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Roberta Medda-Windischer

Immigrazione e minoranze storico-­tradizionali: la gestione della ­diversità delle nuove minoranze in Alto Adige/Südtirol

La gestione della diversità delle nuove minoranze originate dalla migrazione internazionale assume in Alto Adige/Südtirol caratteristiche di unicità per la presenza, oltre del gruppo linguistico italiano, di gruppi linguistici autoctoni, e cioè le comunità storico-tradizionali di lingua tedesca e ladina (i cosiddetti vecchi gruppi minoritari).1 Nelle pagine che seguono si cercherà di comprendere se, dal punto di vista del territorio autonomo dell’Alto Adige/Südtirol, le politiche volte a tutelare le minoranze tradizionali e le nuove minoranze originate dalla migrazione agevolino o contrastino la creazione di una società pluralistica e tollerante.2

1. Immigrazione internazionale in Alto Adige/Südtirol:
verso il superamento dell’approccio NIMBY?

Rispetto ad altre regioni europee, in Alto Adige/Südtirol la migrazione di cittadini stranieri è un fenomeno piuttosto recente, sebbene ormai consolidato e caratterizzato dalla tendenza, in rapida crescita, alle stabilizzazioni a lungo termine, soprattutto nelle aree urbane. L’aumento del numero dei lavoratori e delle lavoratrici provenienti dall’Europa orientale è inoltre una delle principali caratteristiche dell’ultimo decennio (cfr. ASTAT 2011; Medda-Windischer et al. 2011b). La crescita delle presenze a lungo termine colpisce in modo particolare nel contesto altoatesino poiché esso è sempre stato caratterizzato dalla presenza di lavoratori stagionali, impiegati soprattutto in agricoltura e nel turismo.

Il principale partito politico dell’Alto Adige/Südtirol, la Südtiroler Volkspartei (Svp), ha finora mantenuto una posizione piuttosto difensiva nei confronti della migrazione e della diversità che essa apporta, e ciò scaturisce direttamente dalla principale finalità di tale partito, che è la tutela e la promozione dei diritti delle minoranze di lingua tedesca e ladina in Alto Adige/Südtirol (cfr. Südtiroler Volkspartei 1993, par. 2). A questo proposito, il programma della Svp afferma: “la Südtiroler Volkspartei considera tra i principali obiettivi del partito la protezione dei diritti della popolazione autoctona e la protezione della nostra terra e della sua gente dall’inforestierimento (Überfremdung) attraverso una migrazione incrementata artificialmente ed incontrollata” (Südtiroler Volkspartei 1993, par. 5).3 Si tratta della preoccupazione legittima di una minoranza che, durante il regime fascista, dovette subire dure forme di italianizzazione ed esprime il timore di divenire, in senso demografico, numericamente minoritaria e/o di perdere la propria identità. La domanda che ci si pone è in quale misura questo approccio difensivo, finanche di esclusione, influisca sulla gestione della diversità culturale dei migranti e dei loro familiari che vivono in Alto Adige/Südtirol.

In termini di competenze legislative in materia di immigrazione, lo Stato italiano ha la competenza esclusiva su varie questioni legate alla migrazione, come il controllo dei flussi attraverso le quote, i requisiti d’ingresso, la residenza,4 l’espulsione, la cittadinanza, l’asilo e lo status di rifugiato, nonché gli accordi bilaterali per la riammissione nei Paesi d’origine.5 Per quanto riguarda il sistema delle quote, in particolare i criteri e il numero dei lavoratori migranti ammessi, esse vengono stabilite ogni anno secondo le esigenze e le richieste economiche espresse a livello locale, ma la competenza rimane nell’ambito decisionale esclusivo dello Stato poiché le Regioni e le Province Autonome, inclusa la Provincia Autonoma di Bolzano, possono solamente esprimere pareri non vincolanti.6 La normativa italiana prevede la distribuzione delle competenze tra livelli diversi, attribuendo alle Regioni e alle Province Autonome una serie di competenze che risultano cruciali per i migranti e per la gestione della loro diversità culturale, linguistica e/o religiosa nelle comunità che li ospitano. In particolare, le Regioni e le Province Autonome sono competenti in materia di programmazione e coordinamento delle politiche e delle attività finalizzate all’inclusione sociale, culturale ed economica dei migranti in vari ambiti, così come in materia di politiche per la sanità, istruzione,7 alloggi,8 partecipazione alla vita pubblica,9 ed azioni contro la discriminazione.10

Malgrado la competenza legislativa di cui gode la Provincia di Bolzano (qui di seguito citata come la “Provincia”) in una serie di ambiti che influiscono direttamente o indirettamente sull’immigrazione, per lungo tempo essa non si è avvalsa di tale prerogativa e per questa ragione l’Alto Adige/Südtirol è stata una delle pochissime regioni/province italiane ad essersi dotata con grande ritardo di una propria legge specifica in materia di immigrazione e d’integrazione.11 La riluttanza della Giunta e del Consiglio provinciale in tal senso potrebbe essere attribuita al cosiddetto effetto specchio,12 e al timore di aprire un vaso di Pandora con tutte le questioni irrisolte, sottese ai rapporti tra i principali gruppi linguistici: quello tedesco e quello italiano.

Per comprendere l’approccio che le autorità provinciali hanno finora tenuto nei confronti della migrazione e della gestione delle diversità, è utile richiamare, quale premessa, il discorso ufficiale, rivolto dal Presidente della Provincia al Consiglio provinciale, in occasione dell’inizio del suo attuale mandato. In riferimento all’integrazione dei migranti, Luis Durnwalder disse: “[…] integrazione non dovrebbe equivalere ad assimilazione. Gli immigrati non si trasformeranno in tirolesi, non devono farlo. Ciascuno manterrà e curerà la propria identità, nel rispetto degli altri e delle disposizioni vigenti” (Durnwalder 2008).

