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Arianna Piacentini

Gli ‘Altri’ nelle democrazie consociative: Alto Adige e Bosnia Herzegovina a confronto

“Others” in consociational democracies: comparing South Tyrol and ­Bosnia Herzegovina

Abstract The consociational model of democracy is one of the most widely used systems for managing plural societies. In its corporate variant, it regulates political representation and participation by accommodating the interests of groups identified according to ascriptive criteria. In so doing, however, it marginalizes and even excludes all those who bear identities that are not foreseen and included in the system. Generally grouped under the catch-all label “Others”, these individuals are confronted with the choice of either adapting to the ethnic divide or remaining left out. How do these citizen “Others” deal with ethnically connoted and organised states? The article, grounded in empirical material collected in South Tyrol and Bosnia Herzegovina in the years 2019-20, explores what mechanisms and strategies citizens potentially “Others” adopt when faced with structural obstacles, paying particular attention to the “identity choices” granting them greater inclusion and participation.

1. Introduzione

Secondo Arendt Lijphart (1977), le consociazioni – altresì dette modelli di power-sharing o di condivisione del potere, sono il modo più adatto per organizzare e amministrare società plurali, ovvero quelle divise lungo linee religiose, ideologiche, linguistiche, o etniche. Esistono due tipi principali di consociazioni: le corporative, che identificano i gruppi in base a criteri ascrittivi (lingua, religione, etnia ecc.); e le liberali, che accolgono qualsiasi identità politica emerga secondo la logica dell’autodeterminazione (McCulloch 2014). Le consociazioni, ed in particolare le corporative, sono state ampiamente criticate (Brass 1991; Horowitz 1985) e accusate, tra l’altro, di privilegiare e cristallizzare le identità collettive a scapito di altre forme di identificazione (Brubaker/Cooper 2000); nonché di discriminare, escludendoli, chiunque abbia una identità “non prevista” dal sistema. Tali cittadini, i cosiddetti “Altri”, non sono infatti esplicitamente inclusi nei sistemi e meccanismi consocia­tivi, dunque si trovano inevitabilmente ad affrontare una serie di ostacoli – sia formali che informali.

Partendo da queste premesse, il presente contributo guarda alle consociazioni corporative di Alto Adige e Bosnia Herzegovina, ed esplora come e attraverso quali canali i cittadini potenzialmente “Altri” interagiscono con, e all’interno, di istituzioni statali etnicizzate. Secondo le statistiche più recenti (ASTAT 2011), infatti, l’Alto Adige è popolato da due grandi gruppi etno-linguistici – quello tedesco (69,41 per cento) e quello italiano (26,06 per cento), e da un terzo gruppo di lingua ladina (4,53 per cento). La Bosnia Herzegovina (Statistika 2013), invece, è popolata da bosgnacchi (50,01 per cento), Croati Bosniaci (15,5 per cento) e Serbi Bosniaci (30,08 per cento) – questi ultimi quasi esclusivamente residenti nell’Entità1 di Republika Srpska, mentre gli altri due principalmente nella Federazione di Bosnia Herzego­vina. I cittadini non allineati etnicamente (“Altri”) contano il 3,7 per cento della popolazione totale della Bosnia Herzegovina; mentre in Alto Adige coloro che si dichiarano “Altri” e poi si aggregano a uno dei tre gruppi rappresentano l’1,68 per cento della popolazione.

Quanto segue è frutto di una ricerca qualitativa2 condotta negli anni 2019-20, volta a far luce su come gli “Altri” navigano le divisioni e la governance etnica.

2. Il complesso power-sharing Altoatesino e il sistema tripartito della Bosnia Herzegovina

La complessa condivisione del potere altoatesina (Wolff 2008) protegge le minoranze linguistiche attraverso l’attuazione di una serie di meccanismi, uno dei quali è il sistema delle quote etniche. Introdotti già nel 1946 con l’Accordo Gruber-De Gasperi, i meccanismi consociativi sono stati mantenuti anche con l’entrata in vigore del Secondo – e attuale – Statuto di Autonomia (1972). Tali meccanismi avevano lo scopo di includere, rappresentare e salvaguardare l’identità, la cultura e l’interesse di ciascuno dei tre principali gruppi altoatesini – quello tedesco, italiano, e ladino; assicurando e mantenendo la pluralità etno-linguistica degli organi pubblici e delle istituzioni dello Stato. Lo strumento individuato per raggiungere tale obiettivo è il sistema delle quote etniche, alle quali sono collegati una serie di diritti e benefici individuali e collettivi. Le proporzioni etniche sono calcolate sulla base del censimento più recente, e vengono applicate in base alla forza numerica dei gruppi etno-linguistici – che, a loro volta, viene determinata tramite la “dichiarazione di appartenenza o aggregazione linguistica”. Dal punto di vista del cittadino, tale strumento permette 1) di “candidarsi a una carica pubblica; 2) di avere il diritto di presentare una domanda per ricevere sussidi e […] 3) di essere impiegato come funzionario pubblico” (Alber 2021, 190).

