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Günther Pallaver

I partiti italiani in Alto Adige

Frammentati e deboli in cerca di una nuova identità

1. Introduzione

Il sistema dei partiti a livello regionale non è mai la riproduzione di un sistema di partiti esistente a livello nazionale. Il sistema regionale si differenzia ancora di più se a livello regionale vi siano delle fratture sociali diverse rispetto a quelle riscontrabili a livello nazionale. Questo si verifica in Alto Adige, dove la frattura centrale è di carattere etnico e si pone in posizione dominante rispetto a tutte le altre cleavages.

Questo cross cleavage di carattere etnico ha fatto sì che in Alto Adige vi siano dei partiti etnici che sono espressione dei due gruppi linguistici più rilevanti. Vi sono partiti italiani e tedeschi, esiste anche un piccolo partito ladino. Parallelamente ai partiti etnici vi è anche un comportamento elettorale etnico, il quale afferma che i gruppi linguistici prevalentemente si orientano verso i partiti del loro gruppo linguistico. Solamente negli ultimi due decenni si sono formati anche dei partiti interetnici, che però, oggi come nel passato, rappresentano un’eccezione elettorale nel sistema dei partiti dell’Alto Adige.

Il fatto che il sistema dei partiti in Alto Adige venga determinato da partiti etnici, ha portato ad un’altra conseguenza di notevole rilevanza. Dato che la concorrenza politica si manifesta per lo più solamente all’interno del rispettivo gruppo linguistico, non però tra i gruppi linguistici (concorrenza intraetnica vs interetnica) l’arena politica complessiva nella quale agiscono i partiti politici si frammenta in Alto Adige in sub-arene politiche, separate tra loro in maniera relativamente chiara. Ciò significa che in Alto Adige abbiamo partiti tedeschi ed italiani (ed un piccolo partito ladino) che agiscono nell’ambito di un’arena elettorale tedesca o di una italiana (Pallaver 2004, 104).

Le condizioni quadro di carattere istituzionale (ad esempio il sistema elettorale, la rappresentanza di governo) un territorio comune, il (talvolta) comune input ed output politico, solamente per menzionare alcuni elementi strutturali, evitano che s’instaurino arene politiche separate in maniera ermetica le une dalle altre, ma proporzionalmente predominano di gran lunga le differenze rispetto agli aspetti in comune. Per queste ragioni è quindi possibile, anche se con una serie di limitazioni, suddividere il sistema dei partiti in Alto Adige in sub-sistemi ed analizzarli in maniera separata tra loro, così come avviene in questo testo riguardante il sistema dei partiti italiani.

Nell’analisi di questa e di altre particolarità partiamo dalla tesi che il sistema dei partiti italiani in Alto Adige nella seconda repubblica è caratterizzato da tre dimensioni: da una forte frammentazione, dalla perdita di un centro politico-ideologico e dalla crescita dei partiti semi- ed antiautonomistici. La seconda tesi afferma che la democrazia della concordanza (consociational democracy) introdotta per statuto in Alto Adige, che prevede, tra l’altro, un massimo coinvolgimento a livello di governo di tutti i gruppi linguistici rilevanti, è entrata in una situazione anomala perché i partiti italiani di governo rappresentano solamente una minoranza della società civile italiana. La terza tesi afferma che i partiti italiani, ai quali sinora è stata assegnata a livello di governo solamente una posizione debole, aumenteranno il loro potenziale di contrattazione e di coalizione a causa della crescente debolezza della Südtiroler Volkspartei (Svp).

2. Le dimensioni dei partiti italiani

I partiti italiani dell’Alto Adige hanno subìto negli ultimi vent’anni un processo di trasformazione in parte radicale. Questi processi possono essere distinti in quattro dimensioni che saranno analizzate nel corso di questo capitolo. Si tratta di una dimensione 1. ideologica, 2. territoriale, 3. etnica/interetnica ed 4. identitaria.

2.1. Dimensione ideologica

I partiti italiani dell’Alto Adige rispecchiano le posizioni ideologiche delle diverse famiglie di partiti alle quali appartengono (cfr. Bardi et al. 2007) sia a livello statale che a livello europeo (Oppenland 2006). Nel Consiglio provinciale sono rappresentati sia raggruppamenti di destra e di centro destra che un partito socialdemocratico. Sorprende che da parte italiana attualmente (gennaio 2013) non vi sia alcun partito popolare di ispirazione conservatrice/cristiano-sociale.

Sull’asse destra-sinistra dopo le elezioni provinciali del 2008 all’estrema destra si trovava Unitalia Movimento iniziativa sociale. Dopo che l’Msi, nel 1995 a Fiuggi, ha cambiato denominazione in Alleanza nazionale (Ignazi 1996, Tarchi 1997), una parte degli iscritti non aveva accettato il processo di trasformazione ideologica verso il centro politico e quindi fondò un proprio movimento denominato Movimento sociale fiamma tricolore sotto la guida di Pino Rauti che rimase per lungo tempo l’unico partito dichiaratamente neofascista d’Italia (Baldoni 2009).

Anche a Bolzano si giunse, nel corso di questo processo di trasformazione, nel 1996 ad una spaccatura ed alla fondazione del movimento Unitalia (Pallaver 2007, 586). Da allora Unitalia si muove nel quadro di coalizioni elettorali e di dichiarazioni di voto nell’ambito del campo della destra e del centro destra. In occasione delle elezioni parlamentari del 2006 Unitalia sostenne la Casa delle libertà di Silvio Berlusconi, nel 2008 il movimento stipulò un accordo con il partito La Destra di Francesco Storace e divenne, de facto, un rappresentante locale di questo movimento senza rinunciare al proprio simbolo. In occasione delle elezioni politiche dello stesso anno Unitalia sostenne il Movimento per l’Italia di Daniela Santanchè e divenne la sua rappresentanza in Alto Adige (Gonzato 2010). In occasione delle elezioni politiche del febbraio 2013 Unitalia ha sostenuto il movimento neofascista CasaPound (Alto Adige 2013).

Il Popolo della libertà (Pdl) formò dopo le elezioni provinciali del 2008 il gruppo più forte nel Consiglio provinciale. Il partito di Berlusconi si definisce come partito di centro destra ed a livello europeo fa parte del gruppo del Partito popolare europeo. Nella realtà politica il Popolo della libertà si colloca nell’ala destra della famiglia dei partiti popolari europei. I numerosi accordi elettorali con partiti di destra, radicali di destra e neofascisti hanno sempre provocato la critica da parte dei partner europei (Magri 2013).

La Lega nord, dopo una fase iniziale piuttosto turbolenta nelle relazioni con Berlusconi, ha sempre fatto parte di una coalizione prima con Forza Italia e poi con il Popolo della libertà. La Lega nord va collocata ideologicamente come partito conservatore di destra e si caratterizza soprattutto per posizioni populiste di destra (Passarelli/Tuorto 2012).

Ai partiti di destra, di centro destra e populisti di destra si contrappone il Partito democratico. Nel 1993 il Partito democratico della sinistra, successore del Partito comunista italiano (Pci), prese parte alle elezioni provinciali ed oggi, con la denominazione di Partito democratico, persegue a livello europeo una linea socialdemocratica.

Dalle elezioni del 2008 nel Consiglio provinciale non è più rappresentato un partito di centro; una situazione che è da attribuirsi ad una serie di dinamiche del sistema dei partiti altoatesini, sulla quale si tornerà dettagliatamente nel capitolo relativo al sistema dei partiti (Atz/Pallaver 2009).

La posizione di partenza dopo le elezioni provinciali dell’autunno del 2008 nel frattempo si presenta fortemente mutata in seguito alla implosione de facto del Popolo della libertà che è stato lasciato da una serie di fazioni interne. Divergenze di carattere personale e politico hanno portato a far sì che già poco dopo le elezioni provinciali i tre consiglieri del Pdl abbiano formato dei propri gruppi. Alessandro Urzì, dopo la rottura avvenuta nel luglio del 2010 tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, ha seguito l’ex capo di Alleanza nazionale che ha fondato il partito Futuro e libertà per l’Italia. Urzì si è quindi unito alla nuova formazione politica ed ha fondato, nel 2011, il gruppo provinciale Futuro e Libertà – Zukunft und Freiheit – Dagnì y Libertà (home 2013).

Nel novembre del 2011 Urzì è stato quindi nominato coordinatore regionale di Futuro e libertà, ma ha successivamente lasciato il partito quando Fini, in occasione delle elezioni politiche del 2013, si è unito al partito di centro Udc ed alla nuova lista di Mario Monti denominata Scelta civica con Monti per l’Italia (Lista Monti 2013). Nel gennaio del 2013 Urzì ha quindi fondato il movimento puramente territoriale Alto Adige nel cuore. Questo non ha comunque portato ad un cambiamento delle sue posizioni di centro destra (ansa 2013). Oltre a Donato Seppi, che nel Consiglio provinciale rappresenta Unitalia, dal dicembre del 2012 vi è un secondo rappresentante della destra (Il Giornale d’Italia 2012). Mauro Minniti, sino a quel momento presidente del Consiglio provinciale e rappresentante del Popolo della libertà, è passato a sostenere il partito di Francesco Storace, La Destra fondato nel 2007, che non ha mai preso le distanze dal fascismo italiano (home 2013a).