L’esempio che segue è emblematico di come venga gestita, perlomeno a livello istituzionale, la migrazione in Alto Adige/Südtirol. La normativa italiana definisce varie istituzioni competenti a livello locale in materia di immigrazione ed integrazione, in particolare gli Osservatori regionali/provinciali, con compiti e funzioni di monitoraggio ed informazione nonché di assistenza alle vittime della discriminazione.13 In Alto Adige/Südtirol tale Osservatorio venne istituito all’inizio del 2003 e svolse una serie di significative attività che spaziavano dalla raccolta e analisi di informazioni all’assistenza alle vittime di varie forme di discriminazione, ma nel 2008 esso ha semplicemente cessato di esistere. L’Osservatorio provinciale era stato infatti creato come progetto a termine e non venne mai convertito in un’istituzione della Provincia, permanente o a lungo termine. Le ragioni principali dell’interruzione del suo lavoro sono state probabilmente da ricondurre alla mancanza di volontà politica e al disinteresse per la tematica, uniti forse all’intenzione di non scontentare una parte dell’elettorato che poteva interpretare il finanziamento di tale organo come una distrazione di fondi altrimenti destinabili ad attività più utili ad altri scopi, soprattutto se dirette alle comunità autoctone (cfr., Alto Adige 2008a, 13; Dolomiten 2008, 14; Alto Adige 2008b, 13).14

Finalmente, nell’autunno 2011 la Legge Provinciale sull’Integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri (Legge Provinciale n. 12 del 28 ottobre 2011, di seguito denominata “Legge Provinciale sull’Integrazione”) è stata adottata, e con essa è stata data, da una parte, legittimità giuridica ed operativa al Servizio Coordinamento Immigrazione (creato nel 2009 presso la Ripartizione Lavoro) e, dall’altra, sono stati creati ex-novo il Centro di Tutela contro le Discriminazioni15 e la Consulta Provinciale per l’Immigrazione.16 Una parte considerevole delle funzioni e dei compiti di tali organi – il Servizio, il Centro e la Consulta – sono stati rimandati a specifici regolamenti di attuazione che, al momento della stesura del presente contributo, sono ancora in corso di elaborazione tramite gruppi di lavoro istituiti ad hoc dall’Assessorato al Lavoro e all’Immigrazione e composti da rappresentanti della società civile, ricerca, associazionismo e sindacati. Fra gli articoli della Legge Provinciale sull’Integrazione sono da menzionare, oltre alle norme sulla creazione degli organi sopracitati e quelle sul Programma Pluriennale sull’Immigrazione, che definirà le priorità d’intervento delle azioni che la Provincia adotterà in tema di integrazione, la norma che definisce il termine integrazione, che dà anche il titolo alla legge provinciale. Integrazione viene intesa nel testo normativo come “un processo di scambio e dialogo reciproco”,17 sulla linea sia del Programma dell’Aia del Consiglio europeo (2004) che definisce l’integrazione quale “processo dinamico e bilaterale di adeguamento reciproco da parte di immigrati e residenti degli Stati membri”,18 e sia del Testo Unico sull’Immigrazione che, all’art. 4-bis in tema di Accordo di Integrazione, definisce integrazione come quel “processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini e degli stranieri, nel rispetto dei valori della Costituzione, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società”.19 Inoltre, è da segnalare che la Legge Provinciale sull’Integrazione pone fra gli obiettivi primari dell’azione della Provincia “il reciproco riconoscimento e la valorizzazione delle identità culturali, religiose e linguistiche”.20 È, tuttavia, al momento prematuro prevedere come gli impegni formulati nel testo della legge provinciale saranno attuati e messi in pratica.

Malgrado i segnali piuttosto timidi e, almeno fino all’adozione della legge provinciale, poco convinti e convincenti in materia di immigrazione e integrazione – in questo senso il riferimento è rivolto al forte ritardo nell’adozione di una legge sull’integrazione dei cittadini/e stranieri/e, e alla chiusura di un organo importante come l’Osservatorio provinciale sulle immigrazioni, sebbene recentemente rivitalizzato con la creazione del Servizio di Coordinamento Immigrazione con analoghe funzioni – è soprattutto la pratica sul campo che viene considerata, secondo diverse fonti, ampiamente positiva. Secondo recenti indagini condotte in Alto Adige/Südtirol tra gli stranieri provenienti da Paesi a basso reddito, viene riconosciuto complessivamente un rapporto positivo con il territorio, in particolare in termini di partecipazione alla vita sociale, di uso della lingua italiana – molto più del tedesco – di interesse diffuso per la vita politica e i media locali e di contatti con i gruppi autoctoni, specialmente con la comunità di lingua italiana (cfr. Medda-Windischer et al. 2011c; Lainati et al. 2007).

Questi dati sono stati confermati da uno studio nazionale condotto dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) sull’integrazione dei migranti in diverse province italiane, secondo il quale la Provincia di Bolzano è tra quelle con il livello di integrazione più alto in Italia, misurato attraverso una complessa serie di indici che includono, tra le altre cose, alloggi adeguati, lavoro, ricongiungimenti familiari, tasso di criminalità.21

L’approccio difensivo nei confronti della migrazione, pubblicamente manifestato da molti partiti in Alto Adige/Südtirol, non può essere tuttavia completamente ascritto alla legittima preoccupazione di tutelare le minoranze di lingua tedesca e ladina, ma è anche legato alla più generale crescita dei partiti di estrema destra e alle loro campagne anti-immigrazione nella maggior parte delle elezioni nazionali e locali europee, incluso l’Alto Adige/Südtirol.22

