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Martina Trettel/Alice Valdesalici

L’autonomia finanziaria alla prova della ­democrazia partecipativa nelle Province autonome di Trento e Bolzano

The financial autonomy of the autonomous Provinces Trento and ­Bolzano/Bozen put to the participatory democracy test

Abstract The paper focuses on the interaction between the provincial financial autonomy and participatory democracy instruments. To this extent, the subnational constitutional framework is addressed with the aim to sketch out the foundations of the financial regime paying due attention to its criticalities and major recent developments. The adopted per­spective questions the issues raised during the discussions held within the participatory ­bodies instituted in the Provinces of Trento and Bolzano/Bozen for reforming the Auto­nomy Statute. This, in order to test the functioning of innovative democratic tools in decision-­making processes on highly technical issues such as financial and fiscal autonomy. The internal debates of the participatory bodies raise serious criticism with regard to the adequacy of such instruments in effectively improving the quality of the financial system as a whole. In fact, the highly technical nature of this policy field turns out to be a barrier for those who are not expert in the field.

1. Introduzione

Il presente contributo intende analizzare gli aspetti dell’ordinamento finanziario delle Province autonome di Trento e Bolzano emersi dai dibattiti delle assemblee partecipative attivate nel contesto del processo di revisione statutaria. È infatti noto che a partire dall’anno 2016, le Province autonome hanno deciso di intraprendere due percorsi partecipativi paralleli finalizzati ad attivare una discussione il più ampia e inclusiva possibile, e riguardante gli aspetti più salienti della autonomia speciale nell’ottica di un aggiornamento della sua norma fondamentale, lo Statuto di autonomia.

Considerata la centralità della dimensione finanziaria rispetto all’autonomia speciale, non sorprende riscontrare come una parte consistente dei dibattiti di Consulta e Convenzione sull’Autonomia si sia incentrata proprio sull’analisi dello status quo dei sistemi di finanza provinciale, mettendone in luce punti di forza e di debolezza al fine elaborare una proposta di manutenzione del titolo VI dello Statuto, dedicato alla materia.

Tuttavia, ciò è avvenuto non senza difficoltà, da un lato, per la complessità che caratterizza la materia e la rende monopolio degli addetti ai lavori, dall’altro, per i limiti degli strumenti della democrazia partecipativa quando messi alla prova in ambiti che presentano un elevato livello di tecnicismo.

Alla luce di queste osservazioni preliminari, i paragrafi che seguono offriranno in primis una ricostruzione dell’assetto finanziario vigente (par. 2 e 3), per poi passare in rassegna le tematiche analizzate nel corso dei dibattiti partecipativi di Consulta e Convenzione sull’Autonomia (par. 4) e concludere riportando quanto emerso nelle discussioni alla più generale dimensione della democrazia partecipativa, per comprendere se e come i suoi strumenti possano essere impiegati per l’adozione di decisioni riguardanti la finanza pubblica (par. 5).

2. L’assetto finanziario vigente dopo l’accordo di Milano (dal 2010)

Nel 2009 in seguito alla stipula dell’accordo di Milano1 sono state apportate modifiche sostanziali all’ordinamento finanziario delle due Province autonome di Trento e Bolzano, perseguendo, da un lato, un consolidamento dell’autonomia finanziaria e, dall’altro, il coordinamento tra la finanza pubblica provinciale e quella statale in applicazione dell’art. 27 della legge delega 42/2009 (Magnago 2013), ovvero definendo forme e strumenti con cui le Province contribuiscono al riequilibrio finanziario.1

Il consolidamento dell’autonomia è conseguenza delle revisioni apportate alla finanza provinciale con riferimento sia al lato delle entrate, sia a quello delle spese. In particolare, per quanto concerne la struttura delle entrate si riscontra nel complesso un rafforzamento delle componenti di natura tributaria - riconducibile, in parte, all’estensione delle quota di compartecipazione ai 9/10 del gettito proveniente dalla (quasi) totalità dei tributi statali, in parte, alla modifica dei criteri per il calcolo del gettito riferibile al territorio provinciale, in parte, ad una riduzione significativa di tutte le altre voci di bilancio di cui al categoria “trasferimenti statali”.

Rispetto ai criteri per il calcolo del gettito tributario riferibile al territorio la novità più significativa riguarda la previsione – direttamente nello Statuto – di una disciplina ad hoc. Per alcuni tributi sono fissati dei criteri specifici declinati in base all’architettura del singolo tributo o della sua base imponibile, per tutti gli altri è stato invece introdotto un criterio generale da applicarsi in via residuale in mancanza di disposizioni specifiche, per cui il gettito riferibile di spettanza provinciale si determina prendendo come riferimento “indicatori o altra documentazione idonea per valutare i fenomeni economici che hanno luogo sul territorio interessato” (ex art. 75-bis Statuto). In questo modo si supera il criterio del luogo di riscossione a favore di quello del luogo in cui viene a maturazione la fattispecie tributaria, favorendo il legame tra dotazione finanziaria e reale capacità fiscale del territorio.

