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Andrea Felis

L’educazione politica/civica nelle scuole di lingua italiana dell’Alto Adige

1. Radici ingombranti

La scuola di lingua italiana della provincia di Bolzano ha ereditato dal passato un carico ingombrante, legato profondamente alla propria storia ed alle dinamiche di insediamento della comunità di lingua italiana nel territorio del Tirolo meridionale, a partire dal primo dopoguerra.

Dal 1919 si situa una presenza di lingua italiana non più episodica ma stanziale, a seguito dell’annessione territoriale di quello che diventa il Trentino-Alto Adige (che fin dalla denominazione, con il richiamo alla divisione per dipartimenti fluviali, parrebbe rimandare ad uno sfondo napoleonico, statualista, in cui nulla viene salvato della denominazione precedente, con la cancellazione del toponimo “Tirolo”). Qui comincia a nascere una “politica scolastica” forse unica in tutta la storia dell’istituzione formativa nazionale, legata dal suo sorgere alla volontà di porre le basi per un controllo efficace non di tipo sociale, o morale, o ideologico, bensì fondamentalmente etnico.

Da principio tale fisionomia si lega al portato della cultura post-risorgimentale, sabauda eppure anche con rimandi di ispirazione vagamente mazziniana; ma è in particolare con l’avvento del fascismo, e nello specifico dopo il 1925 con il varo di una politica di nazionalizzazione forzata della comunità di lingua tedesca e il contemporaneo progressivo insediamento coatto di una comunità operaia e contadina di lingua italiana, che la scuola altoatesina comincia a svolgere un compito ed una funzione di “fabbrica identitaria”, dal connotato – come si diceva – davvero unico.

È una storia davvero speciale, in quanto solo come sfondo rimaneva legata alle istanze pedagogico-culturali derivate dall’eredità romantico-patriottica altrove dominante (verrebbe da definirla “deamicisiana”, profilata com’è sul mix ideologico robustamente espresso dall’estetica pedagogica del libro “Cuore”, autentico viatico patriottico-educativo per le generazioni diventate “italiane” fra il 1861 ed il 1900). I propri caratteri originari li derivava soprattutto dalla sua missione “civilizzatrice”, tutta locale, di confine, fino ad essere “di contrasto” con la cultura linguistica e tradizionale legata alla comunità germanofona o – in misura diversa – romancia. Tali caratteri non risultavano in fondo troppo lontani dai toni, gli stili, le estetiche presenti su tutto il territorio nazionale nella fase di rafforzamento del regime autoritario, ma trovavano una traduzione in loco, rafforzata, condensata attorno al nucleo identitario, ed ideologicamente perseguita con maggiore incisività che altrove.

Qui infatti giocavano una funzione ed un ruolo davvero particolari non solo la presenza anomala di un ipernazionalista irrisolto quale il tardivo Ettore Tolomei, un autentico sopravvissuto di una cultura ormai sparita – quanto meno negli anni Trenta – anche dall’orizzonte ideologico del regime (quella degli Oriani, di Corradini ed epigoni); ma anche il fatto di svolgersi in una realtà confinaria sorta da un conflitto immane quale quello della Grande Guerra, nel corso del quale (e in particolare dopo il 1917) la figura del “nemico”, il “tedesco”, era stata enfatizzata come non mai in precedenza con funzione già ideologica, e nella quale la precedente esperienza risorgimentale di “furore patriottico” si era concentrata sul nemico per eccellenza, che parlava tedesco ed era l’incarnazione della barbarie nordica contro la solarità della civiltà latina.

Ora, nella provincia di Bolzano, dopo la guerra, “il nemico” era situato dentro i confini nazionali, parlava un dialetto germanofono, risultava legato a stili e tradizioni della civiltà contadina di montagna ed era acquattato con la forza dei suoi sei anni dentro un’aula, collocata magari anche in zone remote, con collegamenti rela­tivi con il fondovalle, lontano dal contatto redentore con la civiltà di Dante e Carducci.

La missione civilizzatrice si colorava pertanto di tinte assai più forti che altrove, dove prevaleva magari l’aspetto di classe o di controllo politico-sociale della cultura pedagogica fascista, e pertanto l’enfasi sul carattere dell’italianità nel contesto altoatesino da poco costruito significava qualcosa di diverso rispetto a quanto era stato anche nei disegni del ’23 di Giovanni Gentile o di quanto, in altro momento, sarà varato da Giuseppe Bottai nel ’39.

Se in entrambi i quadri di riforma fascista il sistema scolastico di regime si muoveva sempre e comunque lungo un asse profilato in età liberale – con alcuni tratti certo peculiari ai sistemi autoritari del primo Novecento, quali il mantenimento di una visione sostanzialmente elitaria della gerarchia delle scuole, con il ginnasio-liceo al vertice, e degli ordini socioculturali di riferimento, la piccola borghesia1 prevalentemente letteraria gentiliana o quella moderatamente modernista di Bottai – la traduzione nel contesto altoatesino ne faceva virare la barra verso esiti ben più ideologici, discriminatori, impositivi. Il divieto dal 1925 dell’insegnamento e apprendimento della lingua tedesca e gli accordi fatidici delle opzioni che tenderanno nel 1939 ad eliminare del tutto la componente di lingua tedesca della società locale, sono aspetti di un volto dell’istituzione scolastica che avvicina la scuola altoatesina, nei suoi compiti e funzioni, più a un modello di tipo totalitario – certo incompiuto – che autoritario tradizionale.

Non è inutile infine ricordare che i provvedimenti discriminatori della politica razzista del fascismo in funzione antiebraica successivi al luglio del ’38 produrranno nella piccola provincia effetti altrettanto eclatanti – considerata la visibile presenza della comunità ebraica di Merano anche tra la popolazione scolastica, anche ai livelli più elevati, quali quelli liceali – che affiancano l’inclinazione totalitaria di un’istituzione che più che includere esclude, che più che civilizzare emargina o elimina, che ideologizza uno scenario educativo in chiave etnica, identitaria, idiomatica.

La violenta e deformante parentesi dell’occupazione nazista del territorio fra il settembre del ’43 e il maggio del ’45 non farà altro che mostrare da un lato drammaticamente l’inutilità di un tale apparato scolastico di fronte all’irrompere delle dinamiche belliche, mentre dall’altra tale istituzione totale aveva già prodotto i suoi frutti, per così dire, descritti in modo illuminante da Claus Gatterer: “I bambini delle minoranze – ancor più di quanto generalmente accada a tutti i ragazzi negli Stati a regime dittatoriale – apprendevano fin dalla scuola un comportamento schizofrenico. A casa, o in famiglia, Cesare Battisti o Guglielmo Oberdan passavano per ‘traditori’; a scuola erano esaltati come eroi. I padri della maggior parte di quei bambini avevano partecipato – più o meno volentieri – alla guerra mondiale dalla parte austriaca. E adesso a scuola si insegnava che i soldati austriaci erano barbari, disumani, crudeli; i bambini dovevano ripeterlo durante le ore di storia, e loro recitavano la lezione, scrivevano i compitini come era prescritto, però sapevano che li stavano costringendo a dire e a scrivere delle cose non vere. C’è da stupirsi che considerassero non vero tutto quello che gli italiani – maestri e non – dicevano loro? Che attribuissero agli italiani, nella loro fantasia, tutto quello che i testi scolastici addossavano ai loro padri? Scuole tedesche in Sudtirolo e scuole slave nella Venezia Giulia non sarebbero mai riuscite a suscitare e a diffondere tanto odio per l’Italia quanto ne scaturì dalle scuole italiane imposte ai bambini di questi territori” (Gatterer 1994, 530).