Per comprendere l’approccio che permea il dibattito in tema di immigrazione e integrazione in Alto Adige/Südtirol è interessante ricordare una polemica che divampò qualche anno fa e che coinvolse settori importanti dell’economia altoatesina: ci si interrogava se fosse nell’interesse strategico dell’economia altoatesina sostenere lo sviluppo dell’industria (Angelucci 2005). Oltre agli interessi divergenti dei cittadini di lingua tedesca, da una parte, e di quelli di lingua italiana, dall’altra (mentre i primi vivono prevalentemente nelle zone rurali e nelle vallate e si occupano maggiormente di agricoltura e turismo, i secondi vivono in prevalenza nei centri urbani e sono occupati di conseguenza in maggiore misura nei segmenti industriali dell’economia), nel quadro della discussione si parlò anche di approcci diversi nei confronti della manodopera straniera. In effetti, il settore agricolo e quello turistico impiegano in larga misura lavoratori stagionali provenienti dall’Europa dell’est, che, oltre ad essere culturalmente contigui al gruppo di lingua tedesca e a possedere spesso la cittadinanza europea, lavorano per definizione per periodi limitati e tendono a lasciare le famiglie nel Paese d’origine (cfr. Provincia Autonoma di Bolzano 2008a, 143-169; Provincia Autonoma di Bolzano 2007). L’industria, al contrario, tende ad occupare migranti più stabili o permanenti, per lo più cittadini provenienti da Paesi extra UE, come ad esempio il Pakistan e i Paesi africani, e quindi minoranze cosiddette visibili23 che, a causa della distanza dai loro Paesi d’origine e della tipologia del lavoro, tendono a portare le famiglie in Alto Adige/Südtirol, con conseguente iscrizione dei propri figli a scuola e la maggiore frequenza del ricorso ai servizi pubblici, dalla sanità agli alloggi (Provincia Autonoma di Bolzano 2008). In questo caso, il Presidente della Provincia, sostenuto dai rappresentanti degli agricoltori e degli albergatori, assunse una posizione nettamente contraria all’espansione dell’area industriale in questione, anche per via dell’aumento di lavoratori migranti che tale espansione avrebbe comportato (Angelucci 2005).

Più di recente, la Svp ha preso posizione nell’ambito del dibattito relativo all’opportunità di selezionare i lavoratori migranti sulla base della nazionalità, dando la preferenza ai migranti dai Paesi dell’Europa centrale e orientale, visto che si ritiene che essi si integrino più facilmente nella società altoatesina (Durnwalder 2010, 6); la proposta è stata comunque subito accantonata, a causa delle forti resistenze dei rami più liberali del partito stesso, dei partiti all’opposizione e degli attivisti per i diritti umani. La posizione del Presidente della Provincia sembra dunque essere quella ribadita in più occasioni; l’Alto Adige/Südtirol dovrebbe evitare di richiedere quote di lavoratori stranieri “non compatibili con l’attuale situazione del mercato del lavoro” sia in termini numerici, sia in termini di qualifiche (Durnwalder 2009, 26; Durnwalder 2008).24

In conclusione, l’Alto Adige/Südtirol ha chiaramente superato la fase della scoperta della migrazione e riconosce ora la necessità di flussi migratori. Ma, quando si passa all’identità culturale e alle politiche che vanno oltre le esigenze più pratiche ed immediate dei migranti – nei cui confronti la Provincia ha sempre dimostrato generalmente apertura e generosità in termini di servizi e di lavoro – l’approccio è piuttosto difensivo e si accettano con riluttanza identità multiple o composite.

L’approccio prevalente in tema di migrazione, almeno fino all’adozione della Legge Provinciale sull’Integrazione, non può dunque essere definito post-etnico, o interculturale: l’orientamento che attualmente prevale può essere meglio descritto in termini di NIMBY (Not-In-My-Back-Yard), un atteggiamento che privilegi l’assistenza nel Paese d’origine dei migranti – come affermato nel programma della Svp25 – e che consenta ai migranti, indispensabili all’economia locale, di accedere a servizi e sussidi, lasciando però preferibilmente alla comunità di lingua italiana le questioni legate all’identità, le controversie connesse alla diversità (quando si tratta ad esempio di stabilire dove costruire una moschea), i rapporti tra studenti e docenti a scuola e così via, in sostanza le questioni più spinose in materia di gestione delle diversità.

A questo proposito, oltre alla norma prevista dalla Legge Provinciale sull’Integrazione in merito alla valorizzazione delle identità culturali, religiose e linguistiche (art. 2), alcuni segnali di cambiamento potrebbero emergere dall’emendamento introdotto nella recente normativa nazionale voluto dal governo provinciale teso ad inserire, limitatamente all’Alto Adige/Südtirol, un test non obbligatorio di conoscenza della lingua tedesca per il rilascio del permesso di soggiorno.26 Sebbene tale requisito, la conoscenza della lingua tedesca, non sia il risultato di un rapporto dialogico autenticamente aperto e sincero tra i vecchi e i nuovi gruppi minoritari che vivono in Alto Adige/Südtirol, esso potrebbe comunque tradursi nel primo passo di un processo di avvicinamento tra tali gruppi, e potrebbe colmare quella distanza fra cittadini stranieri e gruppo linguistico di lingua tedesca che recenti studi individuano proprio nella limitata conoscenza della lingua tedesca da parte dei cittadini stranieri (Medda-Windischer et al. 2011c).

2. Vecchie e nuove minoranze: nemiche o alleate?

Il rapporto tra le minoranze tradizionali e quelle originate dall’immigrazione non è intrinsecamente in uno stato di conflitto permanente, come si potrebbe essere portati a ritenere. In effetti numerose minoranze storiche sono favorevoli all’arrivo degli immigrati e consentono loro di mantenere ed esprimere la loro identità, incoraggiando al contempo forme di inclusione nell’ambito della minoranza storico-tradizionale.