Sebbene funzionale al suo scopo, questo sistema etnico non è perfetto e, come anticipato, chiunque possegga una identità non standard e non prevista è (teoricamente) tagliato fuori dal sistema. Tale questione fu sollevata già negli anni 1980, e sebbene nel 1991 fu sancita la possibilità di dichiararsi “Altri”, questi dovevano/devono comunque “aggregarsi” ad uno dei tre gruppi etno-linguistici al fine di partecipare attivamente alla vita politica altoatesina, nonché beneficiare dei diritti e delle risorse ridistribuite secondo criteri etnici. Il rifiuto o la mancata dichiarazione/aggregazione linguistica a uno dei tre gruppi riconosciuti automaticamente causa ­l’esclusione dell’individuo dal sistema proporzionale, dunque la perdita/rinuncia dei sopracitati vantaggi. Inoltre, sebbene la dichiarazione/aggregazione linguistica possa essere modificata in qualsiasi momento, tali modifiche entrano in vigore 18 mesi dopo, scoraggiando dunque tale pratica. Da un punto di vista istituzionale, quindi, la libertà individuale all’auto-identificazione e espressione della propria identità è subordinata al funzionamento di un sistema radicato sull’esistenza di ­gruppi identificati e cristallizzati secondo criteri ascrittivi. A riprova di ciò, si pensi al fatto che la dichiarazione di appartenenza/aggregazione linguistica non deve necessaria­mente corrispondere alla “realtà”, e non ci sono controlli, sanzioni o ­punizioni che impediscano a ciascun cittadino di “dichiarare il falso” per motivi opportunistici.

In Bosnia Herzegovina troviamo una situazione simile a quella sopra descritta. L’Accordo di Pace di Dayton (DPA), firmato nel 1995, sancì la fine della guerra e pose le basi per la ricostruzione dello Stato Bosniaco Herzegovese. Secondo la sua costituzione (DPA, allegato IV), la Bosnia Herzegovina è costituita da tre Popoli Costituenti (Serbi Bosniaci, Croati Bosniaci e Bosgnacchi) assieme con gli “Altri” – una categoria dal contenuto estremamente eterogeneo, e nella quale confluiscono sia i membri di 17 minoranze, sia tutti coloro i quali non possono o non vogliono identificarsi con i tre gruppi etno-nazionali. Alla luce della sua eterogeneità etnica e del suo passato conflittuale, anche in Bosnia Herzegovina furono introdotti meccanismi di power-sharing etnico volti a evitare la supremazia di un gruppo sugli altri, nonché a garantire l’uguaglianza socio-economica e l’eguale rappresentanza dei gruppi negli organi statali. Il sistema delle quote, ad esempio, è presente anche in Bosnia Herze­govina, ma oltre al criterio etnico se ne affianca uno territoriale – essendo la ­Bosnia Herzegovina divisa in due Entità, ed essendo l’etnicità territorializzata come conseguenza della pulizia etnica e del genocidio avvenuti negli anni di guerra. Le quote sono tuttora determinate sulla base dei dati del censimento della popolazione del 1991,3 tuttavia la loro applicazione è spesso basata su criteri informali, che vengono però osservati in tutti i settori della vita sociale e politica anche quando e dove non ufficialmente prescritti. Per quanto riguarda gli “Altri”, il DPA stabilisce che, a livello statale, questi non possono candidarsi né per la Presidenza statale tripartita né per la Camera dei Popoli; un membro del Gabinetto, il Consiglio dei Ministri, può però appartenere agli “Altri”; mentre a livello comunale, gli “Altri” hanno sempre una quota riservata. Nel complesso, tuttavia, il sistema politico-istituzionale della Bosnia Herzegovina resta etnico ed esclusivo, e gli “Altri” confinati ai margini della vita pubblica e politica del paese.

