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Michele Buonerba

Riforma dello Statuto regionale:
da un errore di metodo all’esclusione delle sfide sociali del futuro – una riflessione

L’unica prosperità possibile è quella condivisa. (Joseph Stiglitz)

The reform of the regional statute: from a method-mistake to the ­exclusion of social issues: an opinion piece

Abstract Against the backdrop that parts of the population still dream of an independent State, we have always been rather skeptical if South Tyrol’s political majority really wanted to embark on the revision of the Autonomy Statute. Our skepticism has originated from the observation of how South Tyrol has evolved over the last decades and was confirmed by – in our view – the unsuccessful conclusions drawn by the Convention of 33. We contest the method chosen by the South Tyrolean Provincial Council for implementing the Autonomy Convention. It resulted into some kind of fanaticism. This could have been avoided if the legislator had decided not to organize the works along ethnic lines. Moreover, the political parties should have presented concrete programs. On the contrary, the participatory process in Trentino worked well: more experts were involved, and also the meetings with the citizens produced interesting results with regard to the three major issues we refer to in this opinion piece: work, economy, social policies and health.

1. Premessa

Siamo sempre stati scettici in merito all’effettiva volontà della maggioranza politica altoatesina di avviare un processo di revisione dello Statuto di autonomia della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol. La nostra era una convinzione da attribuire all’osservazione dell’evoluzione legislativa sia rispetto alle norme di attuazione che allo sviluppo delle leggi provinciali. Si è sempre optato per l’immutabilità nel tempo delle prime e spesso per la dubbia qualità e sostenibilità delle seconde che, in diverse occasioni, sono state giudicate illegittime dalla Corte Costituzionale.

L’istituzione della Convenzione sull’Autonomia l’abbiamo valutata con scetticismo durante la fase prodromica all’approvazione della legge che l’ha istituita e con la certezza che il progetto sarebbe fallito dopo aver letto il testo licenziato dal Consiglio provinciale.

L’alta collocazione della carta fondamentale dell’autonomia nella gerarchia delle fonti del diritto richiederebbe che si evitasse il metodo dei colpi di maggioranza nel processo decisionale. Sono proprio le assise nelle quali si definiscono le regole del gioco, quelle nelle quali andrebbe trovata la massima condivisone possibile. Si tratta di utilizzare un vaccino contro il fanatismo, ma per farlo è necessaria la disponibilità ad affrontare talora situazioni aperte che non si concludono con una rapida chiusura del cerchio.

Forse si sarebbe dovuta evitare la composizione su base etnica e di genere di questa assise optando per l’elezione di un’assemblea costituente alla quale i partiti avrebbero dovuto esporsi con un programma concreto prima del voto a suffragio universale. L’approvazione del documento finale ad opera del Consiglio provinciale, in una seconda fase, da quello regionale e infine dal Parlamento nazionale avrebbe avuto una maggiore legittimazione popolare.

Il legislatore trentino, almeno sul piano della composizione, si è dimostrato lungimirante: in termini di competenza e autorevolezza gli esponenti chiamati a gestire i lavori e la scrittura dei testi ne dovrebbero garantire una coerenza con la gerarchia delle fonti. In questo senso la partecipazione popolare, guidata da mano esperte, sta generando dei risultati decisamente interessanti1 rispetto a quanto emerso dalla Convenzione sull’Autonomia.

Se consideriamo che l’art. 103 II comma dello Statuto vigente, che attribuisce l’iniziativa per le modificazioni dello stesso al Consiglio regionale su proposta dei Consigli delle due Province autonome, risulta evidente che aver imboccato due percorsi separati e non coordinati tra loro, ha reso un sentiero già stretto difficile da percorrere fino alla meta finale.