A riguardo il caso del Québec è emblematico: il Québec ha una politica proattiva nei riguardi dell’immigrazione abbinata al controllo della stessa (cfr. Kymlicka 2001). “Quarant’anni fa la stragrande maggioranza dei quebecchesi riteneva che per essere un vero Québécois si dovesse discendere dai coloni francesi; oggi meno del venti per cento della popolazione accetta questa visione.” (Kymlicka 2001, 282).27 Questa apertura è riconosciuta dagli immigrati, che oggi sono molto più inclini rispetto al passato ad integrarsi nella società del Quebec, ed infatti diversi studi dimostrano che, mentre la vasta maggioranza degli immigrati di seconda generazione in Quebec diventavano anglofoni, oggi la maggior parte di loro si considera Québécois e tende ad impiegare la lingua francese nei rapporti familiari molto più frequentemente della lingua inglese (Kymlicka 2001).

Kymlicka riconduce sostanzialmente questo passaggio a ciò che definisce post-ethnic form of minority nationalism (una forma post-etnica di nazionalismo minoritario), alle stesse ragioni che sono intervenute per le maggioranze nazionali.

“Come le maggioranze nazionali, le minoranze nazionali spesso hanno bisogno di immigrati per riempire delle nicchie economiche o per controbilanciare una tendenza demografica negativa e cioè l’invecchiamento della popolazione unito al calo del tasso di natalità. Inoltre, è ormai chiaro che è difficile se non impossibile controllare del tutto la migrazione e che un certo livello di immigrazione continuerà certamente ad esservi. Di qui l’interesse crescente da parte delle minoranze nazionali per le modalità di integrazione degli immigrati nelle loro ‘nazioni’. […] Si stanno avvicinando ad una concezione dell’identità nazionale post-etnica e multiculturale e pongono in evidenza l’integrazione linguistica ed istituzionale degli immigrati, accettando ed accogliendo al contempo l’espressione dell’etnicità degli immigrati” (Kymlicka 2011, 283).28

Kymlicka individua come fattori importanti per l’integrazione degli immigrati nell’ambito della minoranza nazionale, alcune forme di controllo che le minoranze tradizionali dovrebbero esercitare nei confronti dell’immigrazione, come il diritto di definire criteri propri in materia e di stabilire i propri obiettivi e livelli basati sul calcolo della capacità di assorbimento della società ospitante. Tuttavia, come ammette lo stesso Kymlicka, alcune decisioni rischiano di essere considerate illiberali o ingiuste (Kymlicka 2011, 286). In Quebec, ad esempio, sono state sistematicamente introdotte delle misure per accrescere il prestigio della lingua francese. Lo si è fatto sovvenzionando i servizi, l’istruzione e i media in lingua francese, ma anche con forme più pregnanti di pressione e coercizione, come le leggi che limitino l’accesso alle scuole in lingua inglese a favore di quelle in lingua francese, gli incentivi e le pressioni volti ad assicurare che la maggior parte degli immigrati entri a far parte della società francofona del Québec, norme che sanciscano l’uso del francese nelle insegne commerciali e norme che riconoscano ai lavoratori dipendenti il diritto di parlare francese sul posto di lavoro (Kymlicka 2011).

In altri termini, si è stabilito, non solo un controllo rispetto al volume dell’immigrazione – come forma di tutela rispetto ad eventuali politiche nazionali inique, tese ad un esautoramento politico – ma anche un controllo sulle condizioni dell’integrazione, e cioè sulle politiche volte ad incoraggiare o persino ad indurre alcuni processi d’integrazione. In questo quadro, i politici in Quebec sono riusciti a convincere i Québécois che gli immigrati avrebbero contribuito alla società Québécois e a convincere altresì gli immigrati a tendere verso l’integrazione nella società francofona piuttosto che in quella anglofona (Kymlicka 2011).

Il filosofo canadese sottolinea anche altri aspetti in materia di immigrazione, che egli presenta per chiarire la differenza fra l’approccio canadese e quello europeo verso il multiculturalismo, in quanto rilevanti ai fini di ottenere il sostegno della società maggioritaria a favore di politiche che accolgono la diversità di cui le nuove minoranze originate dalla migrazione sono portatrici: (1) migrazione legale-illegale: è difficile ottenere un sostegno generalizzato da parte della popolazione a favore di misure a sostegno della diversità degli immigrati se coloro che ne beneficiano principalmente vengano percepiti come soggetti entrati illegalmente nel Paese, perché l’obiezione morale in tal senso è forte; (2) pratiche liberali-illiberali: analogamente, è difficile ottenere un sostegno generalizzato da parte della popolazione per le politiche multiculturali se i gruppi principali beneficiari di tali politiche siano percepiti come latori di pratiche culturali illiberali, che violino le norme dei diritti umani, e se si ritiene che possano invocare il multiculturalismo proprio per mantenere tali pratiche (ad esempio, pratiche come i matrimoni combinati di minorenni, mutilazioni genitali femminili, delitti d’onore); ed infine, (3) contribuenti-pesi economici: è difficile mantenere il sostegno per il multiculturalismo da parte della popolazione nel suo complesso se gli immigrati che beneficerebbero delle politiche multiculturali siano percepiti come un peso per il welfare, nel senso che godono dei suoi benefici più di quanto vi contribuiscano. Si tratta perciò di fattori legati alla convenienza economica, nei quali figura altresì una forte componente morale (Kymlicka 2007, 52-59).

In conclusione, la probabilità che una minoranza storico-tradizionale adotti una forma pluralistica, post-etnica di pro-sovranità minoritaria (minority pro-sovereignty) che includa anche le nuove minoranze originate dall’immigrazione dipende largamente dalla capacità della minoranza storico-tradizionale di esercitare delle forme di controllo sull’immigrazione, in termini di criteri, obiettivi e livelli della stessa, basati sulla capacità di assorbimento della loro società. Come detto precedentemente, tutto ciò è poi basato su una tensione continua tra norme liberali basate su scelte individuali – che possono persino condurre al ritorno verso forme di nazionalismo etnico – e l’eventualità di accettare deroghe a tali norme allo scopo di consolidare forme civiche di pro-sovranità minoritarie (Kymlicka 2001, 275-89).