Tabella 1: Confronto dei risultati elettorali delle elezioni provinciali del 1993 e del 2008 in base alla dimensione ideologica (dati percentuali)

sinistra

centro sinistra

centro

centro destra

destra

1993

Pds

Dc-PpAA, UcAA

Ln

Msi-Dn

Percentuale

Numero seggi

2,9

1

6,1

3

2,9

1

11,6

4

2008

Pd

Ln, Pdl

Unitalia

Percentuale

Numero seggi

6,0

2

10,4

4

1,9

1

Differenza 1993 – 2008

+3,1

+1

–6,1

– 3

+7,5

+3

–9,7

–3

Fonte: Elaborazione propria sulla base dei risultati ufficiali delle elezioni del 1993 e del 2008

Abbreviazioni. Pds: Partito democratico della sinistra; Dc-PpAA, UcAA: Democrazia cristiana/Partito popolare Alto Adige, Unione centro Alto Adige; Ln: Lega nord; Msi-Dn: Movimento sociale italiano – Destra nazionale, Pd: Partito democratico; Pdl: Popolo della libertà.

Nel corso degli ultimi venti anni l’estrema destra in Alto Adige ha perso il 9,7 per cento e si è ridotta da quattro seggi ad uno. Con il passaggio di Minniti a La Destra, l’ala di estrema destra dello spettro dei partiti politici si è un po’ rafforzata. A prescindere dal passaggio di Minniti la zona grigia tra il campo del centro destra e quello della destra rimane comunque complessivamente piuttosto vaga ed ampia, se si pensa che la coordinatrice regionale del Popolo della libertà per la Regione Trentino-Alto Adige, Michaela Biancofiore (Bert 2013), ha definito Benito Mussolini un grande statista (Alto Adige 2013a). Quello che l’estrema destra ha perduto in consensi elettorali, è stato acquisito dal centro destra, il quale è passato dal 2,9 per cento conseguito nelle elezioni provinciali del 1993 al 7,5 per cento in occasione delle elezioni provinciali del 2008 passando da un seggio a tre. Il campo del centro sinistra è cresciuto del 3,1 per cento ed è aumentato di un seggio, mentre il centro politico, che nel 1993 era entrato nel Consiglio provinciale con il 6,1 per cento dei voti e con tre seggi, a partire dalle elezioni provinciali del 2008 non è più rappresentato nel Consiglio provinciale.

Facendo un confronto nell’arco di venti anni si può constatare che il comportamento elettorale degli italiani dell’Alto Adige è stato centrifugo dato che il centro politico è stato praticamente svuotato. Mentre il campo del centro destra/destra è sceso dal 14,5 per cento (1993) al 12,3 per cento, pur conservando il numero di seggi a cinque consiglieri provinciali, il campo del centro sinistra è arretrato dal 9 al 6 per cento, registrando quindi la perdita di due seggi, passando da quattro a due consiglieri.

2.2. Dimensione territoriale

In Alto Adige possiamo distinguere due tipologie di partiti; i partiti rappresentati a livello nazionale e i partiti regionali. I partiti regionali sono il prodotto di conflitti tra il centro e la periferia che per lo più sono da ricondurre allo sviluppo della formazione nazionale (Lipset/Rokkan 1967). Ad un centro politico, culturale ed economico si contrapponevano e tuttora si contrappongono aree periferiche che il centro cerca di incorporare. Questo provoca conflitti che si esprimono soprattutto attraverso l’affermazione di una lingua dominante. Oltre ai conflitti di carattere culturale vi sono conflitti economici, perché il centro politico vuole imporre alla periferia la sua logica economica e sfrutta economicamente la periferia (Rokkan/Urwin 1982).

Entrambi i conflitti sono riscontrabili in Alto Adige: il conflitto culturale si è manifestato immediatamente dopo l’annessione dell’Alto Adige all’Italia attraverso la politica fascista di assimilazione ed è proseguito dopo il 1945; il conflitto economico ha portato a tensioni soprattutto a causa dell’imposizione della logica industriale nazionale. Queste condizioni quadro hanno fatto sì che la minoranza di lingua tedesca si sia organizzata in vari partiti etnoregionali (Pallaver 2007).

Ciò che per la minoranza di lingua tedesca risultava ovvio nella propria autopercezione, per la parte italiana rappresenta l’eccezione.

Nonostante l’ideologizzazione del territorio, evocato negli ultimi anni da tutti i partiti come sostituto a causa del processo di erosione delle ideologie (Diamanti 2009), i partiti italiani in Alto Adige sono espressione dei partiti presenti a livello nazionale. Un’eccezione è rappresentata da Unitalia che si è affermata come scissione locale del Msi/An, e la Lega nord, laddove la Lega nord partecipi al confronto politico non solamente in Alto Adige ma anche in tutto il nord Italia.

Non è sempre stato così. Prima del 1993 nel Consiglio provinciale altoatesino erano rappresentati solamente partiti presenti a livello nazionale. Dopo le elezioni provinciali del 2008 solamente due dei nove partiti eletti nel Consiglio provinciale (un numero che nel corso della legislatura in seguito a scissioni è ulteriormente aumentato) possono essere considerati partiti presenti a livello nazionale. Si tratta del partito di centro destra Popolo della libertà (Pdl) e del partito di centro sinistra Partito democratico/Demokratische Partei (Pd).

Se il numero dei partiti nazionali presenti in Alto Adige si è ridotto rispetto alla prima repubblica, ciò dipende in maniera determinante dai processi di trasformazione che si sono verificati in Italia con la fine della guerra fredda. Alla fine della prima repubblica ha corrisposto anche la fine del vecchio sistema dei partiti presente in Italia (Ignazi 2008). Già molto tempo prima l’incapacità dello Stato italiano aveva richiesto lo sviluppo e l’adozione di nuove forme funzionali della gestione politica che avevano portato ad una rivitalizzazione delle regioni italiane e quindi ad una rivalutazione dei cosiddetti “partiti territoriali”.

La rivitalizzazione della periferia dipende fortemente dalla scoperta/riscoperta, dalla difesa e/o dalla conferma dell’identità territoriale. Questa tendenza è fortemente legata a processi di apertura dei confini e di globalizzazione e alle conseguenti paure legate alla mancanza di un quadro complessivo ed a perdite di sicurezze (sotto il profilo economico, culturale, sociale, ecc.).

L’ambito regionale viene contrapposto alle tendenze europee di centralizzazione, viene visto come un nuovo rifugio per ottenere sicurezza e protezione. Laddove vengano erosi i legami nelle diverse realtà sociali (visioni del mondo, reti sociali, economia, ecc.) cresce la nostalgia di sicurezza della propria identità, di comunità, autodeterminazione, visione complessiva, possibilità di partecipazione diretta (Grasse 2005, 54-55) ma anche di comunicazione diretta e non gerarchizzata.

In tutti questi processi di concentrazione, di costruzione e di decostruzione di identità territoriali, di inclusione ed esclusione, gli attori politici svolgono un ruolo estremamente importante.

L’erosione delle grandi subculture politiche ha sostituito le grandi ideologie del XIX secolo con il territorio identificato come punto di riferimento identitario (Pallaver 2007a, 130-133). Ilvo Diamanti (2009, 15-17) in relazione a ciò parla di tre dimensioni del territorio: I) come luogo di presenza, partecipazione, organizzazione ed azione dei partiti (politics), II) come sede dell’amministrazione e del governo della comunità, così come ambito di formazione di leader locali (policy) e III) nel senso dell’uso simbolico del territorio, come punto di riferimento dell’identità (polity).

A questo processo di territorializzazione non si sono potuti sottrarre nemmeno i partiti dell’Alto Adige che fanno riferimento all’intero territorio nazionale, soprattutto quelli che sono giunti alla fine della loro esistenza politica in seguito alla crisi di identità statale. Fu proprio il crollo della Democrazia cristiana, verificatosi agli inizi degli anni ’90, che portò alla nascita di partiti eredi della Dc di pura matrice territoriale, i quali, in occasione delle elezioni provinciali, si candidano in maniera autonoma ed in occasione di elezioni politiche esprimono il loro sostegno a favore di partiti nazionali (Messner 2009). Nel 1993 si sono candidati: il Partito popolare Alto Adige ed Unione di centro Alto Adige. Nel 1998: Popolari Alto Adige domani. Nel 2003: Unione autonomista. Nel 2008 non prese più parte alle elezioni una lista comune della diaspora dei Popolari come partito puramente territoriale con il nome di Progetto Alto Adige (Atz/Pallaver 2009, nota 8).

Proprio nel 2008 questa lista si era esplicitamente definita come partito territoriale degli italiani dell’Alto Adige senza diretti collegamenti organizzativi con partiti operanti a livello nazionale (Progetto Alto Adige 2008).

Questo progetto, fallito a livello provinciale, sopravvive però a livello comunale a Bressanone come partito cittadino, con la denominazione di Insieme per Bressanone. Questi partiti territoriali puramente locali ed in primo luogo operanti a livello cittadino hanno fatto la loro comparsa anche a Bolzano in occasione delle elezioni comunali del 2010. Di questi fanno parte, tra gli altri, Unione per Bolzano dell’ex consigliere provinciale e politico centrista Michele Di Puppo. Per lo più la creazione di queste liste è legata a contrapposizioni interne ai partiti. A tale proposito un esempio emblematico è rappresentato da ciò che è avvenuto a Merano. La lista La Civica per Merano, della quale facevano parte prevalentemente ex appartenenti al partito erede della Dc, la Margherita, in occasione delle elezioni comunali del 2008 decise di separarsi dal Pd. Nel campo di centro destra si giunse invece ad una spaccatura all’interno del Pdl ed alla formazione di una nuova lista denominata Alleanza per Merano. Entrambi i movimenti sono oggi membri della Giunta comunale di Merano ed hanno liquidato i loro “partiti madre” (Obwexer 2010).

In occasione delle elezioni politiche del febbraio 2013 una parte della diaspora cristiano-democratica si è orientata verso il movimento Italia futura di Luca Cordero di Montezemolo (Alto Adige 2013b), confluita nella lista di Mario Monti, Scelta civica con Monti per l’Italia (Scelta civica 2013). Al contrario le elezioni politiche hanno portato all’autonomia territoriale del movimento Alto Adige nel cuore di Alessandro Urzì, che ha quindi abbandonato il partito Futuro e libertà.