2. Affinità e divergenze rispetto alle risultanze del Forum dei 100: i riferimenti ai temi economici, sociali e quelli del lavoro

La speranza è un sogno che si fa da svegli. (Aristotele)

A nostro parere nel Forum dei 100 è stata dimostrata una maggiore lungimiranza rispetto a quanto emerso dalla “Convenzione dei 33”. Ci riferiamo alle materie

lavoro

economia

politiche sociali e sanità

2.1 Lavoro

Il gruppo di lavoro che aveva il compito di elaborare una proposta in questo ambito ha scelto di concentrarsi su alcuni temi: potestà legislativa in materia di diritto del lavoro, proporzionale e bilinguismo, parità di genere e formazione professionale. Anche se di competenza di un altro gruppo di lavoro si è fatto accenno al diritto ad una vita dignitosa.

L’esercizio dialettico in materia di diritto del lavoro ha manifestato una certa insofferenza nei confronti del legislatore nazionale che, a parere di chi scrive, negli ultimi anni si è reso responsabile di un’eccessiva rinuncia alle tutele per il prestatore di lavoro. Ci è parso inutile il tentativo di intervenire in ambito statutario. Sappiamo che il diritto civile, al quale quello del lavoro appartiene, non potrà che rimanere una competenza dello Stato. Inoltre, non crediamo che un’ipotetica delega alla Regione migliorerebbe le condizioni dei lavoratori. Se ci riferissimo alla sola tutela della salute, materia per la quale è in essere una delega gestionale, dovremmo dire che in Alto Adige/Südtirol si riscontra costantemente una frequenza d’infortuni che spesso non ha pari con altre regioni. Una delle ragioni rimane certamente quella della parziale rinuncia all’esercizio del potere di coercizione da parte della Provincia autonoma di Bolzano.

Il ragionamento portato avanti dalla commissione in tema di proporzionale etnica è stato decisamente interessante. L’applicazione agli enti locali ed alle società pubbliche, non previsto dallo Statuto vigente, ma introdotto con legge provinciale, ha permesso un accesso regolato all’impiego pubblico. Allo stesso tempo non è stato esercitato fattualmente un altro pilastro della nostra autonomia: l’effettivo bilinguismo del personale. In questo senso valutiamo positivamente la proposta di diffondere la conoscenza degli idiomi ufficiali della Provincia. Se si arrivasse a questo risultato, l’applicazione della proporzionale diverrebbe nel tempo meno rilevante e potrebbe essere applicato in modo efficace il principio della meritocrazia nella selezione del personale.

Meritoria la proposta di introdurre strumenti anche di natura statutaria per la parità di genere nell’accesso e nello sviluppo sociale di tutti i cittadini e di tutte le cittadine. Il diritto al vita dignitosa andrebbe ricondotto anche a questo ambito.

La formazione professionale è una tradizione che vede la nostra provincia all’avanguardia nazionale da decenni. Il legislatore, prima di esercitare la sua competenza, ha voluto conoscere il nostro sistema dell’apprendistato duale e dal 2011 è stato finalmente inserito nell’ordinamento dello Stato. Il riconoscimento del titolo di “maestro artigiano” tra quelli aventi valore legale crediamo sarebbe importante sia per chi lo consegue che per i consumatori. Questi ultimi sarebbero garantiti anche dall’alta professionalità acquisita attraverso questo lungo percorso di formazione certificato.

