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Marco Brunazzo

I gruppi di interesse e la democrazia

Interest groups and democracy

Abstract There is constant tension between democratic political systems and interest groups. It could not be otherwise, given the different nature of the interests they represent: the former aim to represent the collective interest and to make decisions with general ­purposes; the latter, on the other hand, become bearers of sectoral and specific points of view. However, democratic political systems and interest groups are destined to coexist: the pluralism of particular interests is an important element of the more general pluralism ­promoted and sought after by the democratic political system itself. In short, the presence of interest groups is potentially useful for democratic systems, but it can also be a source of ­pitfalls. The chapter offers conceptual reflections on the mentioned issues.

1. Introduzione

Tra i sistemi politici democratici e i gruppi di interesse esiste una costante tensione. Non potrebbe essere diversamente, data la diversa natura degli interessi che essi rappresentano: i primi ambiscono a rappresentare l’interesse collettivo e ad assumere decisioni con finalità generali; i secondi, invece, si fanno portatori di punti di vista e interessi settoriali e specifici. Tuttavia, sistemi politici democratici e gruppi di interesse sono destinati a convivere: il pluralismo degli interessi particolari è un tassello rilevante del più generale pluralismo promosso e ricercato dallo stesso sistema politico democratico. Per questo motivo, i sistemi politici democratici non hanno quasi mai cercato di impedire l’esistenza delle lobbies, ma, semmai, di regolamentarne l’azione. Nel paese che, già secondo Tocqueville, può essere considerato la ­patria del lobbying, una legislazione in materia esiste almeno fin dal 1935. Assai più di recente, anche l’Unione europea (UE) si è dotata di un sistema di regolazione dell’azione dei rappresentanti degli interessi particolari. Ciò non deve stupire: l’azione delle lobbies a Bruxelles è indicatore dell’acquisita centralità della stessa UE in molti ambiti dell’azione pubblica, evidenziato anche dall’incremento importante del numero di lobbisti che, quotidianamente, interagiscono con le istituzioni comunitarie.

In Italia, il dibattito sul ruolo delle lobbies è drammaticamente in ritardo, forse perché lo stesso concetto di lobby è sempre stato connotato da una visione negativa: l’etimologia della parola lobby, che deriverebbe dal latino laubia, ossia chiostro, è la stessa della parola loggia, un termine spesso associato al malaffare se non all’attività oscura promossa da rami deviati della Massoneria. Come conseguenza, in Italia esiste di fatto un vuoto normativo: le attività delle lobbies vengono infatti regolamen­tate sulla base di misure decise dalle singole istituzioni rappresentative. Si noti, per esempio, che se la Camera dei deputati ha previsto l’istituzione di un registro dei lobbisti, il Senato della Repubblica non lo ha fatto; allo stesso tempo, differiscono le norme in materia sia tra i ministeri nazionali che tra le regioni italiane. In un paese che ha spesso fatto i conti con eclatanti casi di conflitto di interessi e alti tassi di corru­zione, la mancanza di un quadro normativo unico e coerente non è cosa da poco.

Per comprendere quindi come il rapporto tra sistemi politici democratici e lobby è andato strutturandosi in Europa, conviene prima di tutto guardare all’UE. E questo, per diversi motivi. Prima di tutto, l’UE è un sistema fondamentalmente aperto all’inclusione dei gruppi di interessi nei suoi processi decisionali, addirittura più aperto di quanto non lo siano i sistemi politici di alcuni suoi stessi stati membri. In secondo luogo, i gruppi di interesse hanno giocato un ruolo rilevante nella nascita e consolidamento nell’integrazione dei paesi europei. Tale ruolo è riconosciuto, per esempio, dalla teoria neofunzionalista che, fin dagli anni ’50 del secolo scorso ha evidenziato come essi siano stati una delle principali fonti di pressione favorevole a una maggiore sovranazionalizzazione di ambiti di politica pubblica che gli stati avrebbero invece voluto mantenere, cautamente, sotto il loro controllo. In terzo luogo, seppur non negando la problematicità del rapporto con i gruppi di interesse, l’UE considera un loro coinvolgimento come un elemento di rafforzamento della democraticità dei processi decisionali comunitari: i gruppi di interesse permettono, infatti, la promozione di interessi economici e sociali che difficilmente potrebbero avere voce in capitolo se la rappresentanza delle varie istanze fosse demandata ai soli ­governi nazionali, e permettono l’acquisizione di conoscenze che difficilmente sarebbero a disposizione della burocrazia comunitaria. Infine, come riportato più ­sopra, a livello comunitario esiste un sistema di regolazione dell’azione dei gruppi di interesse più avanzato e trasparente di quello in vigore in molti altri sistemi politici. Il ruolo della Commissione europea è stato, da questo punto di vista, quasi pionieristico in Europa. Tutto ciò rende l’UE un ambito di studio particolarmente utile non solo per capire le problematiche e le opportunità che sottendono il rapporto tra gruppi di interesse e democrazia, ma anche per capire le soluzioni che i paesi europei stanno adottando per regolamentarlo.