Da quando il territorio ha acquisito un nuovo valore aggiunto sotto il profilo politico si può identificare una tendenza dei partiti operanti a livello nazionale verso una nuova territorializzazione e regionalizzazione. Questi si adattano al processo di territorializzazione in atto e cercano quindi un legame più stretto con il territorio rispetto a quanto avveniva in passato. La differenza è rappresentata, in primo luogo, dal fatto che nel passato i partiti nazionali, anche a livello regionale, si contrapponevano attraverso differenze di carattere ideologico, mentre oggi i partiti, dopo il processo di erosione delle grandi ideologie, pongono in primo piano le rispettive tematiche specifiche (issues) regionali e si presentano come punto di riferimento identitario della regione. I partiti nazionali a livello regionale si comportano sempre più come se fossero partiti regionali. Il primato è rappresentato dal territorio, in secondo piano vi è l’ideologia (anche se vi sono differenze tra elezioni regionali e politiche). A questo proposito si possono identificare tre livelli di questo processo di regionalizzazione dei partiti politici. Il primo livello è rappresentato dai partiti nazionali con ancoraggio regionale. Si tratta di partiti operanti a livello nazionale che si presentano sempre più spesso come partiti territoriali. Ciò è avvenuto, ad esempio, nel 2003 nel Trentino con il partito della Margherita slegato dal partito nazionale, o nel 2001 in Sicilia con la Margherita Sicilia.

Il secondo livello si trova quando in certe regioni i partiti nazionali vanno anche oltre e cambiano il loro nome ed il loro simbolo di partito. Ciò è avvenuto, ad esempio, nel 2003 in Alto Adige quando i democratici di sinistra in un’alleanza con i repubblicani ed i socialisti si sono candidati con il nome Pace e diritti/Frieden und Gerechtigkeit.

Come terza variante si sono diffuse le liste del Presidente. Presupposto per questa variante è stata la legge approvata nel 1999 sull’elezione diretta dei presidenti delle Regioni, che avrebbe dovuto portare ad una stabilizzazione dei governi regionali (Pallaver 2006). Una Lista del Presidente o Lista del Governatore, tra l’altro con il proprio nome e simbolo, valorizza il bonus presidenziale e sfrutta il trend della personalizzazione della politica. Queste liste personalizzate vengono lanciate volentieri, anche quando il partito nazionale si trova in un deficit di simpatia. Per fronteggiare il trend negativo a livello nazionale i presidenti delle Regioni cercano di staccarsi dai partiti nazionali grazie alla creazione di queste liste (Pallaver 2007, 140-142).

Anche la puntuale introduzione di elezioni primarie per la definizione dei candi­dati di punta o dei candidati di un’alleanza è un indice di questo processo di autosufficienza territoriale che in un certo senso toglie di mano alle centrali dei partiti lo scettro decisionale sul personale politico (Quaderni dell’Osservatorio elettorale 2006).

In Alto Adige il Partito democratico rientra nella categoria di quei partiti presenti a livello nazionale che, di fatto, non intraprendono un cambiamento del nome ma cercano di realizzare una forte adesione al territorio. Questo riguarda la composizione di liste di candidati di tutti i gruppi linguistici, l’utilizzo di una seppur rudimentale comunicazione bilingue e soprattutto la difesa dell’autonomia contro (anche proprie) ostilità provenienti da Roma.

2.3. Dimensione etnica

I partiti etnici vengono definiti spesso come ethnic entrepreneurs (Türsan 1998, 1-16), la cui caratteristica primaria è rappresentata dal tentativo di rappresentare dei gruppi di carattere etnico-territoriale e/o concentrati a livello regionale, che affermano di essere una specifica categoria sociale con un’altrettanto specifica ed univoca identità. Ma oltre a ciò questi partiti negli ultimi decenni hanno spesso ampliato il loro campo d’azione al di là del proprio gruppo sociale e singolarmente sono divenuti dei concorrenti dei partiti operanti a livello nazionale (ad esempio la Lega nord in Italia, la Convergència i Unió in Spagna).

In base a quanto afferma Tronconi in questa sede vengono definiti come etnici quei partiti che evidenziano due caratteristiche centrali: il sentimento di appartenenza e di solidarietà nei confronti di una comunità caratterizzata in base a determinati confini culturali, in primo luogo attraverso la lingua e si considera come un ethnos. Il secondo elemento è la concentrazione territoriale a livello sub-statale (Tronconi 2009, 27; cfr. anche Elias/Tronconi 2011).

A completamento di ciò un partito etnico può distinguersi per ulteriori caratteristiche rispetto a partiti interetnici e presenti a livello nazionale. Il gruppo di riferimento dei partiti etnici è in primo luogo il proprio gruppo etnico. Questi partiti vengono percepiti dal loro ambiente come partiti etnici, la cui comunicazione interna (nel suo complesso) ed esterna (almeno nella sua maggior parte) avviene nella lingua del proprio gruppo etnico. L’organizzazione ed il livello dei funzionari corrispondono ad una logica puramente etnica. Gli iscritti provengono principalmente dalla propria etnia, così come i partiti etnici per lo più vengono votati da elettori del proprio gruppo linguistico. Il modello di società di tali partiti si basa spesso sul principio della separazione etnica dei gruppi linguistici (Pallaver 2011, 268).

Tabella 2: Differenze tra partiti etnici e partiti interetnici

caratte­ristiche

gruppo di riferimento

percezione esterna

comunica­zione interna/esterna

organizza­zione

iscritti/elettori

modello di società

partiti etnici

la propria etnia

partito etnico

lingua dell’etnia

solo etnica

della propria etnia

separazione delle etnie

partiti interetnici

tutti i gruppi etnici

partito interetnico

lingua di tutti i gruppi etnici

interetnica

di tutti i gruppi etnici

integrazione delle etnie

Fonte: Pallaver 2009, 250

Questi parametri rappresentano il presupposto per un idealtipo. Nella realtà sociale si verifica di continuo che i partiti etnoregionali prendano in considerazione primariamente la propria etnia come gruppo di riferimento, ma che cerchino anche di raccogliere voti di altri gruppi etnici e che, per questa ragione, nella loro comunicazione esterna (non nella loro comunicazione interna) utilizzino anche la lingua degli “altri”. Ciò porta a far sì che anche elettori di altre etnie diano il loro voto ­all’“altra” etnia. Il livello organizzativo e dei funzionari rimane, di norma, puro sotto il profilo etnico; vi possono essere delle eccezioni nella composizione della lista dei candidati. Anche il modello sociale non è puramente statico e si può aprire sino ad un certo grado anche nei confronti degli “altri”. In base alla teoria del ­nucleo costituzionale incomprimibile un partito etnico non diventa interetnico se si discosta dalle norme fondamentali che lo ispirano in questo o in un altro punto e nonostante i discostamenti nelle sue parti essenziali corrisponde ai parametri illustrati­ nella tabella.

I partiti etnici dominano il sistema dei partiti altoatesini, soprattutto in considerazione del fatto che il sistema politico e sociale è caratterizzato da una profonda frattura di natura etnica riscontrabile, in primo luogo, all’interno dell’arena elettorale di lingua tedesca. Mentre in tutto il periodo della prima repubblica da parte italiana non vi era nessun partito etnoregionale rappresentato in Consiglio provinciale, nella seconda repubblica la situazione è cambiata.

Unitalia, come già menzionato in precedenza, è frutto di una scissione del Msi/An ed è concentrato esclusivamente in Alto Adige. Unitalia vuole rappresentare gli specifici interessi degli italiani in qualità di minoranza in Alto Adige. Per queste ragioni Unitalia può essere definito come partito etnoregionale italiano. La letteratura scientifica dominante include tra i partiti etnoregionali anche la Lega nord, anche se a tale proposito non vi è un’opinione unanime. Anche la Lega nord rivendica di rappresentare politicamente gli interessi dei “Popoli del Nord” in quanto categoria etnica, laddove il proprio raggio d’azione si estenda a tutto il nord Italia (cfr. Brunazzo/Roux 2012; Passarelli/Tuorto 2012).

In occasione delle elezioni politiche del 2013 Alessandro Urzì ha lasciato il suo partito Futuro e libertà per fondare la lista Alto Adige nel cuore che fa riferimento solo all’Alto Adige, prendendo consapevolmente le distanze dai partiti nazionali (Programma 2013). Anche questo movimento può essere definito come etnoregionale dato che si distingue dai partiti nazionali e si concentra esclusivamente sull’Alto Adige.

L’etnicità si esprime anche nel comportamento elettorale. L’arena elettorale alto­atesina si suddivide in due grandi sub-arene, una tedesca e una italiana (in un’epo­ca in cui il partito Ladins aveva successo si poteva parlare anche di una terza sub-arena ladina).

Ma le analisi delle elezioni politiche del 2008 hanno evidenziato che le linee di demarcazione etnica in alcuni casi vengono superate. Ciò avviene però soprattutto in una direzione, cioè dall’arena elettorale italiana verso quella tedesca. Si è potuto infatti determinare che circa il 7-8 per cento dell’elettorato italiano ha votato un partito tedesco (prevalentemente la Svp) e che solamente il 2 per cento degli elettori di lingua tedesca hanno deciso di esprimere un voto a favore di partiti italiani (Atz/Pallaver 2009, 117). Solo la Lega nord è riuscita a conquistare circa un terzo dei propri voti nell’ambito di lingua tedesca e ladina.1

La tendenza degli elettori di lingua italiana a votare un partito tedesco è aumentata negli ultimi venticinque anni. Mentre nel 1988 era stato solamente il 2 per ­cento circa (Atz 2007, 66), nel 1993 e nel 1997, nell’ambito di una rilevazione, il 5 per cento circa degli elettori di lingua italiana ha dichiarato di voler votare la Süd­tiroler Volkspartei (Atz 2007, 73) e nel 2008 la percentuale era salita al 7-8 per cento.

