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Gianfranco Cerea

Le adesioni alla previdenza complementare in Italia: le ragioni di un successo “a metà”

1. I profili generali della previdenza pubblica in Italia

Con le riforme attuate tra il 1992 ed il 1995, la previdenza italiana si è dotata di un sistema pensionistico misto e caratterizzato da notevoli modificazioni per quanto riguarda il calcolo delle prestazioni, l’età di pensionamento ed i livelli di tutela, rappresentati dal rapporto fra pensione e reddito da lavoro negli ultimi anni di attività.

Con la riforma del governo Amato, alla fine del 1992, fu introdotta l’armonizzazione degli ordinamenti pensionistici esistenti, eliminando in particolare i vantaggi di cui godevano i dipendenti pubblici rispetto ai lavoratori dipendenti ed autonomi del privato. Inoltre, fu previsto che ai fini del calcolo della pensione fosse assunto a riferimento l’intero arco della vita lavorativa e non più un periodo limitato agli ultimi anni precedenti il pensionamento.

Con la legge n. 335 del 1995, poi, è stato superato il tradizionale sistema di calcolo delle pensioni pubbliche a ripartizione, che fa riferimento alle retribuzioni. In particolare, il nostro paese – insieme alla Svezia – ha optato per il sistema contributivo, ovvero per un calcolo delle prestazioni che si basa sulla capitalizzazione dei versamenti previdenziali effettuati lungo tutta la vita lavorativa. Il legislatore ha previsto che la nuova modalità sia pienamente valida solo per coloro che hanno iniziato a versare contributi a partire dalla data del 31 dicembre 1995. Per tutti gli altri o rimane in vigore il vecchio modello retributivo (almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995) oppure viene adottato un sistema di calcolo misto, con una quota della pensione definita con il retributivo ed una con il contributivo.

Con la riforma Fornero di fine 2011, si è poi stabilito che a partire dal 1° gennaio 2012 le anzianità contributive maturate vengano calcolate per tutti i lavoratori con il sistema di calcolo contributivo. In questo modo, tutti i lavoratori che avrebbero usufruito di una pensione calcolata esclusivamente con il calcolo retributivo avranno una pensione in pro rata calcolata con entrambi i sistemi di calcolo. Una seconda misura ha riguardato l’età in cui andare in pensione. La soglia è stata innalzata per tutti a 66 anni: in misura graduata nel tempo per le donne impiegate nel comparto privato; dal 2012 per gli uomini e i dipendenti pubblici. La soglia è soggetta a revisione periodica ed è agganciata alle evoluzioni della speranza di vita. L’innalzamento dell’età viene affiancato dalla flessibilità nell’uscita dal lavoro. Da 62 anni a 70 anni il pensionamento diventa flessibile con applicazione dei relativi coefficienti di trasformazione del capitale accumulato con il metodo contributivo, calcolati fino a 70 anni.

Con questo complesso di riforme si è ottenuto un importante risultato per quanto attiene alla dinamica ed al controllo della spesa italiana per le pensioni, che in rapporto al Pil è la più elevata d’Europa1. Come risulta dal grafico, dopo l’impennata registrata sino al 2012, l’incidenza delle prestazioni pensionistiche è ormai orientata verso una sostanziale decrescita, garantendo altresì la piena sostenibilità della stessa sia nel medio che nel lungo termine.

Sul piano delle situazioni individuali, per i lavoratori giovani e meno giovani si è aperta una fase nuova, in cui il tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra pensione e l’ultimo reddito annuo percepito, non è più espressione esclusiva del numero di anni lavorati ma anche di altri due fattori:

i contributi effettivamente versati;

l’età al momento del pensionamento.

In particolare, a parità di altre condizioni il tasso di sostituzione risulta tanto più elevato se:

maggiori sono i contributi pagati, soprattutto con riferimento ai primi anni lavorativi;

maggiore è l’età cui si va in pensione.

Le due tabelle seguenti, ricavate dal lavoro di simulazione della Ragioneria Generale dello Stato (2014) (RGS)2, riportano gli effetti che l’adozione dei nuovi modelli di previdenza pubblica avranno sulle diverse generazioni, rispettivamente di lavoratori autonomi e dipendenti.

Tab. 1: Tassi di sostituzione fra pensione ed ultimo reddito da lavoro(1)

Tassi di sostituzione su redditi lordi

 

2010

2020

2030

2040

2050

2060

Ipotesi di base (2)

Anzianità contributiva pari a 38 anni

Dipendente Privato

74,1

68,0

67,7

61,9

63,7

64,2

(età/anzianità)

(65+4m/38)

(67/38)

(68+2m/38)

(66+2m/38)

(67/38)

(67+10m/38)

Lavoratore autonomo

73,0

52,1

46,9

47,5

50,9

51,8

(età/anzianità)

(65+7m/38) (3)

(67/38)

(68+2m/38)

(69+2m/38)

(70/38)

(70+10m/38)

Vecchiaia (4)

Anzianità contributiva parametrata all’età

Dipendente privato

68,9

66,1

68,0

70,6

74,0

76,7

(età/anzianità)

(65+4m/38+4m)(3)

(67/37)

(68+2m/38+2m)

(69+2m/39+2m)

(70/40)

(70+10m/40+10m)

Lavoratore autonomo

68,4

50,2

47,3

48,7

53,1

55,9

(età/anzianità)

(65+7m/35+7m)(3)

(67/37)

(68+2m/38+2m)

(69+2m/39+2m)

(70/40)

(70+10m/40+10m)

Tassi di sostituzione su redditi netti

 

2010

2020

2030

2040

2050

2060

Ipotesi di base(2)

Anzianità contributiva pari a 38 anni

Dipendente privato

83,2

77,3

77,0

71,4

73,1

73,6

(età/anzianità)

(65+4m/38)

(67/38)

(68+2m/38)

(66+2m/38)

(67/38)

(67+10m/38)

Lavoratore autonomo

94,0

74,1

68,1

68,7

72,8

73,7

(età/anzianità)

(65+7m/38)(3)

(67/38)

(68+2m/38)

(69+2m/38)

(70/38)

(70+10m/38)

Vecchiaia(4)

Anzianità contributiva parametrata all’età

Dipendente privato

78,2

75,5

77,3

79,8

83,1

85,8

(età/anzianità)

(65+4m/38+4m)(3)

(67/37)

(68+2m/38+2m)

(69+2m/39+2m)

(70/40)

(70+10m/40+10m)

Lavoratore autonomo

89,0

71,9

68,5

70,2

75,4

78,5

(età/anzianità)

(65+7m/35+7m)(3)

(67/37)

(68+2m/38+2m)

(69+2m/39+2m)

(70/40)

(70+10m/40+10m)

Fonte: Ragioneria Generale dello Stato (2014), pag. 18. Per i riferimenti citati in tabella si veda nel testo l’elenco numerato seguente.

Il tasso di sostituzione varia in ragione di diversi parametri ed è distinto al lordo ed al netto delle imposte.

