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Guido Denicolò

La giustizia in Alto Adige

La monade avrà qualche finestra?

“Le monadi non hanno finestre,
per le quali possa entrare
oppure uscire qualche cosa”

(Gottfried Wilhelm Leibniz)

1. Eccessive chiusure nel reclutamento del personale giudiziario

Nel corso dell’anno 2009 è timidamente – ma non per questo meno significativamente – riaffiorata la problematica rappresentata dai meccanismi di reclutamento dei magistrati destinati agli uffici giudiziari dell’Alto Adige, sia per quanto riguarda la giustizia ordinaria (Tribunale di Bolzano, Sezione distaccata di Bolzano della Corte d’appello di Trento, Procura della Repubblica etc.), sia con riferimento alla giustizia amministrativa (Sezione autonoma di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa). L’occasione è stata fornita – nel primo caso – dalle lamentate carenze di personale magistratuale e dalle difficoltà di porvi rimedio attraverso i concorsi speciali appositamente previsti sin dal 1976 e – nel secondo caso – dalla necessità di sostituire i due consiglieri di Stato di lingua tedesca riservati alla provincia di Bolzano.

Emerge infatti con sempre maggiore evidenza la consapevolezza che occorre certamente garantire il funzionamento bilingue degli uffici giudiziari locali, ma che non si deve per questo abbassare il tasso di indipendenza, imparzialità e qualità del personale togato e, quindi, la sua credibilità presso gli utenti di questo essenziale servizio pubblico. In entrambi i settori – della giustizia ordinaria e amministrativa – si sono susseguite e radicate delle normative speciali che, a ben guardare, si stanno rivelando eccessivamente ripiegate sulla realtà locale, senza peraltro risultare indispensabili per assicurare il bilinguismo nel funzionamento del servizio, esigenza del tutto legittima che potrebbe però essere ben realizzata anche in maniera diversa.

Per quanto concerne la giustizia ordinaria, la riforma statutaria del 1971 ha inserito all’interno del “vecchio” statuto d’autonomia del 1948 la cosiddetta “proporzionale etnica” quale regola fondamentale da seguire nell’assunzione del personale delle amministrazioni dello Stato, regola espressamente estesa anche “al personale della magistratura giudicante e requirente”, con – in più – la garanzia della stabilità della sede nella Provincia di Bolzano (ossia dell’intrasferibilità) per i magistrati appartenenti al gruppo linguistico tedesco. Questo nuovo sistema di reclutamento divenne però concretamente operante soltanto dopo l’emanazione della norma di attuazione del 1976 che introdusse un ulteriore importante requisito per le assunzioni nelle amministrazioni dello Stato, vale a dire la conoscenza della lingua italiana e tedesca, requisito da certificare formalmente con un attestato conseguito all’esito di un apposito esame. Per la copertura dei posti nelle piante organiche della magistratura ordinaria, relative agli uffici giudiziari nella provincia di Bolzano, venne inoltre introdotto un concorso speciale per posti distinti per gruppo linguistico determinati – di volta in volta – nell’ambito di una specifica procedura di concertazione tra il Consiglio superiore della magistratura e la Provincia autonoma. Tale regolamentazione prevede che i vincitori di concorso (i cosiddetti uditori giudiziari) possono svolgere il loro tirocinio esclusivamente presso gli uffici giudiziari siti nella provincia di Bolzano, che i candidati residenti in Alto Adige da almeno due anni hanno la precedenza assoluta nella nomina e che i magistrati così assunti non possono essere trasferiti – neppure su domanda – ad altro ufficio fuori della provincia di Bolzano prima che siano trascorsi dieci anni dalla nomina in ruolo. L’applicazione, ormai più che trentennale, di questa normativa speciale ha favorito l’ingresso negli uffici giudiziari altoatesini di un crescente numero di magistrati di provenienza locale, capaci soprattutto di garantire un’attività giurisdizionale realmente bilingue. Quest’ultima circostanza costituisce senza dubbio il risultato di gran lunga più positivo del meccanismo di reclutamento introdotto nel 1976.