Considerando quindi, per quanto fin qui detto, il caso dell’UE come paradigmatico, in queste pagine, cercherò di rispondere alle seguenti domande: è possibile promuovere l’efficacia e la legittimità democratica di un sistema politico democratico attraverso il coinvolgimento (regolamentato) dei rappresentanti delle organizzazioni degli interessi specifici come propongono alcuni sostenitori dell’approccio della ­governance partecipativa (cfr. Grote/Gbikpi 2002; Héritier 1999; Steffek/Nanz 2008)? Oppure, al contrario, tale approccio rischia di fornire ulteriori occasioni di rafforzamento dei gruppi di interesse più forti, spesso già presenti, prefigurando gli esiti di processi decisionali che dovrebbero invece mirare alla promozione di un interesse generale?

Nelle scienze sociali, la letteratura sui gruppi di interesse è estesa. Di conseguenza, si riscontra una certa confusione terminologica perfino riguardo all’unità centrale di analisi. Gli autori fanno riferimento alle diverse forme di partecipazione della società civile utilizzando espressioni diverse ma contenutisticamente in larga parte coincidenti: gruppi di interesse, organizzazioni di interesse, associazioni di organizzazioni di interessi speciali, lobbies, organizzazioni della società civile, organizzazioni di movimenti sociali, organizzazioni non governative, gruppi senza scopo di lucro, gruppi civici e molto altro sono concetti non mutualmente escludenti che, se vogliamo, evidenziano la molteplicità degli interessi che tali gruppi rappresentano nonché l’ampio repertorio di azioni che possono utilizzare. In questo articolo userò la definizione di Eising (2008). Secondo questo autore, i gruppi di interesse possono essere definiti in base a tre fattori: organizzazione, interesse politico e informalità. L’organizzazione “si riferisce alla natura del gruppo ed esclude ampi movimenti e ondate di opinione pubblica che possono influenzare i risultati delle politiche come i gruppi di interesse” (Eising 2008, 5); l’interesse politico “si riferisce ai tentativi di queste organizzazioni di spingere la politica pubblica in una direzione o nell’altra per conto dei collegi elettorali o di un’idea politica generale” (Eising 2008, 5); e l’informalità “si riferisce al fatto che i gruppi di interesse normalmente non cercano cariche pubbliche ma perseguono i loro obiettivi attraverso interazioni informali con politici e burocrati” (Eising 2008, 5).

L’articolo è strutturato come segue. Nel primo paragrafo introdurrò il tema sulla democratizzazione dell’UE e, più in generale, dei sistemi politici, e sul ruolo che i gruppi di interesse possono svolgere in essa. In secondo luogo, spiegherò come è stata implementata la governance partecipativa nell’UE. Infine, concluderò illustrando brevemente i vantaggi, ma anche le insidie, che può incontrare il coinvolgimento dei gruppi di interesse nel processo decisionale dell’UE e, per analogia, dei sistemi politici democratici.

2. Democratizzare i sistemi politici coinvolgendo i gruppi di interesse?

Che i sistemi politici democratici contemporanei siano in crisi può essere considerato un fatto oramai autoevidente se solo si considera quanto vasta sia la letteratura in materia. Alcuni autori identificano nella fine del partito di massa e nella contemporanea ascesa dei partiti populisti le cause e/o i sintomi della loro crisi, altri nell’incapacità dei sistemi politici di soddisfare le richieste degli elettori e delle elettrici da mettere in relazione, per esempio, all’accresciuto ruolo delle istituzioni internazionali e alla fine della sovranità statale post-westphaliana, altri ancora evidenziano la rilevanza che è venuta acquisendo la disponibilità delle risorse economiche nelle campagne elettorali e, più in generale, per l’azione dei partiti. Quest’ultima spiegazione è particolarmente significativa nell’economia di questo articolo, perché essa pone al centro dei processi decisionali che dovrebbero spettare ai rappresentanti politici attori come i gruppi di interesse che, in ragione delle loro risorse, sarebbero in grado di orientare le decisioni politiche, pur sfuggendo a qualsiasi tipo di vincolo e mandato pubblico.