1.1. Sotto le ceneri

Quale scuola sorge pertanto, in un territorio così pesantemente ferito dalle vicende novecentesche, in età repubblicana? Le ceneri della devastante esperienza di guerra, ceneri da cui ricostruire, non sono qui, ancora una volta, quelle rimaste dagli incendi, le distruzioni, gli eccidi commessi da un’anonima e barbarica “canaglia soldatesca” nemica, estranea, soggetto astratto e impersonale nella sua brutalità estrema; qui il volto e le fattezze dell’artefice della distruzione, del disastro, responsabile di colpe indicibili sono quelli del vicino di casa, e questi è il nemico. L’italiano fascista per il sudtirolese, il tedesco nazista per gli italiani altoatesini. Vicino e lontano, noto e incomprensibile.

Ancora una volta, è il paradigma etnico-linguistico l’architrave che regge la ri-costruzione dell’istituzione scolastica: la discontinuità prodotta dall’evento bellico e dall’occupazione nazista del territorio si risolve nella riproposizione, in forme nuove ma affini, del paradigma identitario quale elemento di fondo caratterizzante l’azione formativa ed educativa.

Nello scenario postbellico, l’Italia democratica e postfascista fatica a elaborare un modello di scuola ad un tempo nazionale e specifico per questo territorio, e si limita ad importare il modello che sta prendendo piede, fino al 1962 quando la ­legge 1859 del ministro Luigi Gui rivoluziona la società con l’introduzione della scuola media unificata.

Ora, l’elemento significativo dal secondo dopoguerra è che cominciano ad esistere tre scuole nel sistema altoatesino, garantite dallo statuto speciale del ’48, distinte per gruppi linguistici, con un ruolo istituzionale quasi prefettizio in materia scolastica affidato alla sovrintendenza di lingua italiana, quale garante dell’aderenza della scuola locale alle norme e ai fondamenti del sistema nazionale.

Dagli anni Cinquanta, e con l’escalation della tensione fra i gruppi linguistici, nel quadro certo mediato comunque dalla cornice istituzionale democratica e dal referente internazionale, la scuola non costituirà dunque per la comunità di lingua italiana uno strumento principe di democratizzazione e di progresso politico e civico per le giovani generazioni, se non in virtù dei contenuti culturali generali diffusi e trasmessi: ma certo non lo sarà come strumento di crescita in relazione alla consapevolezza della complessità del territorio o per gli aspetti di pluralismo linguistico, culturale, tradizionale ad esso collegati.

Fino ai primi anni Settanta la scuola di lingua italiana perpetuerà quella funzione di luogo di miscela di appartenenza socioculturale e spazio di consacrazione nazionale attraverso la cultura, i rituali trasmissivi, la stessa provenienza del ceto scolastico dei docenti e perlopiù degli studenti, “immigrati di prima generazione” nella maggioranza dei casi. Collocata quasi dappertutto in fondovalle e comunque nei centri di medie dimensioni, la scuola di lingua italiana difficilmente pratica spazi, linguaggi ed azioni aperte alla conoscenza del territorio in cui è collocata, se non in modo episodico e certo non in virtù del sostegno delle istituzioni. In buona parte dei casi, funge da sentinella, ancora fino agli anni Settanta, di un’identità italiana confinaria, preoccupata, spesso instabile, che si sente minacciata o comunque garantita solo dal perpetuarsi del cordone ombelicale con la madrepatria che si estende a sud delle Alpi. L’insegnante meridionale, o dell’Italia centrale, inviato a Vipiteno, a Brunico, a Silandro, impara a sopravvivere in partibus infidelium, e intorno a lui – o a lei – una realtà estranea, se non ostile.

1.2. Piccoli fuochi

Solo l’importante ma effimera parentesi della contestazione studentesca costituisce l’elemento nuovo che irrompe nello spazio angusto della divisione per gruppi linguistici dentro un confine interno, quasi organico, cui la scuola presiede per vocazione storicamente stratificata.

Il decennio degli anni Settanta si conclude con esperimenti – perlopiù puramente verbali ed extrascolastici, ma significativi – di richieste di nuove modalità e nuovi spazi di incontro fra i giovani dei diversi gruppi linguistici, ma è dinamica destinata a terminare con il riflusso dell’onda generale, e ripiegherà in ambiti non scolastici seppur culturali (associazionismo, organizzazioni del tempo libero e della cultura) nati a ridosso dell’esperienza scolastica stessa2.

Di questa esperienza rimane l’importanza, davvero unica nel suo genere, di avere portato dentro le mura scolastiche forme di impegno e di ricerca legate alla sfera politica, civica, normativa, ma nella maggior parte dei casi solo “nella” scuola e non “dentro l’istituzione scuola”, se non addirittura “contro” la scuola stessa. Una palestra di educazione civica collettiva in cui la scuola è lo scenario ma non lo spazio di riflessione o luogo di elaborazione di strumenti: ciò che è rimasto intanto costante da allora è invece la funzione svolta dalle forme di rappresentanza per componenti, dal 1974 (gli “organi collegiali”: i consigli di circolo o di istituto, i consigli di classe). Questi organismi però esauriranno presto la loro blanda fun­zione, giunti troppo tardi per dare forma alle richieste portate all’epoca dagli studenti e inadatti a dare spessore agli esperimenti invocati. La loro sopravvivenza, come si vedrà, garantirà comunque una pur debole presenza di “consapevolezza formativa civica” nella scuola, rivolta principalmente ai genitori nella scuola primaria e secondaria di primo grado, ma estesa ai ragazzi nelle secondarie di secondo grado.

Intanto cambiamenti strutturali si stavano verificando in capo alla normativa nazionale – quali il decreto ministeriale 9 febbraio 1979 in ordine al riordino della scuola media3 e i nuovi programmi per la scuola primaria del 1985 – ma soprattutto sul piano locale, con l’applicazione integrale del secondo statuto di autonomia, licenziato nel 1972 ma realizzato progressivamente proprio a partire dalla fine degli anni Settanta, con la novità per la scuola di porre l’attenzione – in precedenza poco o per nulla presente – sull’asse linguistico, improvvisamente emerso come il centro nevralgico dell’attività scolastica.

L’articolo 3 del d.p.r. n. 752 del 1976 aveva certamente rivoluzionato in modo silenzioso il ruolo della scuola di lingua italiana, e soprattutto di quella superiore, ma i frutti si sarebbero visti solo nel corso del decennio successivo.

Infatti, la vocazione professionale dei gruppi dirigenti della comunità di lingua italiana, che aveva uno sbocco occupazionale storicamente consolidato nel settore degli uffici e segnatamente in quelli pubblici, si trovava all’improvviso di fronte ad un ostacolo non immediatamente previsto né visibile: il conseguimento dell’attestato di conoscenza della seconda lingua per qualunque – o quasi – carriera nel settore pubblico.

Il merito scolastico, tradizionale strumento di misurazione per l’accesso ai profili professionali di rango quanto meno nelle intenzioni della scuola nazionale, qui improvvisamente veniva meno o si rifrangeva sullo scoglio della conquista del titolo di bilinguismo, certificato in modo estremamente rigido e con criteri talvolta misteriosi.

Alla scuola veniva allora affidato un compito sociale che altrove era impensabile, e affiorava dopo il decennio “rosso” della scuola di lingua italiana – in cui sventolavano le bandiere dell’intera gamma cromatica del sinistrismo nazionale, da quello estremo e settario a quello riformista e legato al comunismo italiano – il latente e poi esplosivo disagio e l’insofferenza di parti consistenti della comunità giovane di lingua italiana, sia verso il principio della proporzionale etnica per l’accesso al lavoro pubblico, che soprattutto verso la conoscenza certificata della lingua tedesca.