Come accadde in Alto Adige, in Bosnia Herzegovina la discriminazione subita dagli “Altri” fu portata alla luce nel 2008 dai rappresentanti delle comunità Ebraica e Rom, in quanto impossibilitati a candidarsi alla presidenza tripartita dello stato in virtù del loro essere “Altri”. Sebbene modifiche costituzionali e istituzionali ancora non siano state implementate, come in Alto Adige anche in Bosnia Herzegovina l’assenza di controlli e punizioni ha finito con il permettere e incentivare l’allineamento di tutti i cittadini, “Altri” inclusi, alla governance etnica – talvolta “mentendo” o “cambiando” identità a seconda delle necessità.

3. Ma chi sono gli “Altri”?

Da una prospettiva istituzionale, gli “Altri” sono tutti coloro che non possono o non vogliono identificarsi con le categorie collettive riconosciute all’interno di un sistema consociativo (Agarin et al. 2018). Tuttavia, mentre la categoria “Altri” non è ufficialmente presente in tutte le consociazioni esistenti, tutte le consociazioni si basano sull’esistenza di categorie collettive; e, di conseguenza e inevitabilmente, in tutte le consociazioni ci sono individui che ricadono al di fuori di esse. Da una prospettiva individuale, infatti, qualsiasi cittadino potrebbe avere difficoltà a “incasellare” la propria identità, sentendosi potenzialmente “a proprio agio” confluendo negli “Altri”. È necessario quindi distinguere tra 1) l’identità dichiarata degli individui o, meglio, il gruppo di appartenenza dichiarato – che corrisponde all’identità collettiva mobilitata in caso di necessità; e 2) il sentimento di appartenenza – corrispondente alla propria e personale idea di identità. Inoltre nessuna di queste due potenziali identità corrisponde o si sovrappone a quella presunta dall’esterno e dedotta sulla base di caratteristiche fisse e/o visibili come i nomi personali, la lingua parlata o il colore della pelle.

Il contenuto della categoria “Altri” è quindi eterogeneo e, secondo i dati empirici raccolti in Alto Adige e Bosnia Herzegovina, possiamo distinguere tre sottogruppi principali:

1) minoranze etniche: cittadini appartenenti a gruppi etnici diversi dai principali (ad es. in Bosnia Herzegovina: ebrei, rom, ecc.; in Alto Adige stranieri in possesso della cittadinanza italiana o di un permesso di soggiorno di lunga durata che li equipara ai cittadini italiani);

2) misti: individui provenienti da unioni/matrimoni misti tra due o più gruppi;

3) contrari: individui che evitano o rifiutano qualsiasi forma di auto-identificazione etno-nazionale/linguistica (spesso come forma di protesta politica).

Sebbene le tipologie siano, per definizione, parziali e non esaustive, i tipi ideali sopra indicati possono essere estesi anche ad altre consociazioni, aiutandoci così a comprendere la complessità sottostante le modalità di auto-identificazione.

4. Le scelte identitarie degli “Altri”

Nell’indagare i fattori che modellano i comportamenti e le scelte identitarie degli individui in contesti consociativi, gli intervistati hanno sottolineato che 1) praticamente tutti, “Altri” in particolare, tendono ad allinearsi alle divisioni etniche; e 2) il criterio sottostante la scelta identitaria è, generalmente e principalmente, radicato nell’opportunismo. Inoltre, sempre stando ai dati empirci raccolti, i principali fattori in grado di incentivare tale allineamento, e dunque l’auto-identificazione con una delle categorie etniche preposte, sembrano essere 1) la disponibilità e le modalità di redistribuzione delle risorse economiche; e 2) il prestigio socio-economico goduto da ciascun gruppo. Data la loro natura e ragion d’essere, ci riferiamo a queste strategie comportamentali in termini di “allineamento opportunistico”.

4.1 Disponibilità e redistribuzione delle risorse economiche

L’Alto Adige è un piccolo territorio in cui un insieme di condizioni favorevoli – soprattutto in materia di politica fiscale, ha permesso una crescita e un benessere socio-economico senza precedenti, tanto da figurare tra le aree più ricche d’Europa. La disponibilità di ingenti risorse finanziarie ha permesso di creare servizi e opportunità di lavoro, alimentando un sentimento generalizzato di efficienza e sicurezza, nonché evitando lo svuotamento del territorio verso altri luoghi. La provincia ha difatti un tasso di occupazione vicino al 100 per cento, ed una pubblica amministrazione molto estesa: su 49.406 dipendenti pubblici, 41.949 lavorano nell’amministrazione provinciale (ASTAT 2019). Per accedere alle procedure di selezione nel pubblico impiego, i candidati devono aver depositato la propria dichiarazione/aggregazione linguistica, la quale permette di concorrere per i posti riservati al gruppo cui hanno dichiarato di appartenere/aggregarsi. Se, da un lato, i criteri di accesso e partecipazione a tale sistema possono apparire rigidi ed esclusivi – soprattutto agli occhi degli “Altri”; dall’altro lato, è vero che sono tali solo in apparenza poiché, di fatto, lo strumento della dichiarazione/aggregazione linguistica permette a chiunque di partecipare e beneficiare del sistema allineandosi e dunque auto-ascrivendosi ad una categoria etno-linguistica. Il non allineamento, ovvero rifiutare di partecipare al sistema delle quote etniche, non fornendo la dichiarazione di appartenenza/aggre­gazione linguistica, rappresenta una scelta pragmaticamente svantaggiosa. Tutti gli altoatesini, ed in particolare quelli potenzialmente “Altri”, sono dunque fortemente incentivati ad allinearsi alla governance etnica per ragioni opportunistiche: solo così, infatti, possono beneficiare delle ingenti risorse garantite ai soli membri delle comunità riconosciute.