Quanto invece alla riduzione delle entrate riconducibili alla categoria “trasferimenti statali”, si riscontra la soppressione della c.d. quota variabile – il cui ammontare veniva contrattato annualmente con il Governo –, della somma sostitutiva all’IVA sulle importazioni e, infine, dei contributi statali provenienti dalle leggi di settore (con la sola eccezione dei fondi provenienti dall’UE). Ciò peraltro ha determinato un risparmio significativo a valere sul bilancio annuale dello Stato ed è pertanto riconducibile nell’alveo di quelle misure con cui le due Province contribuiscono al risanamento della finanza pubblica. Sul versante dell’autonomia di spesa, invece, è stato definito il trasferimento di alcune funzioni statali e dei relativi oneri a carico del bilancio provinciale. L’effetto di tale modifica è duplice: si realizza un’estensione delle competenze provinciali e si contribuisce alla solidarietà nazionale, poiché le funzioni sono finanziate tramite risorse provenienti dal bilancio provin­ciale e determinano quindi un risparmio di spesa per lo Stato. Tale soluzione è in linea con quanto prospettato dalla stessa legge di riforma sul federalismo fiscale, la quale – all’art. 27 – sancisce che il concorso degli enti speciali al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà, nonché al patto di stabilità interno e agli obblighi europei può realizzarsi

anche mediante l’assunzione di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali alle medesime regioni a statuto speciale e province autonome ovvero da altre misure finalizzate al conseguimento di risparmi per il bilancio dello Stato.

In termini quantitativi tale contributo è stato fissato in 100 milioni annui a carico di ciascuna Provincia da destinarsi, in parte (40 milioni), al finanziamento di progetti e iniziative di competenza statale a favore dei territori confinanti per sopperire ai disagi legati alla loro peculiarità di “territori di confine”, in parte (60 milioni), al finanziamento delle deleghe di funzioni statali. Sono diversi gli ambiti trasferiti, o delegati, attraverso l’adozione delle relative norme di attuazione: ad esempio in materia di Università degli Studi di Trento, di cassa integrazione, disoccupazione e mobilità, nonché le funzioni amministrative, organizzative e di supporto riguardanti la giustizia civile, penale e minorile (con esclusione di quelle legate al personale di magistratura), e quelle relative alla gestione del parco nazionale dello Stelvio (Valdesalici 2010a).2

Quanto illustrato ha determinato un significativo consolidamento dell’autonomia provinciale. Da un lato, il rafforzamento del peso delle compartecipazioni al gettito di tributi erariali assicura un legame più forte tra l’entità delle risorse disponibili, la capacità fiscale del territorio e l’andamento dell’economia locale, realizzando quindi una funzione di responsabilizzazione dell’ente provinciale. Ciò è vero nonostante si tratti di un modello di finanza derivato: le compartecipazioni sono quote parte del gettito proveniente da tributi erariali. È pertanto lo Stato che, con legge ordinaria, definisce l’architettura del sistema tributario e dei singoli tributi e quindi incide sull’ammontare delle risorse che le Province avranno a disposizione. Rispetto a tali decisioni e alle eventuali ripercussioni in termini di entrate a disposizione le Province non hanno pertanto alcun potere da un punto di vista prettamente giuridico, ma sono destinate a subirne le conseguenze. Lo statuto di autonomia infatti, pur costituendo una garanzia importante (costituzionale) nel determinare la struttura della finanza provinciale, non contiene alcuna precisazione circa la dimensiona quantitativa.

Dall’altro, l’assunzione degli oneri finanziari relativi all’esercizio di funzioni statali sul territorio provinciale contribuisce a rafforzare l’autonomia di spesa e con essa l’autonomia politica che alla prima è strumentalmente legata, poiché su queste funzioni le Province non solo sono titolari delle decisioni di spesa, ma assumono altresì importanti competenze amministrative e – in alcuni casi – anche legislative.