La simulazione dei tassi di sostituzione è costruita intorno ad una serie di ipotesi di base3:

1. La dinamica della retribuzione/reddito individuale è stata assunta pari al tasso di variazione nominale della retribuzione lorda per unità di lavoro dipendente, per il periodo storico, e pari al tasso di variazione reale della produttività per occupato, per il periodo di previsione a partire dal 2015. Per il 2014, i valori del tasso di inflazione, del Pil e della retribuzione lorda per unità di lavoro dipendente, utilizzata come retribuzione di riferimento, sono desunti dal quadro macroeconomico elaborato per l’aggiornamento del Programma di stabilità 2014.

2. Per il lavoro dipendente, l’età di pensionamento è uguale al requisito minimo di vecchiaia per i soggetti assunti prima del 1° gennaio 1996 (regime retributivo e misto) e pari al requisito minimo previsto per il pensionamento anticipato (3 anni meno del requisito di vecchiaia) per i soggetti assunti successivamente a tale data (regime contributivo). Per il lavoratore autonomo, l’età di pensionamento è uguale al requisito minimo di vecchiaia in tutti e tre i regimi (retributivo, misto e contributivo). L’anzianità contributiva è di 38 anni per entrambe le tipologie di lavoratore.

3. Per le donne è possibile andare in pensione 5 anni prima.

4. L’età di pensionamento è pari al requisito minimo di vecchiaia; l’anzianità contributiva è parametrata all’età di pensionamento con inizio dell’attività lavorativa a 30 anni ed assenza di interruzioni di carriera.

5. La normativa fiscale di riferimento è quella vigente.

Rispetto alla situazione che si prospetta per il 2010, ancora basata sulle regole del sistema retributivo di calcolo delle pensioni, gli anni a venire registrano un calo generalizzato del rapporto fra pensione e reddito del lavoratore, sia dipendente che autonomo. Per un lavoratore dipendente con 38 anni di contribuzione si passa dal 74 per cento del 2010 – con un’età alla pensione di 65 anni e 4 mesi – al 62 per cento del 2040, con età alla pensione di 66 anni e 2 mesi; per gli autonomi dal 74 per cento – età di 65 anni e 7 mesi – al 47 per cento con 69 anni di età e 2 mesi.

Come si desume dalla seconda parte della tabella, le stesse situazioni valutate al netto delle imposte4 presentano percentuali più elevate, ma rimane comunque inalterato il giudizio in merito alla tendenziale riduzione della capacità di garantire i livelli di protezione del reddito attualmente vigenti, anche in presenza di un’età alla pensione più elevata.

Le conclusioni cambiano solo se si analizza il tasso di sostituzione nel caso in cui al crescere dell’età di pensionamento aumenti proporzionalmente anche il numero degli anni di contribuzione: quando si raggiunge ad esempio la soglia dei 40 anni di versamenti previdenziali a 70 anni di età, il tasso di sostituzione netto supera l’83 per cento per i dipendenti ed il 75 per cento per gli autonomi.

Tali giudizi, per quanto significativi, non tengono però conto dei vari fattori che potenzialmente incidono sul calcolo delle pensioni definite nel sistema contributivo: gli anni di contribuzione, ma anche l’età al momento della pensione e la dinamica relativa dei redditi.

A questo riguardo, dati più puntuali sulla sensitività dei tassi di sostituzione possono essere desunti dalla tabella 2.

Tab. 2: Analisi di sensitività dei tassi di sostituzione (1)

Dipendenti privati

 

2010

2020

2030

2040

2050

2060

Ipotesi di base (Hp.b.)(2)

74,1

68,0

67,7

61,9

63,7

64,2

(età/anzianità)

(65+4m/38)

(67/38)

(68+2m/38)

(66+2m/38)

(67/38)

(67+10m/38)

Età 

Hp.b. + 2 anni

74,1

71,3

72,4

66,1

68,0

68,6

Anzianità contributiva 

Hp.b. - 2 anni

70,2

64,2

63,9

58,8

60,4

60,6

Hp.b. + 2 anni

77,9

71,9

71,5

65,1

66,9

67,8

Dinamica retributiva 

Hp.b. e Pil per occupato – 0,5%

74,1

69,3

71,6

67,1

69,8

70,4

Hp.b. e Pil per occupato + 0,5%

74,1

66,8

64,1

57,3

58,3

58,7

Età/Anzianità contributiva 

Hp.b. + 2 anni

77,9

75,1

76,3

69,6

71,5

72,4

Lavoratori autonomi

 

2010

2020

2030

2040

2050

2060

Ipotesi di base (Hp.b.)(3)

73,0

52,1

46,9

47,5

50,9

51,8

(età/anzianità)

(65+7m/38)

(67/38)

(68+2m/38)

(69+2m/38)

(70/38)

(70+10m/38)

Età

Hp.b. + 2 anni

73

54,2

50,1

51,1

54,9

55,8

Anzianità contributiva

Hp.b. - 2 anni

69,2

48,3

43,2

45,3

48,5

48,9

Hp.b. + 2 anni

76,8

55,8

50,6

49,6

53,1

54,6

Dinamica retributiva

Hp.b. e Pil per occupato – 0,5%

73,0

53,1

49,6

51,3

55,8

56,8

Hp.b. e Pil per occupato + 0,5%

73,0

51,1

44,5

44,0

46,6

47,3

Età/Anzianità contributiva

Hp.b. + 2 anni

76,8

57,9

53,8

53,5

57,3

58,9

(1) La dinamica della retribuzione/reddito individuale è stata ipotizzata pari al tasso di variazione nominale della retribuzione lorda per unità di lavoro dipendente, per il periodo storico, e pari al tasso di variazione reale della produttività per occupato, per il periodo di previsione a partire dal 2015. Per il 2014, i valori del tasso di inflazione, del Pil e della retribuzione lorda per unità di lavoro dipendente, utilizzata come retribuzione di riferimento, sono desunti dal quadro macroeconomico elaborato per l’aggiornamento del Programma di stabilità 2014.

(2) L’età di pensionamento è uguale al requisito minimo di vecchiaia per i soggetti assunti prima del 1° gennaio 1996 (regime retributivo e misto) e pari al requisito minimo previsto per il pensionamento anticipato (3 anni inferiore al requisito di vecchiaia) per i soggetti assunti successivamente a tale data (regime contributivo).

(3) L’età di pensionamento è uguale al requisito minimo di vecchiaia in tutti e tre i regimi (retributivo, misto e contributivo).

Fonte: Ragioneria Generale dello Stato (2014), pag. 186

Assumendo a riferimento l’ipotesi di base per un dipendente con 38 anni di contribuzione fissi e l’età al pensionamento che segua la dinamica della speranza di vita:

aggiungere due anni di lavoro – a parità di (38) anni di contribuzione – comporta un innalzamento del tasso di sostituzione sui redditi lordi di 4,3 punti percentuali;

lavorare e contribuire due anni in più, a parità di età al pensionamento, aggiunge 3 punti percentuali;

lavorare e contribuire due anni in meno comporta una caduta del tasso di sostituzione di valore assoluto equivalente a quella sopra indicata;

se poi si lavora e si contribuisce per due anni in più il tasso di sostituzione sale di quasi 8 punti percentuali, ovvero a quasi l’80 per cento rispetto ai valori al netto delle imposte.