In Alto Adige/Südtirol, malgrado la “istituzionalizzazione legale dell’etnicità” (Marko 2008, 371-388, 386) che cementa la divisione etnica nell’ambito pubblico e in taluni ambiti della vita privata, il cosiddetto “effetto Mida” secondo l’espressione di Marko (Marko 2008, 371-388, 386) nonché l’atteggiamento NIMBY nei confronti della diversità originata dall’immigrazione, “c’è un cambiamento continuo negli atteggiamenti e nei valori di fondo della società civile, che considera la differenza etnica non solo come un bene a sé stante, da tutelare, ma che considera anche la diversità culturale come un ‘reciproco arricchimento’, un ‘valore aggiunto’ e un vantaggio competitivo nell’emergente mercato europeo delle regioni” (Marko 2008, 388).29 Alcune ricerche sociologiche indicano, inoltre, come la distanza etnica stia diminuendo in Alto Adige/Südtirol, per fare posto ad una comune identificazione territoriale dei gruppi, specialmente tra la generazione più giovane e quella intermedia (Marko 2008, 371-388, 387-388).

Una comune identificazione territoriale in Alto Adige/Südtirol può essere alimentata da una comune identificazione morale ed emozionale con uno specifico territorio, che condivida dei principi costitutivi di base ed una concezione collettiva di sé: questo concetto di identificazione potrebbe essere idoneo anche ad integrare nelle comunità mainstream le nuove minoranze originate dalla migrazione. In una nazione concepita come collettività sociale, i cui stessi componenti si sentono una nazione – il “plebiscito quotidiano” di Renan – la lingua, la religione o lo statualismo condivisi non sono né necessari né sufficienti; è il sentimento dei soggetti che compongono una nazione a distinguerla come tale e quel sentimento può scaturire da uno solo o da tutti questi tratti o da qualcosa di completamente diverso, come potrebbe essere un territorio comune. In altri termini, il senso di appartenenza ad un territorio e ad un’organizzazione politica comune e la condivisione del destino con altri, che ne fanno altresì parte, sarebbe la base della comune identità territoriale invece della cultura o dei criteri che si basano sulla discendenza.

Una comune identificazione territoriale, come quella adottata dal Québec, ma anche dalla Catalonia (Amorosi March 2010), potrebbe aggregare e unire tutti gli individui che vivono in Alto Adige/Südtirol, indipendentemente dalla loro lingua e/o etnia e potrebbe rappresentare una forma di pro-sovranità minoritaria post-etnica che consideri la nazione come il risultato della progressiva creazione del gruppo stesso mediante forme di unione libera e spontanea, che implichino l’accettazione volontaria di principi comuni, un senso comune di appartenenza, la fedeltà alla comunità adottata e sentimenti concomitanti di reciproca fiducia tra gli individui che appartengano a questa organizzazione politica e che vivano sullo stesso territorio.

Tale identità territoriale comune sarebbe un’identità aggiuntiva rispetto alle singole appartenenze, siano esse agganciate alla lingua o alla religione, sul modello della cittadinanza europea rispetto alle cittadinanze dei singoli Stati membri dell’Unione europea. Si tratterebbe di un’identità comune e sovraordinata che quindi si sovrapporrebbe alle singole e multiple identità senza cancellarle, ma rispettandole e tutelandole.30 In quest’ottica possono essere lette le affermazioni che il Presidente Durnwalder ha pronunciato in occasione della presentazione del bilancio provinciale 2011, secondo le quali la Provincia debba agevolare: “una società che sia tollerante, ma che non faccia l’errore di confondere la tolleranza con la rinuncia alla propria identità, […] in sintesi dobbiamo divenire un’unica società” (Durnwalder 2010).

La creazione di un’identità condivisa comune si baserebbe non solo su valori comuni – i diritti umani, la democrazia, la tolleranza, l’uguaglianza e il rispetto dell’ambiente – ma anche su percezioni concernenti la lealtà, la fedeltà, l’impegno nei confronti delle sfide future, che non saranno limitate ad un gruppo specifico. In tal modo, tutti gli individui e i gruppi che vivono in Alto Adige/Südtirol condividerebbero fondamentalmente uno stesso futuro, in grado di unire le persone in una comunità più vasta, nonostante i legami emozionali tra gli individui che compongono tale comunità siano, almeno al momento, fragili e spesso distanti e posti su livelli apparentemente non comunicanti.31

Note

1 Per un’analisi del tema vecchie e nuove minoranze, cfr. Medda-Windischer 2011a, e la monografia, Medda-Windischer 2010.

2 Com’è noto, l’autonomia altoatesina presenta una serie di caratteristiche: autonomia legislativa ed amministrativa, rappresentanza proporzionale su base linguistica, l’impegno nei confronti del bilinguismo ed infine una base finanziaria prevista per l’attuazione di tali disposizioni. Su tutti, si veda, in italiano, Marko et al. 2001, e, in tedesco, Marko et al. 2005.