Anche in questo caso, la letteratura sull’UE può essere d’aiuto per meglio inquadrare la questione. Come sostenuto da molti autori, almeno a partire dagli anni ’70 del Novecento, l’UE soffrirebbe infatti di un deficit democratico che la renderebbe in un qualche modo un antesignano dei sistemi politici democratici nazionali oggi in crisi. Si ritiene che l’UE soffra di una mancanza di legittimità democratica a causa di una serie di fattori. Innanzitutto, nell’UE il ruolo dei governi nazionali sarebbe nettamente prevalente rispetto a quello dei parlamenti nazionali (cfr. Andersen/Burns 1996; Raunio 1999). Questo argomento riecheggia la critica fatta ai sistemi politici nazionali secondo cui negli ultimi decenni si sarebbe assistito a una gerarchizzazione del potere che avrebbe indotto una primazia degli organi esecutivi su quelli legislativi e, soprattutto, formati da rappresentanti direttamente eletti dai cittadini. Nel caso dell’UE, però, la mancanza di legittimazione sarebbe ancora più grave. Mentre a livello nazionale i governi rispondono agli elettori tramite i parlamenti che possono assumere e licenziare i gabinetti e mantengono un controllo sul comportamento e operato dei ministri, a livello sovranazionale gli organi esecutivi sono più irresponsabili: sono presenti nel Consiglio europeo, nel Consiglio dell’UE e possono nominare un membro della Commissione europea. Quando agiscono a livello europeo, i governi nazionali sfuggono ampiamente al controllo dei parlamenti nazionali, una dinamica che rimane pressoché inalterata anche dopo l’accresciuta importanza dei parlamenti nazionali dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona.

In secondo luogo, anche disponendo del controllo ultimo sulle decisioni dei ­governi, i parlamenti nazionali vengono relegati sempre più nel ruolo di comparse, finendo per ratificare decisioni già assunte dai governi o, comunque, senza un reale potere di influenza su di esse. Ciò è ancora più visibile a livello comunitario, dove il Parlamento europeo non dispone del potere di nomina di un governo europeo e ­dispone di un potere legislativo limitato. Ad esempio, il Parlamento europeo ha un debole controllo sulla politica estera dell’UE. Se, da un lato, vi è stata un’estensione del ricorso alla procedura legislativa ordinaria a nuovi ambiti normativi dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le più recenti riforme della governance economica dell’UE (ad esempio il Fiscal Compact, il Meccanismo europeo di sta­bilità e, da ultimo, il programma Next Generation EU) hanno visto una parallela emarginazione del Parlamento europeo in un campo politicamente molto signi­ficativo.

Terzo, le elezioni politiche sembrerebbero aver perso di significato. L’aumento del livello di astensionismo e la riduzione della capacità di mobilitazione dei partiti politici spiegherebbero questa dinamica, assieme al fatto che le decisioni dei rappresentanti dei cittadini sarebbero comunque vincolate da fenomeni come la globalizzazione e la diminuzione della sovranità post-westphaliana. Ciò è ancora più evidente nell’UE, dove, al di là del nome, non ci sono vere e proprie elezioni europee. Le cosiddette “elezioni europee” rimangono elezioni di second’ordine: non riguardano le personalità e i partiti a livello europeo, la direzione dell’agenda politica dell’UE, né tantomeno la nomina di un governo comunitario. Nel corso delle campagne elettorali europee, i partiti politici discutono spesso solo di questioni nazionali o presentano (nella maggior parte dei casi) manifesti politici molto generici (cfr. Hix 1999; Marks et al. 2002). In altre parole, le elezioni del Parlamento europeo non riguar­dano l’Europa, poiché i partiti e i media le trattano come competizioni elettorali nazionali di medio termine.