Un secondo aspetto riguarda l’impatto delle dinamiche reddituali.

Nel vecchio sistema di calcolo delle pensioni, basato sul criterio retributivo, la pensione era soprattutto influenzata dai valori assunti nella fase finale della carriera lavorativa. Ciò comportava – ed ancora comporta per molti soggetti che vanno attualmente in pensione – che quanto più “in ascesa” fosse la carriera del dipendente, tanto maggiore risultava la pensione, e viceversa. Numerosi studi5 hanno evidenziato come tale meccanismo generi una redistribuzione perversa dai lavoratori più deboli – con bassi redditi e bassa dinamica di carriera – ai più forti – con redditi elevati e compensi in ascesa.

Il sistema di calcolo contributivo rovescia le precedenti conclusioni. Come si ricava dalle analisi di sensitività, una dinamica retributiva associata ad uno 0,5 per cento in meno – rispetto alla media rappresentata da un salario che segua il Pil – comporta un tasso di sostituzione di oltre 5 punti percentuali più elevato; l’opposto avviene in presenza di una dinamica superiore alla media.

Infine si deve osservare che la categoria dei lavoratori autonomi è caratterizzata da fenomeni del tutto simili, anche se per costoro i tassi di sostituzione risultano sistematicamente inferiori a quelli dei dipendenti, essenzialmente a causa del ridotto livello dell’aliquota contributiva della categoria, tendenzialmente inferiore di un terzo rispetto a quella prevista per i lavoratori dipendenti.

2. La previdenza complementare ed il problema delle “inadeguate” adesioni

Per attenuare gli effetti connessi alla contrazione dei tassi di sostituzione e consentire ai lavoratori di garantirsi un reddito adeguato durante la vecchiaia, già la legislazione del 1993 ha previsto l’introduzione di forme pensionistiche complementari, fiscalmente incentivate ed attuate attraverso l’adesione volontaria a fondi pensione (Fornero 1999; Messori 2006).

Al pari di quanto è avvenuto in altri paesi, anche in Italia lo sviluppo della previdenza complementare è dunque chiamato a svolgere un ruolo chiave a sostegno della previdenza pubblica a carattere obbligatorio ed a garantire una vecchiaia serena, soprattutto per i lavoratori con carriere discontinue e per quelli autonomi, così numerosi nel nostro paese. Al riguardo occorre ricordare che il sistema italiano di previdenza complementare può contare su quattro tipologie di strumenti:

1. i fondi negoziali o chiusi, articolati in aziendali, categoriali e territoriali, ovvero in relazione al livello di aggregazione individuato per l’istituzione dello specifico strumento;

2. i fondi pensione preesistenti (rispetto alla riforma del 1992), operanti a livello essenzialmente aziendale e soprattutto bancario/assicurativo;

3. i fondi pensione aperti;

4. i piani individuali previdenziali (Pip), caratterizzati dall’associazione della posizione pensionistica ad una assicurazione sulla vita.

I primi due (fondi negoziali e preesistenti) sono strumenti di origine contrattuale, frutto di accordi fra lavoratori e rappresentanze delle imprese. Gli altri due sono invece di tipo privatistico e sono istituiti da banche, società di intermediazione mobiliare, imprese di assicurazione, società di gestione del risparmio, nonché enti autorizzati all’interno dell’Unione europea. Il complesso dei lavoratori autonomi e dipendenti è dunque nelle condizioni di costruire la propria previdenza “privata” ed a capitalizzazione finanziaria scegliendo fra strumenti “sindacali” – quali i fondi categoriali, aziendali e territoriali – e un ampio mercato competitivo costituito da 59 fondi aperti e ben 81 piani individuali previdenziali.

L’insieme degli strumenti individuati dal legislatore – peraltro simili a quelli adottati in molti altri paesi – dovrebbe rappresentare una premessa più che adeguata per consentire lo sviluppo della previdenza complementare anche nel nostro paese, con la conseguente possibilità di veder coperta, da queste nuove forme di sicurezza sociale, una parte consistente della forza lavoro.

Tab. 3: Iscritti e tasso di adesione alla previdenza complementare

Anno 2013

Tipologia di lavoratori

Iscritti(1)

Iscritti ­versanti(2)

Occupati(3)

Tasso di adesione(4)

lordo

netto

Dipendenti del settore privato

4.355.970

3.559.779

13.543.000

32,2

26,3

Dipendenti del settore pubblico

160.263

157.063

3.335.000

4,8

4,7

Autonomi(5)

1.687.530

1.057.343

5.542.000

30,4

19,4

Totale

6.203.763

4.774.185

22.420.000

27,7

21,3

Per memoria

 

Forze di lavoro

25.533.000

 

Tasso di adesione % forze di lavoro

 

 

24,3

18,8

(1) Iscritti a tutte le forme pensionistiche complementari, compresi i Pip istituiti precedentemente alla riforma del 2005 e non adeguati al decreto lgs. 252/2005. Si è ipotizzato che tutti gli aderenti lavoratori dipendenti dei fondi pensione aperti e dei Pip facciano riferimento al settore privato.

(2) Iscritti per i quali risultano accreditati versamenti contributivi nell’anno di riferimento.

(3) Il totale delle forze di lavoro, degli occupati e dei lavoratori autonomi è di fonte Istat, rilevazione sulle forze di lavoro. Il totale dei lavoratori dipendenti del settore pubblico è di fonte Ragioneria Generale dello Stato, Conto annuale delle Amministrazioni Pubbliche, ultimo aggiornamento disponibile riferito alla fine del 2012. Il totale dei lavoratori dipendenti del settore privato è ottenuto per differenza fra il totale degli occupati e la somma dei lavoratori autonomi e dei dipendenti pubblici.

(4) Tasso di adesione calcolato al lordo ed al netto degli iscritti non versanti.

(5) Con riferimento alle adesioni alla previdenza complementare, il dato include gli iscritti che non risulta svolgano attività lavorativa.

Fonte: Covip (2014).

La tabella 3, ricavata dalla relazione annuale 2013 della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensioni) riporta i dati delle iscrizioni suddivisi tra le varie tipologie di possibili aderenti, nonché il tasso di adesione riferito al bacino a cui si rivolgono gli specifici strumenti di previdenza complementare.

Come si può osservare, gli iscritti sono in tutto 6,2 milioni e rappresentano meno del 30 per cento dei potenziali interessati ed aventi diritto. La percentuale scende poi al 21,8 per cento se si considera il numero di coloro che hanno effettuato versamenti nel corso del 2013. Rispetto poi alla forza lavoro, la quota di coloro che aderiscono risulta inferiore al 19 per cento. Infine, occorre anche osservare che i dipendenti pubblici sono sostanzialmente “assenti”.