Dall’insofferenza socioculturale al riaffiorare dei mai del tutto sopiti sentimenti nazionalisti o revanscisti il passo fu davvero breve, e nel volgere di un lasso brevissimo di tempo le scuole, anziché ospitare i collettivi dei sopravvissuti o dei nostalgici degli anni caldi, andarono a diventare il luogo di sedimentazione di un rancore etnico-sociale di grande pericolosità per i delicati equilibri raggiunti in questo territorio.

Dai primi anni Ottanta e per tutto il ventennio successivo, con qualche eccezione nei licei, la scuola superiore di lingua italiana – ma con radici già nella scuola media – contribuirà a dare forma e voce nella maggioranza dei casi a culture politiche giovanili perlopiù connotate “a destra”, dentro la cornice del riflusso generale dei movimenti di sinistra e nella fase montante dell’onda che comincerà a crescere nella società italiana di deriva genericamente destrorsa: ma nella provincia di Bolzano il terreno di coltura sarà particolarmente vivace, e rifletterà per molto tempo gli effetti della cosiddetta “onda nera” del 1985 con un sentire comune fortemente naziona­lista, in chiave anti-Svp e tendenzialmente ostile ai mutamenti linguistici in atto (Giudiceandrea 2006, Vasalli 1985). Nonostante la relativa debolezza in campo culturale, formativo e propositivo delle esperienze maturate nella cornice della destra nazionalista italiana, la scuola solo relativamente saprà diventare il luogo di formazione di modelli culturali di impegno e partecipazione più incisivi sul piano del dialogo, dell’apertura, del confronto.

Dentro il contesto del riflusso generale di impegno e consapevolezza civico-politica, l’istituzione scolastica di lingua italiana nei grandi numeri si chiamerà fuori da compiti di irrobustimento di una coscienza civica, democratica e pluralista, e preferirà recitare il ruolo e svolgere la funzione di uno spazio asettico, impersonale, dove solo l’ambito chiuso e quasi da confessionale della lezione permetterà in qualche raro caso a studenti ed insegnanti di riflettere sulle modalità costitutive dell’agire politico, del pensiero politico, delle teorie e delle pratiche che sostanziano il discorso civico e politico stesso; la scuola invece al più si costituirà come spazio particolare in cui, attraverso forme e modi consentiti dal principio della “libertà d’insegnamento”, si verranno a creare, in diversi casi, “aree riservate” di consenso, dove le affinità ideologiche, di orientamento o di scelta di campo si richiameranno fra docente e discente, o ammiccheranno dentro la dimensione del contenuto disciplinare, nella metodica della lezione frontale, con il rischio di farne un simulacro di catechismo laico.

L’educazione civica si stava intanto avviando, dopo un’esistenza umbratile dal 1958 in poi, alla propria progressiva estinzione.

D’altra parte, a livello nazionale nonostante il tentativo di parziale riforma dei programmi di insegnamento nelle secondarie di secondo grado dei primi anni Novanta (programmi Brocca), e soprattutto con i programmi per la scuola primaria del 1985 prima e del ’91 poi, l’impostazione sostanziale dei piani di studio della scuola italiana non era mutata. Occorrerà attendere il 1997 con l’esperimento di riforma della scuola di Luigi Berlinguer per trovare dopo più di un decennio di radicali e rivoluzionarie trasformazioni del sapere (il web, la disarticolazione del mondo industriale post-taylorista, la scomparsa di interi soggetti sociali collettivi) qualche tentativo di fornire risposte alle nuove domande, dentro al contenitore storico di un gigantesco ritardo di un’intera società.

Nel frattempo, una circolare del 1991 aveva eliminato l’educazione civica dalla scuola secondaria di primo grado, e solo una direttiva ministeriale del 1996 proverà a riportare in auge una disciplina mai divenuta tale e nel migliore dei casi “ancillare” nei confronti dell’insegnamento della storia, ma con scarsi risultati4.

Nello scenario altoatesino però qualche segnale di cambiamento si cominciava ad avvertire, in contrasto con il perdurare di una silente ma effettiva presenza di aspetti di insofferenza di vasti settori del mondo giovanile verso la nuova realtà politica e amministrativa che si stava venendo ad istituire sulla base degli effetti statutari. Già alla fine degli anni Settanta erano iniziate pratiche scolastiche con l’effettuazione di un anno di studio all’estero, durante il quarto anno di scuole superiori, con la Germania federale quale meta preferenziale: l’emergere di queste esperienze di scambio culturale aveva avuto come primo risultato di dimostrare gli effetti quasi prodigiosi delle pratiche immersive linguistiche nelle dinamiche di apprendimento della seconda lingua, considerata nelle scuole al contrario come materia ostica, difficile, e prevalentemente da imparare mnemonicamente. Ma a parte qualche avanguardia di viaggiatori europei – con una ridotta diffusione delle esperienze anche a causa degli alti costi di gestione delle stesse, non alla portata di tutti i ceti – la scuola continuava ad affrontare in modo non sistematico i nodi caldi della convivenza civile, di strumenti partecipativi diversi ed aperti, di forme di apertura verso il territorio e le altre culture – in primis, quella dell’altro gruppo linguistico – come mission forte educativa, oltre che formativo-linguistica. A partire da queste condizioni di fondo si giunge ai giorni nostri.

2. Scenari presenti

2.1. L’età di Pericle

Alla fine degli anni Novanta nella scuola di lingua italiana della provincia di Bolzano, il progetto “Pericle” rappresentò un tentativo interessante – sulla scorta delle indicazioni del progetto Berlinguer – di approntare uno strumento a sostegno della reintroduzione dell’educazione civica come materia di studio nelle scuole, dalle primarie alle secondarie di secondo grado. Si trattò di un gruppo di lavoro5 voluto dalla sovrintendenza scolastica del tempo, con un programma molto ambizioso6 ma forse non altrettanta determinazione nel perseguirlo. Il progetto, certo generoso, si concluse con una pubblicazione che puntava forse troppo in alto e con un linguaggio difficilmente destinato a portarlo al successo nelle sue linee applicative7.

Al di là dei lemmi allusivi a tenebrose ascendenze heideggeriane commiste ad influenze francofortesi, di fatto il progetto si componeva di un onesto elenco di azioni in classe, di schemi concettuali cui riferirsi, di letture di brani scelti e cercava di comporre un possibile manuale di educazione civica più plastico e flessibile dei testi allora in uso, che riportavano per lo più brani commentati della Costituzione8. Certo, l’orizzonte di riferimento culturale solo in una minima parte dei moduli didattici proposti trovava una rispondenza con le questioni calde, locali, dei temi identitari, dell’appartenenza, che nel contesto del dibattito politico reale e della coscienza civica assumevano importanza centrale nel contesto altoatesino del 1998.

In quella minima parte, singolarmente, non facevano capolino né Claus Gatterer, né Leopold Steurer o figure di spicco della storia politica recente – da Alex Langer a Silvius Magnago – che potevano fornire spunti importanti: nei testi9 Jules Ferry o John Locke potevano stare accanto ad una pregevole operetta divulgativa sulla presenza italiana in Tirolo meridionale nel primo dopoguerra, e via discorrendo. Certo è che anche il nobile tentativo mostrava come una doppia debolezza – quella derivante dalla ormai endemica disaffezione “nazionale” verso l’educazione civica, e l’altra erede di una incertezza culturale profonda della comunità di lingua italiana nel definirsi, in questo particolare territorio – non si traduceva davvero in una nuova proposta forte, anzi.

Caduta l’ipotesi periclea, i settori più vivaci del mondo della scuola del tempo si orientarono in direzioni differenti per sostenere in qualche modo la crescita di una maggiore consapevolezza civica della scuola di lingua italiana verso le tematiche del proprio territorio, compiendo per così dire un’operazione di aggiramento.