La percentuale relativamente elevata di voti di lingua tedesca raccolti dalla Lega nord potrebbe portare alla conclusione che si tratti di un partito interetnico. Se per la definizione di partiti etnici valgono le categorie di ethnos e la concentrazione territoriale sub-nazionale, allora decade nei partiti interetnici la concentrazione sulla propria etnia. Ma così come i partiti etnici anche quelli interetnici agiscono su di un territorio sub-nazionale delimitato. I partiti interetnici non si allontanano però completamente dall’ethnos, poiché il loro gruppo di riferimento è rappresentato da tutti i gruppi etnici di una regione.

La loro percezione esterna è quella di un partito interetnico che comprenda tutti i gruppi linguistici quindi un partito dell’inclusione, non un partito dell’esclusione degli “altri”. La loro comunicazione interna ed esterna avviene in tutte le lingue della provincia, la loro organizzazione è interetnica, quindi non divisa per gruppi linguistici, i loro iscritti/elettori provengono da tutti i gruppi etnici ed il loro modello sociale non è quello della separazione dei gruppi etnici, bensì della loro integrazione (Pallaver 2009, 249-254).

Per quanto riguarda la Lega nord, in occasione delle elezioni provinciali del 2008 i candidati di tutti i gruppi linguistici avrebbero dovuto rafforzare questo concetto di interetnicità, indifferentemente da come avveniva la comunicazione verso l’esterno nelle due maggiori lingue provinciali. Ciononostante la Lega nord non può essere considerata un partito interetnico perché tra le caratteristiche necessarie per questo inquadramento ne manca una molto importante.

La comunicazione plurilingue verso l’esterno funzionava solamente durante la campagna elettorale, mentre la comunicazione interna è monolingue. I funzionari all’interno dell’organizzazione di partito non rispecchiavano la plurietnicità della provincia ed il modello sociale esistente della separazione etnica non è stato messo in discussione tranne la mera richiesta di una convivenza pacifica e di scuole comuni (Pallaver 2011, 268).

Il successo dei partiti etnici in Alto Adige, ma anche la necessità di ampliare il loro potenziale elettorato, ha portato a far sì che anche partiti nazionali cerchino di adattarsi alla logica di un partito interetnico. Per quanto riguarda i partiti presenti a livello nazionale ciò inizia con la composizione di liste di candidati provenienti da tutti i gruppi linguistici e passa attraverso la propaganda elettorale plurilingue sino alla creazione di strutture organizzative che tengano conto della presenza sul territorio di diversi gruppi linguistici. Il Partito democratico/Demokratische Partei Südtirol parla già apertamente di un “partito territoriale”. Per quanto riguarda il Pdl questi sforzi sinora sono rimasti solamente una pura operazione di facciata.

Questi tentativi di “interetnicità” sono stati fatti tra i partiti nazionali solamente nei partiti di “sinistra” e già nel corso della prima repubblica (Gatterer 2009). Nonostante il fallimento di questi sforzi il Pd ha raggiunto a livello regionale una grande autonomia nel suo spazio di manovra politica perché il confronto con la questione delle minoranze richiedeva risposte che il partito nazionale, per carenza di esperienze, non è in grado di fornire.

2.4. La dimensione dell’identità: tra partiti autonomistici ed antiautonomistici

I partiti dell’Alto Adige possono essere distinti fondamentalmente in partiti statali e regionali. I partiti statali hanno come riferimento tutta la popolazione di uno Stato che può essere etnicamente definita nel senso più ampio del termine (ad esempio italiani, francesi, russi, ecc.). In questo modo il loro raggio d’azione si allarga a tutto il territorio nazionale. Al contrario i partiti etnoregionali rappresentano gli interessi di un determinato gruppo etnico che è anche delimitato sotto il profilo territoriale (ad esempio Südtiroler Volkspartei, Partido Nacionalista Vasco, Union Valdôtaine, ecc.). Vi sono anche partiti regionali che sono concentrati solamente a livello territoriale ma che non rappresentano un determinato gruppo etnico (ad esempio l’ex Partei des Demokratischen Sozialismus in Germania) (Tronconi 2009, 27-29).

I partiti etnoregionali possono essere definiti sulla base dei loro diversi obiettivi politici. All’interno di questa famiglia di partiti De Winter distingue partiti protezionistici, autonomistici, nazional-federalistici, irredentistici ed indipendentistici.

I partiti protezionistici richiedono misure per la tutela e l’ulteriore sviluppo dell’identità culturale della popolazione da loro rappresentata all’interno del sistema statale esistente. Essi richiedono soprattutto la tutela ed il sostegno della lingua regionale e quindi dell’identità. I partiti autonomistici accettano una suddivisione del potere tra la loro regione e lo Stato centrale con la premessa che essa debba essere­ trattata in maniera diversa rispetto alle altre entità territoriali presenti all’interno dello Stato. Deve essere garantita un’autonomia dotata di ampie competenze. I partiti nazional-federalistici vogliono ottenere un’ampia amministrazione autonoma attraverso la trasformazione dello Stato unitario in uno Stato federalista.

I partiti irredentistici chiedono l’annessione della loro regione ad un altro ­Stato con la stessa o quanto meno con un’analoga identità culturale. Questa opzione è a disposizione solamente di quelle minoranze che vivono in un territorio di confine e che sono legate storicamente con lo Stato confinante. I partiti indipendentistici chiedono la piena indipendenza politica della loro regione, di norma come Stato a se stante o nel quadro di un’“Europa delle Regioni” (De Winter 1998, 204-247).

Riguardo alla relativa suddivisione dei partiti italiani attualmente rappresentati nel Consiglio provinciale tra partiti nazionali o etnoregionali possiamo fare le seguenti differenziazioni. Il Popolo della libertà (Pdl), La Destra ed il Partito democratico sono partiti nazionali. Comunque questi partiti, soprattutto il Pdl e La Destra affermano di rappresentare gli interessi della popolazione italiana dell’Alto Adige, laddove la popolazione italiana venga vista come minoranza (etnica), come maggioranza a livello nazionale ma come minoranza a livello della provincia di Bolzano. Naturalmente ogni partito che agisca a livello nazionale rappresenta gli interessi della popolazione del rispettivo territorio di riferimento; ciononostante è però inserito in un contesto statale complessivo. Questo riguarda anche i partiti nazionali presenti in Alto Adige, anche se soprattutto il Pdl e La Destra considerano gli italiani dell’Alto Adige come una minoranza, parte però della popolazione dello Stato.

La Lega nord, Unitalia e l’Alto Adige nel cuore sono invece dei partiti regionali. La Lega nord si concentra in varie regioni dell’Italia del nord ed afferma di rappresentare “i popoli dell’Italia del nord”. A questa costruzione sociale, in realtà, non corrisponde alcun gruppo etnico, nel discorso politico si parte comunque da questo presupposto (Biorcio 1991). La Lega nord quindi, dal suo punto di vista, non può essere considerata solamente come un partito regionale, bensì come un partito etnoregionale. Non a caso la Lega nord nella letteratura internazionale viene considerata come un partito etnoregionale (cfr. Bulli/Tronconi 2011, 5).

Unitalia evidenzia costantemente dei punti di contatto a livello nazionale (cfr. il capitolo della dimensione ideologica), mentre l’Alto Adige nel cuore è nato proprio come demarcazione rispetto ai partiti nazionali. Entrambi affermano però di rappresentare politicamente gli italiani dell’Alto Adige. Sotto questo aspetto possono essere definiti come partiti etnoregionali, perché definiscono gli italiani dell’Alto Adige come una minoranza etnica, che vogliono rappresentare (Programma 2013). Se vogliamo applicare la tipologia dei partiti etnoregionali sviluppata da De Winter, allora si evidenziano le seguenti differenze.

La Lega nord nella sua vicenda politica ha assunto varie posizioni diverse tra loro. Ha iniziato come partito nazional-federalista che voleva e vuole trasformare lo Stato italiano in senso federalista (Pallaver 2009), ha chiesto nel frattempo l’indipendenza statale della Padania, per tornare successivamente alle sue originarie richieste di realizzazione del federalismo (parola chiave: devoluzione).

In Alto Adige la Lega nord nella campagna elettorale del 2008 ha preso posizione a favore della creazione di uno Stato libero, cosicché il partito esclusivamente in riferimento all’Alto Adige poteva essere classificato come un partito indipendentista. Dopo le elezioni provinciali però il tema dello Stato libero è nuovamente scomparso, cosicché la Lega nord può essere nuovamente classificata come partito nazional-federalista (Lega nord 2013).

Il partito italiano Unitalia può essere considerato un partito irredentistico con caratteristiche opposte. Il partito richiede in senso politico un ritorno dell’Alto Adige all’Italia (l’Alto Adige all’Italia, l’Italia agli italiani)2 e richiede la tutela da parte dello Stato per gli italiani che vengono discriminati in Alto Adige, così come il mantenimento dell’“italianità” dell’Alto Adige (Unitalia Linee guida 2013).

L’Alto Adige nel cuore è nato solamente nel gennaio del 2013. Il movimento chiede la tutela degli italiani dell’Alto Adige, non solleva però nessuna richiesta di federalismo dell’Italia e nemmeno il rafforzamento dell’autonomia. L’Alto Adige nel cuore, in considerazione del suo orientamento puramente territoriale e del suo concentrarsi solamente sugli italiani, può quindi essere classificato come un partito protezionistico.

Uno dei principali temi intorno ai quali ruota continuamente il discorso politico dei partiti altoatesini è l’autonomia. Da questo punto di vista i partiti altoatesini possono essere nuovamente classificati in base alla loro maggiore o minore distanza dall’autonomia.