Tab. 4: Iscritti alle tipologie di previdenza complementare

 

Numero fondi

Iscritti (1)

Nuovi iscritti nel 2013(2)

Uscite nel 2013 (2)

Fondi pensione negoziali

39

1.950.552

63.000

82.000

Fondi pensione aperti

59

984.584

98.000

27.000

Fondi pensione preesistenti

330

654.627

20.000

27.000

Pip “nuovi”(3)

81

2.134.038

360.000

21.000

Totale(4)

510

5.760.578

512.000

127.000

Pip “vecchi”(5)

505.110

– 30.000

Totale generale(4)(6)

 

6.203.763

494.000

139.000

(1) I dati possono includere duplicazioni relative a soggetti iscritti contemporaneamente a più forme. Sono inclusi gli iscritti che non hanno effettuato versamenti nell’anno ed i cosiddetti differiti. Sono esclusi i pensionati.

(2) Dati parzialmente stimati. I dati riguardanti le singole tipologie di forma (fondi pensione negoziali, fondi pensione aperti, ecc.) sono al netto degli iscritti trasferiti da forme della stessa tipologia.

(3) Pip conformi al decreto lgs. 252/2005.

(4) Nel totale si include FONDINPS. Il totale è inoltre al netto di tutti i trasferimenti interni al sistema della previdenza complementare.

(5) Pip istituiti precedentemente alla riforma del 2005 e non adeguati al decreto lgs. 252/2005.

(6) Sono escluse le duplicazioni dovute agli iscritti che aderiscono contemporaneamente a Pip “nuovi” e “vecchi”.

Fonte: Covip (2014).

Anche i dati sulla dinamica delle adesioni, quando non sono deludenti risultano perlomeno problematici, come meglio vedremo in seguito.

Tab. 5: Evoluzione degli iscritti alla previdenza complementare per tipologie di strumenti

Anni

Fondi pensione negoziali

Fondi pensione aperti

Fondi pensione preesistenti

Pip
“nuovi”
(1)

Pip
“vecchi”
(2)

Totale(3)

Iscritti

1999

701.127

136.305

573.256

-

-

1.410.688

2000

877.523

223.032

591.555

-

-

1.692.110

2001

984.567

287.251

687.482

-

201.108

2.160.408

2002

1.021.186

337.600

679.603

-

357.313

2.395.702

2003

1.042.381

364.604

671.474

-

508.757

2.587.216

2004

1.062.907

382.149

666.841

-

628.176

2.740.073

2005

1.155.168

407.022

657.117

-

744.023

2.963.330

2006

1.219.372

440.486

643.986

-

880.380

3.184.224

2007

1.988.639

747.264

680.746

486.017

703.400

4.560.164

2008

2.043.509

795.605

676.994

701.819

674.332

4.850.782

2009

2.040.150

820.385

673.039

893.547

654.376

5.055.284

2010

2.010.904

848.415

668.625

1.160.187

610.098

5.272.579

2011

1.994.280

881.311

664.731

1.451.995

573.336

5.536.554

2012

1.969.771

913.913

662.162

1.794.835

534.816

5.848.727

2013

1.950.552

984.584

654.627

2.134.038

505.110

6.203.763

(1) Pip conformi al decreto lgs. 252/2005.

(2) Pip istituiti precedentemente alla riforma del 2005 e non adeguati al decreto lgs. 252/2005. Per tali piani, il numero delle forme non è riportato in quanto non significativo.

(3) Nel totale si include FONDINPS; sono escluse le duplicazioni dovute ai lavoratori che aderiscono contemporaneamente a Pip “nuovi” e “vecchi”.

Fonte: Covip (2014).

Fra il 1999 e il 2013, gli iscritti alle varie tipologie di fondi pensione sono passati da 1,4 milioni ad oltre 6,2 milioni.

Nella fase di avvio, il contributo prevalente, in termini di nuovi aderenti, è venuto dai fondi negoziali, istituiti da rappresentanze sindacali dei lavoratori dipendenti e dei datori di lavoro. Dai relativi dati, riportati nella prima colonna della tabella 5, si ricava in particolare che fra il 2006 ed il 2007 gli iscritti sono aumentati di oltre il 70 per cento: esito questo dovuto all’introduzione del meccanismo dell’adesione “tacita”, prevista dalla riforma del 20056 della previdenza complementare e che comporta l’automatica iscrizione al fondo pensione negoziale – a meno che il lavoratore dipendente opponga un esplicito diniego.

Per quanto rilevante, il balzo delle iscrizioni appare deludente sotto molti punti di vista.

Rispetto ad una platea rappresentata da oltre 13,5 milioni di dipendenti privati e 3,3 milioni di dipendenti pubblici, essere passati da 1,2 milioni di iscritti a quasi 2 milioni comporta che la quota degli aderenti sia passata dal 7 per cento all’11 per cento, ovvero ad un valore più elevato ma comunque molto contenuto e che fa della previdenza complementare un fenomeno ancora di élite.

La mancata generalizzazione delle adesioni, su cui confidavano gli estensori della norma sull’iscrizione tacita ai fondi, si è associata alla formulazione di uno specifico diniego da parte della maggior parte dei lavoratori, ovvero alla scelta esplicita, scritta e controfirmata di non voler aderire alla previdenza complementare.

Il carattere irreversibile, della scelta esplicita di non aderire, è ben testimoniato dalla serie di dati successiva al 2008, caratterizzata da una sostanziale stagnazione e poi lenta decrescita del numero di aderenti ai fondi negoziali.

Ben diverso è il quadro che emerge con riferimento agli strumenti istituiti e diffusi dal mercato: i fondi aperti ed i piani individuali previdenziali (Pip). I primi segnano una ascesa graduale ed ininterrotta; i Pip, istituiti con la riforma del 2005, conoscono un vero e proprio “boom”, che nell’arco di soli 7 anni li ha portati a superare abbondantemente la soglia dei 2 milioni di aderenti, facendo di essi il primo strumento di previdenza complementare in Italia.

I dati provvisori, relativi al 2014, confermano pienamente le tendenze ora descritte. Può risultare sicuramente sorprendente il fatto che una parte importante della crescita registrata dai fondi aperti ma soprattutto dai Pip sia dovuta alla componente del lavoro dipendente, ovvero alla scelta di aderire a strumenti “di mercato” da parte di soggetti che avrebbero uno sbocco più naturale e logico nei fondi negoziali: il 65 per cento delle nuove adesioni ai Pip del 2013 è dovuto a lavoratori dipendenti.

I problemi della previdenza complementare in Italia non si limitano però solo al numero assoluto degli iscritti. Altri elementi di insoddisfazione vengono dagli aspetti connessi all’età degli aderenti. Come si evince dal successivo grafico, soltanto il 15 per cento delle forze di lavoro con meno di 35 anni è iscritto ad una forma pensionistica complementare. Il tasso di partecipazione sale al 23 per cento per i lavoratori di età compresa tra 35 e 44 anni ed al 30 per cento per quelli tra 45 e 64 anni. Nel complesso, l’età media degli aderenti è di 45,2 anni, rispetto ai 42,1 delle forze di lavoro.

Fig. 2: Tassi di adesione alla previdenza complementare per classi di età

Fonte: Covip (2014).