Con riferimento invece al coordinamento della finanza pubblica provinciale con quella statale, nell’accordo di Milano si fissano i pilastri del concorso delle due Province al riequilibrio della finanza pubblica. Una tale prospettiva rappresenta non solo una significativa affermazione di principio, poiché le Province si assumono la responsabilità di contribuire alla solidarietà nazionale e al risanamento dei conti pubblici dello Stato per far fronte agli obblighi europei, ma al tempo stesso contiene importanti previsioni di natura prescrittiva con riferimento sia al metodo che alle modalità da prediligere nel determinare tale contributo. Infatti, l’art. 79 dello Statuto , da un lato, prevede che l’apporto delle Province al riequilibrio finanziario possa essere definito e modificato solo a seguito di intesa tra le parti (d.P.R. n. 670 del 1972, art. 79 c. 2), dall’altro, specifica gli strumenti attraverso cui le Province concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, ovvero attraverso la cancellazione dal bilancio di diverse voci di entrata (quali appunto le fonti sopra menzionate), l’assunzione degli oneri relativi all’esercizio di funzioni statali – anche delegate, nonché, il contributo al patto di stabilità interno da determinarsi con il meccanismo dei saldi di bilancio.

3. L’assetto finanziario vigente dopo il patto di garanzia (dal 2014)

Nonostante le garanzie introdotte a livello statutario dall’accordo di Milano, negli ultimi anni l’autonomia finanziaria provinciale ha subito consistenti invasioni di campo da parte dello Stato, chiamato a garantire il rispetto dei vincoli imposti dall’UE. Pur riconoscendo il dovere di concorrere al risanamento della finanza pubblica e alla solidarietà nazionale, le due Province contestavano il metodo con cui lo Stato interveniva in spregio al principio pattizio, che invece avrebbe dovuto informare le relazioni finanziarie intergovernative con gli enti speciali. D’altro canto, anche se i provvedimenti di finanza pubblica adottati dallo Stato negli ultimi anni contenevano le cosiddette clausole di salvaguardia, l’effetto di tali previsioni non è stato quello di escludere le Province dal contributo di volta in volta previsto per il consolidamento dei conti pubblici, ma solo quello di subordinarne l’efficacia ad un adeguamento del rispettivo ordinamento, con procedure rispettose del principio pattizio. Dal livello politico tali violazioni sono quindi state trasposte sul piano giuridico-costituzionale traducendosi in un numero considerevole di conflitti pendenti avanti alla Corte costituzionale. In particolare, le Province lamentavano la violazione da parte dello Stato delle disposizioni statutarie relative al coordinamento finanziario sia per la previsione di forme di concorso al riequilibrio (i c.d. accantonamenti) non previste dallo Statuto (d.P.R. n. 670 del 1972, art. 79), sia per la definizione unilaterale da parte dello Stato dell’entità del contributo al patto di stabilità e della violazione del meccanismo dei saldi di bilancio, sia per la violazione della condizioni cui dovevano essere subordinate le riserve all’erario rispetto alle devoluzioni altrimenti spettanti alle Province. Controverse erano infine le previsioni di legge statale che introducevano riserve all’erario, in violazione delle condizioni fissate dalla norma di attuazione dedicata, tra il resto, proprio alla disciplina di tale istituto (d. lgs. n. 268 del 1992, artt. 9, 10 bis).

In questo contesto politico-finanziario si colloca l’accordo firmato a Roma il 15 ottobre 2014 tra i rappresentanti dello Stato e delle Province autonome di Trento e Bolzano. Nell’intesa – definita non a caso come “patto di garanzia”– da un lato, si ribadisce la necessità di rispettare il principio pattizio sia per incidere sull’autonomia finanziaria sia per definire le modalità con cui realizzare il coordinamento del sistema provinciale con la finanza pubblica statale; dall’altro, si fissano direttamente le cifre del concorso delle due Province al riequilibrio finanziario. A tal riguardo uno degli aspetti più significativi attiene alla dimensione temporale. Infatti, le previsioni si proiettano sul medio-lungo periodo in un processo caratterizzato da fasi temporali ben scandite. Si riscontra una prima fase transitoria, ormai conclusa (2014-2017), legata alla situazione di congiuntura “cronica” che l’Italia stava attraversando, in cui il contributo è stato particolarmente elevato in quanto si sommavano sia gli accantonamenti sul bilancio statale – destinati al pagamento degli oneri del debito pubblico –, sia il miglioramento del saldo relativo al patto di stabilità interno, sia infine l’ammontare riconducibile alle riserve all’erario. Tali voci complessivamente considerate determinano una considerevole contrazione delle entrate provinciali, stimata per un valore superiore al 30 per cento delle risorse a bilancio. Il secondo periodo, attualmente in corso – si estende dal 2018 al 2022 e si può definire di stabilizzazione dei rapporti Stato-Province, in quanto si prevede sostanzialmente una compensazione di quanto pagato in eccesso nella prima fase. In particolare, viene superato il patto di stabilità e trova applicazione il principio dell’equilibrio di bilancio (ex art. 9, legge 243/2012), gli accantonamenti vengono ridotti e le riserve all’erario eliminate (queste ultime però solo dal 2019). Infine, si prevede una terza fase – dal 2023 – che potrebbe definirsi di normalizzazione delle relazioni finanziarie, per la quale non si fissa direttamente il contributo delle Province ma si determinano i criteri da applicare per il calcolo, prevedendo una rideterminazione annuale in base alla variazione percentuale degli oneri del debito delle pubbliche amministrazioni.