In Bosnia Herzegovina osserviamo dinamiche simili se non identiche a quelle sopra citate, poiché la maggior parte dei cittadini – “Altri” inclusi – tende (quando possibile) ad allinearsi alla divisione etnica senza sfidarne i meccanismi. Tuttavia, e diversamente dall’Alto Adige, la Bosnia Herzegovina è uno “stato catturato” (Hulsey 2018), cioè le sue istituzioni pubbliche (e non solo) sono controllate dai partiti etnonazionali al potere; la società bosniaca è inoltre estremamente povera, e le disuguaglianze economiche e sociali, aumentate dopo la guerra, non sono state risanate. L’afflusso di capitali esteri provenienti dalle organizzazioni internazionali ha poi contribuito a rendere il paese un rentier-state (Belloni 2020), favorendo la corruzione e il consolidamento di legami etno-clientelari (Piacentini 2019). In tale contesto, dunque, la presunta appartenenza etnica di ciascun individuo ha assunto un ruolo quasi vitale, e la mobilitazione strumentale dell’identità collettiva divenendo è diventata indispensabile al fine di entrare nel sistema (etno)politico ed istituzionale, nonché di beneficiare delle sue scarse risorse.

Come anticipato, in Bosnia Herzegovina l’applicazione delle quote etniche è ampiamente basata su criteri informali (tranne ove prescritto), talvolta discrezionali e personalistici. Ciononostante, le autorità statali cercano sempre di non avere settori della pubblica amministrazione “etnicamente puri”, e lo fanno spesso deducendo le origini etniche dei candidati sulla base dei loro nomi personali. A scanso di equivoci, tuttavia, quando si concorre per un posto pubblico può essere richiesto ai candidati di esibire il proprio certificato di nascita, l’unico documento attestante il background familiare. Data l’informalità e il carattere personalizzato di tale pratica, l’importanza di avere le giuste “connessioni e raccomandazioni” (Brkovic´ 2017), e soprattutto di appartenere ad uno dei tre popoli costituenti, risultano ancor più importanti.

Analogamente all’Alto Adige, anche in Bosnia Herzegovina il non allineamento etnico risulta essere pragmaticamente svantaggioso, e molti sono i fattori, formali e informali, che incentivano all’adozione di comportamenti opportunistici – gli unici in grado di garantire il maggior pay off.

4.2 Prestigio e status di gruppo: vincitori e vinti

Sebbene le abbondanti risorse economiche di cui dispone la Provincia autonoma di Bolzano siano state in gran parte impiegate per creare una società efficiente per tutti, è anche vero che ci sono “benefici sociali […] pagati ai comuni in proporzione al gruppo linguistico nell’area del governo locale, il che significa che esiste un incentivo finanziario per le comunità ad aumentare la loro dimensione numerica” (De  Villiers 2017, 19). Da un lato, quindi, l’allineamento etnico è istituzionalmente incentivato; dall’altro, la scelta dell’individuo rispetto a quale gruppo allinearsi è strettamente legata all’ampiezza delle opportunità concesse a ciascun gruppo. Ciò detto, è bene sottolineare che in Alto Adige non ci sono squilibri o disparità tra i gruppi, e le risorse sono, con poche eccezioni, redistribuite proporzionalmente. Non sorprende, dunque, che sia il gruppo tedesco quello considerato “vincente” e verso il quale gli “Altri” tendono ad allinearsi. Molti, se non la maggior parte, dei provenienti da un background straniero o etnicamente misto scelgono di “schierarsi” con il gruppo tedesco, indipendentemente da considerazioni personali ed emotive, dall’attaccamento alla cultura italiana, o dalle reali competenze linguistiche. Per le stesse ragioni opportunistiche, capita anche che siano i membri stessi dei gruppi italiano e ladino a “cambiare identità”, dichiarando appartenenza al gruppo tedesco così da poter beneficiare di maggiori (non migliori) opportunità.