Nelle pagine che seguono cercheremo di approfondire la tematica delle adesioni, evidenziando le variegate e possibili ragioni che sono alla base sia degli esiti insoddisfacenti che di una serie di oggettive distorsioni presenti nell’attuale assetto della previdenza complementare in Italia.

2.1 Una pensione “pubblica” ancora troppo generosa?

In Italia è opinione diffusa quella secondo cui le pensioni a ripartizione erogate dagli enti di previdenza siano “troppo basse”. In effetti, l’analisi della banca dati delle prestazioni pensionistiche evidenzia che 1,8 milioni di pensionati – su un totale di circa 16 milioni, riceve un trattamento pari a meno di 500 euro il mese, mentre altri 4 milioni non raggiungono i 1.000 euro.

In realtà, si dovrebbe riconoscere che questo dato risente di una lunga serie di fattori esplicativi, riconducibili in parte alla natura di talune prestazioni come quelle per l’invalidità o le erogazioni ai familiari superstiti di pensionati. Ma non si deve nemmeno dimenticare la presenza di una folta schiera di lavoratori agricoli – la cui contribuzione risulta estremamente modesta a causa delle particolari modalità di determinazione dei redditi agrari, ma anche dei lavoratori autonomi di altri settori, caratterizzati spesso da una diffusa evasione fiscale e contributiva.

Accanto alla categoria delle pensioni basse – dovute a redditi da lavoro altrettanto “bassi” – va anche ricordato che per lunghi anni i lavoratori del pubblico impiego hanno goduto della possibilità di percepire una pensione – anche se di importo inferiore ai 1.000 euro mensili – in età relativamente giovane (anche a partire dai 38-40 anni).

Se si depurano i dati della presenza di tutti questi fenomeni e si analizza la condizione dei “nuovi” pensionati italiani, si può osservare che la condizioni di questi ultimi rimane fra le migliori in Europa, secondo i dati Ocse. In particolare, il tasso di sostituzione, calcolato come rapporto fra la pensione pubblica ed il reddito da lavoro, risulta pari a circa il 78 per cento. In Germania siamo al 55 per cento, in Francia al 71 per cento, in Belgio al 50 per cento, nel Regno Unito al 38 per cento, in Svizzera al 43 per cento. Meglio dell’Italia fanno solo paesi come la Grecia, la Slovenia e l’Ungheria.

Fig. 3: Spesa pubblica e privata per le pensioni

Fonte: Oecd (2014).

In un simile contesto è del tutto normale che i lavoratori italiani non siano particolarmente interessati ad accantonare ulteriori risorse per la loro vecchiaia. Si tratta di un comportamento del tutto razionale. Si tende infatti a ricorrere allo strumento della previdenza complementare soltanto là dove la pensione pubblica offra una tutela inadeguata, ovvero in quei paesi come la Svizzera, l’Olanda, la Danimarca, il Regno Unito o la Germania, dove i trattamenti “pubblici” sono particolarmente bassi.

A contenere le esigenze per il risparmio previdenziale concorrono poi altri due fattori, che caratterizzano i comportamenti degli italiani:

una propensione al risparmio delle famiglie che rimane ancora abbastanza elevata nel panorama dei paesi avanzati e che per lungo tempo ha occupato le posizioni di testa;

la forte presenza di immobili di proprietà da parte delle famiglie, senza particolari distinzioni per categorie di lavoratori e che per quelli sopra i 50 anni di età supera l’80 per cento, contro il 60 per cento scarso dell’Austria ed il 70 per cento circa di Olanda e Danimarca.

2.2 Mercato del lavoro ed adesione ai fondi pensione

A oltre dieci anni dall’istituzione dei fondi pensione, la categoria dei negoziali presenta situazioni quanto mai diverse. Come risulta dalla tabella, accanto a forme di categoria che – come il fondo Fonchim rivolto ai chimici – raccolgono oltre i tre quarti dei potenziali interessati, ve ne sono altre che stentano a raggiungere la soglia del 10 per cento. Per contro, esiti abbastanza positivi sono conseguiti dai fondi aziendali – come quelli della Fiat, dell’Enel (Fopen), dell’Eni (Fondoenergia) o delle Poste.

La diversità dei risultati sembra dover essere ricondotta al rapporto fra lavoratore ed impresa: quanto più i fondi si riferiscono a settori caratterizzati da grandi imprese (la chimica) o a singole realtà aziendali, il dato delle adesioni risulta proporzionalmente maggiore rispetto a quanto si osserva nei casi in cui i dipendenti risultino occupati in imprese di piccola o piccolissima dimensione (i servizi o l’edilizia).

Tab. 6: Fondi negoziali. Dati relativi ai singoli fondi

Denominazione

Iscritti

Bacino potenziali iscritti

Tasso
di adesione

FONCHIM

146.824

191.500

76,7

FONDENERGIA

39.836

44.000

90,5

QUADRI E CAPI FIAT

11.331

16.600

68,3

COMETA

416.827

1.000.000

41,7

FONDOSANITA’

4.412

804.000

0,5

SOLIDARIETA’ VENETO

46.899

892.000

5,3

PREVIAMBIENTE

49.083

250.000

19,6

ALIFOND

48.959

240.000

20,4

LABORFONDS

113.657

245.000

46,4

COOPERLAVORO

70.572

349.500

20,2

FOPEN

43.461

47.000

92,5

PEGASO

30.091

50.000

60,2

PREVICOOPER

31.831

74.600

42,7

TELEMACO

60.514

150.000

40,3

ARCO

33.965

244.800

13,9

FONCER

15.231

29.600

51,5

FONDAPI

37.853

500.000

7,6

PREVIMODA

59.146

40.000

14,8

CONCRETO

6.955

10.000

69,6

FONTE

195.506

2.500.000

7,8

BYBLOS

33.717

200.000

16,9

GOMMAPLASTICA

50.324

100.000

50,3

MEDIAFOND

2.663

8.500

31,3

PREVAER

11.178

31.000

36,1

FILCOOP

9.983

160.000

6,2

EUROFER

37.987

90.000

42,2

PREVEDI

41.672

530.000

7,9

PRIAMO

57.920

130.000

44,6

FOPADIVA

6.837

28.000

24,4

FONDOPOSTE

94.443

145.000

65,1

ESPERO

98.824

1.200.000

8,2

ASTRI

8.409

15.000

56,1

AGRIFONDO

8.478

329.500

2,6

PREV.I.LOG.

8.737

100.000

8,7

FONTEMP

1.710

290.000

0,6

PERSEO

5.695

1.150.000

0,5

SIRIO

1.443

352.300

0,4

FUTURA

78

87.000

0,1

FONDAEREO

7.501

13.500

55,6

Fonte: Covip (2014).

