviluppo immobiliare a volte finiscono nelle mani di operatori economici che puntano a rendite di posizione, soprattutto immobiliari, più che allo sviluppo e che si lanciano in operazioni azzardate anche fuori dal Trentino, trascinando nelle avventure finanziarie le stesse banche locali. Quello che però mette in difficoltà il modello trentino di concertazione pubblica degli interessi privati è la crisi mondiale del 2008-2013. Pur avendo, grazie all’autonomia, un più ampio ventaglio di strumenti rispetto ad altre regioni e altri territori per rispondere alla crisi, anche in Trentino il boom immobiliare arriva alla fine trascinando con sé gli altri settori.
Nella fase successiva il governo provinciale post-dellaiano cerca di mantenere le principali caratteristiche del sistema. Ma appare più debole perché nel frattempo l’articolazione degli interessi privati sta cambiando. Da un lato il Trentino si apre molto di più all’economia globale, con settori come l’industria meccanica e informatica e distretti come quello del vino che operano sui mercati internazionali e hanno meno bisogno dell’assistenza provinciale. Dall’altro tanti interessi piccoli e grandi chiedono invece di essere protetti dalla globalizzazione, che minaccia da un lato le comunità locali, dall’altro alcune rendite di posizione.
Il risultato di queste spinte e del nuovo assetto dell’economia trentina è il ribaltamento elettorale del 2018, quando, per la prima volta da vent’anni, il centrodestra sale al potere a Piazza Dante, ma soprattutto arrivano al governo le istanze neo-protezioniste che si stanno diffondendo in Occidente e nel resto del mondo. I gruppi di interesse e le lobby tornano a presentarsi in ordine sparso, con accenti comuni nella richiesta di protezione. Di fronte a nuove sfide globali, come il cambiamento climatico con la tempesta Vaia e l’epidemia di Covid-19, l’amministrazione Fugatti è costretta ad attenuare alcune delle spinte neo-protezioniste e tornare a forme di concertazione. D’altra parte, il risultato delle elezioni politiche nazionali del 2022 porta al governo un ampio spettro di neo-protezionisti. La partita si gioca nei prossimi mesi e anni, ma di fronte alle sfide mondiali il neo-protezionismo appare per molti versi un’arma spuntata.
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