Tuttavia, nel riconoscerlo non si possono ragionevolmente tacere gli innegabili risvolti problematici di un sistema di selezione che risulta eccessivamente rinchiuso nella realtà provinciale, peraltro di ristrettissime dimensioni. Il rischio, a lungo termine, di un siffatto sistema stava – e sta – in una sorta di (progressiva) autarchia intellettuale e professionale del territorio, aggravata per di più dal fatto che quest’ultimo risulta ulteriormente inaridito al suo interno da una rigida separazione per corporazioni linguistiche. Appare del tutto evidente a qualsiasi osservatore minimamente oggettivo e sereno che, a lungo andare, una simile prospettiva non può corrispondere all’interesse degli utenti locali del “servizio giustizia” a disporre di un ceto magistratuale adeguatamente selezionato secondo severi criteri di qualità che – evidentemente – non possono non risultare pregiudicati da una così estrema ristrettezza del bacino di reclutamento. Tale problematica risulta ancora più accentuata a fronte della crescente concentrazione provinciale degli uffici giudiziari intervenuta negli ultimi anni, in particolare dopo l’istituzione in Bolzano di una sezione distaccata di corte d’appello. Che cosa si direbbe, ad esempio, se i magistrati in servizio negli uffici giudiziari della Calabria o della Toscana fossero tutti – esclusivamente – calabresi o toscani?

2. Inizio di una timida riflessione?

Come accennato introduttivamente, le difficoltà in cui versano attualmente gli uffici giudiziari altoatesini a causa dei vuoti in organico, sembrano ora offrire l’occasione per una riflessione – sia pure ancora molto timida – intorno a tali discutibili “effetti collaterali” cui, nel corso degli anni, la descritta situazione ha finito per dare luogo. Si tratterebbe, in buona sostanza, di trovare un diverso – e più moderno, meno provincialistico – equilibrio tra le giuste esigenze locali (come la sacrosanta, ma ora praticamente realizzata, aspirazione del gruppo linguistico tedesco a un recupero nei settori professionali e sociali in cui maggiori sono stati gli effetti negativi della discriminazione etnica subìta durante il fascismo e anche negli anni successivi) e la tuttavia non meno vitale apertura all’apporto di risorse culturali e di intelligenze professionali esterne.

La “maturità” di una siffatta riflessione è testimoniata dal fatto che essa proviene ormai dall’interno della stessa magistratura locale che, evidentemente, incomincia ad avvertire il problema e, in particolare, riconosce la connessione tra la necessità di rimedi – possibilmente flessibili e di rapida attuazione – ai problemi operativi creati dai vuoti in organico e la complessiva qualità del ceto magistratuale che, a lungo andare, non può essere garantita senza un’adeguata apertura di un sistema irragionevolmente autoreferenziale. Il percorso sinora seguito risulta tuttavia caratterizzato da ipocrisie, contraddizioni, conflitti istituzionali e forzature che – da un lato – non risolvono i problemi aperti e – dall’altro lato – nocciono alla credibilità del sistema.

Il dogma ormai stancamente recitato della “specialità” dell’Alto Adige – puntualmente strumentalizzato dalla politica locale e acriticamente assecondato da un ambiente politico-burocratico romano ottuso e disinformato – ha fornito, ad esempio, il pretesto per un abbassamento, nell’ambito della provincia di Bolzano, di alcune importanti garanzie – anche di qualità – stabilite dal nuovo ordinamento giudiziario, come quella in materia di separazione delle funzioni tra giudici e pubblici ministeri nonché quella che stabilisce che i magistrati ordinari, al termine del tirocinio, non possono essere subito destinati a svolgere delicate funzioni monocratiche (requirenti, giudicanti monocratiche penali o di giudice per le indagini preliminari o di giudice dell’udienza preliminare).