In quarto luogo, tutti i sondaggi di opinione mostrano che i cittadini percepiscono i loro rappresentanti politici come distanti e le istituzioni rappresentative non meritevoli di fiducia. Stando ai sondaggi, annuali pubblicati dall’Istituto Demos & Pi (e consultabili sul sito www.demos.it), gli italiani hanno più fiducia nel Papa o nelle istituzioni di garanzia come il Presidente della Repubblica o la magistratura che nelle istituzioni rappresentative o nei partiti politici. Anche in questo caso, l’UE porta all’estremo questa critica: i dati degli Eurobarometri evidenziano come essa sia spesso percepita come “troppo distante” dai cittadini. Da un punto di vista istitu­zionale, i cittadini non hanno alcun controllo sulle attività delle istituzioni inter­governative e della Commissione. Dal punto di vista psicologico, i cittadini non comprendono l’UE, il suo funzionamento, le sue dinamiche e la considerano meno democratica dei sistemi politici nazionali in crisi.

Il dibattito sulle possibili cure alla crisi democratica è chiaramente esteso almeno quanto quello sulla crisi stessa della democrazia, ma può essere grosso modo riassunto in due argomenti fondamentali: da una parte vi sono coloro che ritengono che la crisi della democrazia possa essere superata con meno democrazia, ossia riducendo gli spazi della rappresentanza e adottando misure che favoriscano l’efficacia dell’azione politica. Dall’altra vi sono coloro che ritengono che occorra, invece, più democrazia, ossia aumentare le possibilità di accesso al sistema politico e ai suoi processi decisionali dei cittadini, anche in forma associata. A questa seconda scuola di pensiero possono essere iscritti anche quegli autori che vedono nei gruppi di interesse una occasione di nuova partecipazione ai processi politici.

La letteratura a supporto di questo approccio si divide, anche in questo caso, in due grandi campi: da un lato c’è chi considera il coinvolgimento dei gruppi di interesse come una soluzione ottimale; dall’altro, vi sono coloro che considerano la partecipazione dei gruppi di interesse come una soluzione di ripiego ma inevitabile, in attesa della creazione di una occasione di rilancio dei partiti politici, di riforme ­istituzionali ambiziose e di nuove occasioni di partecipazione democratica dei cittadini. Tuttavia, per entrambi questi gruppi di studiosi, il presupposto di base è che gli interessi collettivi organizzati possono fungere da “cinghia di trasmissione” tra cittadini e decisori politici. Guardando al caso della politica europea e internazionale, per esempio, Steffek e Nanz (2008, 8), sottolineano che “[i]n primo luogo, le organizzazioni della società civile possono dare voce alle preoccupazioni dei cittadini e incanalarle verso il processo deliberativo delle organizzazioni internazionali. In secondo luogo, possono rendere i processi decisionali interni delle organizzazioni internazionali più trasparenti al grande pubblico e formulare questioni tecniche in termini accessibili”.

Può essere utile interpretare questa posizione utilizzando i famosi criteri democratici di Dahl. Secondo Robert Dahl (1982, 6), un processo democratico ideale ­dovrebbe soddisfare cinque criteri:

Uguaglianza nel voto = 1 persona, 1 voto.

Nel prendere decisioni collettive, la preferenza espressa da ciascun cittadino dovrebbe essere presa ugualmente in considerazione nel determinare la solu­zione definitiva;

Partecipazione effettiva = i cittadini devono avere adeguate e pari opportu­nità per esprimere le proprie preferenze durante tutto il processo decisionale.

Durante tutto il processo decisionale collettivo, compresa la fase di inserimento delle questioni all’ordine del giorno, ciascun cittadino dovrebbe avere adeguate e pari opportunità per esprimere le proprie preferenze sull’esito finale;

Comprensione illuminata = una società democratica deve essere un mercato di idee; stampa libera, libertà di parola; i cittadini devono essere in grado di comprendere i problemi.

Nel tempo concesso dalla necessità di decisione, ogni cittadino dovrebbe avere adeguate ed eguali opportunità per arrivare al proprio giudizio ponderato sul risultato più desiderabile;

Controllo dei cittadini sull’agenda = i cittadini dovrebbero avere il diritto collettivo di controllare l’agenda.

Il corpo dei cittadini dovrebbe avere l’autorità esclusiva per determinare quali questioni debbano o meno essere decise mediante un processo che soddisfi i primi tre criteri;

Inclusione = il governo deve includere ed estendere i diritti a tutti coloro soggetti alla sua legge; la cittadinanza deve essere aperta a tutti.