Interessante è anche la disciplina relativa alle deroghe ammesse. Gli scostamenti rispetto a quanto concordato, infatti, sono tollerati ma solo negli stretti limiti fissati dall’accordo medesimo. Di conseguenza, lo Stato potrà variare unilateralmente e in peius per le Province le condizioni economiche concordate, ma solo rimanendo nei limiti temporali (per un tempo definito) e quantitativi (max. 10 per cento), e per il verificarsi delle circostanze (eccezionali esigenze di finanza pubblica o per manovre straordinarie per il rispetto degli obblighi europei) espressamente stabilite dallo Statuto. In questo modo la disponibilità del bilancio provinciale non dovrebbe essere più soggetta a periodiche variazioni imposte unilateralmente dallo Stato (ad eccezione di quelle previste dallo Statuto per casi straordinari ivi indicati), garantendo così la certezza e, conseguentemente, la programmabilità delle risorse nel lungo periodo. Tale prospettiva peraltro rende possibile l’adozione di politiche, non solo fiscali, capaci di incidere sullo sviluppo del territorio.

Il patto di garanzia ha altresì rappresentato l’occasione per operare una manutenzione della costituzione finanziaria, ad ulteriore consolidamento dell’autonomia della sua dimensione finanziaria; ciò intervenendo sull’autonomia tanto di spesa, quanto di entrata.

Da un lato, è stata confermata la possibilità di compensare quanto dovuto a titolo di concorso agli obiettivi della finanza pubblica attraverso l’assunzione – a carico del bilancio provinciale – di nuove competenze o funzioni, anche delegate, dello Stato. Una tale prospettazione peraltro si è già tradotta in pratica attraverso l’adozione delle norme di attuazione relative alle funzioni amministrative, organizzative e di supporto riguardanti la giustizia civile, penale e minorile (con esclusione di quelle legate al personale di magistratura), nonché in materia di gestione del parco nazionale dello Stelvio.3

Dall’altro, anche l’autonomia impositiva ne esce rafforzata, essendo espressamente riconosciuto il potere di introdurre con legge provinciale “crediti di imposta” con riferimento a tutte le figure tributarie (anche quelle di fonte statale). A tal proposito i vantaggi in termini sia di semplificazione amministrativa che di riduzione dei costi e dei tempi burocratici sono evidenti. In tale direzione opera anche la definizione del criterio per il calcolo del gettito riferibile al territorio per quanto riguarda nello specifico le accise sui combustibili da riscaldamento, che dovrà determinarsi in base alle immissioni in consumo di tali prodotti energetici nel territorio di ciascuna Provincia. Tale aspetto era particolarmente critico, poiché nell’incertezza del criterio da applicarsi il relativo gettito era stato di fatto trattenuto in toto dallo Stato.

Di interesse è poi la nuova disciplina delle riserve all’erario introdotta a livello statutario. In particolare, essa rileva non tanto per l’esclusione della possibilità di utilizzare tale strumento per finalità di risanamento dei conti pubblici (poiché già la disciplina vigente prospetta tale preclusione), quanto piuttosto per il potenziamento che un tale riconoscimento dovrebbe comportare sul fronte della certezza delle entrate e in generale delle garanzie che si derivano dalla sua “costituzionalizzazione”.

In tale direzione sembra poter incidere anche la prospettiva del superamento a decorrere dal 2018 del patto di stabilità interno, cui seguirà l’introduzione della regola del pareggio di bilancio. Il meccanismo attualmente vigente fonda il contributo delle due Province sul meccanismo dei saldi di bilancio, anche se di fatto si è tradotto in interventi di riduzione della spesa, incidendo in particolare sulla parte in conto capitale. Il vincolo del pareggio di bilancio – soprattutto se calcolato su base regionale e su uno spazio temporale pluriennale – dovrebbe garantire in questo senso una maggiore flessibilità.

Il trade-off appare con evidenza: i due enti contribuiscono con una quota consistente del proprio bilancio al risanamento finanziario dello Stato italiano, ottenendo in cambio una maggiore garanzia in termini di giustiziabilità del sistema avanti alla Corte costituzionale, il cui scrutinio sarà presumibilmente a maglie strette in considerazione del fatto che il nuovo accordo non si limita a definire i criteri e il metodo per determinare il concorso, ma ne fissa direttamente l’ammontare.