Secondo alcuni studi di economia comportamentale, l’ambiente di lavoro può influenzare le decisioni individuali in materia di previdenza, sia sul piano dei comportamenti imitativi che della facilitazione della comunicazione e dell’informazione7. L’evidente corollario è che più numeroso è l’ambiente di lavoro, maggiori saranno le possibilità di discussione e valutazione in comune, ovvero più consistenti saranno le probabilità che altri seguano l’esempio di chi si è già iscritto ad un fondo pensione. Viceversa, nelle piccole aziende risulta molto bassa la probabilità che qualche dipendente abbia già aderito ad un fondo pensione, creando così un utile precedente anche per gli altri.

Possono poi essere ricordate le varie indagini svolte con riferimento alle motivazioni che i lavoratori adducono per giustificare la mancata adesione ad una proposta previdenziale offerta dai rispettivi datori di lavoro – fenomeno che negli USA interessa la metà circa dei dipendenti potenzialmente coperti da fondi pensione. In particolare da esse emerge come la brevità e la marginalità del rapporto di lavoro spieghi il 55 per cento delle decisioni di non aderire. Applicata al caso italiano questa conclusione potrebbe spiegare i diversi livelli di adesione per classe di età e settore, ricordando come i rapporti precari riguardino soprattutto le giovani generazioni e le imprese più piccole8.

Un ulteriore argomento va ricercato nel diverso ruolo che il Tfr (trattamento di fine rapporto) – inteso come componente fondamentale per il finanziamento delle pensioni complementari – riveste nei diversi ambiti occupazionali. Per coloro che intrattengono rapporti di lavoro di lunga durata, il Tfr rappresenta storicamente una componente di salario differito, accumulato per essere poi goduto al momento della pensione o comunque in casi di eccezionale necessità. Per i lavoratori in condizioni di precarietà, il Tfr costituisce invece un flusso di risorse che si rende sistematicamente disponibile nell’attesa di instaurare un nuovo rapporto di lavoro.

Dunque il Tfr rappresenta una forma di previdenza per i primi, un ammortizzatore “privato” e sostitutivo di ciò che manca nel “sociale” per gli altri. Se si accoglie una tale visione, diventa meno difficile ricostruire le ragioni che sono alla base delle profonde differenze di comportamento a livello di adesione ai fondi. In effetti, la quota di lavoro più stabile è tipica per gli occupati nelle aziende di maggior dimensione. Per costoro il trasferimento del Tfr alla previdenza integrativa rappresenta culturalmente solo una diversa e più vantaggiosa modalità di gestire il salario differito. Viceversa, per chi è occupato in piccole aziende ove la precarietà tende ad essere maggiore, l’adesione ad un fondo equivale ad un salto culturale, quale può essere il passaggio dalla rinuncia ad uno strumento di tutela immediata in favore di una tutela del tutto differita in tempi lontani. La stessa considerazione può essere estesa facilmente alla categoria dei giovani lavoratori così come alla componente femminile, la cui precarietà dei rapporti è spesso influenzata anche dalla famiglia.

Un’ultima considerazione va estesa al ruolo dei differenziali retributivi. Potrebbe infatti essere avanzata l’ipotesi secondo cui i dipendenti delle grandi imprese possano iscriversi in misura più consistente ai fondi pensione perché maggiore è la possibilità che proprio nelle grandi unità produttive si trovino addetti con redditi più elevati. Si tratta di un’interpretazione possibile. È però a nostro avviso difficile ritenere che i differenziali di reddito tra imprese di dimensione diversa ed all’interno delle stesse imprese siano tali da spiegare quote di adesione che variano da quasi zero al 100 per cento.

2.3 Il rapporto principale-agente

La previdenza complementare è chiaramente un comparto caratterizzato dalla presenza di significative asimmetrie ed informative che trovano giustificazione nella complessità del tema e nella diffusa ignoranza finanziaria che caratterizza la popolazione, non solo italiana. Esistono poi tutte le condizioni per ritenere che le decisioni di adesione e di investimento risentano di meccanismi che sono ben lontani dagli schemi di razionalità.

Questo campionario di fallimenti rappresenta sicuramente il riferimento migliore per spiegare una serie di situazioni a prima vista del tutto incomprensibili. Come abbiamo osservato in precedenza, le iscrizioni alla previdenza complementare risultano molto significative a livelli di fondi pensione aperti e soprattutto di Pip; sono invece stagnanti per i fondi negoziali. A distanza di anni dall’attivazione di questi strumenti si potrebbe ritenere che la diversa attrattività sia da ricondurre alla maggiore convenienza che, in un contesto competitivo e di mercato, qualche strumento offre in più rispetto ad altri.

Nelle due tabelle che seguono sono riportati i valori dei costi che caratterizzano i diversi strumenti previdenziali, nonché gli esiti raggiunti in termini di rendimenti retrocessi agli iscritti nel corso degli ultimi anni, indicativi di equivalenti differenze nelle future prestazioni di previdenza complementare.

Come risulta del tutto evidente, esistono significative differenze fra i vari strumenti: i fondi pensione negoziali – che perdono iscritti – costano meno ed hanno rendimenti maggiori sia dei fondi aperti che dei Pip – che invece attirano sempre più adesioni. Tra il 2007 ed il 2013, il rendimento ad esempio cumulato dalla linea obbligazionaria mista dei fondi pensione negoziali è quasi doppio di quello osservato dai Pip.

Tab. 7: Indicatore sintetico dei costi

Indicatore sintetico dei costi (ISC)

2 anni

5 anni

10 anni

35 anni

Fondi pensione negoziali

0,9

0,5

0,4

0,2

Minimo

0,4

0,2

0,1

0,1

Massimo

2,6

1,2

0,7

0,5

Fondi pensione aperti

2,1

1,4

1,2

1,1

Minimo

0,6

0,6

0,6

0,6

Massimo

4,5

2,8

2,2

1,7

Pip “nuovi”

3,5

2,3

1,8

1,5

Minimo

0,9

0,9

0,9

0,7

Massimo

5,4

3,8

3,0

2,5

Fonte: Covip (2014).

Tab. 8: Rendimenti annui delle tipologie di fondi

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

Fondi pensione negoziali

7,5

3,8

2,1

–6,3

8,5

3,0

0,1

8,2

5,4

Fondi monocomparto(2)

8,3

3,7

1,4

Fondi multicomparto

Garantito(3)

3,1

4,6

0,2

–0,5

7,7

3,1

Obbligazionario puro

2,1

2,6

2,2

1,6

2,9

0,4

1,7

3,0

1,2

Obbligazionario misto

6,9

2,7

2,1

–3,9

8,1

3,6

1,1

8,1

5,0

Bilanciato

7,9

5,6

2,4

–9,4

10,4

3,6

–0,6

9,2

6,6

Azionario

14,9

8,2

1,3

–24,5

16,1

6,2

–3,0

11,4

12,8

Fondi pensione aperti

11,5

2,4

– 0,4

–14,0

11,3

4,2

–2,4

9,1

8,1

Garantito(3)

2,9

1,0

1,9

1,9

4,8

0,7

–0,3

6,6

2,0

Obbligazionario puro

3,3

–0,2

1,6

4,9

4,0

1,0

1,0

6,4

0,8

Obbligazionario misto

6,4

1,0

0,3

–2,2

6,7

2,6

0,4

8,0

3,6

Bilanciato

11,4

2,4

–0,3

–14,1

12,5

4,7

–2,3

10,0

8,3

Azionario

16,2

3,7

–1,6

–27,6

17,7

7,2

–5,3

10,8

16,0

Pip “nuovi”

Gestioni separate(4)

3,5

3,5

3,8

3,5

3,8

3,6

Unit linked

–24,9

16,3

5,2

–5,7

8,9

12,2

Obbligazionario

2,7

4,1

0,7

0,9

5,3

–0,4

Bilanciato

–9,3

8,8

2,8

–4,0

7,4

6,6

Azionario

–36,5

23,1

7,5

–8,8

10,8

19,3

Fonte: Covip (2014).