3 Traduzione propria della citazione, dal tedesco.

4 Il cosiddetto “Pacchetto Sicurezza”, adottato nel luglio del 2009 (legge n. 94/09) e che ha modificato in diversi punti il Testo Unico sull’Immigrazione (decreto legislativo n. 286/98, “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, 25 luglio 1998, di seguito denominato “Testo Unico”), prevede un Accordo di Integrazione da sottoscrivere per ottenere un permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno (art. 4-bis, Testo Unico). I requisiti dettagliati per l’ottenimento del nuovo permesso di soggiorno sono previsti nel Regolamento di attuazione (“Regolamento recante la disciplina dell’Accordo di Integrazione tra lo straniero e lo Stato”, decreto del Presidente della Repubblica, 14 settembre 2011, n. 179) approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 28 luglio 2011: il sistema si basa su un meccanismo premiante, in base al quale i migranti devono accumulare 30 punti nell’arco di due anni attraverso corsi di lingua, lezioni sulla Costituzione italiana, ma anche l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale e la regolare iscrizione dei figli a scuola. Chiunque non riesca ad accumulare i punti richiesti entro i termini stabiliti, avrà un ulteriore anno a sua disposizione per soddisfare tutti i requisiti, pena l’espulsione. Inoltre, il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno) viene subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana. In entrambi i casi – permesso di soggiorno e carta per lungo soggiornanti – limitatamente al territorio della Provincia di Bolzano, si potrà sostenere un test non obbligatorio di conoscenza della lingua tedesca. Cfr. Provincia Autonoma di Bolzano 2010a. Tale test di lingua tedesca non sarà obbligatorio nonostante la richiesta di alcuni parlamentari della Svp di renderlo obbligatorio quantomeno in alternativa al test in lingua italiana dato il principio di parità delle lingue ufficiali, italiana e tedesca, che vige nella Provincia di Bolzano. Cfr. Camera dei deputati 2011; Senato 2011. Per quanto riguarda il permesso di soggiorno ordinario (diverso da quello per lungo soggiornanti), il Regolamento di attuazione dell’Accordo di Integrazione (n. 179/2011) ha parzialmente accolto la richiesta dei parlamentari della Svp prevedendo che “lo svolgimento del test anche in lingua tedesca oltre che in lingua italiana, per gli stranieri residenti nella provincia di Bolzano, sia valutabile ai fini del riconoscimento di crediti ulteriori” (Artt. 6 (2) e 12 (2) del Regolamento di attuazione dell’Accordo di Integrazione, e Punto 8 dell’Allegato B del medesimo Regolamento) (corsivo aggiunto dall’autrice). È importante notare che all’atto della sottoscrizione dell’Accordo di Integrazione, lo straniero dovrà anche impegnarsi a rispettare la “Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione” adottata nel 2006 dal Ministero dell’Interno con il sostegno di un Comitato scientifico composto, fra gli altri, dai membri della Consulta per l’Islam italiano istituita presso il Ministero dell’Interno come organo consultivo sulle questioni legate alle comunità islamiche in Italia. La Carta elenca i principali valori e principi della Costituzione italiana e della normativa europea in materia di diritti umani e si prefigge lo scopo di avere un valore promotore, informativo e pedagogico. Si veda il sito del Ministero dell’Interno all’indirizzo http://www.interno.it/
mininterno/site/it/sezioni/sala_stampa/speciali/carta_dei_valori/index.html
.

5 Si veda art. 117, Costituzione italiana. Sul punto, si veda, Palermo/2004.

6 L’articolo 21 (1) del Testo Unico (Determinazione dei flussi di ingresso) prevede: “l’ingresso nel territorio dello Stato per motivi di lavoro […] avviene nell’ambito delle quote di ingresso stabilite nei decreti […]” con i quali, in base all’art. 3 (4) del Testo Unico (Politiche migratorie), il “Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Comitato (per il coordinamento e il monitoraggio), la Conferenza unificata (Stato, regioni, città ed autonomie locali) e le competenti Commissioni parlamentari” definisce annualmente “[…] le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato […]”. L’art. 21 (4-bis) del Testo Unico precisa, inoltre, “il decreto annuale ed i decreti infra-annuali devono altresì essere predisposti in base ai dati sulla effettiva richiesta di lavoro suddivisi per regioni e per bacini provinciali di utenza […]”, e ancora, “le Regioni possono trasmettere, entro il 30 novembre di ogni anno, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, un rapporto sulla presenza e sulla condizione degli immigrati extracomunitari nel territorio regionale, contenente anche le indicazioni previsionali relative ai flussi sostenibili nel triennio successivo in rapporto alla capacità di assorbimento del tessuto sociale e produttivo”. (Art. 21 (4-ter) del Testo Unico) (corsivi aggiunti dall’autrice).

7 L’istruzione è chiaramente un’area di cruciale rilevanza per le minoranze, in quanto importante strumento di tutela e promozione dell’identità minoritaria. Come molti aspetti della vita pubblica in Alto Adige/Südtirol, il sistema scolastico è, com’è noto, organizzato su base linguistica: in Provincia ci sono quindi scuole in cui tutte le materie sono insegnate o in tedesco o in italiano come lingua veicolare, ma in cui è obbligatorio apprendere l’altra lingua. Nel sistema scolastico strutturato in tal modo, gli stranieri possono scegliere se iscrivere i propri figli alle scuole di lingua tedesca o a quelle di lingua italiana.

8 Per quanto riguarda gli alloggi pubblici in Alto Adige/Südtirol, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea (i cosiddetti Paesi terzi) hanno diritto all’assegnazione di case popolari e, analogamente ai gruppi linguistici autoctoni, l’assegnazione avviene sulla base del fabbisogno e dei requisiti, nonché del sistema proporzionale, che rifletta la loro effettiva consistenza sul territorio; ne risulta un calcolo complesso, basato sulla presenza di cittadini di Paesi terzi residenti (o di soggetti appartenenti ai gruppi di lingua italiana e tedesca/ladina), sui requisiti – come il numero dei componenti il nucleo familiare, gli anni di residenza e così via – nonché sul numero delle richieste: questo può comportare che certi gruppi, come quello di lingua italiana, si vedano assegnare un numero maggiore di alloggi rispetto a quanti ne giustifichi il loro effettivo peso numerico. Il diverso trattamento a cui la normativa provinciale sottopone i cittadini di Stati membri dell’Unione europea e i cittadini di Paesi terzi per quanto riguarda il cosiddetto “sussidio casa” destinato ai locatari meno abbienti (solo ai cittadini di Paesi terzi è infatti richiesto il requisito di tre anni di attività lavorativa per accedere al beneficio del sussidio casa) è stato oggetto recentemente di una decisione del Tribunale di Bolzano che ha rinviato la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea affinché verifichi la conformità della suddetta normativa provinciale con la legislazione europea, ed in particolare con la Direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini dei Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (Tribunale di Bolzano, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 665/2010, 16 novembre 2010). Per un approfondimento, cfr. Pallaoro 2011.