In questo contesto si può inquadrare l’azione del progetto Lab*doc storia, un gruppo di lavoro costituitosi inizialmente all’interno dell’Istituto pedagogico, che dal 2003 al 2010 sotto la guida di Milena Cossetto ha costruito un proprio spazio autonomo con una rivista indirizzata alle scuole, dalle primarie alle secondarie di primo grado, con la finalità dichiarata di “far acquisire ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze tutte quelle competenze che permettano loro di leggere il presente con consapevolezza critica, di orientarsi nel mondo, di rapportarsi con altre culture e altri mondi alla ricerca di quello scambio e di quella interazione simbolica che da sempre hanno caratterizzato il genere umano. È una delle principali sfide del nuovo millennio” (Visintin Rauzi 2003). Come si vede, si tratta quasi di una parafrasi di quanto affermava la normativa del 1979 a proposito dell’educazione civica, la cui funzione “è quella di far maturare il senso etico come fondamento dei rapporti dei cittadini, di rendere coscienti del compito storico delle generazioni e dei singoli, di promuovere una concreta e chiara consapevolezza dei problemi della convivenza umana ai vari livelli di aggregazione comunitaria, guidando l’alunno a realizzare comportamenti civilmente e socialmente responsabili”10. La storia ciceroniana ed umanistica che guida all’azione politica e civica, che insegna comportamenti esemplari11, diventa ora lo strumento pedagogico per eccellenza sulla strada della formazione del cittadino locale, con un chiaro riferimento ai valori della “collaborazione e cooperazione fra lingue”, che sopperisce alla fragilità dell’insegnamento ex cathedra delle virtù civili o delle tecniche della politica.

A questo punto, dalla metà del primo decennio degli anni duemila al termine dello stesso, la forma dell’educazione alla dimensione politico-civica, presente nelle scuole, pare essere diventata sostanzialmente un triangolo.

Un lato è rappresentato dalla formazione per i ragazzi e le ragazze presenti all’interno degli organismi di rappresentanza di livello provinciale, cioè la consulta studentesca, costituita dai rappresentanti dei consigli di istituto delle scuole superiori di lingua italiana di tutta la provincia di Bolzano, dei quali un rappresentante siede anche in Consiglio scolastico provinciale, organismo istituzionale dal solo ruolo consultivo.

La consulta degli studenti ha posto spesso all’istituzione scolastica – esiste un ufficio di riferimento interno – la richiesta di ricevere una “formazione tecnico-politica”, ed un paio di anni fa ha ricevuto qualche risposta in sede locale12, mentre per il resto veniva invitata nei momenti di formazione “nazionali” coordinati da Roma dal ministero13. Un secondo lato è invece quello trasversale dell’educazione storico-civica promossa dall’Istituto pedagogico e dalla sovrintendenza fino al 2010, che negli intendimenti doveva giungere alle scuole di ogni ordine e grado; il terzo lato, quello per così dire “dal basso”, era quello invece intessuto dalle esperienze concrete di scambio culturale, linguistico, relazionale e personale prodotto dalle ragazze e dai ragazzi protagonisti delle esperienze di scuola in altra lingua, effettuate o nella provincia di Bolzano, certamente le più significative, o nel contesto europeo, in cui comunque l’apertura alla dimensione europea fungeva da viatico ad una nuova consapevolezza, critica e di prospettiva. Curiosamente, non appare documentata alcuna forma di esperienza di cambio-scuola (denominata “Un anno in L2”) che abbia costituito il preludio di qualche forma di rivendicazione più schiettamente politico-culturale da travasare nella vita delle scuole stesse: esperienza forte, determinante perfino per molti dei suoi protagonisti (cfr. Dal Negro/ Provenzano 2012, 18-19), la conoscenza diretta di un altro mondo linguistico-culturale si è depositata evidentemente in una forma di esperienza non collettiva ma individuale, certo non solo strumentale, ma priva di una aderenza effettiva ad un contesto allargato.

A fianco di questi tre lati del triangolo, si muove una costellazione di esperienze più o meno grandi, episodiche o con un certo grado di continuità, promosse direttamente dalle scuole, in cui i contatti con gli istituti – dalle primarie alle secondarie di secondo grado – hanno costituito momenti di incontro con un forte afflato “civico”, oltre che linguistico o culturale: l’elemento assiale si è sempre depositato però principalmente in quello “storico-ciceroniano”, nutrito di contributi di tipo etico-culturale dai docenti o promosso dalle istituzioni più sensibili alla logica dell’incontro e dello scambio14.

È difficile dire se e come i tre lati di questa azione abbiano prodotto risultati significativi: certamente l’esperienza diretta di un incontro fra mondi linguistici, culturali e scolastici tenuti lontani da più di settant’anni di storia è la più importante, quasi epocale, se non fosse che è poi mancata un’elaborazione teorica – anche da parte istituzionale – del valore e peso di una tale novità nel panorama scolastico locale.

Quasi inavvertita nel territorio altoatesino fu quindi la promulgazione della legge 30 ottobre 2008, n. 169, che sotto il titolo “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 1º settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università” presentava all’articolo 1 il riferimento a “Cittadinanza e Costituzione”, nuovo nome che reintroduceva l’insegnamento a tutto campo della vecchia educazione civica15. Infatti, la spinta innovativa vera giunse da due direzioni differenti: la prima dall’esterno, con il necessario adeguamento in sede provinciale della normativa nazionale nota con il nome di “riforma Gelmini” del 2010, che in modo molto criticato e discontinuo affrontò il riordino della scuola italiana, con strumenti teorici che furono certo molto discussi. La seconda spinta giunse invece dal Servizio giovani della Provincia, rinnovato nelle persone e nel gruppo dirigente dal 2008 e teso a promuovere uno scambio più fecondo ed innovativo fra scuola ed “extrascuola”.

2.2. Riforme ed indicazioni

Nel primo caso, occorre ricordare il clima culturale dell’epoca gelminiana: la riforma nazionale del comparto-scuola avvenne all’insegna del “ritorno all’ordine”, la rivendicazione piena in senso neoconservatore di una “controriforma” rispetto ai tentativi di apertura sorti al tempo della riforma Berlinguer ed all’eredità delle molte forme di sperimentazione in autonomia promosse dalle scuole italiane.

La parola d’ordine fu quella di risparmiare nel settore, ottimizzando – e tagliando – le iniziative sorte nel periodo passato: l’attacco al tempo pieno o prolungato nella scuola primaria, l’eliminazione completa in quella secondaria, le presunte “innovazioni” sbandierate nel campo delle “tre I” (informatica, inglese, impresa) cui faceva da pendant il ritorno alla scuola delle conoscenze intese come cognizioni, slegate dalle competenze (come invece avveniva nel quadro europeo), con singolare calo nelle competenze linguistiche a seguito del “risparmio” di ore nelle lingue straniere, nelle pratiche laboratoriali e nel monte ore generale di insegnamento-apprendimento.

Le maggiori competenze legislative acquisite in ambito istruzione-formazione permisero alla scuola di lingua italiana della provincia di Bolzano di non accettare supinamente l’ideologia sottesa al disegno romano, ma di recepirne quelle parti che potevano almeno positivamente incidere comunque in una idea di cambiamento rispetto alla tradizione sommativa presente nella scuola locale.

Detto in altri termini, la scuola di lingua italiana della provincia di Bolzano, nel corso del tempo almeno dagli anni Novanta in poi, aveva cercato di estendere il tempo-scuola da dedicare all’apprendimento della seconda lingua – il tedesco – cercando di non togliere ore di lezione alle altre discipline ed in più continuando a promuovere alcune forme di sostegno innovativo, tra cui, ad esempio, l’introduzione nel biennio delle superiori della disciplina “Diritto ed economia” in tutti gli indirizzi, che avrebbero dovuto quindi avere un’area disciplinare di riferimento per “educazione alla legalità” dentro l’ambito giuridico.