Solo le asimmetrie informative ed il rapporto principale-agente che si forma fra il potenziale aderente ed il promotore possono spiegare comportamenti assurdi come quelli che si osservano nella dinamica delle iscrizioni alla previdenza complementare in Italia. Più in particolare, si può affermare che i fondi negoziali, promossi attraverso l’azione dei sindacati all’interno delle aziende, non reggono il confronto con la rete di vendita “porta a porta” che è invece tipica soprattutto dei Pip, che contano su una capillare rete di promotori finanziari.

2.4 Un’eccezione che conferma la regola

Nel panorama della previdenza complementare in Italia, il caso del Fondo pensione territoriale Laborfonds e, più in generale, del progetto della Regione Trentino-Südtirol sembrano rappresentare un’importante eccezione sia in termini di contenuti che di risultati conseguiti.

Attraverso un intervento legislativo regionale è stato previsto e realizzato un sistema basato su più strumenti di accumulazione coordinati e “complementari” tra loro, con servizi amministrativi ai fondi, consulenze e promozione a carico e cura dell’ente pubblico. In questo modo, tutta l’attività informativa è stata concentrata su un soggetto “terzo” – la società regionale PensPlan – che ha come obiettivo quello di ampliare la platea degli iscritti, conscio del fatto che più previdenza complementare “oggi” significa meno poveri “domani” e dunque un minor fabbisogno per interventi assistenziali pubblici (Cerea, 2002; Cerea, 2003; Peterlini, 2003).

Tab. 9: Iscritti alla previdenza complementare per territori

Anno 2013

 

Fondi negoziali

Fondi aperti

Pip nuovi

TOTALE

Forze di lavoro

(000)

Tasso di adesione

Trentino Alto Adige

120.934

46.275

34.145

201.354

509

39,6%

Italia Nord. Orient.

421.319

206.763

475.890

1.103.972

4.947

22,3%

Italia Nord. Occid.

700.248

348.543

635.943

1.684.734

7.541

22,3%

Italia Centrale

374.506

204.793

456.684

1.035.984

5.388

19,2%

Italia mer. ed isole

454.479

224.485

565.520

1.244.484

7.268

17,1%

ITALIA

1.950.552

984.584

2.134.038

5.069.174

25.663

19,8%

Elaborazioni su dati Covip (2014).

Dopo quasi vent’anni dall’inizio del progetto regionale, gli iscritti alla previdenza complementare (esclusi i fondi preesistenti) hanno superato le 200 mila unità, secondo le statistiche della Covip. In rapporto alla generalità della forza lavoro, la percentuale di diffusione sfiora il 40 per cento. Nessun altro territorio della penisola si avvicina a questi valori. Orientativamente le relative percentuali di adesione non sono lontane dalla metà di quanto osservato in Trentino-Südtirol.

Accanto al dato della diffusione merita qualche sottolineatura anche l’informazione rispetto alle tipologie di strumenti previdenziali. Si tratta di considerazioni tanto più importanti in quanto riflettono gli esiti delle “asimmetrie informative” che abbiamo prima ricordato.

Tab. 10: Distribuzione degli iscritti per tipologie di strumenti previdenziali

Anno 2013

 

Fondi negoziali

Fondi aperti

Pip nuovi

TOTALE

Trentino Alto Adige

60,0%

23,0%

17,0%

100%

Italia Nord. Orient.

38,2%

18,7%

43,1%

100%

Italia Nord. Occid.

41,6%

20,7%

37,7%

100%

Italia Centrale

36,1%

19,8%

44,1%

100%

Italia mer. ed isole

36,5%

18,0%

45,4%

100%

ITALIA

38,5%

19,4%

42,1%

100%

Elaborazioni su dati Covip (2014).

Come risulta dalla tabella 10 sulla distribuzione degli iscritti tra le varie forme di previdenza complementare, in Trentino-Südtirol i fondi negoziali raccolgono oltre il 60 per cento delle adesioni, ovvero ben il 50 per cento in più di quanto mediamente osservato nelle altre ripartizioni territoriali. I fondi aperti si collocano su livelli pari al 23 per cento, superiori ma non molto lontani da altre parti d’Italia. I Pip, che come abbiamo ricordato sono gli strumenti più “problematici”, perché associano rendimenti inferiori e costi più elevati, interessano il 17 per cento degli iscritti complessivi, contro la soglia ben superiore al 40 per cento dell’Italia.

Da questo complesso di dati si evince non solo il relativo successo di una specifica iniziativa territoriale e regionale. Ciò che soprattutto preme osservare è che essa rappresenta l’ennesima riconferma del fatto che, in presenza di fallimenti legati ad asimmetrie informative e razionalità limitata della popolazione, il mercato tenda a generare esiti insoddisfacenti e inefficienti. In questo senso appare fondamentale l’azione rappresentata dal ruolo dell’ente pubblico, in questo caso regionale.

Si tratta di una lezione che su scala nazionale non è stata adeguatamente compresa, sottovalutando le conseguenze ultime che tutto ciò potrà avere: cittadini che in futuro scopriranno di aver maturato tutele economiche inadeguate. Ma allora sarà troppo tardi per porvi rimedio.

3. Conclusioni

È diffusa la sensazione secondo cui la previdenza complementare in Italia non occupi le posizioni di testa nell’agenda sia della classe politica e sia degli esponenti sindacali. I dati sulla diffusione degli iscritti, un tempo oggetto di importanti riflessioni, sembrano essere diventate materia di osservazione solo in sede di relazione del presidente della Covip. Ancora più difficile è trovare traccia, nel dibattito degli operatori, di valutazioni in merito alle “inefficienze” legate alla scarsa conoscenza ed alle asimmetrie informative, soprattutto per quanto riguarda l’individuazione di possibili rimedi alle significative incongruenze.

In questo panorama sconfortante e di mancato sviluppo di un fondamentale strumento di autotutela, il vero latitante è però il soggetto pubblico. Le regioni in primo luogo, cui la riforma costituzionale del 2001 aveva riconosciuto poteri in materia di previdenza complementare, rispetto ai quali non è però stato possibile assistere ad una qualche azione legislativa.

Questa critica prende le mosse dall’esperienza della regione Trentino-Südtirol che appare come l’unica realtà a segnare risultati e progressi nel campo della previdenza complementare, fornendo al contempo segni di maggiore “razionalità” delle scelte dei lavoratori, meno influenzate che altrove dalla “pressione” esercitata dall’offerta.