4. Quali i temi all’ordine del giorno della Consulta e della ­Convenzione sull’Autonomia?

Dal quadro ricostruito nei due paragrafi precedenti emerge la centralità della materia finanziaria nelle dinamiche dell’autonomia e al tempo stesso la sua natura particolarmente tecnica e complessa, per cui non stupisce riscontrare come la discussione relativa alla manutenzione statutaria del titolo VI dello Statuto si sia per lo più concentrata nelle sedi partecipative più ristrette e formalizzate, quali appunto la Consulta e la Convenzione dei 33. Mentre in queste sedi il dibattito è stato funzionale alla formalizzazione di una vera e propria proposta di revisione di questa parte dello Statuto, grazie al contributo presentato da accademici e funzionari esperti della materia, diversamente nei laboratori tematici e negli open space, nonché nel Forum dei 100, la discussione è stata più circoscritta e nel complesso si è limitata a ribadire principi fondamentali generali quali la certezza delle entrate, nonché l’autonomia fiscale, i quali rientrano non a caso tra le tematiche più attraenti e populistiche nel contesto di qualsivoglia processo di decentramento politico.

Il tecnicismo di una discussione in tale ambito si accentua considerando la circostanza, rappresentata da entrambi i consessi, per cui l’ordinamento finanziario su cui si reggono le due Province può definirsi come un’opera evoluta, ancorché incompleta se si considera il fronte dell’autonomia fiscale (resoconto integrale della ventiduesima riunione della Convenzione dei 33 del 05.05.2017, 3). Depone in quest’ultimo senso la comunanza degli argomenti oggetto del dibattito nei rispettivi organi provinciali. Se infatti le opzioni ancora aperte e irrisolte fossero molteplici, sarebbe difficile registrare una tale concordanza, senza un previo coordinamento.

D’altro canto, come illustrato nei due paragrafi precedenti, il titolo VI dello Statuto è stato fatto oggetto di recenti e ripetuti interventi di riforma che non si sono solo limitati ad un’opera di manutenzione, ma hanno introdotto modifiche di natura sostanziale che visti nel loro insieme hanno inciso profondamente sul sistema nel suo complesso, mutandone i tratti caratterizzanti. Non a caso quindi dal dibattito intercorso nelle rispettive sedi provinciali sono emersi diversi elementi che sarebbe opportuno modificare, ma che sono destinati non tanto a rivedere i pilastri portanti del sistema quanto ad accentuare ulteriormente l’autonomia, da un lato attraverso il consolidamento della sua dimensione fiscale, dall’altro attraverso la previsione di strumenti di garanzia più forte del grado di autonomia attualmente esistente, in senso strumentale a garantire la certezza delle entrate e una migliore programmabilità degli interventi pubblici sul territorio. D’altronde, tanto più efficiente è una macchina, tanto maggiori sono le opere di manutenzione necessarie.

Facendo sintesi di quanto discusso nelle due sedi con riferimento alla dimensione garantista dell’autonomia, emerge senz’altro il ruolo centrale rivestito dal patto di garanzia (con particolare riferimento al rafforzamento del principio pattizio e alla previsione di un tetto massimo per la partecipazione alla riduzione del debito pubblico da parte delle due Province). Al tempo stesso la discussione ha fatto emergere elementi ulteriori che potrebbero risultare strumentali alla garanzia della rispettiva dotazione finanziaria. A tal proposito la Consulta ha in particolare rilevato l’importanza di definire criteri informati al principio di territorialità con riferimento alle imposte erariali non localizzabili, quali possono essere ad esempio le imposte sulle transazioni online, eventualmente anche attraverso il ricorso ad un parametro forfettario, considerata l’impossibilità di una fedele ricostruzione del gettito reale. Al tempo stesso si ravvisa la necessità di introdurre una previsione che renda inefficaci eventuali interventi del legislatore statale di riclassificazione delle entrate da fonti di natura tributaria a fonti di altra natura (come ad esempio possono essere i contributi sociali), per le quali lo Statuto non prevede alcuna compartecipazione. La ratio alla base di tale opzione risiede nella volontà di limitare il potere dello Stato di incidere unilateralmente sulla dotazione finanziaria provinciale, sostanzialmente aggirando le previsioni statutarie con un intervento non di sostanza ma limitato ad una mera ridenominazione dell’esistente. Si tratterebbe invero della traduzione in regole del principio di invarianza finanziaria. D’altro canto, come osserva il Presidente della Consulta trentina, il professore Falcon, in caso contrario si avrebbero regole d’acciaio (la previsione statutaria della compartecipazione ai 9/10) che poggiano tuttavia su basi di terracotta (le leggi ordinarie dello Stato che disciplinano il sistema tributario). Un altro aspetto su cui si è soffermata la Consulta trentina riguarda poi la possibilità che si verifichino crisi asimmetriche, ovvero crisi localmente circoscritte, per le quali ai fini di garantire le risorse necessarie alla gestione delle numerose competenze sarebbe previdente introdurre la possibilità di un conseguente adeguamento del contributo provinciale alla finanza pubblica, ancorché temporalmente circoscritto alla fase avversa del ciclo economico. Tale aspetto è stato oggetto di discussione anche da parte della Convenzione dei 33, pervenendo sostanzialmente ad una proposta analoga. Sempre in entrambi i consessi è poi emersa l’importanza che il contributo al riequilibrio finanziario si traduca in via prioritaria attraverso l’assunzione di nuove competenze statali, quale strumento che nel garantire un risparmio a valere sul bilancio dello Stato permetta al tempo stesso una valorizzazione dell’autonomia politica delle Province.