Il risultato, soprattutto nelle scuole superiori, era stato quello di avere un monte ore settimanale di lezione nettamente superiore alla media nazionale (attorno alle 36/38 ore) con l’insegnamento di due lingue oltre alla lingua materna. La Gelmini, come veniva chiamata per metonimia, aveva il vantaggio – opportunamente modificata – di porre l’accento su una razionalizzazione dei contenuti, per agire poi sulla ridefinizione di cornice del contenuto scolastico, in modo da rendere meno opprimente il peso delle materie di insegnamento, mantenendo le sperimentazioni già in atto, le pratiche di laboratorio esistenti, ecc.

In forma un poco gattopardesca, ma rovesciata, si trattava di conservare gli elementi di progresso accettando formalmente la sfida posta dalla proposta regressiva.

Prese forma così dapprima nel 2008 la legge provinciale n. 5, seguita poi nel 2009 dalla deliberazione n. 1928, relativa alla scuola primaria con il nuovo curricolo; giunse quindi nel 2010 la legge provinciale n. 11, con la sua coda nella deliberazione n. 1301 del 2012 per le secondarie. Nel caso delle primarie, suggestive le annotazioni poste dal Consiglio nazionale della Pubblica istruzione (CNPI) che approvò le linee guida dei nuovi curricoli sottolineando proprio “i curricoli di Cittadinanza e Costituzione e quelli relativi alla competenza digitale, secondo una dimensione che riconduce entrambe le aree di lavoro alla trasversalità …”, entrando nel merito16 proprio dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione di cui venne apprezzata l’impostazione complessiva costruita attorno ai nuclei fondanti di tipo costituzionale, ma di cui paventò la scarsa realizzabilità, “una proposta che di fatto dettaglia minuziosamente le conoscenze e le competenze specifiche nella scuola primaria e secondaria di primo grado, che appare sovradimensionata nella definizione di un profilo di competenza assai complesso”, e di cui veniva notata la irrealizzabilità, considerati i tempi di preparazione realisticamente prevedibili, con margini temporali troppo stretti per potere affrontare le aree “denominate della cittadinanza democratica, dell’educazione stradale, dell’educazione ambientale, della salute, dell’educazione alimentare, dell’affettività”.

La scuola secondaria di secondo grado affrontò invece la questione dell’educazione a Cittadinanza e Costituzione, risolvendo il tema come Grenzbegriff di orizzonte dell’intero processo formativo superiore17, ponendola come premessa di principio ma non inserendola come disciplina specifica, destinandola invece all’“area storico umanistica”18. Di fatto, tale riduzione strideva con la solenne Premessa posta in calce all’intero ampissimo documento, di cui vale la pena citare per esteso la parte eticamente saliente: “Il secondo ciclo ha come finalità la progettazione di una scuola per la società della conoscenza in cui vengano considerate le problematiche della nuova adolescenza e le caratteristiche della cultura giovanile, allo scopo di stabilire un patto formativo con le nuove generazioni e costruire insieme un progetto educativo che promuova motivazione intrinseca, curiosità e piacere nell’apprendimento.

Le Indicazioni provinciali per il secondo ciclo ripropongono il curricolo come strumento primario di progettualità didattica, un curricolo che sappia armonizzare elementi di continuità e di discontinuità (verticalità con il primo ciclo) e garantire prerequisiti per proseguire con successo il percorso di studi intrapreso in un ambiente di apprendimento dove crescano la cultura e la capacità di partecipare alla vita sociale. I percorsi della scuola superiore, tenendo conto delle diversità culturali e linguistiche che connotano il nostro territorio e dei bisogni formativi dei ragazzi e delle ragazze, mirano, come recita la Raccomandazione del parlamento europeo del dicembre 2008 ad ‘assicurare che i sistemi di istruzione e formazione iniziale offrano a tutti i giovani i mezzi per sviluppare competenze chiave a un livello tale che li prepari per la vita adulta e che costituisca la base per ulteriori occasioni di apprendimento’. Sarà cura della scuola in collaborazione con le famiglie ed il territorio: indurre il senso di responsabilità, quale premessa per costruire insieme e negoziare le regole della vita collettiva a scuola, riconoscerne l’identità e provare senso di appartenenza alla comunità scolastica; riconoscere e apprezzare le occasioni di arricchimento umano, culturale e sociale offerte dal contesto multilingue in cui si articola la società dell’Alto Adige-Südtirol”19.

Un “doppio movimento” quindi, che, negli esiti, delegava ancora una volta al settore storico-umanistico il compito di fornire “i presupposti culturali e la natura delle istituzioni politiche, giuridiche, sociali ed economiche, con riferimento particolare all’Italia e all’Europa, e comprendere i diritti e i doveri che caratterizzano l’essere cittadini”, mentre dall’altra proiettava nel regno degli Universali la “missione” civica della scuola, rarefacendola e, di fatto, eliminandola.

Così, ci si trovava di fronte alla riproposizione con parole nuove della vetusta “Storia ed Educazione Civica” di altri tempi, in linea con l’ispirazione “ciceroniana” perseguita con altri mezzi e al massimo coadiuvata dall’apporto piuttosto rigido e formalista dell’insegnamento di Diritto ed Economia posto nel biennio: “L’insegnamento della Costituzione Italiana, afferente a Cittadinanza e Costituzione, è affidato ai docenti di Storia e Diritto ed Economia e si realizza in rapporto alle linee metodologiche ed operative autonomamente definite dalle istituzioni scolastiche in attuazione della legge 30/10/2008, n. 169, che ha rilanciato la prospettiva della promozione di specifiche ‘conoscenze e competenze’ per la formazione dell’uomo e del cittadino (art. 1)”20.

2.3. LiberaMente e i suoi fratelli

Nel frattempo, tre importanti iniziative erano sorte in un contesto esterno a quello scolastico, ma ad esso interfacciato, e cioè il Festival delle Resistenze, l’iniziativa di LiberaMente e il Treno della Memoria. Frutto dell’attività del Servizio giovani provinciale di lingua italiana e parte di un progetto fortemente voluto dall’assessorato di Christian Tommasini, si trattava di tre momenti che sfondavano le pareti leggere dell’edificio scolastico, entravano direttamente in contatto con le ragazze ed i ragazzi – peraltro, dei tre (e più…) gruppi linguistici – e andavano a costruire reti e relazioni “di pelle” con il mondo giovanile e studentesco, incentivando in forme differenti una partecipazione ed un impegno diretti, verso temi e sensibilità etico-civiche di forte impatto. Dal 2010 ad esempio il Festival ha costruito una autentica palestra per interrogarsi sulle diverse sfaccettature del termine “legalità”, proponendo incontri con figure come i registi Ferrario ed Andò, i filosofi Giorello e Galimberti, lo scrittore Zoderer e molti altri ospiti, di cui tanti legati alla letteratura ed al mondo dello spettacolo.

Fra questi, spicca il ruolo che si è ritagliata la scrittrice e maestra Anna Sarfatti, che ad esempio nell’edizione del 2013 ha presentato “Piccoli maestri e piccole mae­stre di Costituzione”, in collaborazione con l’intendenza scolastica italiana, l’istituto pluricomprensivo “Europa 1”, l’istituto comprensivo “Bolzano 3”, “Bassa Atesina”, scuola dell’infanzia “Airone” ed altri. Il percorso era sorto da lontano, e si snodava già da due anni dentro un fitto dialogo con alcune scuole primarie che aveva già dato i primi frutti nella seconda edizione del Festival21. Da questa iniziativa ne è scaturita una nuova che ha cominciato a vedere la luce nelle scorse settimane, con la presentazione di un testo pubblicato dall’assessorato e scritto dall’autrice per le scuole del territorio22, una serie, “Alla scoperta della Costituzione”, che è il frutto degli incontri con le bambine ed i bambini di Bolzano e provincia.