Il demos dovrebbe includere tutti gli adulti soggetti alle leggi del governo, ad eccezione dei cittadini di passaggio.

Questi cinque criteri sussumono molti dei modelli più specifici di democrazia presenti in letteratura. L’inclusione e l’uguaglianza di voto soddisfano la definizione di democrazia elettorale, secondo la quale la democrazia è soprattutto un sistema di aggregazione delle preferenze individuali in decisioni collettive in modo da rispettare l’uguale valore delle preferenze di ciascun cittadino. Il criterio della partecipazione effettiva soddisfa le esigenze della democrazia partecipativa, che sottolinea il valore intrinseco oltre che strumentale della partecipazione dei cittadini alla formazione delle politiche pubbliche. La comprensione illuminata tra i cittadini è uno dei requisiti fondamentali della democrazia deliberativa, che richiama l’importanza di come si formano le preferenze anziché di come si aggregano. Interpretato nei criteri democratici di Dahl, il più ampio coinvolgimento degli interessi organizzati nel processo decisionale può aiutare sia a garantire un’effettiva partecipazione (esprimendo e incanalando le preoccupazioni dei cittadini) sia a promuovere una comprensione illuminata (facendo in modo che il contenuto del processo decisionale sia più trasparente e accessibile ai cittadini).

Seguendo questa linea di ragionamento, Verweij e Josling (2003) sottolineano come il coinvolgimento dei gruppi di interesse produrrebbe un guadagno di efficienza sul versante della legittimità dell’output del sistema politico (basata, quindi, su un’efficiente risoluzione dei problemi e la prevenzione di abuso di potere nel sistema politico), piuttosto che sul versante della legittimità dell’input (ossia sulla capacità del sistema politico per derivare le decisioni il più direttamente possibile dalle preferenze individuali dei cittadini). Come scrivono questi due autori in riferimento al sistema politico europeo, le riforme volte ad ampliare la partecipazione dei gruppi di interesse nel policy-making dell’UE “aumenterebbero il numero di prospettive politiche considerate all’interno delle organizzazioni multilaterali e incoraggerebbero il confronto e il dibattito. Stimolerebbero, inoltre, una ricerca di soluzioni politiche sintetiche che affronterebbero le preoccupazioni normative e di altro tipo di una più ampia pluralità di punti di vista. Pertanto, potrebbero migliorare la progettazione e l’attuazione della politica multilaterale. In questo modo la legittimità dell’output dell’organizzazione multilaterale potrebbe migliorare” (Verweij/Josling 2003, 11). L’enfasi posta sui gruppi di interesse e il loro benefico coinvolgimento nel sistema politico è al centro del cosiddetto “approccio di governance partecipativa”.

3. Le condizioni della governance partecipativa

Gli studi che analizzano le potenzialità del coinvolgimento dei gruppi di interesse nei processi decisionali dei sistemi politici ne enfatizzano gli effetti, ma mostrano, al contempo, anche i possibili limiti e le conseguenze delle loro azioni per la legittimità degli stessi processi decisionali democratici (cfr. Imig/Tarrow 2001; Balme et al. 2002; della Porta 2007). Ad esempio, Caporaso (1974) evidenzia come il perseguimento di interessi limitati e specifici possa compromettere la legittimità dell’intero processo decisionale. Anche in questo caso, il riferimento al caso dell’UE e a come essa abbia cercato di regolamentare l’azione dei gruppi di interesse può ­essere utile. Enfatizzando il ruolo positivo che i gruppi di interesse possono svolgere, la Commissione europea (2001; 2002) ha cercato di rendere l’UE una (sorta di) demo­crazia deliberativa o associativa (per una panoramica, cfr. Finke 2007). Per questo motivo, fin dagli anni ’90 l’UE ha adottato alcune riforme finalizzate a regolamentare la presenza dei gruppi di interesse nei processi decisionali comunitari. Ad esempio, nel 1992 la Commissione europea ha avviato “un dialogo aperto e strutturato” volto a rendere più trasparente l’accesso ai gruppi di interesse (Commissione europea 1992) e, nel 2001, ha approvato quello che è stato considerato un passo importante nella definizione dei rapporti tra di essi e le istituzioni europee, il Libro bianco sulla governance europea. Questo documento raccomanda una serie di misure volte a incrementare la legittimità dell’UE sul versante dell’input incorporando la consulenza di esperti nel processo decisionale dell’UE e ampliando le possibilità dei meccanismi di consultazione:

“Vi è attualmente scarsa chiarezza su come avvengono le consultazioni e su chi viene ascoltato dalle istituzioni. La Commissione dispone di circa 700 organi consultivi ad hoc per un’ampia gamma di politiche. Il moltiplicarsi di negoziati internazionali incrementa ancora le consultazioni ad hoc. La Commissione ritiene necessario razionalizzare questo poco maneggevole sistema non per soffocare i dibattiti ma per renderli più efficaci e affidabili non solo per chi è consultato ma anche per chi è destinatario del parere. Come primo passo, la Commissione pubblicherà un elenco degli attuali organi consultivi settoriali. Non è possibile creare una cultura della consultazione mediante norme di legge, che apporterebbero eccessiva rigidezza e rischierebbero di rallentare l’adozione di determinate politiche. La cultura della consultazione va basata invece su un codice di condotta comprendente criteri qualitativi minimi (standard), incentrati su argomenti, tempi, persone e modi della consultazione. Tali standard ridurranno il rischio che i politici si limitino ad ascoltare argomentazioni unilaterali oppure di determinati gruppi che si assicurino accesso privilegiato in base a interessi settoriali o alla cittadinanza, il che costituisce un punto debole del metodo attuale delle consultazioni ad hoc. Tali standard devono ­migliorare la rappresentatività delle organizzazioni della società civile e strutturarne i dibattiti con le istituzioni” (Commissione europea 2001, 14).

Di conseguenza, fin dal 2002 la Commissione europea ha adottato una serie di principi generali e standard minimi per la consultazione dei gruppi di interesse (Commissione europea 2002, 15). La Commissione era tenuta a garantire comunicazioni chiare e concise; annunciare consultazioni pubbliche aperte su un unico punto di accesso a Internet; garantire un’adeguata copertura dei gruppi rappresentati; confermare la ricezione dei commenti riportando i risultati delle consultazioni pubbliche su Internet. Tuttavia, inizialmente questi standard hanno raggiunto solo marginalmente gli obiettivi attesi di una maggiore legittimità perché i gruppi di interesse a livello dell’UE erano ancora piuttosto lontani dai collegi elettorali nazionali (cfr. Warleigh 2001).

Dal 2005 la Commissione è un pioniere della regolamentazione del lobbismo a livello dell’UE. Nel 2005 il commissario Siim Kallas ha presentato l’Iniziativa euro­pea per la trasparenza (IET) e nel 2006 la Commissione ha pubblicato un Libro verde sull’IET (Commissione europea 2006, 4), basato su tre componenti principali: “la necessità di un quadro più strutturato per l’attività dei rappresentanti di interessi […]; feedback sulle norme minime di consultazione della Commissione […]; divulgazione obbligatoria delle informazioni sui beneficiari dei fondi UE in regime di gestione concorrente […]”. La Commissione ha anche creato un registro basato su una registrazione volontaria. La registrazione implica l’accettazione di un “Codice di condotta per i rappresentanti di interessi” che, tra l’altro, afferma che, ad esempio, nei loro rapporti con le istituzioni dell’UE e i loro membri, funzionari e altro personale, i lobbisti devono sempre identificarsi dichiarando il loro nome e l’organizzazione o le organizzazioni per cui lavorano o che rappresentano; devono dichiarare gli interessi, gli obiettivi o le finalità promosse e, se del caso, specificare i clienti o i membri che rappresentano; non ottenere o tentare di ottenere informazioni, o qualsiasi decisione, in modo disonesto o mediante l’uso di indebite pressioni o comportamenti inappropriati; non devono rivendicare alcuna relazione formale con l’UE o una delle sue istituzioni nei loro rapporti con terzi, né travisare l’effetto della registrazione in modo tale da indurre in errore terzi o funzionari o altro personale dell’UE.