Se la certezza delle entrate è strumentale all’autonomia finanziaria in senso lato, la discussione non ha mancato di soffermarsi anche sulla dimensione più genuina dell’autonomia ovvero quella fiscale/tributaria. A tal proposito la Convenzione dei 33 ha posto l’accento sull’importanza di ampliare la competenza impositiva in relazione a tributi propri, anche a livello locale, nonché di assicurare una maggiore flessibilità fiscale attraverso la previsione di un margine di manovra anche sui tributi erariali mediante il riconoscimento della potestà di modificare le aliquote e di introdurre esenzioni, detrazioni e deduzioni, pur nel rispetto dell’ordinamento dell’Unione europea. Più cauta a tal proposito la posizione della Consulta trentina la quale nel sottolineare i vantaggi di un tale strumento, ravvisa al tempo stesso alcuni rischi in termini di irrigidimento nel governo della spesa pubblica.

Infine, in entrambi le sedi affiora l’interesse per una revisione delle regole di ricorso all’indebitamento. Pur ribadendosi la necessità di rispettare i principi e le regole europee in materia, si sottolinea come l’estesa autonomia politica delle due Province, le quali attualmente esercitano pressoché tutte le funzioni pubbliche sul territorio, richieda il riconoscimento di un margine, controllato e concordato, di ricorso al debito. In tal senso ad esempio la Consulta ritiene che si dovrebbero quantomeno estendere alle due Province le stesse possibilità previste per altri enti territoriali, mentre la Convenzione bolzanina propone che venga assicurata la potestà di emettere titoli di debito in conformità con un predeterminato livello massimo di indebitamento definito d’intesa con lo Stato.

5. Il dibattito sull’autonomia finanziaria provinciale nel contesto dei metodi della democrazia partecipativa: considerazioni d’insieme

Alla luce di quanto affermato nei paragrafi precedenti, viene ora da chiedersi quale sia la potenzialità dell’impiego delle procedure della democrazia partecipativa nel contesto dell’adozione di decisioni inerenti alle finanza e alla fiscalità territoriale (Allegretti 2011, 295-335).

Le procedure partecipative qui presentate, Convenzione sull’Autonomia e Consulta, ben si prestano ad essere prese quale esempio al fine di avviare una riflessione sulle modalità con cui questo tipo di pratiche siano in grado di condurre ad una effettiva innovazione dei processi decisionali, in particolare di quelli riguardanti l’autonomia finanziaria.

Per poter far luce sulla questione appena posta, è necessario procedere nell’analisi affrontando di seguito una serie di questioni, in parte specificamente riguardanti il caso in esame, quello delle Province autonome e della riforma dello Statuto di autonomia, e in parte afferenti più in generale alle modalità con cui viene atteggiandosi la democrazia partecipativa (cfr. Palermo 2015; Rosini 2015).

Guardando ai lavori dei consessi partecipativi attivati nelle due Province sono due le questioni che si pongono, una inerente al metodo e l’altra all’oggetto della discussione.

Da una prospettiva metodologica, quando si affronta il tema della democrazia partecipativa, si è spesso portati a chiedersi quale sia il metodo più funzionale per poter efficacemente includere la cittadinanza nel contesto dei processi di adozione delle decisioni pubbliche e, in subordine, se gli effetti dei processi partecipativi debbano condurre a risultati vincolanti ovvero ad esiti meramente consultivi. Per quanto si sia concordi nel ritenere i processi di democrazia partecipativa portatori di effetti solamente consultivi (Allegretti 2011), anche alla luce di quanto affermato nella giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. C. cost. sent. 379/2004)4, non sarebbe corretto trattare le due questioni in modo separato, dal momento che è comunque necessario garantire che le conclusioni cui si perviene nelle sedi partecipative siano considerate dalle istituzioni rappresentative nella maggiore misura possibile.12

Se così non fosse infatti, la partecipazione dei soggetti coinvolti perderebbe tutto il suo significato e l’attivazione delle procedure stesse ci rimetterebbe in termini di credibilità e serietà. Quella di riuscire a creare dei metodi decisionali che siano in grado di conferire a procedure consultive, quali quelle di cui qui si discute, la garanzia di essere effettivamente prese in considerazione dagli organi a ciò deputati è una delle questioni più spinose, e tutt’ora irrisolte, nel contesto degli studi in materia di democrazia partecipativa (Font et al. 2016; Valastro 2016, 62-63).