Risulta evidente anche da questo che la scuola primaria ha saputo mettersi in relazione con il contesto civile, associativo, anche istituzionale, diverso da quello strettamente scolastico per misurarsi sui temi della legalità, del rispetto delle regole civili, della scoperta del sistema di funzionamento – o non funzionamento – degli apparati pubblici e delle leggi.

La scuola secondaria, di primo e secondo grado, appare invece tutt’al più spettatrice ma non attrice di questa messa in movimento di idee e passioni civili: le stesse iniziative forti legate allo scossone prodotto dal Servizio giovani, quali il Treno della Memoria, sono state spesso più sopportate che promosse incentivate; in alcuni casi, addirittura accolte con fastidio. Il Treno è nato originariamente da un’idea del Gruppo Abele di Torino, guidato da don Ciotti, che ha portato nel corso del passato decennio migliaia di ragazze e ragazzi italiani a vedere i luoghi della deportazione e dell’annientamento ebraico e dei resistenti europei; a Bolzano, sede a sua volta fra il ’44 ed il ’45 di un Durchgangslager dai caratteri già compiutamente “efficienti”, il Treno ha assunto una valenza straordinaria per i ragazzi delle scuole superiori che vi hanno preso parte, dei diversi gruppi linguistici, viaggiando insieme verso Auschwitz in Polonia e vivendo per giorni dentro una atmosfera di enorme impatto emotivo ma anche culturale, formativo, civile23.

Ma il punto focale di tutta questa grande macchina organizzativa rimane quello costituito da LiberaMente24, laboratorio sorto già nel 2008 e proseguito poi nelle successive edizioni, sempre a ridosso delle mura scolastiche ma mai in interazione con esse.

È proprio nel contesto di LiberaMente che si è costituita una pattuglietta di giovani – ora studenti universitari – che hanno poi preso parte attivamente ad alcuni momenti della vita politica del territorio, ricalcando bizzarramente le orme dei padri che una generazione fa si erano avvicinati all’impegno attraverso la scuola, mai “con” la scuola, per porsi subito fuori dalla scuola, e non portandovi se non marginalmente quel valore aggiunto frutto di una seria presa di coscienza critica. Anzi, dentro le mura scolastiche anche questo gruppo ristretto di “giovani consapevoli” non ha svolto che una funzione accessoria anche sul piano propriamente politico, lasciando la scena in molte scuole superiori, negli anni passati, ad esponenti di un estremismo di destra movimentista legato a CasaPound, sotto la sigla di Blocco studentesco. Da singole voci, isolate, legate all’esperienza di LiberaMente, è giunta la richiesta, un paio d’anni orsono, di affrontare il tema di una seria ridefinizione di uno spazio apposito di “educazione politica e civica”, qualcosa che dovrebbe stare fra l’illustrazione delle tecniche della comunicazione politica, un percorso di storia delle dottrine politiche, una palestra di allenamento alla discussione ed al confronto. Ma non vi è stata una ricezione istituzionale di tali blande richieste, deboli sul piano propositivo e di rappresentatività.

3. In conclusione

Il 26 gennaio 1955 Piero Calamandrei, uno degli esponenti di spicco del movimento di Liberazione italiano nonché “padre costituente”, incontrò gli studenti milanesi per una serie di letture sulla Costituzione, presso la Società umanitaria, e disse fra le altre cose: “La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica” (Calamandrei 1955). Per uno strano scherzo del destino, l’autore di queste straordinarie parole era anche l’ufficiale dell’esercito italiano che entrò in Bolzano nei primi giorni del novembre del 1918 (Calamandrei 2006) e si trovò di fronte a qualcosa di inaspettato, lontanissimo dalla retorica della “terra irredenta”, un altro mondo (Rizzi 1960, 4-13), con altre lingue, costumi, stili. La realtà altoatesina, verrebbe da dire, con i suoi piccoli numeri e la sua notevole complessità storica, culturale, linguistica, rappresenta un terreno ideale per portare le ragazze ed i ragazzi ad esercitarsi sul piano del confronto, della discussione, anche della passione d’impegno: ma la scuola di lingua italiana sembra impaurita o timida di fronte a tale prospettiva, di aprire cioè le sue porte ad un confronto articolato con le forme del vivere civile, le sue regole, misurandole a partire dalla concretezza del caso reale. Però qualcosa si muove, anche se perlopiù dall’esterno: il mondo reale fa capolino e prima o poi bisognerà parlarci.

Note

1 Nel 1929 Tolomei promuoveva migliori condizioni per gli insegnanti, con l’assegnazione di un alloggio decoroso e l’aumento dell’indennità del 10 per cento ai maestri coniugati e del 20 per cento ai coniugati con più di due figli (Tolomei 1929, 514).

2 A questo proposito, illuminante l’ultimo bagliore, quello dell’occupazione dell’ex “monopolio di stato tabacchi” in via Dante a Bolzano (dove oggi sorge il Museion) dal settembre al novembre 1979, conclusosi con uno sgombero violento su sollecitazione dell’allora sindaco di Bolzano, il giovane democristiano Giancarlo Bolognini: il pacifico insediamento di esponenti locali dell’associazionismo culturale, sindacale e del mondo giovanile, nonché dell’allora scena artistica, si infranse contro la resistenza delle autorità del tempo, cittadine e provinciali, anche e soprattutto di lingua italiana, ma vide la partecipazione effettiva dei diversi gruppi linguistici, in prima fila Arci, Südtiroler Kulturzentrum, Radio Popolare, Südtiroler Hochschülerschaft ed altri. Dai frammenti sorsero alcune significative esperienze aggregative di stampo sindacale – in particolare legate al mondo della Cisl – interetniche, e spinte sul piano politico dall’allora Neue Linke-Nuova sinistra di Alex Langer. Ma nulla poté modificare il nuovo quadro di riassetto, alimentato dalla divisione per gruppi linguistici ma foraggiato da una abbondante pioggia di contributi alle associazioni e gruppi (Südtiroler Hochschülerschaft & Südtiroler Kulturzentrum 1980).

3 (In S.O. alla G.U. 20 febbraio 1979, n. 50) Programmi, orari di insegnamento e prove di esame per la scuola media statale: introduce art. 3. “Principi e fini generali della scuola media. Come scuola per l’istruzione obbligatoria, la scuola media risponde al principio democratico di elevare il livello di educazione e di istruzione personale di ciascun cittadino e generale di tutto il popolo italiano, potenzia la capacità di partecipare ai valori della cultura, della civiltà e della convivenza sociale e di contribuire al loro sviluppo.” Parte IV. “Le discipline come educazione metodologie dell’apprendimento art. 2.- Le articolazioni di una educazione unitaria. […] b) Educazione storica, civica, geografica. […] Funzione dell’educazione civica a partire dai suoi primari motivi di educazione morale e civile, è quella di far maturare il senso etico come fondamento dei rapporti dei cittadini, di rendere coscienti del compito storico delle generazioni e dei singoli, di promuovere una concreta e chiara consapevolezza dei problemi della convivenza umana ai vari livelli di aggregazione comunitaria, guidando l’alunno a realizzare comportamenti civilmente e socialmente responsabili. A tal fine l’insegnamento dell’educazione civica si giova sia della riflessione sulle situazioni emergenti nella stessa vita scolastica, sia di informazioni essenziali ma precise sulle forme di organizzazione civile e politica della società a livello locale, regionale, nazionale, internazionale, viste come risultanti di un processo storico pervenuto a formulazioni giuridiche positive e come presupposto per ulteriori sviluppi”.