2.2 Economia

In questo ambito la globalizzazione è fattore economico irreversibile e pertanto l’identificazione con il territorio è importante in termini di valorizzazione dei beni e dei servizi. Altre forme di identificazione, come quelle sottintese dalle risultanze del gruppo di lavoro che ha espresso il parere nell’ambito del Forum dei 100, sono nostro giudizio fuorvianti e anacronistiche: l’alto costo del lavoro permette alle imprese di generare fatturato solo se in grado di offrire prodotti e servizi ad alto valore aggiunto. Gli altri ambiti trattati hanno tutti una rilevanza strategica rispetto allo sviluppo del territorio nell’ambito di un’economia sempre più orientata alla conoscenza. Importante la sottolineatura del diritto alla formazione tecnologica, al plurilinguismo, alla formazione permanente, alla sicurezza sul lavoro ed altri ambiti come la conservazione del patrimonio storico e all’energia. In questi contesti il legislatore comunitario è intervenuto a più riprese e quello nazionale per recepimento. L’economia globalizzata, se orientata alla riduzione delle disuguaglianze, richiede la possibilità di comparare le competenze acquisite come già avviene in ambito linguistico e accademico. Se da un lato vediamo positivamente la possibilità, almeno su base volontaria, di diffondere nelle scuole il metodo CLIL per l’acquisizione di competenze linguistiche, dall’altro vediamo con preoccupazione l’illusione che nell’ambito della conoscenza tecnica e scientifica si possa pensare all’autosufficienza di una provincia così piccola come quella altoatesina. La collaborazione tra università e centri di ricerca è importante solo se si comprendono i limiti di un’economia locale diversificata, ma trainata da turismo e agricoltura. L’esercizio dialettico del gruppo di lavoro del Forum dei 100 denota una certa volontà di chiudere questo territorio come se la sua apertura fosse in un certo senso temuta. A solo titolo di esempio, la proposta di avere la possibilità di pagare l’energia meno di altri darebbe un vantaggio immediato, ma un sistema tariffario unico europeo permetterebbe una sana trasparenza attraverso la quale rendere la competitività tra le imprese basata più sulla capacità innovativa che su quella dei costi tipici delle produzioni a basso valore aggiunto. Infine la volontà di ripristinare il Consiglio economico delle parti sociali abolito all’inizio degli anni ’90 del Novecento. La relazione tra le parti sociali non avrebbe bisogno di essere istituzionalizzata se tra esse vi fosse un reciproco riconoscimento basato su principi di effettiva rappresentatività e se esso fosse orientato al bene comune. Negli anni scorsi il dialogo tra le parti sociali avrebbe potuto generare innovazioni significative per la popolazione locale. Ad esempio un sistema unitario di sanità integrativa che purtroppo si è realizzato solo parzialmente. Avere il vento a favore non serve a nulla se il timoniere non ha chiara la meta da raggiungere e purtroppo le parti sociali altoatesine non sono in grado di trovare intese innovative per migliorare le condizioni di reddito e di qualità del lavoro: si preferisce attuare pedissequamente solo quanto definito a livello nazionale rinunciando ad un alto valore aggiunto meglio definibile in ambito locale. Forse qualcuno si illude che istituzionalizzare questa relazione inefficace porterebbe ad un cambio di paradigma. Il fallimento del passato si ripeterebbe e nella migliore delle ipotesi in quel contesto ci si occuperebbe di prestazioni sociali e di sanità. Le relazioni industriali di qualità dipendono dalla volontà delle parti e non da quella del legislatore che, se lo ritiene importante, le può al massimo incentivare.

2.3 Politiche sociali e sanità

Il gruppo di lavoro che ha approfondito questo tema ha rilevato con merito le sfide che ci aspettano rispetto all’invecchiamento della popolazione. Il diritto all’invecchiamento dignitoso è un principio che sottoscriviamo, ma è illusorio declinarlo solo con le risorse pubbliche. Solo un sistema integrato pubblico-privato senza fini di lucro potrà generare l’effettività del principio ad una vecchiaia dignitosa per l’universo della popolazione. Lo stesso possiamo dirlo per il reddito di base, per la tutela dell’infanzia e più in generale per la tutela della salute. Da quanto abbiamo letto ha prevalso l’approccio assistenziale alle politiche sociali che potrebbe rivelarsi pericoloso per le finanze pubbliche locali senza risolvere i problemi che entro qualche anno saranno emergenti se la spesa corrente del bilancio provinciale non sarà più bilanciata rispetto a quella in conto capitale. Abbiamo vissuto per decenni con sovvenzioni a pioggia non condizionate a comportamenti virtuosi da parte dei destinatari. In futuro la scarsità dei bilanci pubblici che si determinerà a causa dell’invecchiamento della popolazione dovrebbe prevedere l’armonizzazione tra il sistema pubblico ed un welfare integrativo locale. In esso va ricompresa la sanità, la previdenza e tutto l’ambito socio-sanitario. La materia è stata ampiamente regolamentata dal legislatore nazionale, ma in modo confuso, poco trasparente e pertanto inefficace. In questo ambito sarebbe strategico avere una competenza statutaria perché dovremmo ambire al mantenimento nel tempo di un buon livello di un livello di prestazioni universale. La recente legge di stabilità,2 soprattutto in ambito sanitario, da sola non basta.