La crescente attenzione al coinvolgimento della società civile e dei gruppi di interesse è richiamata anche dall’articolo 11 del Trattato di Lisbona. Questo articolo fa esplicito riferimento al ruolo dei cittadini e della società civile nel processo decisionale dell’UE, riconoscendo l’importanza del coinvolgimento dei cittadini e la necessità di un “dialogo aperto, trasparente e regolare”. Anche in forza di questo articolo, nel 2011 il Parlamento europeo e la Commissione europea hanno raggiunto un accordo interistituzionale che prevede l’obbligatorietà di iscrizione per qualsiasi rappresentante di interesse sia impegnato attivamente in attività volte a influen­zare l’elaborazione o l’attuazione di politiche o normative a livello di Unione. Tale sistema è stato rivisto nel 2014 e ha subito una profonda revisione nel 2021 e ha visto allargarsi la sua valenza anche al Consiglio dell’Unione europea.

Al contempo, tutte e tre le istituzioni europee hanno adottato misure di trasparenza ulteriori. Per esempio, l’articolo 11 del regolamento del Parlamento europeo stabilisce che in considerazione del loro ruolo e del loro mandato specifici, i deputati al Parlamento europeo sono incoraggiati a incontrare esclusivamente i rappresentanti di interessi iscritti nel registro per la trasparenza. Tutti i deputati sono inoltre incoraggiati a pubblicare online tutte le riunioni programmate con rappresentanti di interessi. Tali riunioni sono pubblicate sulle pagine personali di ciascun deputato sul sito web ufficiale del Parlamento. I relatori, i relatori ombra e i presidenti di commissione sono tuttavia tenuti a pubblicare online tutte le riunioni programmante con rappresentanti di interessi per ciascuna relazione parlamentare. I dati da pubblicare includono la data e la tipologia dell’incontro, il tema della riunione, il rappresentante di interessi incontrato e il ruolo del deputato (ad esempio relatore, relatore ombra, presidente di commissione o deputato senza alcuna responsabilità specifica in relazione al fascicolo).

Come è evidente, se, da una parte, l’approccio della governance partecipativa evidenzia i vantaggi della consultazione dei gruppi di interesse, dall’altra non ne sotto­stima le problematicità.

4. I vantaggi e i rischi della governance partecipativa

Come si è visto, c’è un consenso complessivo sull’importanza dei gruppi di interesse e sui potenziali vantaggi che possono derivare da un loro coinvolgimento nei processi decisionali. Ad esempio, Eising e Sollik (2010, 190) scrivono che: “I gruppi di interesse hanno un ruolo particolarmente importante da svolgere nel collegare le istituzioni […] con i cittadini […], nonché nel mediare tra loro. Spesso ci si aspetta che socializzino i loro membri alla politica democratica, diano voce ai cittadini tra le elezioni, partecipino alla costruzione di una volontà generale a partire dalle preoccupazioni specifiche dei gruppi e servano da ‘scuola di democrazia’”. Come afferma la Commissione europea, per esempio:

“Adempiendo al suo dovere di consultazione, la Commissione garantisce che le sue proposte siano tecnicamente valide, praticabili e basate su un approccio dal basso verso l’alto. In altre parole, una buona consultazione ha un duplice scopo, contribuendo a migliorare la qualità dei risultati politici e, allo stesso tempo, accrescendo il coinvolgimento delle parti interessate e del pubblico in generale. Un ulteriore vantaggio è che i pro­cessi di consultazione trasparenti e coerenti gestiti dalla Commissione non solo consentono un maggiore coinvolgimento del pubblico, ma danno anche al legislatore maggiori possibilità di controllo delle attività della Commissione (ad esempio mettendo a disposizione documenti che riassumono l’esito del processo di consultazione)” (Commissione europea 2002, 5).

In altre parole, i gruppi di interesse possono aggiungere competenze per progettare l’ordine pubblico e la rappresentanza funzionale all’imperfetta duplice necessità di legittimità di un sistema politico democratico, la legittimità che deriva dalla partecipazione e quella derivante da decisioni e politiche efficaci.

Tuttavia, il coinvolgimento dei gruppi di interesse può anche essere fonte di potenziali rischi per i sistemi democratici. Guardando al caso dell’UE, per esempio, Lindgren e Persson (2011, 14 - 19) hanno evidenziato sei potenziali insidie del rapporto tra rappresentanza democratica e rafforzamento dei canali basati sugli interessi:

Rischio 1: nel loro funzionamento interno, le organizzazioni di interesse potrebbero non essere abbastanza democratiche.