4 Direttiva ministeriale n. 58, 8 febbraio 1996: “1. Programmi di insegnamento di educazione civica, art. 1 – Gli obiettivi propri dell’educazione civica sono perseguiti, da un lato, nella complessiva attività didattica ed educativa, che riguarda tutti gli insegnamenti, le attività extracurricolari e i diversi momenti della vita scolastica, con modalità flessibili, anche in relazione all’autonomia delle singole scuole; dall’altro, nell’ambito di un insegnamento specifico, come previsto dal d.p.r. 585 del 1958”.

5 Introduzione: “I quaderni di Pericle sono il risultato di un progetto di ricerca didattica promosso dalla sovrintendenza scolastica e finalizzato ad una sistemazione flessibile ed organica delle idee guida dei percorsi di formazione sull’educazione civico-politica rivolta agli alunni di una società plurilingue e multietnica, come quella della Provincia di Bolzano. I quaderni indicano novità di metodo e di destinazione circa un’ipotesi di curricolo verticale e orizzontale, continuo, a struttura ciclica, distinto per la complessità cognitiva propria del grado di scuola e quindi destinato alla autonoma programmazione didattica dei consigli di classe: propongono un percorso non prescrittivo, aperto e da sviluppare, ma finalmente tracciato in mappe concettuali a convergenza pluridisciplinare” (Finetto/Fraternali/Zucal 1998).

6 “I contenuti ricorrenti nei tre volumi propedeutici e complementari alla cultura costituzionale ricercano alcuni archetipi culturali universali che sottendono diverse forme istituzionali ed analizzano nel linguaggio, nell’ambiente e nelle prospettive interculturali alcune dimensioni della identità della realtà di appartenenza empiricamente esplorate e concettualmente svolte in percorsi didattici in una tensione rifondativa di valori etici e giuridici della persona” (Finetto/Fraternali/Zucal 1998).

7 “… si richiede un nuovo sapere razionale in grado di comprendere il disvelarsi dialettico della diversità e di mediare verso il suo mantenimento, in una posizione esistenziale di ascolto ontologico di fronte alle disposizioni della politica e dell’economia condizionate da strumenti tecnologici e produttivi totalizzanti” (Finetto/Fraternali/Zucal 1998).

8 A titolo esemplificativo (Baldassarre/Mezzanotte, 1986).

9 Cicerone, La nozione di umanità secondo gli stoici; Lucio Anneo Seneca, Anche gli schiavi sono uomini; Küng, Hans, L’umano come criterio ecumenico fondamentale; King, Martin Luther, Io ho un sogno (1963); La Pira, Giorgio, Una costituzione per l’uomo; Bobbio, Norberto, La persona e lo Stato; Locke, John, L’idea di tolleranza; Dal Mein Kampf di Adolf Hitler; Strong, Josiah, Il darwinismo sociale: il primato della razza anglosassone (1885); La concezione imperialistica di Jules Ferry; La popolazione altoatesina (tabelle 1880-1971); Milesi, Carlo/Ruggera, Fausto, Arrivano gli italiani; Estranei in casa propria; Egger, Kurt, La politica linguistica del fascismo; Pizzorusso, Alessandro, La tutela delle minoranze linguistiche; Bobbio, Norberto, Libertà ed eguaglianza; Demarchi, Franco/Abbruzzese, Salvatore, La sacra terra. Chiesa e territorio; Griessmair, Hans, I crocifissi campestri: storia e significato; Note integrative alla sezione sull’ambiente antropico; Depliant sull’affido familiare dell’associazione Il Girotondo di Bolzano; Buzzetti, A., Il vino buono del Monferrato; Il FAI per la scuola; L’albero dei bisogni: esempi; L’educazione civica e cultura costituzionale nella scuola secondaria di secondo grado.

10 Vedi sopra, nota n. 3.

11 “Noi adulti, tutti, dobbiamo fare uno sforzo di fantasia e creatività, di modestia e attenzione, e nei confronti delle nuove generazione provare a confrontarci con ‘i limiti della nostra storia’, accettarne ‘le brutture’ e per andare anche alla ricerca di tutti quegli aspetti che, soprattutto in questa terra di confine, ci hanno permesso di ‘sconfinare’ e di sperimentare concretamente momenti di autentica collaborazione e cooperazione tra lingue, culture, esperienze, storie, mondi diversi. L’antico motto del ‘dare l’esempio’, il narrare per aiutare a vivere, non sono svaniti nel mondo virtuale delle nuove tecnologie, anzi, rappresentano proprio quel terreno fecondo che permette ad ogni generazione di vivere consapevolmente il presente, con la fiducia che il passato non sia un turbine minaccioso pronto a distruggere non solo il presente, ma anche qualsiasi progetto per il futuro” (Visintin Rauzi 2003).

12 In quel contesto, chi scrive ha preso parte ad un breve corso di formazione di circa una decina di ore per le ragazze ed i ragazzi della Consulta, dove in modo un po’ accademico si sono illustrati i principali aspetti dell’organizzazione scolastica, dei raccordi con la sfera politica, i principi guida e via discorrendo: occorre notare che i principali promotori di questa richiesta formativa si muovevano dall’esperienza “esterna” alla scuola, di LiberaMente, su cui torneremo fra poco nel dettaglio.

13 Curiosamente, il lato per così dire “romano” ebbe nel 2007/08 un risvolto significativo con la partecipazione – fortemente critica ma di sostanza – di una studentessa del liceo classico Carducci di Bolzano, Giulia Chiarel, che aveva condotto l’esperienza all’estero l’anno precedente, e che prese parte agli incontri dei nuovi “Stati generali” voluti dalla ministra Gelmini per la presunta preparazione ad una riforma radicale della scuola.

14 Pionieristica l’esperienza delle due scuole di Bolzano, le primarie e secondarie di primo grado Manzoni-Foscolo e le Archimede-Longon, fortemente legate all’esperienza cosiddetta “immersiva” linguistica che ebbe l’onore delle cronache e dell’attenzione del mondo politico dagli anni Novanta – con un forte dissenso da parte Svp, nel passato – e che produsse poi una cascata di esperienze similari: ma significativa fu anche l’apertura in Pusteria, a Brunico, negli anni Duemila, di un rapporto forte fra le due scuole di lingua italiana e tedesca, con qualche addentellato anche nella sfera delle problematiche civili e politiche, con momenti di incontro fra classi su temi di carattere civico, sperimentate alcuni anni fa.

15 “1. A decorrere dall’inizio dell’anno scolastico 2008/2009, oltre ad una sperimentazione nazionale, ai sensi dell’articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, sono attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione nel primo e nel secondo ciclo di istruzione delle conoscenze e delle competenze relative a ‘Cittadinanza e Costituzione’, nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse. Iniziative analoghe sono avviate nella scuola dell’infanzia; 1 bis. Al fine di promuovere la conoscenza del pluralismo istituzionale, definito dalla Carta costituzionale, sono altresì attivate iniziative per lo studio degli statuti regionali delle regioni ad autonomia ordinaria e speciale; 2. All’attuazione del presente articolo si provvede entro i limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.” (Codice delle leggi della scuola 2013, 412).