9 Alcune città altoatesine, come Bolzano e Merano, hanno istituito delle consulte per i cittadini stranieri (Attanasio/Pallaver 2011). Esse godono però unicamente di poteri consultivi e i consigli municipali non sono tenuti in alcun modo a consultarle, neppure per le questioni che interessino specificatamente la migrazione e/o gli stranieri. Tali consulte sono quindi disarmate ed inefficaci, una sorta di ente formale. Attualmente, in Italia, i cittadini di Paesi terzi non godono del diritto elettorale attivo o passivo e questo non solo a livello nazionale, come i cittadini UE residenti in Italia, ma anche a livello locale. È importante notare che la recente legge provinciale “Integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri”, del 28 ottobre 2011, n. 12 (denominata in questo contributo “Legge Provinciale sull’Integrazione”) ha istituto una Consulta Provinciale con il compito di presentare proposte ed esprimere pareri alla Giunta provinciale in relazione ad ogni argomento inerente alla materia dell’immigrazione, in particolare in occasione del programma pluriennale sull’immigrazione (Art. 6 della Legge Provinciale sull’Integrazione). La Consulta viene nominata dalla Giunta ed è composta da 19 membri, di cui otto rappresentanti dei cittadini stranieri, due rappresentanti, rispettivamente delle associazioni del volontariato e dei sindacati maggiormente rappresentativi, mentre il resto è composto da rappresentanti delle istituzioni e dei datori di lavoro.

10 Si vedano artt. 43-44, Testo Unico sull’Immigrazione. Si noti che la Legge Provinciale sull’Integrazione ha altresì istituito un Centro di Tutela contro le Discriminazioni con il compito di monitorare le discriminazioni, garantire la possibilità di fare segnalazioni, assistere le vittime di atti discriminatori e formulare proposte e pareri in merito a progetti di atti normativi e amministrativi (Art. 5, Legge Provinciale sull’Integrazione). Le modalità di funzionamento del Centro di Tutela sono rimandate ad un regolamento di esecuzione che, al momento della stesura del presente contributo, è in corso di elaborazione (Art. 5 (3), Legge Provinciale sull’Integrazione).

11 Nel 2006 l’Assessorato provinciale al Lavoro, con competenza specifica in materia di immigrazione, elaborò un “Disegno di legge sulle politiche di inclusione dei cittadini stranieri”, ma esso non venne mai presentato al Consiglio provinciale affinché lo discutesse. Successivamente, nel settembre-dicembre 2010, il disegno di legge fu rielaborato e discusso dalla Giunta provinciale in diverse occasioni (si veda, Provincia Autonoma di Bolzano 2010b). Infine, nell’autunno del 2011, il disegno di legge è finalmente approdato di fronte al Consiglio provinciale, giungendo poi alla sua adozione il 28 ottobre 2011 dopo svariate polemiche e diverse sedute consiliari (cfr. Provincia Autonoma di Bolzano 2011a; Provincia Autonoma di Bolzano 2011b).

12 È riconosciuto che la risposta di una società all’immigrazione sia intimamente legata alla concezione che essa ha di sé come società. Cfr., tra gli altri, Carens 1995, 20-81, 20.

13 Art.44 (12), Testo Unico sull’Immigrazione.

14 Nel 2009, la Provincia Autonoma di Bolzano ha istituito presso la Ripartizione Lavoro il Servizio Coordinamento Immigrazione il cui obiettivo principale consiste “nella rilevazione delle attività nel settore dell’immigrazione nei settori pubblico e privato nonché nel loro coordinamento all’insegna di una collaborazione a vantaggio di tutti gli interessati”. Si veda, Provincia Autonoma di Bolzano 2009. Tuttavia, rispetto alle molteplici attività svolte dall’ex-Osservatorio, incluse le attività contro le discriminazioni che l’Osservatorio svolgeva quale Centro di Tutela contro le Discriminazioni (si veda http://www.provincia.bz.it/immigrazione/) dopo circa due anni di attività, il suddetto Servizio non sembra aver ancora svolto un’azione particolarmente incisiva sul territorio, probabilmente anche per motivi riconducibili alla mancanza, finora, di una legge provinciale sull’integrazione dei cittadini stranieri che fornisse un quadro giuridico organico di riferimento in materia. L’adozione della Legge Provinciale sull’Integrazione del 28 ottobre 2011 potrà dare non solo un riferimento giuridico e finanziario al lavoro del Servizio, ma anche un forte impulso all’efficacia del suo lavoro.

15 Art. 5 della Legge Provinciale sull’Integrazione. Si veda nota 11 in questo contributo.

16 Art. 6 della Legge Provinciale sull’Integrazione. Si veda nota 10 in questo contributo.

17 Art. 1 della Legge Provinciale sull’Integrazione (corsivo aggiunto dall’autrice).

18 Si veda Programma dell’Aia del Consiglio europeo, 2004, 11, punto 1.5. Il Programma dell’Aia propone anche una serie di Principi di Base Comuni (CBP) per l’integrazione. Tra questi, i valori fondamentali dell’Unione europea e i diritti umani fondamentali, l’interazione frequente e il dialogo tra i membri della società, e le politiche di non discriminazione (si veda Comunicazione della Commissione, 2005, CBP 1) (corsivo aggiunto dall’autrice).