I partiti autonomistici non vedono alcuna alterativa architettonico-istituzionale all’autonomia, anche laddove chiedano delle riforme interne all’autonomia stessa; i partiti antiautonomistici rifiutano l’autonomia in toto o comunque in gran parte ed in ogni caso ne rifiutano le colonne portanti; i partiti semiautonomistici sono caratterizzati dal fatto che essi accettano (comunque in parte) l’autonomia, ma preferiscono delle alternative all’autonomia. Questa può essere rappresentata da una secessione esterna (soluzione irredentistica o una soluzione che punti alla creazione di uno Stato a se stante), oppure da una secessione interna in senso di un rafforzamento dello Stato o della regione nei confronti dell’autonomia. Tra i partiti semiautonomistici vengono classificati quelli il cui atteggiamento nei confronti dell’autonomia sia contraddittorio o cambi spesso in maniera drastica.

All’estremo polo politico antiautonomista troviamo Unitalia che rifiuta l’autonomia nella sua attuale articolazione (si veda sopra). Tra i partiti semiautonomistici si possono annoverare dopo le elezioni provinciali del 2008 il Polo delle libertà e la Lega nord.

Il Pdl si comporta in maniera contraddittoria nei confronti dell’autonomia, a causa delle diverse frazioni e della gamma di posizioni politiche presenti all’interno del partito.

Questa contraddittorietà, che va dall’approvazione dell’autonomia sino al richiamo a favore di un rafforzamento della regione a svantaggio delle province o per una presenza più forte dello Stato (cfr. Gonzato 2013; Ansa 2012; M.An 2007), spiega la classificazione del Pdl tra i partiti semiautonomistici. Con la frammentazione del Pdl, avvenuta nel Consiglio provinciale in tre partiti/movimenti autonomi, la loro vicinanza o distanza dall’autonomia non è cambiata in maniera sostanziale. Anche se una valutazione univoca al momento appare ancora come un po’ prematura, proseguono le contraddittorietà nel Pdl e nelle formazioni nate dalle sue scissioni.

La Lega nord aveva preso parte alle elezioni provinciali del 2008 con la richiesta di uno Stato libero. In questo modo l’autodeterminazione rimaneva una concreta alternativa all’autonomia. In generale l’autonomia veniva riconosciuta, ma come punto di partenza per un’altra e migliore soluzione, cosicché la Ln poteva essere classificata come un partito semiautonomistico (Pallaver 2011, 276). Dal 2008 la Ln non si è più espressa a favore di uno Stato libero e quindi ha lasciato cadere questa tematica e di conseguenza deve essere apportata una correzione alla sua collocazione nel novero dei partiti semiautonomistici. La Ln all’inizio del 2013 può essere nuovamente classificata come partito autonomistico. Oltre alla Ln anche il Pd si identifica con l’autonomia. Anche per questa ragione il Pd è rappresentato all’interno della Giunta provinciale.

Tabella 3: Distanza politica dei partiti italiani dall’autonomia 1993 - 2013 (dati percentuali)

anno

partiti

antiautonomisti

partiti

semiautonomisti

partiti

autonomisti

1993

Msi-Dn

11,6

Dc-PpAA, Ln, UcAA, Pds

11,9

1998

Unitalia

1,8

An-liberali, Lista civica/FI

13,4

Popolari, il Centro Uda

Pds/Progetto centrosinistra

8,0

2003

Unitalia

1,5

An, FI

11,8

Unione autonomista,
Pace e diritti

7,5

2008

Unitalia

1,9

Pdl, Ln*

10,4

Pd

6,0

* La Ln nel 2013 può essere nuovamente classificata come un partito autonomistico in quanto non ­persegue più l’obiettivo di uno Stato libero.

Fonte: Pallaver (2011, 278) e modifiche integrative. Il calcolo si basa sui risultati delle elezioni provinciali. I partiti che si sono candidati ma che non sono entrati in Consiglio provinciale, non sono stati presi in considerazione come partiti rilevanti per il sistema partitico.

Abbreviazioni: AA: l’Alto Adige nel cuore; An: Alleanza nazionale; Dc-PpAA: Democrazia cristiana/Partito popolare Alto Adige; FI: Forza Italia; Ln: Lega nord; Msi-Dn: Movimento sociale italiano – Destra nazionale; Pd: Partito democratico; Pdl: Popolo della libertà; Pds: Partito democratico della sinistra; UcAA: Unione centro Alto Adige; il Centro Uda: il Centro – Unione democratica dell’Alto Adige.

Se confrontiamo gli ultimi venti anni, possiamo notare che i partiti italiani antiautonomistici sono diminuiti dall’11,6 all’1,9 per cento (meno 9,7 per cento). Per contro i partiti semiautonomistici sono aumentati. Nel 1993 non esistevano, nel 2008 il consenso degli elettori per questi partiti raggiungeva il 10,4 per cento. Con il passaggio della Ln alla categoria dei partiti autonomistici questa percentuale si è ridotta all’8,3 per cento. I partiti autonomistici che nel 1993 avevano una percentuale dell’11,9 per cento quando il centro politico era ancora rappresentato nel Consiglio provinciale, nel 2013 rappresentano l’8,1 per cento (meno 3,8 per cento). Tutti i partiti semi- o antiautonomistici si trovano alla destra del centro politico. I partiti autonomistici si trovano al contrario per lo più nel campo del centro sinistra, con l’eccezione della Lega nord.

3. La fine del centro politico

Il sistema politico italiano ha vissuto all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso una svolta radicale. Il processo di trasformazione ha coinvolto i partiti, tutta la classe politica, l’architettura dello Stato così come l’identità nazionale (Bull/Rhodes 1997). I deficit strutturali del sistema politico italiano erano divenuti sempre più evidenti attraverso la crisi economica e finanziaria dello Stato. Con la caduta del muro di Berlino si è accentuata la crisi politico-ideologica, che con l’eliminazione del conflitto Est-Ovest, aveva sottratto al sistema dei partiti la vecchia logica del comunismo/anticomunismo. In questo modo la “democrazia bloccata” improvvisamente si mise in moto. Contemporaneamente le due grandi subculture politiche, quella cattolica e quella comunista, avevano perso sempre più importanza (Baccetti/Messina 2009). La scoperta degli scandali politici, delle tangenti e del finanziamento illegale dei partiti (tangentopoli) ha portato infine ad una radicale crisi di legittimazione dei partiti tradizionali che si erano isolati nella logica della “partitocrazia” e del “clientelismo”.

Ciò ha avuto come conseguenza il crollo in breve tempo di un sistema partitico discreditato e lo si è dovuto ricostituire ex novo cambiando quasi tutta l’élite politica. Il vecchio sistema dei partiti che negli anni ’80 progressivamente si era sviluppato da un sistema polarizzato ad un sistema moderato composto da più partiti, all’inizio della cosiddetta seconda repubblica evidenziava una nuova struttura tendente ad un bipolarismo caratterizzato non da singoli partiti bensì da coalizioni di partiti, che oltretutto avrebbe dovuto essere sostenuto dal nuovo sistema elettorale (combinato) (cfr. Morlino/Tarchi 2006; Ignazi 2008).

Il profondo processo di trasformazione dei partiti ha avuto anche in Alto Adige, come a livello nazionale, delle rilevanti ripercussioni in particolare sui partiti del centro che venti anni dopo la fine della Democrazia cristiana (Dc) non sono più rappresentati in Consiglio provinciale.

La Dc all’epoca della prima repubblica, dal 1948 sino al 1983, è sempre stata la maggiore forza politica che ha formato con la Südtiroler Volkspartei l’asse portante della coalizione di governo. Nel 1988 l’Msi-Dn divenne il maggiore partito italiano in Alto Adige.

Erano queste le prime anticipazioni del graduale tramonto della Dc. Il rifiuto del pacchetto e delle sue norme di attuazione (soprattutto della proporzionale etnica per i posti statali) legato alla crisi dell’industria in Alto Adige, il secondo pilastro economico degli italiani in Alto Adige, portò ad un’avversione sempre più grande nei confronti del partito autonomistico della Dc e ad un aumento del nazionalismo, fomentato dal Msi.

Gli sviluppi politici verificatisi a livello nazionale agli inizi degli anni ’90, collegati alle indagini per corruzione, colpirono anche la Dc locale e portarono all’arresto ed alla successiva condanna del vicepresidente della Provincia, il democristiano Remo Ferretti (Messner 2009, 26). Mentre nel gennaio del 1994 veniva tenuto a battesimo il Partito popolare in qualità di erede della Dc, i democristiani locali si presentarono già nell’ottobre del 1993 come Dc-Partito popolare Alto Adige (Dc-PpAA) e raggiunsero il 4,3 per cento dei voti corrispondente a due seggi. Parallelamente però si verificava già la prima scissione della Dc con la denominazione di Unione centro Alto Adige (1,74 per cento) che inizialmente si definiva come una coalizione elettorale nella quale, oltre a singole persone, avevano trovato posto anche i liberali. Il nuovo movimento ottenne un seggio con le rimanenze.

Tabella 4: Risultati dei partiti eredi della Dc in occasione delle elezioni provinciali (dati percentuali)

partiti/coalizioni di partiti

1993

1998

2003

2008

Dc-Pp Alto Adige

4,43

1 seggio

Unione centro Alto Adige

1,74

1 seggio

Popolari Alto Adige domani

2,7

1 seggio

Centro unione democratica dell’Alto Adige

1,8

1 seggio

Unione autonomista

3,7

1 seggio

Casini Udc

1,2

nessun seggio

Fonte: Provincia autonoma di Bolzano – Alto Adige (2012), elaborazioni proprie

Successivamente si verificarono in Alto Adige, così come a livello nazionale, nuove scissioni ed alleanze. La rottura all’interno dei popolari fece sì che il partito Udr-Cdu (Unione dei democratici per la repubblica, Cristiano democratici uniti) si unisse con Rinnovamento italiano, Laburisti e pensionari sotto la sigla Centro unione democratica dell’Alto Adige (1,8 per cento), mentre la seconda ala decise di candidarsi con il nome di Popolari – Alto Adige domani (2,7 per cento). Entrambi i consiglieri entrarono nuovamente nella Giunta provinciale. Il Centro cristiano democratico invece si candidò con la lista di Forza Italia (Lista civica – FI – Ccd).