Nel primo caso di tratta, infatti, di una garanzia fondamentale (seppur ancora insufficiente) per assicurare, soprattutto nel settore penale, una maggiore indipendenza del magistrato giudicante dal suo “collega” che sostiene l’accusa e per aumentare, di conseguenza, la parità tra accusa e difesa; nel secondo caso, si vuole evitare che il magistrato appena assunto operi da solo, prima di avere acquisito una certa esperienza nell’ambito dell’attività collegiale (e quindi a contatto con colleghi più esperti e maturi).

Orbene, per effetto della suddetta “specialità”, soltanto in questa provincia è tuttora possibile – da un lato – che i magistrati possano tranquillamente passare da una funzione all’altra (ossia: oggi accusare, domani giudicare, e viceversa), cambiando spesso soltanto stanza all’interno dello stesso edificio, mentre nel resto d’Italia occorre addirittura cambiare, sostanzialmente, regione e – dall’altro lato – trovarsi di fronte a un giudice (forse) bravo ma (ancora) inesperto che esercita da solo poteri molto incisivi sulla vita e sul patrimonio dei cittadini.

La ristrettezza dell’ambiente in cui vengono reclutati i magistrati comporta inoltre una serie di situazioni di dubbia convenienza, che danno luogo a frequenti conflitti di interesse che, per il momento, non intralciano il funzionamento del servizio solamente perché vengono sostanzialmente passati sotto silenzio, facendo finta che non esistano. Si assiste, in particolare, all’interferenza e alla sovrapposizione di una serie di (pregresse o attuali) relazioni professionali, parentali, di amicizia o di inimicizia che – inevitabilmente – maturano nell’ambiente locale.

La crescente consapevolezza, nella pubblica opinione, di un siffatto retaggio (si veda, in proposito, la non infrequente sottolineatura che se ne fa sugli organi di stampa) induce a una progressiva perdita di credibilità degli organi della giustizia, la cui sottovalutazione rasenta francamente l’irresponsabilità. Tale “ingabbiamento” localistico (ed etnico) della magistratura è stato rotto, di tanto in tanto, solamente dall’ipocrisia della partecipazione ai concorsi speciali di candidati “extraprovinciali” muniti dell’attestato di bilinguismo dichiaratisi, tuttavia, “appartenenti” al gruppo linguistico tedesco al fine di poter beneficiare del maggior numero di posti riservati a quest’ultimo. Anziché aprire il sistema, facilitando in qualche modo – e regolamentando adeguatamente – l’ingresso nella magistratura locale anche di soggetti bilingui provenienti da altre regioni, si pensa invece di difenderne la chiusura autarchica con delle illegittime forzature, ad esempio impedendo ai candidati non residenti nella provincia di Bolzano di rendere la (presupposta) dichiarazione di appartenenza linguistica, e quindi precludendo loro la partecipazione ai concorsi speciali, o limitando la libera scelta della lingua nelle prove di concorso.

Un qualche apporto di “aria nuova” (anche se non necessariamente sempre “fresca”) si è pure avuto attraverso alcuni trasferimenti negli uffici giudiziari altoatesini di magistrati, più o meno bilingui, di provenienza “nazionale”, trasferimenti che alla luce della rigida chiusura che caratterizza la normativa locale appaiono effettivamente di dubbia legittimità e che, per questa ragione, sono sempre state oggetto di un forte, e certamente non positivo, conflitto istituzionale tra la Provincia autonoma di Bolzano e il Consiglio superiore della Magistratura.

Nel contempo ci si sta però lentamente rendendo conto, altresì, che la complessità e l’inflessibilità del sistema locale rendono ormai quasi impossibile una tempestiva reazione ai crescenti problemi operativi cagionati dalla carenza di magistrati, problema che – salvo che non si voglia, insensatamente, rinunciare a qualsiasi selettività nei concorsi locali e, quindi, sacrificare la qualità dei nuovi assunti – difficilmente potrà essere affrontato continuando ad attingere esclusivamente dalle risorse del “mercato provinciale”. Si tratterebbe peraltro di una sciocchezza che nessun fornitore di servizi minimamente ragionevole e accorto si permetterebbe di compiere, tanto meno se è poi costretto a tenersi quel personale per i prossimi quarant’anni! C’è quindi da sperare che la pressione dei crescenti problemi organizzativi possa alla fine indurre a quella riflessione critica sull’assetto della giustizia ordinaria altoatesina che, a dire il vero, il buon senso e la prudenza già imponevano da tempo.

3. Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa: la disapplicazione dello Statuto

A focalizzare nuovamente la pubblica attenzione anche sulla procedura di reclutamento dei giudici amministrativi sono state le recenti vicende – non ancora del tutto concluse – concernenti la sostituzione dei due consiglieri di Stato di lingua tedesca. Si tratta di nomine politiche, come quelle dei magistrati della sezione autonoma di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa.

La giustizia amministrativa costituisce un settore assai delicato e importante dello Stato di diritto, poiché ha il compito di assicurare il rispetto della legalità nei rapporti tra il cittadino e i pubblici poteri, soprattutto laddove questi ultimi agiscono in una posizione di supremazia e con provvedimenti unilaterali, spesso incidendo in maniera molto sensibile nella sfera dei diritti personali e patrimoniali delle persone. I giudici amministrativi, in buona sostanza, giudicano il potere e gli impongono il rispetto di quei limiti che gli derivano dalla legge. Ne discende che, in genere, il potere – soprattutto quello politico-amministrativo – “non ama” la giustizia amministrativa.

In Alto Adige lestablishment politico-amministrativo aveva cercato di ritardare al massimo l’istituzione di un locale organo di giustizia amministrativa (previsto sin dal 1974 ed entrato in funzione solamente nel 1989!) e, soprattutto, ha utilizzato tutti i mezzi per assicurarsi la possibilità di influire su di esso, imponendo – attraverso un’apposita norma di attuazione – alcune soluzioni assai discutibili. Lo statuto d’autonomia del 1971 stabiliva che la metà dei componenti della sezione autonoma di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa fosse nominata dal Consiglio provinciale. Esso non conteneva invece alcuna previsione speciale per l’altra metà dei componenti della sezione. È perciò da ritenere (secondo il noto, e generalmente condiviso, principio interpretativo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”) che secondo lo statuto l’altra metà dei magistrati della sezione bolzanina dovesse provenire dai ruoli generali della giustizia amministrativa, ossia dai giudici di professione, ai quali si accede, com’è noto, con le garanzie del concorso pubblico.

Con la norma di attuazione del 1984 venne invece perpetrato un grave – e puramente arbitrario – stravolgimento di tale previsione statutaria. Come accennato, lo statuto del 1971 prevedeva che solo la metà dei magistrati dovessero essere di nomina politica locale, ad opera del Consiglio provinciale, mentre la norma di attuazione del 1984 ha riservato anche la restante metà alla nomina politica, questa volta però ad appannaggio del potere governativo centrale. Si è disattesa così la previsione dello statuto – implicita ma assai chiara – che la restante metà dei magistrati amministrativi della sezione autonoma di Bolzano fossero assunti mediante concorso pubblico. L’attuale articolo 91 dello statuto, introdotto nel 1971, stabilisce infatti – in maniera assolutamente significativa – che il presidente della sezione di Bolzano è sempre nominato “tra i magistrati di carriera che compongono il collegio”, dimostrando in tal modo di avere sin dall’inizio distinto chiaramente tra una componente “politica” e una di provenienza strettamente professionale.