19 Art. 4 bis del Testo Unico (corsivo aggiunto dall’autrice).

20 Art. 2 della Legge Provinciale sull’Integrazione.

21 Secondo il più recente rapporto del CNEL, la Provincia di Bolzano è al 13esimo posto su 103 province italiane. Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro 2010.

22 Si vedano, tra i tanti esempi in tal senso, i clamorosi risultati ottenuti dal PVV (Partito della libertà) di Geert Wilders alle elezioni locali del 2010 nei Paesi Bassi, nelle quali la campagna del PVV era ampiamente basata sulla lotta all’Islam, nonché quelli delle elezioni parlamentari nazionali svedesi nel settembre del 2010. Si vedano http://news.bbc.co.uk/2/hi/8549155.stm e http://www.bbc.co.uk/news/world-europe-11367622. Sulle elezioni del 2009 in Alto Adige/Südtirol, si veda: ANSA 2009; Atz/Pallaver 2010; Palermo/Zwilling 2008.

23 Dal termine inglese visible minorities impiegato, ad esempio, dal Consiglio d’Europa (cfr. Consiglio d’Europa 2010).

24 Si deve notare che tale posizione è stata sostenuta recentemente anche dalla sezione CGIL di Treviso. Cfr. Bonet 2010. Per quanto concerne i lavoratori stranieri e le preferenze nel mercato del lavoro nazionale ed europeo, la legislazione UE sancisce che, mentre il reclutamento preferenziale di cittadini UE rispetto a cittadini di Paesi terzi da parte dei datori di lavoro può essere previsto da leggi nazionali o UE (art. 25 (3) della Direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini dei Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo), l’esclusione totale di cittadini di Paesi terzi da parte dei datori di lavoro rappresenterebbe evidentemente una forma (indiretta) di discriminazione razziale ed in quanto tale essa è proibita anche dalla Direttiva europea sulla parità nell’occupazione (Direttiva del Consiglio 2000/78/CE del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro).

25 Si veda Il nuovo programma della SVP, adottato l’8 maggio 1993 all’indirizzo http://www.svpartei.org/de/politik/grundsatzprogramm/, par. 5.

26 Artt. 6 (2) e 12 (2), Regolamento di attuazione dell’Accordo di Integrazione (n. 179/2011). Si veda nota 5 in questo contributo. Cfr. Alto Adige 2010.

27 Traduzione propria della citazione dall’inglese.

28 Traduzione propria della citazione dall’inglese.

29 Traduzione propria della citazione dall’inglese.

30 Sulle identità multiple, si veda fra gli altri, Appiah 1996; Bauböck 2002, 1-16; Zolberg 1997, 139-154.

31 Sulla stessa linea, il Preambolo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea afferma che “i popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni”. Si veda, Carta europea dei diritti fondamentali dell’Unione europea 2000/C 364/01, proclamata il 7 dicembre 2000, emendata dal Trattato di Lisbona 2007/C 303/01, 14 dicembre 2007.

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Abstracts

Der Umgang mit den Unterschieden der neuen Minderheiten in Südtirol

Südtirol ist wie Katalonien, die kanadische Provinz Québec, das Baskenland und Schottland einerseits von der Präsenz historisch traditioneller Minderheiten (den sogenannten „alten“ Minderheiten) und andererseits von „neuen“ Minderheiten geprägt, die sich aufgrund von Migration gebildet haben. Ziel des Beitrages ist aufzuzeigen, wie es in diesem spezifischen Kontext möglich ist, die Forderung nach Anerkennung und Schutz der Vielfalt mit sozialem Zusammenhalt zu verbinden. Anders formuliert geht es darum zu analysieren, ob es eine Möglichkeit gibt, das Recht auf Identität und Vielfalt der Minderheiten mit dem Bedürfnis nach sozialer Kohäsion zu verbinden, um eine stabile und sozial tragfähige Gemeinschaft zu schaffen, die die legitimen Ziele sowohl der traditionellen als auch der „neuen“ Minderheiten zu befriedigen imstande ist.

La gestiun dles diversitês dles mendranzes nöies
te Südtirol

Sciöche la Catalogna, la provinzia canadeja dl Québec, i Paîsc Bascs y la Scozia, é Südtirol caraterisé da öna na pert dala presënza de mendranzes tradizionales storiches (mendranzes „vedles“, sciöch’al ti vëgn inće dit) y dal’atra pert da mendranzes „nöies“, che s’à formè tres la migraziun. Le fin de chësc articul é chël de mostrè sö sciöche ara va te chësc contest spezifich, da fà jì a öna la ghiranza de reconescimënt y de sconanza dles diversitês y la coejiun soziala. Da la dì atramënter nen vara chilò de ćiarè sc’al é na poscibilité de lié le dërt de mantignì l’identité y la varieté dles mendranzes cun le bojëgn de na coejiun soziala, por cherié na comunité stabila y solida dal punt d’odüda sozial, che sides buna de ti impormëte sides ales mendranzes tradizionales co inće a chëres „nöies“ de arjunje sü fins legitims.

Managing the Diversity of South Tyrol’s New Minorities

Like Catalonia, Québec, the Basque region and Scotland, South Tyrol is shaped by the presence of historically traditional minorities, known as “old” minorities, and by “new” minorities, which originate from recent immigration. The aim of the article is to analyse, to the extent possible within this specific context, whether it is possible to reconcile the claims of these group for recognition and protection of diversity with cohesion and unity. In other words: to analyse whether there is a way to reconcile the rights that minorities have to identity and diversity with the need for social cohesion, in order to create one stable and socially sustainable community that is able to satisfy the legitimate aims of the historically traditional minorities as well as those of the minority groups that have settled here more recently.