In occasione delle elezioni provinciali del 2003 si candidò un’alleanza elettorale con il nome Unione autonomista. Si trattava di un’alleanza del nuovo partito, fondato a livello nazionale, della Margherita, di Italia dei valori e di altri piccoli gruppi. La speranza di poter rioccupare in questo modo il centro fallì dato che l’alleanza con il 3,7 per cento dei voti ottenne solamente un seggio. Il 2008 segnò la fine definitiva dei partiti eredi della Dc e quindi del centro italiano. Nessun partito e nessuna alleanza riuscì ad entrare in Consiglio provinciale (cfr. Messner 2009, 62-67). I voti del centro si erano divisi tra diversi partiti, in parte erano migrati verso il Pdl, dopo la fusione della Margherita con i Ds dai quali è nato il Partito democratico ed in parte verso altri gruppi. Dopo alcuni tentativi di dare vita ad un movimento puramente locale con il movimento Progetto Alto Adige e con la Rete delle liste civiche, la diaspora dei cristiano-democratici in occasione delle elezioni politiche del 2013 è confluita nella lista Scelta civica con Monti per l’Italia.

Diagramma 1: Eredi della Democrazia cristiana in Alto Adige

Fonte: Messner 2009, 113 e elaborazione propria

Abbreviazioni: Ccd: Centro cristiano democratico; Cdu: Cristiani democratici uniti; Pd: Partito democratico; Udc: Unione di centro; Udr: Unione dei democratici per la repubblica

4. Frammentazione e segmentazione del sistema dei partiti

In questo capitolo vogliamo rivolgere la nostra attenzione allo sviluppo del sistema dei partiti all’interno della sub-arena elettorale italiana e prenderne in esame tre aspetti: lo sviluppo del formato, la frammentazione e la segmentazione del sistema dei partiti.

Tabella 5: Sviluppo dei partiti italiani, elezioni provinciali 1948 - 2008

anno

numero dei partiti eletti in Consiglio provinciale

numero dei partiti candidati al Consiglio provinciale

rappresentanza dei partiti italiani in percentuale

numero dei consiglieri provinciali in cifre assolute #

numero dei consiglieri provinciali in percentuale

gruppo più consistente

Prima repubblica

1948

6

8

29,3

7

35,0

Dc 2

1952

5

9

30,8

7

31,8

Dc 3

1956

5

9

32,2

7

31,8

Dc 3

1960

5

8

34,4

7

31,8

Dc 3

1964

6

8

35,1

8

32,0

Dc 3

1968

5

7

35,0

7

28,0

Dc 4

1973

5

8

32,9

10

29,4

Dc 5

1978

5

10

26,4

9

26,5

Dc 4

1983

5

9

29,5*

10**

28,6,2

Dc 3

1988

4

8

26,4

9

25,7

Msi-Dn 4

Seconda repubblica

1993

5

10

27,1*

10**

28,6

Msi-Dn 4

1998

6

8

24,7*

9**

25,7

An-liberali 3

2003

5

7

20,8

7

20,0

An 3

2008

4

8

21,2*

8**

22,8

Pdl 3

Fonte: Provincia autonoma di Bolzano – Alto Adige (2012), elaborazioni proprie

# 1948: numero complessivo dei consiglieri: 20; 1952-1960: numero complessivo: 22; 1964-1968: numero complessivo 25; 1973-1978; numero complessivo 34; dal 1983: 35.

* Percentuale dei voti italiani per il partito dei Verdi (la metà dei voti complessivi).

** 1983: Alfas – Lista alternativa per l’altro Sudtirolo: 1993-2008: Verdi-Grüne-Vérc: non si è tenuto conto delle variazioni introdotte nel corso del periodo legislativo.

Diamo uno sguardo al formato dei partiti italiani. Il formato viene rappresentato dal numero dei partiti in un sistema partitico. Secondo Giovanni Sartori (1976, 123) si deve in primo luogo stabilire quali siano i partiti considerati rilevanti ed a quali condizioni possano essere conteggiati nel sistema dei partiti. Sono da considerare rilevanti­ per Sartori quei partiti che hanno un potenziale di coalizione o un potenziale di intimidazione/ricatto, che in sostanza significa che tali partiti sono in grado di influenzare, in una forma qualsiasi, il comportamento dei loro contraenti. Se partiamo da questi criteri tutti i partiti rappresentati nel Consiglio provinciale dell’Alto Adige sono da considerarsi rilevanti. In effetti non tutti i partiti possiedono un potenziale di coalizione (ad esempio Unitalia ed il Pdl ed i prodotti delle loro scissioni perché si tratta di partiti semi- o antiautonomistici) ma possono influenzare la concorrenza.

Per quanto riguarda il numero dei partiti, nel caso dei partiti italiani dell’Alto Adige si potrebbe parlare di un pluralismo moderato. Il numero dei partiti rilevanti, in effetti, dal 1948 si colloca tra i quattro ed i sei partiti (laddove nel caso di sei partiti secondo Sartori si faccia già un passo nella direzione di un pluralismo polarizzato). In effetti nel corso di una lunga fase nella prima repubblica tra i partiti italiani anche in Alto Adige vi erano due partiti anti-sistema, il neofascista Movimento sociale italiano (Msi) ed il Partito comunista italiano (Pci/KPI).

Per la determinazione del formato sono importanti anche i rapporti dimensionali tra i competitori. Il livello di parcellizzazione ed il livello di concentrazione di un sistema partitico, cioè la frammentazione, si può riferire al mercato degli elettori (segmentazione elettorale) o ai partiti rilevanti in parlamento, nel nostro caso presenti in Consiglio provinciale (segmentazione parlamentare).

Se si parla dei partiti italiani in Alto Adige si fa spesso riferimento alla loro crescente frammentazione ed alla conseguente perdita di potenziale di negoziazione. In un confronto tra la prima e la seconda repubblica si può comunque verificare che la frammentazione dei partiti rappresentati nel Consiglio provinciale dal 1948 non è cambiata in maniera significativa. In media negli ultimi sessantacinque anni erano infatti presenti in Consiglio provinciale sempre tra i quattro ed i sei partiti. Riscontriamo una continuità anche nel numero dei consiglieri italiani che si colloca ad otto unità. Solamente una volta questo numero è calato a sette e due volte addirittura aumentato a dieci consiglieri.3

La dimensione della frammentazione varia se si considera l’offerta elettorale. Ma anche in questo caso vi è continuità. In tutte le elezioni provinciali della prima repubblica si sono presentati in media tra gli otto ed i dieci partiti; nella seconda repubblica erano in media tra sette e dieci. Si presentano quindi alle elezioni circa un terzo di partiti in più rispetto a quelli che effettivamente riescono ad entrare in Consiglio provinciale. Questo fatto, che rappresenta una prima conclusione, porterebbe ad un indebolimento del gruppo linguistico italiano, perché circa un terzo dei voti non verrebbe valorizzato. Per poter verificare questa tesi calcoliamo il numero dei voti espressi per quei partiti che non hanno conseguito nessun seggio.4

Nella prima repubblica la percentuale di voti a quei partiti che non sono riusciti ad entrare in Consiglio provinciale si collocava tra il 3,4 per cento (elezione provinciale del 1964, due partiti) ed il 13,4 per cento (elezione provinciale del 1978, cinque partiti). Nella seconda repubblica questi ambiti si collocavano tra l’8 per cento (elezioni provinciali del 1998, due partiti) ed il 15,5 per cento (elezioni provinciali del 2008, quattro partiti).

Sotto il profilo della media statistica il numero dei “voti sprecati” nella prima repubblica superava l’8 per cento; nella seconda repubblica era poco inferiore all’11 per cento. Questo significa che la frammentazione elettorale nella seconda repubblica è aumentata rispetto alla prima repubblica, molto meno però quella a livello parlamentare.

Ciononostante il grado di frammentazione può essere considerato come relativamente elevato. Per la definizione della frammentazione servono degli indici di frammentazione. L’indice di Rae (1967) si definisce attraverso la probabilità con la quale due elettori abbiano votato per diversi partiti. L’ambito di valore inizia con 0 (sistema monopartitico), raggiunge il valore di 0,5 nel caso di un sistema bipartitico perfetto e si avvicina al valore 1 in un ipotetico sistema di partiti nel quale ogni elettore vota per il proprio partito. Il concetto dell’“Effective number of parties” di Laasko/Taagepera (1979) è una trasformazione aritmetica dell’approccio di Rae basato sul frazionamento. Se il numero effettivo dei partiti è superiore a cinque allora la frammentazione del sistema dei partiti viene classificata come elevata.

Per quanto riguarda i partiti italiani dell’Alto Adige in occasione delle elezioni provinciali del 2008 gli indici di frammentazione sono i seguenti.