Tale arbitrario stravolgimento dell’impianto statutario perseguiva una precisa finalità politica. Si voleva far sì che i magistrati nominati dal potere locale potessero anch’essi assumere la carica, a turnazione etnica, di presidente della sezione, figura molto importante in quanto le spetta il voto decisivo in caso di parità nelle deli­berazioni delle decisioni. Ciò era tuttavia escluso dalla norma statutaria sopra richiamata, che riservava tale importante funzione ai soli “magistrati di carriera”, escludendo pertanto i “politici”. Con la norma di attuazione dello statuto (sarebbe tuttavia più appropriato chiamarla norma di “disapplicazione” dello statuto!) si utilizzò un trucco degno del peggior bizantinismo, consistito nel “trasformare” tutti i componenti della sezione di Bolzano in magistrati di “carriera”, appositamente inseriti – per l’occasione – in un “ruolo speciale”. Ma in tal modo si è uniformato ciò che lo statuto voleva invece chiaramente distinto! Per poter raggiungere tale obiettivo risultava però indispensabile che anche la nomina della seconda metà dei magistrati fosse demandata al potere politico, poiché la loro eventuale chiamata per concorso – chiaramente postulata dallo statuto – avrebbe reso praticamente impossibile il suddetto artificio.

Il tocco magico-politico consisteva dunque in questo: tutti di nomina politica, quindi tutti di carriera! Si è pervenuti in tal modo al risultato, chiaramente ripudiato dallo statuto d’autonomia, che la sezione di Bolzano è oggi, nel panorama costituzionale italiano, l’unico organo giudiziario formato interamente da magistrati di nomina politica (sia pure, occorre precisare, scelti tra personalità che devono corrispondere ai ben precisi requisiti di professionalità prestabiliti dalla norma di attuazione). È stata così palesemente disattesa una delle condizioni fondamentali che la giurisprudenza costituzionale aveva sempre richiesto affinché potesse considerarsi legittima la presenza di giudici di nomina politica (di cui, in effetti, vi sono altri esempi nell’ordinamento), ossia che il loro peso all’interno del collegio giudicante non fosse mai preponderante. L’aspetto che rende ancor più trasparente l’obiettivo a suo tempo perseguito dal potere politico locale (obiettivo evidentemente raggiunto solo grazie a un legislatore centrale disattento e disinformato) è poi dato dal fatto che lo Stato si è perfino lasciato maldestramente “rubare” una parte dei magistrati di “sua” competenza.

La norma di attuazione ha stabilito, infatti, che i magistrati di competenza statale, appartenenti al gruppo di lingua tedesca, possono essere nominati dal governo centrale soltanto con l’assenso del Consiglio provinciale di Bolzano. In buona sostanza, il potere politico locale, oltre a scegliere la “propria” metà di giudici, nomina anche la metà della metà di competenza statale.

4. La nomina dei magistrati: partitica e senza trasparenza

Alla fine dei conti, insomma, la maggioranza politica del Consiglio provinciale finisce per determinare direttamente tre quarti dei magistrati della sezione autonoma di Bolzano (vale a dire sei giudici su otto!). Deve poi aggiungersi che per le deliberazioni del Consiglio provinciale, in tale delicatissima materia, non sono dettate regole particolari, e soprattutto non risulta stabilita nessuna maggioranza qualificata. Si intuisce facilmente, a questo punto, quanto spazio sia stato lasciato al calcolo politico, almeno in linea teorica e allorché venga a mancare, come è in parte accaduto in passato, la disponibilità al self restraint delle forze politiche.