Al riguardo si potrebbe ritenere che tali esiti vadano esclusivamente ricondotti alla dimensione territoriale capace di garantire una maggiore vicinanza fra l’istituzione previdenziale e gli iscritti, ovvero informazioni più accessibili e rapporti più immediati.

In realtà la dimensione locale dell’offerta previdenziale appare come una potenziale condizione necessaria ma non certo sufficiente. A questa conclusione si perviene osservando le vicende di altri due fondi pensione territoriali, nati contemporaneamente al progetto del Trentino-Südtirol:

Fopadiva, il fondo istituito in Valle d’Aosta che ha meno di 7 mila iscritti ed un tasso di adesione del 24 per cento;

Solidarietà Veneto, il fondo istituito in Veneto che raccoglie circa 47 mila soggetti e che registra un tasso di adesione del solo 5,3 per cento.

In entrambi i casi, gli esiti sono ben lontani da quelli registrati in Trentino-Südtirol. Segno questo che non è lo strumento pensionistico in quanto tale a fare la differenza, quanto invece la tipologia e la qualità dell’azione di promozione e di supporto fornita dall’ente regione e dall’istituzione PensPlan.

Il mercato e il generico appello alla responsabilità risultano inefficaci quando si aspira a “traghettare” una parte importante della popolazione da un sistema di previdenza puramente pubblico ad uno misto, in cui si debbano apprendere nozioni nuove, confrontarsi con problematiche altrimenti sconosciute, superare resistenze ed asimmetrie informative. Occorre che qualcuno – la regione meglio dello Stato – si faccia carico, come soggetto terzo e nell’interesse generale, di colmare le inadeguatezze sul piano conoscitivo e di creare un clima di fiducia.

Note

1 Secondo i dati Oecd (2014), il rapporto fra spesa pensionistica e Pil in Italia è pari al 15,4 per cento, in Francia al 13,7 per cento, in Germania all’11,3 per cento, in Austria al 13,5 per cento, in Spagna al 9,3 per cento.

2 Ragioneria Generale dello Stato (2014), pag. 18.

3 I punti dell’elenco seguente corrispondono ai riferimenti citati in tabella. Per informazioni più dettagliate su queste ed altre ipotesi di dinamica di lungo periodo si veda la metodologia dello studio Rgs (2014).

4 I tassi di sostituzione sui redditi netti risultano superiori a quelli sui redditi lordi per effetto della progressività dell’imposta personale sul reddito.

5 Per tutti si veda Boeri (2000).

6 Si veda il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 che prevede l’istituzione di una nuova disciplina in materia di previdenza complementare. Per quanto riguarda le adesioni, il decreto ha avuto effetto con decorrenza 1 gennaio 2007.

7 Per i necessari riferimenti ed una verifica empirica si veda Cerea (2004); Duflo, Saez (2002); MEFOP (2013)

8 Si veda ancora Cerea (2004).

Riferimenti bibliografici

Boeri, Tito (2000). Uno Stato asociale. Perché è fallito il Welfare in Italia, Bari: Laterza

Cerea, Gianfranco (2002). The role of the regions in social security provision: the economic background for a legislative innovation, in: Theurl, Engelbert/Thöni, Erich (Hg.), Zukunftsperspektiven der Finanzierung öffentlicher Aufgaben, Wien: Böhlau, 113-133

Cerea, Gianfranco (2003). Il ruolo delle regioni e la riforma dei sistemi pensionistici, in: Economia Pubblica, n. 1, 49-70

Cerea, Gianfranco (2004). Lo sviluppo della previdenza complementare ad adesione volontaria: il ruolo dei comportamenti imitativi, in: Politica Economica, n. 1, 31-56

Commissione di vigilanza sui fondi pensioni – COVIP (2014). Relazione per l’anno 2013, Roma, maggio

Duflo, Esther/Saez, Emmauel (2002). Participation and investment decisions in a retirement plan: the influence of colleagues’ choices, in: Journal of Public Economics, vol. 85, n. 1, July, 146-158

Fornero, Elsa (1999). L’economia dei fondi pensione. Potenzialità e limiti della previdenza privata, Bologna: Il Mulino

Messori, Marcello (a cura di) (2006). La previdenza complementare in Italia, Bologna: Il Mulino

OECD (2014). OECD Pensions Outlook 2014, Paris: OECD Publishing

Peterlini, Oskar (2003). Le nuove pensioni, Milano: Franco Angeli

MEFOP Quaderni Mefop (2013). La previdenza comportamentale, n. 18, Roma

Ragioneria Generale dello Stato (2014). Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario – Le previsioni della Ragioneria Generale dello Stato aggiornate al 2014, Rapporto n. 15

Fig. 1: Rapporto fra spesa pubblica per le pensioni e Pil

Fonte: Ragioneria Generale dello Stato (2014), pag. 15.

Abstracts

Beteiligung an Zusatzrentenfonds in ­Italien: die Gründe eines „halben“ Erfolgs

Die unterschiedlichen Pensionsreformen haben in Italien die Modalitäten der Berechnung der Renten grundlegend verändert und haben auf diese Weise die Basis für ein System geschaffen, in dem der einzelne Bürger Verantwortung übernimmt und das sich nachhaltig auf die zukünftige nationale Wirtschaft auswirkt. Eine der ersten gesetzlichen Maßnahmen war die Einführung des Zusatzrentenfonds, der als „privater“ Grundpfeiler die Rendite des öffentlichen Rentenfonds ergänzen sollte. Der Erfolg dieser Maßnahme, die bereits vor zwanzig Jahren ergriffen wurde, ist jedoch weitestgehend ausgeblieben: Die Beteiligung am Fonds ist auf einen geringen Prozentsatz an Arbeitnehmern begrenzt und die Wahl der Finanzinstrumente ist von asymmetrischen Informationen und fehlender Rationalität gekennzeichnet.

Vor diesem Hintergrund ist die Region Trentino-Südtirol eine Ausnahme. Die Entscheidung, durch öffentliches Engagement die Zusatzrentenfonds bekannt zu machen und zu fördern und die Bürger darüber zu informieren, hat sich als erfolgreich erwiesen und es konnten Resultate erreicht werden, die in Italien ihresgleichen suchen.

Access to additional social security funds in Italy: why it is just “half” a success

The various reforms of the Italian social benefit system have deeply changed the modalities of the calculations of public pensions. They have created the premises for a system that draws the single individual to be more responsible while being sustainable, in the medium-long term, for the national economy. One of the first legislative interventions was the introduction of an additional social security, as a “private” pillar needed to integrate the income of allocated public benefits. After about twenty years, the new tool has still not taken off: adhesions regard just a modest percentage of workers, and the choices of financial tools seem to be influenced by information asymmetries and scarce rationality.

Within the present context, the action that has been carried forth by the Trentino - South Tyrol region represents an important exception. Thanks to public commitment, the strategy of supporting targeted information and the promotion of integrated pension funds has been winning. It has allowed for the attainment of quantitative and qualitative results that have no equal in the rest of Italy.