16 MIURAOODGOS prot. n. 10137, 7 ottobre 2009.

17 D.g.p. 1301 03.09.2012, Profilo educativo culturale e professionale dello studente liceale: “I percorsi dell’istruzione liceale forniscono alle studentesse ed agli studenti un’ampia istruzione generale e gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà affinché esse/essi si pongano con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico – riflessivo di fronte alle situazioni, ai fenomeni ed alle sfide del mondo moderno. I percorsi dell’istruzione liceale assicurano l’acquisizione di conoscenze e competenze generali e specifiche adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore e al proseguimento della carriera professionale” (art. 3 comma 1 l.p. 11/2010). […] “Per raggiungere questi risultati occorre il concorso e la piena valorizzazione di tutti gli aspetti del lavoro scolastico: lo studio delle discipline in una prospettiva sistematica, storica e critica; la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari; l’esercizio di lettura, analisi, traduzione di testi letterari, filosofici, storici, scientifici, saggistici e di interpretazione di opere d’arte; l’uso costante del laboratorio per l’insegnamento delle discipline scientifiche; la pratica dell’argomentazione e del confronto; la cura di una modalità espositiva scritta ed orale corretta, pertinente, efficace e personale”.

18 D.g.p. 1301 03.09.2012, 4. Area storico umanistica: Conoscere i presupposti culturali e la natura delle istituzioni politiche, giuridiche, sociali ed economiche, con riferimento particolare all’Italia e all’Europa, e comprendere i diritti e i doveri che caratterizzano l’essere cittadini.

19 Ivi, Premessa.

20 Ivi, Storia, p. 94; inoltre, per quanto riguarda Diritto ed Economia, 103-105.

21 “Verso Resistenze 2012” è un percorso di iniziative organizzate dal Dipartimento Cultura italiana della Provincia autonoma di Bolzano per preparare già durante le ultime settimane del 2011 la seconda edizione del Festival delle Resistenze contemporanee, in programma dal 25 aprile al primo maggio dell’anno successivo. Il percorso prende il via con l’incontro di 300 bambini e ragazzi delle scuole elementari e medie altoatesine e la scrittrice esperta di educazione alla legalità Anna Sarfatti con la quale affronteranno il tema “L’educazione ai diritti e alla legalità” (la Sarfatti è autrice dei volumi “La Costituzione raccontata ai bambini” e “La Resistenza raccontata ai bambini”, uscito nei mesi scorsi, ma anche di “Sei Stato tu? La Costituzione attraverso le domande dei bambini”, scritto insieme al giudice Gherardo Colombo così come di “Educare alla legalità. Suggerimenti pratici e non per genitori e insegnanti”) (Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige 2011).

22 “Anna Sarfatti ha avviato il primo percorso della nuova edizione del Festival ‘Educare alla cittadinanza e alla Costituzione’ per l’anno scolastico 2013-2014, presentando il volume ‘Alla scoperta della Costituzione 2’ che riassume i temi trattati nella scorsa edizione e lancia quello della nuova ‘diversità e uguaglianza’. Il libro è illustrato da Simone Frasca che, presente all’incontro, ne ha riprodotto in diretta alcune illustrazioni per i bambini. È seguito l’intervento di Antonella Brischetto, assessore alla cultura di Lampedusa in collegamento skype. Quindi, hanno parlato la garante per i diritti dell’infanzia, Vera Nicolussi Leck, e la vicepresidente della Commissione provinciale per le pari opportunità, Franca Toffol, che hanno inteso far comprendere ai bambini che esistono, nel caso di bisogno, anche queste figure istituzionali, in grado di rappresentare e difendere i loro diritti” (Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige 2013).

23 “Terra del Fuoco, Arciragazzi e l’Arbeitsgemeinschaft der Jugenddienste (AGJD), grazie al sostegno finanziario dei dipartimenti scuola e cultura italiana e tedesca della Provincia, offrono la possibilità anche per il 2013 a 150 ragazzi dell’Alto Adige di partecipare alla nuova edizione del progetto ‘Treno della Memoria – Zug der Erinnerung’. Incontri preparatori, il viaggio in Polonia e due giorni di riflessione a Dobbiaco” (Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige 2012).

24 “LiberaMente è un laboratorio pensato da e per giovani dai 16 ai 25 anni che vuole promuovere il principio dello Youth-led development, secondo il quale i giovani devono essere i reali promotori del cambiamento e dello sviluppo. Questa officina di idee […] punta a raggiungere il suo obiettivo attraverso diversi canali: organizzando seminari e discussioni con esperti in diversi settori; strutturando workshop basati su specifiche metodologie di partecipazione che permettono ai ragazzi di confrontarsi e sviluppare idee in maniera efficiente ed efficace; Partecipando a meeting nazionali ed internazionali, al fine di scambiarsi esperienze, conoscere best practices nonché creare e consolidare ‘network’; supportando e promuovendo strategie e iniziative pensate dai ragazzi; realizzando progetti e iniziative attraverso i modelli e i principi della democrazia partecipativa, sia direttamente che attraverso partnership con altre realtà locali e nazionali.” (LiberaMente 2013).

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Abstracts

Die politische Bildung/Sozialkunde in den italienischsprachigen ­Schulen in Südtirol

Im Jahr 2010 wurde das Schulfach „Sozialkunde und Verfassung“ (cittadinanza e costituzione) – bisher bezeichnet als „Politische Bildung“ – in den italienischsprachigen Schulen des Landes aufgenommen. Die Betrachtung dieser Entwicklung ermöglicht es, einen Blick auf die sich etablierte, historisch gewachsene Rolle der italienischsprachigen Schule in Südtirol zu werfen. In diesem Gebiet, das aufgrund der Kriege des 20. Jahrhunderts als „italienisch“ gilt, hat das Zusammenleben von mehreren sprachlichen Minderheiten – deren größte die deutsche Sprachgruppe darstellt – dazu geführt, dass die Institution Schule vor ideologischen und identitätsbedingten Aufgaben und Bedürfnissen steht, die anderswo unbekannt sind. Ein Beispiel hierfür ist, welche Auffassung von Aufgabe und Funktion der Schule in der Zeit nach dem Zweiten Weltkrieg herrschte, was sich im Unterricht bzw. beim Erlernen der „bürgerlichen Tugenden“ besonders detailliert zeigt. Die Schule wird so zur „Beschützerin“ der nationalen Identität.

L’educazion politica/zivica tla scoles de rujendeda taliana dl Südtirol.

Liejer y nterpreté l purté ite dla materia Zitadinanza y costituzion - bele dant “educazion zivica” – tl 2010 tla scoles de rujeneda taliana dla provinzia de Bulsan pieta l’ucajion per dé na udleda sun ciuna che l ie la “miscion storica” dla scola de rujeneda taliana dedite ti cunfins de chësc raion particuler, l Südtirol. La prejënza tl medem raion – te na realtà che dala vieres dl Nuefcënt à pertendù che l sibe “talian” – de de plu cumuniteies linguistiche danter chëstes la majera chëla tudëscia à purtà a desvië la istituzion a duvieres y istanzes ideoligiches-identiteres nia cunesciudes nzaul d’auter: y la maniera cun chëla che l ie unì interpretà si ncëria y si funzion do la segonda gran viera - che n se rënd cont particularmënter tl detail tl mumënt dl nseniamënt-tò su dla “virtù zeviles” – ie de ejëmpl. Scola sciche garant dla identità nazionela che vede a una cun la “educazion zivica”.

Political/civil education in South Tyrol’s Italian-language schools

The reading and interpretation of the 2010 inclusion of the discipline of citizenship and constitution – also called “civic education” – into the Italian-language schooling system in the province of Bolzano offers the opportunity of gaining ­insight into what is characterized as the “historical mission” of Italian-language schools within the confines of this particular region, South Tyrol. Coexistence – in a situation claimed as “Italian” by the wars of the twentieth century – of multiple minority-language communities, of which the predominant one is German, has shaped the structure of the institution towards­ ideological-identity tasks and requirements that are unknown elsewhere. The way in which its task and function was interpreted in the second postwar period – which is illuminated in great detail at the time of the teaching/learning of “civic virtues” – becomes illustrative. Schooling becomes a guarantor of national identity, using “civic education” as a ­testing ground.