Il quadro complessivo si rende inoltre ancora più critico allorché si passa a conside­rare la procedura di nomina di quella metà dei magistrati che lo statuto del 1971 voleva di “diretta” competenza del Consiglio provinciale. Non v’è dubbio che lo statuto d’autonomia, quando si riferisce al Consiglio provinciale, senza ulteriore specificazione, lo intende chiaramente come rappresentanza unitaria della popo­lazione del territorio. Orbene, con la norma di attuazione del 1984 il ruolo del Consiglio è stato, in questa materia, totalmente marginalizzato, fino a renderlo praticamente irrilevante. Si è infatti previsto che i quattro magistrati (i cosiddetti “provinciali”) debbano appartenere rispettivamente due al gruppo linguistico tedesco e due al gruppo linguistico italiano e che essi siano nominati dal Consiglio provinciale “su conforme proposta dei consiglieri provinciali dei rispettivi gruppi linguistici”. Ciò significa che la deliberazione consiliare diventa a questo punto meramente formale, per non dire una discutibile farsa, dato che la scelta effettiva – e assolutamente vincolante per il Consiglio – viene demandata ai gruppi etnici consiliari. Nella realtà effettiva, lasciando da parte ogni ipocrisia istituzionale, ciò significa che i magistrati amministrativi vengono nominati dai partiti politici dominanti del rispettivo gruppo linguistico, con conseguente trasferimento del processo di selezione interamente all’interno delle realtà partitiche “di riferimento” dei due gruppi linguistici. Ebbene, tale realtà appare poi in tutta la sua inadeguatezza – e gravità istituzionale, nonché pericolosità sotto il profilo del principio della divisione dei poteri – ove si consideri che, come accennato, per la deliberazione del Consiglio provinciale non è stabilita nessuna maggioranza qualificata, tale da assicurare scelte ampiamente condivise e “sovrapartitiche”. Ciò appare ancora più singolare e ingiustificabile alla luce del fatto che tutt’altra – ossia più corretta – linea si è scelta, ad esempio, per la procedura di nomina del “difensore civico” (legge provinciale n. 3 / 2010) e del “garante per l’infanzia e l’adolescenza” (legge provinciale n. 3 / 2009), figure certamente assai meno importanti e rilevanti dei giudici amministrativi, ma comunque anch’esse caratterizzate da indispensabili esigenze di indipendenza e imparzialità. In questi casi sono state non solo previste e disciplinate trasparenti procedure di presentazione e di valutazione delle candidature, ma è stata altresì prescritta, per la nomina, la maggioranza qualificata dei due terzi dei consiglieri provinciali, che costringe il Consiglio ad accordarsi su soggetti ampiamente condivisi e impedisce le operazioni politico-partitiche più smaccate e unilaterali.

Nessuna di queste garanzie risulta invece lontanamente prevista a presidio della miglior scelta, da parte dello stesso Consiglio provinciale, dei magistrati ammi­nistrativi locali, la cui indipendenza e imparzialità è pur sempre espressamente prescrit­ta, e garantita, direttamente dalla Costituzione. Il quadro rimane pertanto persistentemente critico e preoccupante, ma non si intravvedono significative prospettive di modifica, con un doveroso ritorno allo statuto speciale e, soprattutto, ai principi basilari della Costituzione. Senza contare l’ulteriore grave vulnus rappresentato dalla circostanza che da un siffatto – arbitrario – sistema di configurazione dell’organo di giustizia amministrativa, tutto incentrato sul primato di anacronistiche considerazioni politiche e sull’egoismo etnico, rimangono totalmente esclusi gli appartenenti al gruppo linguistico ladino, costretti a doversi fidare di una simile giustizia degli “altri” e quindi – nella logica del sistema – a essi estranea. È, a ben guardare, la medesima sorte che li colpisce – questa volta tuttavia insie­me agli italiani – in relazione all’integrazione del Consiglio di Stato con due componenti locali (naturalmente anch’essi di nomina politica), i quali non vengono tuttavia scelti secondo il principio della rappresentanza territoriale, cui si potrebbe riconoscere una certa coerenza e ragionevolezza, ma esclusivamente in base a un – unilaterale e aberrante – criterio di appartenenza (e, di riflesso, di esclusione) etnica.

Riferimenti bibliografici

Denicolò, Guido (2007). La giustizia nella regione dal 1945 alla fine del secolo: una storia di autonomia o una brutta storia?, in: Ferrandi, Giuseppe / Pallaver, Günther (a cura di): La Regione Trentino-Alto Adige / Südtirol nel XX Secolo. I. Politica e istituzioni (Grenzen / Confini 4 / 1), Trento: Museo Storico in Trento, 219 – 262

Deutsche Ausgabe: Denicolò, Guido (2007): Die Justizverwaltung in der Region von 1945 bis zur Gegenwart: Eine Autonomiegeschichte mit schlechtem Ausgang?, in: Ferrandi, Giuseppe / Pallaver, Günther (Hg.): Die Region Trentino-Südtirol im 20. Jahrhundert. I. Politik und Institutionen (Grenzen / Confini 5 / 1), Trento: Museo Storico in Trento, 229 – 280

Abstracts

Die Justiz in Südtirol:
Bekommt die Monade ein paar Fenster?