L’approccio della governance partecipativa presuppone che le organizzazioni di rappresentanza degli interessi siano internamente democratiche, in modo che le opinioni espresse dai loro leader riflettano accuratamente quelle dei loro membri. Questa ipotesi è dubbia. Come ricorda Warleigh (2003, 29), ci sono “poche prove di strutture che consentono ai sostenitori di dare un contributo regolare alla definizione della politica delle ONG, o di chiedere ai funzionari della ONG di renderne conto in seguito”.

Rischio 2: le divisioni politiche nei sistemi politici possono essere principalmente territoriali piuttosto che funzionali o settoriali.

La sottovalutazione della rilevanza degli interessi territoriali in favore di quelli funzionali potrebbe quindi indebolire il canale territoriale di rappresentanza aggravando ulteriormente il malcontento pubblico nei confronti del sistema politico.

Rischio 3: le opportunità di partecipazione possono differire tra i gruppi di interesse.

I sostenitori della governance partecipativa spesso sostengono che un coinvolgimento più ampio degli interessi organizzati nel processo decisionale promuova un’effettiva partecipazione, perché le organizzazioni in questione forniranno ai cittadini un canale efficace per esprimere le loro preoccupazioni su importanti tematiche. Al contrario, gli scettici criticano questa ipotesi per due motivi. In primo luogo, la capacità di organizzarsi è diversa tra i cittadini. Secondo Walzer (2002, 39), infatti, è “una regola generale della società civile che i suoi membri più forti diventino più forti. I membri più deboli e più poveri o non sono affatto in grado di organizzarsi – oppure formano gruppi che riflettono la loro debolezza e povertà”. In secondo luogo, anche quando i cittadini hanno accesso a organizzazioni che promuovono i loro interessi particolari, sono le persone con maggiori risorse che tendono ad avere un migliore accesso al processo decisionale.

Rischio 4: l’accesso alle informazioni può differire tra i gruppi.

Questo problema è legato al criterio della comprensione illuminata di Dahl, che richiede che tutti i cittadini godano di pari e adeguate opportunità per scoprire e convalidare le proprie preferenze su importanti questioni politiche. Secondo l’approccio della governance partecipativa, un maggiore coinvolgimento degli interessi organizzati nel processo politico può promuovere una comprensione illuminata, perché le suddette organizzazioni rendono il contenuto del processo decisionale più trasparente e accessibile ai loro membri. Questo punto di vista si basa sul presupposto che tutte le organizzazioni abbiano un accesso uguale e adeguato alle informazioni pertinenti. Tuttavia, se la capacità di ottenere informazioni dalle istituzioni politiche differisce ampiamente tra le organizzazioni, un rafforzamento del canale di rappresentanza basato sugli interessi può ostacolare piuttosto che facilitare il soddisfacimento del criterio della comprensione illuminata.

Rischio 5: le opportunità di influenzare possono differire tra i gruppi.

Anche se tutti i gruppi organizzati hanno un accesso uguale e adeguato alle informazioni e alle sedi politiche pertinenti, questo fatto non si traduce necessariamente in pari opportunità di influenza.

Rischio 6: un’ampia partecipazione può ostacolare l’efficienza.

Un maggiore coinvolgimento degli interessi organizzati promette di rendere il sistema politico non solo più democratico ma anche più efficiente. In altre ­parole, un rafforzamento della partecipazione degli interessi organizzati può contemporaneamente rafforzare la legittimità degli input e degli output del sistema politico. Tuttavia, il coinvolgimento da parte di interessi organizzati può anche creare stallo politico e conflitti (cfr. Dahl 1994).

5. Conclusioni

I rischi fin qui elencati sfidano l’assunto che il coinvolgimento dei gruppi di interesse sia un rimedio di per sé ad alcuni dei più importanti problemi democratici dei sistemi politici contemporanei. Tuttavia non inficiano del tutto il ragionamento secondo cui i gruppi di interesse possono anche contribuire ad un rafforzamento della democrazia. Sembra quasi controintuitivo e perfino contraddittorio che gli interessi particolari possano contribuire alla definizione dell’interesse generale. Tuttavia la democrazia è stata, è e sempre sarà un constante processo di riforma che permette di identificare equilibri perfettibili tra pressioni contrastanti. Sarebbe ora che anche in Italia il tema venisse affrontato dal legislatore con maggiore pragmatismo e con minore afflato ideologico.

Riferimenti bibliografici

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