Tabella 6: Elezioni provinciali 2008 – partiti italiani

voti

seggi

percentuale

percentuale
seggi italiani

Pdl

25294

3

37,30 %

42,86 %

Pd

18139

2

26,75 %

28,57 %

Lega nord

6411

1

9,45 %

14,29 %

Unitalia

5688

1

8,39 %

14,29 %

Di Pietro - Idv

5009

0

7,39 %

0,00 %

Udc

3792

0

5,59 %

0,00 %

Sinistra/Linke

2226

0

3,28 %

0,00 %

Comunisti

1262

0

1,86 %

0,00 %

67821

7

100,00 %

100,00 %

Fonte: Provincia autonoma di Bolzano – Alto Adige (2012, 92)

Tabella 7: Indici di frammentazione elettorale e parlamentare secondo Rae

frammentazione
(a livello elettorale – voti)

frammentazione
(a livello parlamentare – seggi)

Rae

0,8

0,7

Tabella 8: Indici di frammentazione elettorale e parlamentare secondo Laasko/­Taagerperas

frammentazione
(a livello elettorale – voti)

frammentazione
(a livello parlamentare – seggi)

Laasko/Taagerperas

4,2

3,3

Fonte: Elaborazione propria

La frammentazione a livello elettorale è in entrambi i casi maggiore rispetto alla frammentazione parlamentare (quindi a livello di Consiglio provinciale). In base agli indici di Rae la frammentazione è maggiore rispetto a quella di Laasko/Taagerperas. In entrambi i casi si può affermare che la frammentazione è assolutamente significativa. Se rimaniamo a livello parlamentare ed osserviamo l’interazione tra i partiti allora possiamo definire l’apertura e la chiusura del sistema. Nel caso di una segmentazione contenuta in generale tutti i partiti sono disponibili ad agire insieme a livello parlamentare o a formare coalizioni. Ma se la segmentazione è elevata e tra i partiti predomina una polarizzazione ideologica allora sono disponibili solo poche opzioni per formare una coalizione e i partiti rilevanti sono esclusi dalle cooperazioni a livello di governo.

Questo principio dell’esclusione esisteva ed esiste tuttora prima per l’Msi neofascista e poi per il suo successore Alleanza nazionale ed infine per il Pdl, nel quale si sono fusi Forza Italia ed An. Questo principio di esclusione vige a maggior ragione per Unitalia in quanto partito antiautonomista.

Da questo punto di vista in Alto Adige vi è un modello concorrenziale chiuso e segmentato perché, oggi come in passato, solo pochi partiti sono in grado di far parte di una coalizione. Nella prima repubblica erano in grado di prendere parte a coalizioni i partiti di centro sinistra. Dei cinque partiti più rilevanti eletti in Consiglio provinciale (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli) quattro hanno preso parte a coalizioni con la Svp: Dc, Psdi, Psi e Pri. Erano esclusi l’Msi nell’ala destra ed il Pci a sinistra.

Nella seconda repubblica rimasero in grado di entrare in coalizioni i partiti eredi della Dc (Dc-Partito popolare Alto Adige) così come gli eredi del Pci (Partito democratico della sinistra, Centrosinistra, Pace e diritti – Insieme a sinistra, Partito democratico), mentre rimasero esclusi quelli di destra (Unitalia) e di centro destra (An, Fli, Pdl, Ln). Vi era in tal modo una doppia segmentazione, una di carattere ideologico ed una autonomistica. I partiti della destra e del centro destra così come quelli anti- e semiautonomistici non avevano alcun potenziale di coalizione perché la loro distanza, sia ideologica che autonomistica, dalla Südtiroler Volkspartei sino a questo momento era troppo grande.

La polarizzazione dei partiti italiani è rimasta inalterata anche nella seconda repubblica, anche se nelle ali estreme non vi erano più partiti anti-sistema. Se come unità di misura della polarizzazione invece della dimensione ideologica venisse presa in considerazione la vicinanza o la distanza dall’autonomia, allora i partiti del centro sinistra in qualità di partiti autonomistici si confronterebbero con i partiti di destra e di centro destra semi- o antiautonomistici.

Tabella 9: Differenze tra i partiti italiani più votati ed i secondi classificati (dati percentuali)

anno

1993

1998

2003

2008

Partito più votato

Msi-Dn: 11,84

An-liberali: 9,7

An: 8,4

Pdl: 8,3

Secondo partito più votato

Dc-PpAA: 4,4

Lista civica FI-Ccd: 3,7

Pace e diritti: 3,8

Pd: 6,0

Differenza

7,21

6,0

4,6

2,3

Fonte: Provincia autonoma di Bolzano – Alto Adige (2012), elaborazioni proprie

Per quanto riguarda la meccanica del sistema dei partiti, questa si è sviluppata in maniera centrifuga ed ha svuotato il centro politico, mentre i partiti collocati a sinistra o a destra hanno potuto ottenere dei successi elettorali. In questo quadro i partiti di centro sinistra hanno approfittato meno di questo movimento migratorio dell’elettorato, mentre i partiti di centro destra ne hanno tratto i maggiori vantaggi.

Mentre nella prima repubblica per lungo tempo la Dc rimase il partito dominante nell’arena elettorale italiana, i democristiani a partire dal 1988 vennero sostituiti dall’Msi. Il dominio del centro destra rimase inalterato anche nel corso della seconda repubblica. Ma la differenza tra il partito italiano più votato ed il secondo negli ultimi anni si è ridotta.

5. La sottorappresentanza degli italiani nella Giunta provinciale: ­dalla debolezza ad una nuova forza?

La forte segmentazione del sistema partitico altoatesino e la progressiva erosione del centro italiano hanno avuto profonde ripercussioni sul sistema politico dell’Alto Adige. La Dc era il tradizionale partito di coalizione della Svp a livello di Consiglio provinciale e regionale. L’ampliamento della coalizione al partito socialdemocratico ed a quello socialista rispecchiava le coalizioni di governo a Roma che, a partire dal 1963, vennero aperte dalla Dc ad un’alleanza con il centro sinistra. Questa coalizione si basava sull’asse ideologica di due partiti cattolici. La Svp era il partito dominante tra la popolazione di lingua tedesca e ladina, la Dc tra la popolazione di lingua italiana. Riguardo alla possibilità di un partito di far parte di una coalizione in Alto Adige oltre al presupposto ideologico si aggiunge la dimensione dell’autonomia. Possono entrare a far parte di una coalizione solamente partiti autonomistici. Ciò nel passato era valido per i classici partiti che formavano le coalizioni con l’Svp, per la Dc così come per il Psi ed il Psdi.

In base allo statuto di autonomia (art. 50) è prevista una rappresentanza obbligatoria di tutti i gruppi linguistici nella Giunta provinciale in base alla loro consistenza proporzionale in Consiglio provinciale (per i ladini è prevista una specifica regolamentazione). Dal 1948 i partiti italiani hanno sempre preso parte alla Giunta provinciale, sebbene la Svp avesse da sempre l’assoluta maggioranza dei seggi (e sino al 2008 anche la maggioranza assoluta dei voti). Questo principio del massimo coinvolgimento di tutti i gruppi linguistici al processo decisionale (vale anche a livello comunale) corrisponde al modello di concordanza che in società etnicamente frammentate rappresenta una (potenziale) garanzia di cooperazione e quindi di una convivenza pacifica (cfr. Pallaver 2008, 303-304).

Tabella 10: Composizione delle Giunte provinciali 1948-2013 e concentrazione dei partiti (dati in percentuale)

1948 -
1952

1952 -
1956

1956 -
1960

1960 -
1964

1964 -
1968

1968 -
1973

1973 -
1978

1978 -
1983

1984 -
1989

1989 -
1993

1993 -
1998

1999 -
2003

2003 -
2008

2008 -
2013

Svp - Dc - Pri

Svp - Dc

Svp - Dc

Svp - Dc

Svp - Dc - Psdi

Svp - Dc

Svp - Dc - Psi

Svp - Dc - Psdi

Svp - Dc - Psi

Svp - Dc - Psi

Svp - Dc -
PpAA - Pds

Svp - PAA -
domani - Centro sinistra - il Centro

Svp - Pace e
diritti - Unione autonomista

Svp - Pd

81,5

78,5

78,8

78,5

78,6

75,1

76,1

74,8

72,9

73,5

59,4

64,6

63,1

54,1

Percentuale dei partiti italiani presenti in Giunta provinciale rispetto alla totalità degli elettori italiani (dati in percentuale)*

42,7

38,9

40,4

38,9

44,8

39,0

53,7

40,2

42,1

40,2

23,3

27,8

27,6

23,9

Fonte: Provincia autonoma di Bolzano – Alto Adige (2012)

Legenda delle abbreviazioni: Svp: Südtiroler Volkspartei; Dc: Democrazia cristiana; Pri: Partito repubblicano italiano; Psdi: Partito socialista democratico italiano; Psi: Partito socialista italiano; Pds: Partito democratico della sinistra; Dc-PpAA: Democrazia cristiana – Partito popolare Alto Adige; PAA domani: Popolari - Alto Adige domani; il Centro – Uda: il Centro - Unione democratica dell’Alto Adige; Pd: Partito democratico/Demokratische Partei.

*Nella percentuale dei voti italiani sono stati inclusi tutti i risultati dei partiti italiani, anche di quelli che non hanno conseguito alcun seggio e rispettivamente la metà dei voti a favore dei partiti interetnici. Questo non corrisponde perfettamente alla realtà sociale, in mancanza di dati questa decisione di carattere statistico si basa su stime. I voti italiani alla Svp non sono stati tenuti in considerazione.

Se prendiamo in considerazione la concentrazione dei partiti al governo allora notiamo che questi nella prima repubblica non sono mai scesi al di sotto del 70 per cento. Nella seconda repubblica però la concentrazione dei partiti si è fortemente ridotta ed oggi si colloca solo al 54,1 per cento.