Venendo ai casi in esame, ci si chiede se l’attivazione di una procedura dalla natura partecipativa nel contesto del processo di revisione statutaria sia stata una scelta che ha, sin dalla sua concezione, tenuto conto dell’aspetto della effettiva presa in considerazione dei risultati emersi in seno alle due procedure partecipative nelle successive fasi di discussione parlamentare dei contenuti della riforma. L’esperienza delle altre Regioni a statuto speciale dimostra infatti che le assemblee partecipative attivate tra il 2004 e il 2006 in Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Sardegna per la revisione dei rispettivi Statuti di autonomia, si sono arenate proprio nelle fasi parlamentari di revisione dello Statuto, frustrando così l’intera fase partecipativa antecedentemente attivata (cfr. Toniatti 2017; Festa 2005; cfr. Gherardini 2014).

Se infatti quello della revisione statutaria è il momento che chiama in gioco la dimensione più strettamente costituente del decision-making subnazionale, e necessita per questo del più ampio coinvolgimento di tutte le istanze sociali al fine di garantire la massima democraticità alla procedura (Allegretti 2013, 690)5, allo stesso tempo il tecnicismo, la complessità e la lunghezza della stessa rende molto difficile riuscire a dare efficace attuazione all’apertura delle procedure in senso partecipativo. Ecco che allora ci si chiede se non sarebbe più semplice, quantomeno in una fase sperimentale come quella attuale, dare avvio a pratiche partecipative nel contesto di atti normativi di rango inferiore, la cui procedura di adozione è meno complessa, interessa un arco temporale più limitato, e il cui oggetto riguarda uno specifico settore e non una molteplicità di aspetti come accade nel caso degli Statuti di autonomia.

Entrambi questi fattori necessitano tuttavia di essere precisati se, come in questo caso, considerati in riferimento al tema specifico delle relazioni finanziarie nelle Province autonome di Trento e Bolzano. Lasciando da parte per il momento il profilo del tecnicismo e della complessità della materia su cui si tornerà tra poco, si deve richiamare – come ben noto – la peculiare procedura di revisione statutaria che interessa la materia delle relazioni finanziarie. Ex art. 104 dello Statuto, infatti, la modifica delle norme finanziarie non interviene con la procedura di revisione costituzionale, come accade per la restante parte dello Statuto di autonomia, bensì necessita “solo” di una legge ordinaria rinforzata da intesa inter-governativa tra Province e Stato (Valdesalici 2010b).

Dunque, riportando la riflessione sul piano dell’effettività dei processi della democrazia partecipativa, si potrebbe giungere ad affermare che la procedura di revisione delle norme finanziarie consentirebbe di integrare in modo più snello ed efficace gli esiti delle sperimentazioni partecipative nell’iter legislativo di riforma statutaria. In altre parole, mancando la fase di discussione da parte del parlamento nazionale, propria invece della procedura di revisione statutaria “costituzionale”, gli organi provinciali – alla luce di quanto deciso nelle discussioni di Convenzione e Consulta – godrebbero di maggiore libertà di movimento nel tradurre in disposizioni statutarie quanto definito a livello di autonomia finanziaria. Per quanto questo sia vero, ci si scontra inevitabilmente con la complessità che riguarda per l’appunto la materia in esame.

Tornando infatti all’aspetto delle tematiche su cui si incentrano i processi di democrazia partecipativa, ci si chiede se quello delle relazioni finanziarie sia argomento che ben si presti ad essere l’oggetto di percorsi di discussione strutturata, quali quelli qui presi ad esempio. In prospettiva più ampia, quello dell’opportunità di avviare pratiche di tipo partecipativo è uno degli aspetti più sfuggenti della materia. A tal proposito c’è chi invero adotta quale criterio orientativo per l’attivazione di percorsi partecipativi “la complessità […] della materia oggetto di discussione” (Valastro 2016, 36). Se infatti la democrazia partecipativa ambisce per sua natura a valorizzare i saperi civici ed esperienziali e la loro complementarietà rispetto ai saperi politici, nel caso di ambiti tematici molto complessi, come quello degli ordinamenti finanziari, l’integrazione viene a mancare. L’ambizione di coinvolgere la società civile (organizzata e non) nell’elaborazione degli atti normativi infatti richiede per sua natura la possibilità per i soggetti coinvolti di ricevere informazioni e comprendere con chiarezza tutti gli aspetti che riguardano l’oggetto della discussione. Solo così si gettano delle solide basi sulle quali costruire un dibattito paritario e trasparente, propedeutico alla elaborazione di una decisione condivisa da tutti i partecipanti. Qualora invece l’oggetto della discussione risulti poco chiaro a tutti, o ad alcuni, l’elemento partecipativo e collaborativo della procedura verrebbe meno, dal momento in cui ad un gruppo di partecipanti sarebbe preclusa la possibilità di contribuire in modo effettivo alla definizione dell’esito della fase partecipativa.