Al contrario, in Bosnia Herzegovina osserviamo uno scenario e delle dinamiche diverse, in larga parte dovute alle ragioni e logiche sottostanti l’implementazione del consociazionismo, ed all’eredità di guerra. In Bosnia Herzegovina, infatti, la stra­tegia di allineamento non segue alcuna gerarchia o status dei gruppi – considerati tutti ugualmente “poveri e perdenti”. Alla luce delle difficoltà economiche, dell’etnopolitica imperante, e dell’elevatissimo tasso di corruzione e clientelismo, l’allineamento etnico sembra invece essere una questione di “mera sopravvivenza”. Tuttavia, come accade in Alto Adige, all’occorrenza anche gli “Altri” in Bosnia Herzegovina hanno modo di cambiare o mentire circa la propria identità dichiarata, e quindi di entrare a far parte di un sistema etnico, beneficiando delle sue scarse risorse.

5. Riflessioni conclusive: Chi sono allora gli “Altri”?

Da un punto di vista prettamente sociale e di vita quotidiana, la questione degli “Altri” è e rimane una questione reale – sebbene ampiamente taciuta e toccata indirettamente, sia in Alto Adige che in Bosnia Herzegovina. Le richieste per una scuola bilingue, anziché divisa tra i gruppi linguistici tedesco e italiano, ne sono un esempio; così come il diritto a identificarsi “Bosniaco Herzegovesi” anziché solo e soltanto in termini etno-nazionali in Bosnia Herzegovina.

Da un punto di vista istituzionale, invece, la questione (quasi) non si pone – e soprat­tutto in Alto Adige. Come abbiamo visto, non solo la prosperità economica ha contribuito a placare le tensioni tra i gruppi e favorito la cooperazione politica; ma i meccanismi di power-sharing etnico hanno finito con il rappresentare una “rete di sicurezza” per tutti e tre i gruppi etno-linguistici tale per cui – sebbene in principio etnici e potenzialmente esclusivi – non vi è incentivo a modificarli o abbandonarli. I cittadini potenzialmente “Altri”, infatti, raramente si sentono tagliati fuori dal sistema alto atesino, il quale permette a chiunque di allinearsi e beneficiarne; e quando posti dinnanzi alla scelta di “se e dove allinearsi” optano per il gruppo in grado di conferirgli il maggior beneficio. In maniera simile, anche la stragrande maggioranza dei cittadini Bosniaco Herzegovesi continua a conformarsi alla governance etnica, allineandosi ad essa. Tuttavia, contrariamente a quanto accade in Alto Adige, povertà, corruzione, e disuguaglianze, hanno reso l’allineamento opportunistico, ed etnico, una scelta necessaria e quasi obbligata; una questione di sopravvivenza.

Concludendo, possiamo affermare che, a prescindere dalla consociazione in esame, la stragrande maggioranza dei cittadini potenzialmente “Altri” preferisce non dichiarare la propria appartenenza alla categoria ma confluire in uno dei gruppi etnici riconosciuti. Incentivati da una molteplicità di fattori – istituzionali, politici, finanziari, e sociali, i cittadini potenzialmente “Altri” (ma non solo) si allineano alla governante etnica per ragioni in larga parte opportunistiche: così facendo, superano l’esclusione, sostengono lo status quo, e traggono il massimo vantaggio e beneficio da sistemi di condivisione del potere (consociativi) inizialmente calibrati e pensati per pacificare, parificare e servire gli interessi dei soli principali gruppi etnici delle società plurali.

Note

1 La BiH è un unico paese ma internamente diviso in due Entità: la Federazione della BiH comprende il 51 per cento del territorio bosniaco, mentre la Republika Srpska ne occupa il 49 per cento. Inoltre, il distretto di Brcˇko è diventato autonomo nel 1999, non appartenendo a nessuna Entità.

2 Vedi la pubblicazione Piacentini (2021). Dopo una prima fase di ricerca bibliografica è seguita una fase di raccolta dati sul campo e durato 12 mesi. Un numero totale di 60 interviste semi-strutturate sono state condotte nelle città di Bolzano, Merano e Brunico, mentre in Bosnia Herzegovina sono state circa 45, e condotte nelle città di Sarajevo, Mostar e Banja Luka.

3 Ancora in vigore in tutto il paese, tranne che nel cantone di Sarajevo.

Riferimenti bibliografici

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