Inoltre se misuriamo la rappresentanza italiana nella Giunta provinciale rispetto alla totalità degli elettori italiani (in questo calcolo sono stati inclusi anche i risultati elettorali di quei partiti che si sono candidati al Consiglio provinciale ma che non hanno conquistato nemmeno un seggio), allora possiamo constatare che i partiti italiani nella prima repubblica hanno rappresentato la popolazione italiana tra il 40 ed il 50 per cento. Nella seconda repubblica la quota di rappresentatività è scesa intorno al 25 per cento. Ciò significa che, contrariamente alla prima repubblica, dal 1993 solamente una minoranza dei partiti italiani presenti in Consiglio provinciale ha rappresentato la società italiana nelle più importanti istanze decisionali, mentre meno di due terzi degli italiani in quella sede non si vedono rappresentati. Questo fatto contraddice la logica del modello di concordanza ed ha contribuito al disagio degli italiani, poiché proprio l’esclusione è l’antitesi del modello di concordanza.

Questo trend dell’asimmetria si è evidenziato già nel 1988 quando l’Msi per la prima volta superò la Dc nelle elezioni provinciali. Da allora sono i partiti del centro destra di volta in volta la maggiore forza politica nel Consiglio provinciale con la più elevata rappresentatività degli italiani. Ma la distanza ideologica e la distanza sulle questioni riguardanti l’autonomia hanno reso vano il potenziale di coalizione di questo/i partito/i. L’esclusione di una parte non trascurabile della società italiana dalle strutture decisionali della politica ha dato credito alla fine della forte frammentazione politica dei partiti ed alla formazione di un “partito di raccolta italiano”, con il quale dovrebbe confrontarsi alla pari l’egemonica Svp. In una certa misura questa funzione era stata assunta dall’Msi e da Alleanza nazionale, più tardi dal Pdl, mentre a cavallo del 2012/2013 la frammentazione ha registrato un nuovo forte aumento.

Ma le fratture nella cultura politica del modello che si ispira alla consociational democracy si evidenziano anche per il fatto che il principio del consenso in importanti questioni riguardanti l’autonomia viene continuamente violato. Grazie alla propria maggioranza assoluta di seggi in Consiglio provinciale e quindi anche nella Giunta provinciale la Svp talvolta decide contro la maggioranza degli italiani nel Consiglio provinciale riguardo a questioni che riguardano esclusivamente la popolazione di lingua italiana (ad esempio l’immersione scolastica, il calendario scolastico, ecc.).

Alla doppia esclusione dei partiti di opposizione corrisponde la doppia debolezza del/i partito/i di governo. I partner italiani di coalizione della Svp evidenziano una debolezza politica perché essi rappresentano solamente una minoranza della popolazione italiana. Oggi il Pd rappresenta il 25 per cento circa degli italiani dell’Alto Adige. La seconda debolezza è costituita dal fatto che la Svp rappresenti la maggioranza nella Giunta provinciale e quindi possa soverchiare con i propri voti il partner di coalizione.

Questa debolezza degli italiani potrebbe cambiare in occasione delle prossime elezioni provinciali. In base a sondaggi la Svp nelle elezioni provinciali che si terranno nell’ottobre 2013 non raggiungerà più la maggioranza assoluta. In un sondaggio sulle elezioni provinciali (effettuato nel gennaio 2013) la Svp veniva stimata al 40,1 per cento (2003: 48,1 per cento). Ciò significherebbe che il numero dei suoi seggi dagli attuali 18 (su un totale di 36) si ridurrebbe a 15-16 (Dall’Ò 2013, 19). Mentre sinora gli italiani sono entrati a far parte della Giunta provinciale sulla base del principio della proporzionale etnica, essi entreranno nella prossima Giunta provinciale non solo in base alla normativa statutaria, ma vi saranno rappresentati anche perché essi saranno necessari per la formazione della maggioranza politica. Se dovesse realizzarsi il risultato del sondaggio effettuato nel gennaio 2013 il Pd dovrebbe raggiungere l’11 per cento circa dei voti e quindi ottenere 4-5 seggi (sinora aveva il 6 per cento e due seggi). Nella prossima legislatura non si potrà più governare contro la volontà degli italiani presenti nella Giunta provinciale.

6. Conclusioni

Siamo partiti da tre tesi che abbiamo potuto verificare nel corso dell’esposizione. I partiti italiani evidenziano un elevato grado di frammentazione che in occasione delle elezioni politiche del 2013 è ulteriormente aumentato. L’Alto Adige è l’unica regione (Provincia autonoma) italiana in cui nella sub-arena elettorale italiana non vi sia più un centro politico rappresentato in Consiglio provinciale.

Mentre nella prima repubblica in primo luogo solamente l’Msi era un partito antiautonomistico, il numero dei partiti semi- e antiautonomistici nella seconda repubblica è aumentato in maniera relativamente forte; invece il consenso degli elettori, con circa l’11 per cento, in sostanza è rimasto identico tra il 1993 ed il 2008. La doppia segmentazione ideologica ed autonomistica ha portato all’esclusione delle più rilevanti forze politiche italiane e quindi all’esclusione di una gran parte della società civile italiana che non si vede rappresentata nel processo decisionale a livello di Giunta provinciale. Una minoranza degli italiani è rappresentata in Giunta provinciale, una maggioranza politica ne è esclusa. Questo porta ad un forte rapporto di tensione nel sistema politico altoatesino, la cui formula di successo è rappresentata dal massimo coinvolgimento di tutti i gruppi linguistici.

I partiti italiani, ai quali sinora a livello di Giunta provinciale è stata riservata una posizione debole, dopo le elezioni provinciali del 2013 accresceranno con grande probabilità il loro potenziale di contrattazione e di coalizione. La causa di ciò è la crescente debolezza della Svp che probabilmente non raggiungerà più la maggioranza assoluta dei seggi in Consiglio provinciale. Perciò il partner italiano di coalizione non farà quindi più parte della Giunta provinciale per ragioni di proporzionale etnica, bensì allo scopo di raggiungere la maggioranza politica.

Note

1 Questo era legato in gran parte all’elevato livello di notorietà e dal marcato profilo dell’ex consigliere provinciale della Svp Roland Atz, che era passato alla Lega nord, ma non era riuscito ad essere eletto in Consiglio provinciale.

2 Si veda i manifesti della campagna elettorale per le elezioni provinciali del 2008 http://www.unitalia-movimento.it/manifesti.dhtml (4.1.2010)

3 Nel calcolo non sono stati considerati i cambiamenti avvenuti nel corso della legislatura.

4 A questo scopo la percentuale elettorale dei singoli partiti è stata posta in relazione con tutti i voti che sono stati espressi per partiti italiani (= 100 per cento). Per quanto riguarda il voto al partito interetnico dei Verdi (unitamente ai movimenti precedenti) si è attribuita all’elettorato italiano la metà dei voti. Non si tratta certamente di una soluzione statistica soddisfacente ma in considerazione delle piccole percentuali non inficia il quadro complessivo.

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Abstracts

Die italienischen Parteien in Südtirol: Fragmentiert, schwach und auf der Suche nach einer neuen Identität

Die italienischen Parteien Südtirols weisen einen relativ hohen Fragmentierungsgrad auf. Mit dem Verlust der politischen Mitte hat die Anzahl der Anti- und Semi-Autonomieparteien in der Zweiten Republik relativ stark zugenommen, der WählerInnenkonsens ist aber im Wesentlichen zwischen 1993 und 2008 gleich geblieben. Die doppelte, ideologische und autonomistische Segmentierung hat in der Zweiten Republik zum Ausschluss der repräsentativsten italienischsprachigen politischen Kräfte geführt. Dies führt zu einem starken Spannungsverhältnis im politischen System Südtirols, das in der maximalen Einbindung aller Sprachgruppen sein Erfolgsrezept findet.

Das Verhandlungs- und Koalitionspotential der italienischen Parteien wird nach den Landtagswahlen 2013 mit großer Wahrscheinlichkeit zunehmen. Grund dafür ist die Schwäche der SVP, die wahrscheinlich keine absolute Mandatsmehrheit erzielen wird. Der italienische Koalitionspartner wird deshalb nicht nur aus ethnischen Proporzgründen in die Regierung genommen werden, sondern aus Gründen der politischen Mehrheitsbeschaffung.

I partis talians te Südtirol: despartis, debli y che chir
n’identité nöia

I partis talians de Südtirol mostra sö n degré de framentaziun plütosc alt. Cun la pordüda dl zënter politich él tla Secunda Republica chersciü bindebò dassënn le numer di partis contrars al’autonomia o por n’autonomia parziala, le consens dles litadësses y di litadus é indere restè sostanzialmënter anfat dal 1993 al 2008. La segmentaziun dopla, ideologica y autonomistica, à portè tla Secunda Republica al’estlujiun dles forzes politiches talianes plü rapresentatives. Chësc porta a n raport de tenjiun dër sterch tl sistem politich de Südtirol, che basëia sò suzès sön la mascima integraziun de düć i grups linguistics.

Le potenzial de tratativa y coaliziun di partis talians chersciarà bunamënter do les proscimes lîtes provinziales dl 2013. La rajun é da ciafè tla deblëza dla SVP, che povester n’arjunjarà nia n mandat cun la maioranza assoluta. Le partner de coaliziun talian ne ­gnarà porchël nia ma tut ite tl govern por rajuns de proporz, mo por ciafè la maioranza politica.

Italian political parties in South Tyrol: ­Fragmented, weak and in search of a new identity

Italian parties in South Tyrol have a relatively high degree of fragmentation. With the loss of the political centre, anti-autonomy and semi-autonomy parties in the Second Republic have experienced a relatively strong upswing; voter consensus, however, remained essentially the same between 1993 and 2008. The double, ideological and autonomist segmentation has, in the Second Republic, resulted in the exclusion of the most representative Italian-speaking political forces. This has led to a great deal of tension within South Tyrol’s political system, in which maximum involvement of all language groups is the key to success.

The potential for negotiations and coalitions amongst the Italian parties is very likely to rise after the 2013 regional elections. This is due to the weakness of the SVP, which will probably not reach the absolute majority mandated. Italian coalition partners will thus be taken into the government not only based on ethnic proportional representation but also for the purpose of procuring a political ­majority.