Die besonderen Regelungen für die Einstellung von Richtern und Staatsanwälten in Südtirol haben in den vergangenen 30 Jahren wesentlich zum Aufbau einer zweisprachigen Gerichtsbarkeit und Rechtspflege beigetragen, mittlerweile allerdings auch einige problematische Aspekte zutage treten lassen. Die fast ausschließliche Begrenzung des Einzugsgebietes, aus welchem das lokale Justizpersonal rekrutiert wird, auf das Gebiet der Provinz Bozen, hat – einerseits – zu einer markant „autarken“ Charakterisierung des Justizwesens in Südtirol geführt, mit den damit unweigerlich einhergehenden negativen Begleiterscheinungen (übermäßige Verhaftung in der lokalen Realität, unvermeidliche persönliche, familiäre und berufliche „Überschneidungen“ bzw. Interessenkonflikte, geringer Erfahrungs­austausch mit dem restlichen Staatsgebiet usw.). Auf der anderen Seite sind aufgrund der damit verbundenen Unflexibilität sowie der Schwierigkeit, innerhalb dieses engen Rahmens immer wieder ausreichend qualifiziertes neues Richterpersonal zu finden, deutliche personelle Engpässe entstanden, die nun möglicherweise zu einem kritischen Überdenken des gesamten Systems und zu ­einer gewissen (wünschenswerten) Öffnung desselben anregen könnten.

La iustizia te Südtirol:

Ciafarà mo la monade n pêr de vidri?

I regolamënć particolars da tó sö i magistrać ti ofizi iudiziars de Südtirol à daidé dassënn, ti ultims trënt’agn, da cherié na aministraziun iudiziara te dui lingac. Mo ara à fat gnì a löm, intratan, inće n valgügn aspeć problematics. Cun le fat che al é gnü smendrì dassënn le raiun da olache le personal dla magistratöra po gnì, chël ô dì che al mëss gnì dala provinzia de Balsan, él da öna na pert, gnü caraterisé dassënn “autarchicamënter” la iustizia de Südtirol, cun les conseguënzes negatives che se porta pro (radicamënt massa sterch ala realté locala, “suraposiziuns” che ne se lascia nia evité y conflić d’interès de ordinn personal, familiar y profescional, barat debl de esperiënzes cun le rest dl raiun nazional y i.i.). Dal’atra pert à la püćia flessibilité liada a chësc, sciöche inće la dificolté de ciafè – te n te’ cheder restrënt – assà personal dla magistratöra cualifiché indortöra, portè a de gragn problems por curì i organics. Döt chësc podess ester n stimul por ponsè sura criticamënter sön döt le sistem y portè a na certa daurida de chësc (che foss da s’audè).

Justice in South Tyrol: Will the Monad Open Up?

Special legislation that governs the recruitment of judges in South Tyrolean courts has contributed significantly to the building of a bilingual judicial council in the last 30 years. Some problematic aspects have appeared, however, in the meantime. Substantial restrictions in recruiting local judiciary staff to the Province of Bolzano has, on one hand, resulted in a markedly autarchic characterisation of justice in South Tyrol. The attendant negative consequences naturally arose: being excessively entrenched in the local reality, inevitable overlapping and conflicts of interest on a personal, family and professional level, poor exchange of experiences with the rest of the country, etc. On the other hand, the correlating inflexibility and ongoing difficulties in finding adequately qualified magistrates within such a narrow framework have resulted in significant staff shortages; these may, however, actually stimulate a critical review of the entire system and lead to some opening up, which would be beneficial.