La Consulta del Trentino non si è occupata di lavoro economia e sociale. Questo aspetto rappresenta per noi una sorpresa se consideriamo le norme di attuazione approvate dal Governo nel corso degli ultimi anni. Quelle afferenti a questi temi sono state tutte originate da una specifica volontà della Giunta provinciale trentina. In Alto Adige/Südtirol non si è data attuazione a queste nuove potestà legislative acquisite e questo non depone certamente a favore di un territorio che si vorrebbe declinare in modo più sociale.

3. Conclusioni

Il coinvolgimento popolare è importante nella fase di condivisione di un progetto per il quale la classe dirigente, se si vuole definire tale, dovrebbe assumersi le proprie responsabilità presentando una proposta concreta, realizzabile e orientando conseguentemente il dibattito pubblico. A questo fine è necessario che il nuovo Statuto di autonomia sia coerente con la Costituzione della Repubblica Italiana in un mutato contesto giuridico come quello vigente che ha visto negli anni una parziale cessione di sovranità dallo Stato all’Unione Europea. Il legislatore provinciale altoatesino ha permesso che il dibattito fosse dirottato da un contesto di sano pragmatismo, coerente con la gerarchia delle fonti del diritto, ad uno giuridicamente fuorviante e per alcuni aspetti con tratti demagogici. Leggendo il documento finale, approvato a maggioranza, si è avuta l’impressione che il sogno di uno stato indipendente sudtirolese sia ancora maggioritario nella popolazione locale. Ci è parso di notare che le mutazioni sociali intervenute nel corso dei decenni e che hanno ridefinito la morfogenesi culturale osservabile nella società, siano state rimosse dal dibattito. I cittadini di origine straniera e le persone mistilingui pare non siano di casa in questo territorio e troviamo davvero incomprensibili le motivazioni che hanno portato a redigere un documento nel quale si fa esplicito al principio all’autodeterminazione dei popoli. Tale principio, così fortemente caricato di valore simbolico durante il dibattito, porterebbe a pensare che la minoranza di lingua tedesca in Italia sia un popolo minacciato perché sottoposto alla dominazione straniera da uno stato che pratica la colonizzazione. Onestamente, ci pare eccessivo soprattutto se pensiamo che sono passati oltre 25 anni dalla chiusura della controversia sudtirolese che fu notificata all’ONU il 19 giugno del 1992.

Il risultato finale emerso a Bolzano sarà forse presentabile all’opinione pubblica in vista delle prossime scadenze elettorali, ma lo Statuto di autonomia rimarrà a lungo quello vigente e forse era proprio questo l’obiettivo dell’attuale maggioranza politica altoatesina.

Note

1 La Consulta del Trentino, al momento di scrivere, non ha ancora concluso i suoi lavori. Ogni riferimento all’esito dei lavori sarà pertanto riferibile solo al documento preliminare ed a quanto elaborato fino a dicembre 2017.

2 I commi 171 e 177 della legge di stabilità per il 2018 hanno previsto una specifica tutela per la previdenza e la sanità integrativa di natura territoriale esistente in Trentino-Alto Adige/Südtirol.

Riferimenti bibliografici

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2017/12/29/17G00222/sg (10.02.2018)

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Fait, Stefano/Fattor, Mauro (2010), Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso, Bolzano: Edition Raetia

Giudiceandrea, Lucio (2006), Spaesati. Italiani in Südtirol, Bolzano: Edition Raetia

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Provincia Autonoma di Bolzano (2009) (a cura di), Il nuovo Statuto di Autonomia, Bolzano: Appiano