Dall’analisi delle discussioni avvenute nel contesto dei percorsi partecipativi delle Province di Trento e Bolzano, emerge come proprio gli aspetti relativi alle relazioni finanziarie delle due Province siano argomento non solo di difficile comprensione ma anche sulla cui opportunità risulta arduo prendere una posizione, soprattutto a fronte dell’estremo tecnicismo che le connota. Infatti, si può notare come gli esperti invitati per presentare ai membri di Convenzione dei 33 e Consulta il modello dell’autonomia finanziaria, siano stati anche quelli che hanno di fatto suggerito le soluzioni più efficaci e funzionali riguardanti il come rivedere l’attuale status quo in vista di uno Statuto di autonomia revisionato.

Questo avvalora senz’altro la tesi per cui non ogni tematica si presta ad essere oggetto di processi di democrazia partecipativa, a maggior ragione considerando che le assemblee partecipative avviate a Trento e Bolzano si componevano non solamente di cittadini “ordinari” ma anche, per la maggior parte, di soggetti con un background culturale di notevole spessore, ai quali tuttavia gli aspetti più tecnici dell’autonomia finanziaria sono comunque risultati di difficile accesso.

Si può così concludere che se si considera la democrazia partecipativa come obbligatoriamente inclusiva di tutte le istanze sociali, risulta allora evidente come sia necessaria l’esclusione di alcuni ambiti tematici tra i possibili oggetti di questo tipo di processi; se invece si concepisce la democrazia partecipativa come un’entità modulare in cui si possono progettare tipologie di processi aperti a tutta la cittadinanza e tipologie di processi, più tecnici, riservati agli esperti del settore, come per esempio potrebbe accadere con i temi relativi alle relazioni finanziarie, allora le possibilità aumenterebbero notevolmente.

Note

1 Il testo dell’accordo di Milano è confluito nei commi 106-126 dell’articolo 2 della legge 191/2009, andando per questa via a modificare il titolo VI del D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto di autonomia - Statuto). Ciò è possibile in forza della speciale procedura, prevista dall’art. 104 Statuto, per la revisione della parte dello Statuto che disciplina l’ordinamento finanziario. In questo modo peraltro la legge dello Stato, per la parte che recepisce l’accordo finanziario, assume forza di legge rinforzata e potrà quindi essere modificata solo a seguito di intesa.

2 Ciò si è verificato sia all’esito dell’accordo di Milano, sia in seguito all’intesa confluita nel comma 515, art. 1, legge 147/2013. Per un’analisi delle modifiche apportate con l’accordo di Milano.

3 Il relativo trasferimento era stato previsto in termini generali già dal c. 515, art. 1, l. 147/2013, ma è divenuto operativo in seguito all’adozione delle norme di attuazione: d.lgs. 16/2017; d.lgs. 77/2017; d.lgs. 51/2016; d.lgs. 14/2016.

4 Qui si afferma gli istituti partecipativi “non sono certo finalizzati ad espropriare dei loro poteri gli organi legislativi o ad ostacolare o a ritardare l’attività degli organi della pubblica amministrazione, ma mirano a migliorare e a rendere più trasparenti le procedure di raccordo degli organi rappresentativi con i soggetti più interessati dalle diverse politiche pubbliche.” La Corte costituzionale ritiene rientri nella competenza delle Regioni la previsione di strumenti partecipativi integrativi del processo legislativo, purché si tratti di “limitate e trasparenti procedure di consultazione da parte degli organi regionali dei soggetti sociali o economici su alcuni oggetti di cui siano particolarmente esperti.”

5 La fonte che più di tutte necessita dell’inclusione di tutti i possibili interessati alla sua elaborazione è, per sua natura, proprio la Costituzione. Quest’ultima è infatti “da sempre il frutto di un processo storico che riposa su un movimento creativo della società interessata e che trova in seno a essa una pluralità di attori variamente partecipi.”

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